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Autore: Dragonfly_7    09/05/2012    1 recensioni
- Non dovresti parlare con una sconosciuta. Potrei essere una pazza psicopatica. Potrei ucciderti.
- Chi ti dice che il pazzo non sono io qui fra i due?. Già, chi me lo diceva?
Sembrava un normalissimo ragazzo, avrebbe portato un camice se fosse stato ricoverato lì.
Tornai ad osservare la ragazza che aveva iniziato a mangiare un po’ del pollo che aveva nel piatto sotto insistente aiuto della madre.
Era vestita come me, con jeans e maglietta.
Tornai ad osservare il ragazzo difronte a me.
Automaticamente cercai un braccialetto o una qualsiasi cosa che potesse farmi capire che fosse un potenziale paziente.
O cavolo, sei un pazzo!
- Aha, dissi osservando il braccialetto che portava al polso destro.
- Carino vero? Un omaggio della casa., commentò ironico… com’è che si chiamava?
- Come ti chiami?, chiesi allora io, affascinata tutto d’un tratto, curiosa di voler conoscere la sua storia.
- Il mio nome è Zayn.
*tratto dal 10° capitolo*
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Guidava mio padre, io non ne avevo voglia, stranamente. Quello era un chiaro segno della mia stanchezza. Stanco di tutto. Della vita, della gente, della famiglia e degli amici. Presi il lettore mp3, vecchio quanto me quasi, ma sempre fedele. Misi le cuffie e chiusi gli occhi. Mi rilassava un po' distanziarmi dal mondo. Tanto i miei parlavano di fatti loro e le mie sorelle litigavano per le solite stupidaggini infantili.
"Nathan..."
, sentii pronunciare il mio nome e il susseguirsi di altre parole. Noemi, la più piccola della famiglia, mi chiedeva per l'ennesima volta qualcosa. Feci finta di non sentirla. Semplicemente non avevo voglia di ascoltarla. Non era cattiveria, ma ancora una volta, stanchezza. Finalmente arrivammo a casa. Mi catapultai in camera mia. Non volevo essere disturbato e lo sapevano. Posai cellulare ed mp3 sullo scaffale e mi buttai a pancia in sù sul letto. Portai le mani dietro la testa e con un gesto automatico mi tolsi le scarpe con i piedi stessi, facendole andare chissà dove. Avrei dovuto mettere un po' a posto in camera mia, ma ero il tipico ragazzo che non ne aveva voglia, e vive felicemente beato nel suo caos. Osservai le stelle appiccicate al soffitto da quando avevo quattro anni. Ormai la notte non illuminavano più. L'infanzia, che bel periodo della vita. Spensieratezza pura. Adesso, invece, mi toccava pensare a studiare per me, per i genitori, per non deludere le persone. Dovevo pormi un obiettivo e pensare al mio futuro. Ovviamente, evitavo il più possibile simili pensieri, soprattutto dopo una giornataccia come quella. Avevo detto a mia madre che non volevo andarci al compleanno di Margherita, ma contro le mamme non si vince mai, o va a finire che te ne penti. Che poi Margherita che razza di nome era? Sapevo che che fosse italiana lei, ed immagino anche il suo nome che era complicatissimo da leggere e da pronunciare e anche da scrivere. La conoscevo perché avevamo frequentato le scuole elementari insieme ed ogni tanto capitavamo nella stessa compagnia di amici. Niente di che. Era carina, sì, ma non il mio tipo, e quando lo capì prese un po' le distanze anche lei. Meglio così. Mi dispiaceva ferire o spezzare il cuore di una ragazza. Si sa come sono fatte. Quando è arrivato il momento in cui si dichiarano sanno già tutto di te, vita morte e miracoli. O per lo meno così facevano in molte. Non era giusto generalizzare, come non è giusto quando loro ci definiscono tutti stronzi e insensibili. Non è vero che siamo così, ma questa è un'altra storia. Non mi accorsi che il tempo era volato via più in fretta di quanto pensassi. Fuori era già buio. Mi alzai di scatto e cercai il telefono.
"Ehi senti che si fa sera?"
, chiesi io appena Loris mi rispose. Il mio migliore amico si poteva dire. Ci confidavamo tutto e ci consigliavamo tanto.
"E che ne so, mi passi a prendere e vediamo poi?"
, rispose lui.
"Andata. 10 minuti e sono lì"
, e riattaccammo. Non ero mai stato puntuale, e lui sapeva che sarei stato lì almeno dopo 20 minuti. Dovevo ancora fare la doccia, vestirmi, cercare le chiavi della macchina. Avrei potuto prendere la moto, ma non era serata. La mia adorata compagna di vita non andava sciupata, ed io non ero dell'umore giusto. Se la sarebbe sicuramente presa. Mi preparai con calma e come previsto arrivai con un ritardo di 15 minuti più o meno.
"Allora dove si va?"
, mi chiese Lori, perché preferivo chiamarlo così io, era più sbrigativo, mentre si accendeva una sigaretta.
"E che ne so io"
, risposi ridendo.
"Andiamo a rimorchiare un po' dai"
, concluse facendomi ridere ancora di più. Quello poteva significare solo una cosa. Andare al nostro pub, dove incontravamo sempre qualche tipa. Lui sì che era uno stronzo. Non voleva cose serie, e quando incontrava una ragazza metteva subito le cose in chiaro: niente impegni. Voleva solo del sano puro sesso. Ovviamente aveva le sue ragione. Si era preso una bella sbandata per Eleonor, una storia che durò ben sei anni, poi lei gli diedi il ben servito e lui ne rimase quasi traumatizzato inizialmente. Non volendo cadere in depressione, di buttò nel sesso. Ora si era ripreso e non. Non dove essere facile dare di nuovo fiducia a qualcuno dopo che è stata tradita in un modo così brutto. Arrivammo al pub e notammo che era un po' pieno. Entrando notai una ragazza che aspettava all'entrata col cellulare in mano, tutta agitata e scocciata. Sembrava più che altro irritata. Mai vista prima, eppure conoscevo quasi tutti quelli del pub. Sarà straniera, pensai. Lori come al solito iniziò a scherzare con la barista che ormai ci conosceva troppo bene.
"Cosa vi offro oggi?"
, chiese lei.
"Se offri tu qualcosa di costoso, altrimenti una birra"
, risposi io facendole l'occhiolino.
"Questa sera festeggiamo il nostro quinto anniversario, quindi offre la casa un cocktail a scelta"
, disse lei sorridendo e porgendo una birra ad un altro signore.
"Allora vada per il cocktail, scegli tu"
, disse Lori. Arrivarono anche altri amici poi. Passò così la solita serata della domenica sera in quella piccola cittadina vicino Londra. Non tardammo molto, perché l'indomani dovevamo tutti alzarci presto. Infatti, la sveglia suonò e anche mia madre.
"Nathan dai non farmi urlare come al solito. Muoviti!", urlò, invece, lei. Con malavoglia abbandonai il letto che mi implorava di restare. Passai un quarto d'ora sotto la doccia bollente e scelsi cosa mettere. Mangiai qualcosa al volo mentre le mie piccole sorelline mi aspettavano spazientite. Ero io l'autista di casa, e le portavo io a scuola. Arrivammo puntuali però. Dopo averle accompagnate, infatti, mi diressi verso l'edificio di educazione fisica dove Lori già mia aspettava e restammo ancora un po' fuori a parlare. Al suono della campanella entrammo tutti dentro. Velocemente ci spogliammo e indossammo la tuta. Fare sport alla prima ora di lezione era una vera rottura per alcuni, ma per noi due era uno spasso. Almeno non era noiosa. Notai che le ragazze erano tutte riunite in gruppo intorno a qualcosa, o forse era meglio dire
qualcuno. L'insegnante richiamò immediatamente all'ordine e ci presentò la nuova arrivata.
"Signorina Green, vuole presentarsi lei o vuole che lo faccia io?"
, disse il signor Morgan. La ragazza rispose scuotendo il capo arrossendo un po'. Aveva gli occhi di tutti puntati contro. Eppure mi sembrava di conoscerla.
"Bene, allora ragazzi lei è la vostra nuova compagna. Delilah Green. Per favore qualcuno si prenda la briga di aiutarla in caso ne abbia bisogno e non siate i soliti broccoli vestiti!"
, e subito dopo prese a spiegare la lezione. Delilah Green.
"Carina vero?"
, commento subito Lori.
"Sì. Ma a te non pare di averla già vista da qualche parte?"
, chiesi io.
"Non è la tipa che sclerava ieri sera davanti al pub?"
, a quelle parole gli diedi subito una pacca sulle spalle. Ma certo! Era proprio lei! Quanto era piccolo il mondo a volte. Tutta la osservavano, era la nuova curiosità della scuola. A fine lezione andammo tutti a fare la doccia riprendendo già a parlare delle solite cose e delle prossime lezioni. A me toccava Storia ora. Entrando in classe notai Delilah sedere tra i banchi. Presi posto accanto a lei allora.
"Ciao"
, le dissi mentre lei voltandosi mi sorrise. Era davvero carina. Chissà, sarebbe potuta diventare una mia nuova preda, o magari una buona amica.
"Salve"
, disse lei poi interrompendo i miei pensieri.
"Allora tu sei Delilah, eh? Quella che ieri sera aspettava il principe azzurro davanti al pub."
, dissi io facendomi sfuggire uno strano risolino. Lei però sgranò gli occhi sorpresa e successivamente irritata. Avevo forse detto qualcosa di sbagliato?
"Sì, ero io. Sì, aspettavo. No, non il principe azzurro."
, rispose secca volgendo lo sguardo altrove.
"Scusa, non volevo essere invadente"
, mi scusai io. Che poi per cosa mi scusavo? Che ne potevo sapere io che fosse un tasto dolente. Mi alzai e mi misi al mio posto, lasciando quello accanto a lei ad un'altra ragazza. Lei si voltò per guardarmi un attimo e poi si presentò ancora una volta alla sua nuova compagna di banco. Quella tipa che sembrava tanto carina non mi piaceva poi più di tanto. Se la tirava un po' troppo, ma magari mi sbagliavo. Il primo giorno è brutto un po' per tutti in fin dei conti, no? La vidi di nuovo nella mensa insieme a delle ragazze che la invadevano di domande. Lori aveva detto che voleva provarci con lei, nonostante gli avessi detto che la tipa non fosse poi tanto gentile come sembrava. Ma a lui piacevano le sfide, e così scommettemmo 50 sterline: lui diceva che l'avrebbe conquistata, io no. Così, alla fine delle lezioni, fuori dall'edificio, la fermò invitandola a bere qualcosa quella sera con una stupida scusa, ma lei rifiutò e io no potei fare a meno che godermi la faccia di Loris mentre la guardava andarsene via. Non riuscivo più a smetterla di ridere.
"Allora me le vuoi dare già ora o preferisci torturarti ancora un po'?"
, gli dissi io ancora preso dalle risate.
"Non sono mai stato rifiutato con tanta sfacciataggine. Sarà mia! E tu mi darai le 50 soldini bellini bellini."
rispose lui tutto eccitato al solo pensiero di quella sfida.
Andai a raccogliere le mie sorelle e tornai a casa con la testa piena di filastrocche nuove che avevano imparato e numeri nuovi che avevano scoperto.
A volte la vita poteva essere meno spregevole di quanto pensassi. A me bastava avere Noemi e Natalie, i miei due piccoli angeli, per ringraziare il mondo.

   
 
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