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Autore: TonyCocchi    10/05/2012    7 recensioni
Fanfic ispirata dalle recenti elezioni in Grecia. In un momento tanto delicato per il povero Herakles, chi se non Ludwig può e deve prendere il coraggio di parlargli.
Perché se anche le persone dimenticano, lui che non può ha il dovere di metterlo in guardia: un monito severo, che è anche una supplica ad aprire gli occhi, ora, prima che sia troppo tardi.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Germania/Ludwig, Grecia/Heracles Karpusi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hetalia - Grecia Elezioni

Herakles, appoggiato al muro, leggeva con la sua proverbiale lentezza l’opuscolo dei nuovi arrivati nel suo parlamento.

Si guardò intorno, lo ripiegò e lo infilò nella tasca interna nella giacca, come fosse qualcosa da tenere nascosto.

Non voleva qualcun altro lo notasse, e magari facesse partire un discorso: le questioni interne di una nazione non sono cose di cui le altre dovrebbero impicciarsi, in casa propria ognuno dovrebbe essere padrone di fare come gli pare.

Senza contare che mai come negli ultimi tempi era di cattivo umore, e non gli andava tanto di parlare dei suoi guai, quanto di stare a sentire consigli altrui. Consigli a due facce, dettati da interessi non suoi.

Nell’andarsene, il suo umore peggiorò quando a un suono concitato di passi si voltò e vide avvicinarsi, ovviamente, Ludwig; doveva pure aspettarselo, pensò.

“Grecia, hai un secondo?”
“Scusa Germania, sto tornando a casa. Sarà un’altra volta.”

Germania cercò di tranquillizzarlo con toni gentili e un mezzo sorriso: “Volevo parlare un po’ con te… A proposito delle elezioni a casa tua.”

Non aveva neppure finito di parlare che l’altro già proseguiva sulla sua strada; e quando persino lui arrivava ad avere così tanta fretta, o era qualcosa di grave o era una finta per divincolarsi da una situazione fastidiosa, o entrambe.

“Grecia?”

Quella volta non si voltò nemmeno.

“Che fai? Mi ignori?”

Si, aveva tutta l’aria di ribadire che non aveva proprio niente da dire.

Allora Germania abbandonò parole e cautela.

Lo afferrò per la giacca e col minimo sforzo sbatté  Grecia contro il muro; gli si gettò sopra, tenendolo bloccato per il colletto, con due occhi come aghi glaciali che gli iniettavano terrore dritto nell’anima. Qualsiasi tentativo di divincolarsi era soffocato sul nascere.

“Pensa bene a quello che fai, razza di stupido!”

Continuando a tenerlo con l’altra mano, si allentò il colletto della camicia, aprì altri bottoni, fino a mettere a nudo la pelle sotto la spalla destra.

“La vedi?”

La cicatrice poco sotto la clavicola, piccola ma dalla forma assurda, precisa, che sembrava fatta intenzionalmente; quattro zampette di ragno che avvinghiano il cuore e rendono immondo ciò che toccano.

“Da lì non se ne va. Potrò anche diventare il più buono dei samaritani, comportarmi da santerellino da qui all’eternità, ma quella rimarrà lì. E ci devo fare i conti ogni volta che mi guardo allo specchio. Ne vuoi una uguale? Allora? Rispondi!”

Grecia, non perché spaventato, ma semplicemente perché esausto, si sciolse davanti a lui. La morsa dei suoi denti si spalancò e ne uscì un gemito rotto, cui fece seguito una pacato singhiozzare.

“Il mio popolo non ce la fa più!”

Senza lasciarsi impietosire, Germania continuava a tenergli sotto gli occhi il proprio marchio.

“Non ci sono soldi, non c’è lavoro, solo un mucchio di debiti… Tutti ci dicono cosa dobbiamo fare, noi lo facciamo e neanche va bene…” –pianse il paese senza più speranze; e quando sei senza speranze, ti senti in diritto di agguantare la prima che passa senza neanche guardare il marcio che ha in faccia.
“Si….” –annuì Germania allentando la presa- “È sempre così che si comincia, ci sono passato anch’io… Vuoi aiutarli, restituire loro la felicità, la dignità, l’orgoglio… E prima che te ne accorgi li hai trasformati in un branco di pazzi, talmente pieni di sé da non vedere nient’altro al di fuori del loro superbo paese, e cosa realmente sta facendo loro…”

Gli occhi azzurri si smarrirono nei ricordi di quei giorni gloriosi e sciagurati.

 

La folla che gremiva la piazza a Berlino. I tedeschi che da la sotto lo guardavano su quel balcone, nella sua bella uniforme.

Gridavano entusiasti, gli dicevano quanto fosse bello, quanto fosse forte, quanto fosse immensamente migliore di qualunque altra nazione, quanto ogni altra nazione non fosse che feccia al suo confronto.

E lui, da lassù, salutava e sorrideva, felice, sicuro di sé, con la croce uncinata che sventolava alle sue spalle.

 

“Finché un giorno cadi nella polvere e apri gli occhi, e loro con te; e li vedi ritrovarsi tra le macerie di quelle che erano le loro case, a piangere e a dirsi << Mio Dio, cosa abbiamo fatto? >>”

Germania lo lasciò e si riabbottonò la camicia. Non gli importava della rozzezza dei modi: la terapia d’urto in questi casi, a detta sua, era la migliore possibile. Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto di carta perché si asciugasse le lacrime.

“Grecia, ti prego, è un momento terribile per te, lo so. Ma pensaci due volte. È sempre così che si comincia. E si finisce sempre allo stesso modo.”

Andò per la sua strada, capo chino, come un lebbroso dei tempi antichi che col proprio campanello avvisa chi gli è vicino dal pericolo dell’impurità in agguato.

Sfiancato e con un cerchio alla testa, Grecia proseguì verso l’uscita.

Voleva tornare a casa. Aveva disperato bisogno di una sedia, e di un gatto da carezzare, per dimenticarsi un po’ di tutti i problemi.

Vecchi, nuovi, e a venire.

 

 

 

NOTE DELL’AUTORE

Quando in Germania iniziarono a farsi largo le atroci idee del nazismo, la situazione del paese era per certi versi simile a quella della Grecia odierna: povertà, disoccupazione, inflazione, riparazioni di guerra da pagare agli stranieri, ingerenze di questi ultimi nell’economia, sfiducia totale per il futuro.

Quanto più la situazione è disperata, in qualunque nazione, tanto più alto è il rischio che il primo che passa, con promesse di rinascita e nuova forza, prenda il sopravvento nei cuori della popolazione umiliata, che si lascia spersonalizzare, privare dei diritti, e condurre verso le più atroci efferatezze.

 

Mi riempie, e dovrebbe riempire tutti noi di preoccupazione e sconforto pensare che, ancora oggi, si rischi di arrivare a questo punto.

Pensare che ancora esistono stupidi, e non solo in Grecia, ma anche in Italia e altri paesi, che vanno in giro dicendo “Hitler era un grande personaggio”, e che così tante persone li votano, perché hanno smesso di ricordare cosa sia stato realmente il nazismo e a cosa abbia portato.

Com’è possibile mi chiedo?

 

Non dimenticate.

Ricordate sempre.

Come ricorda il povero Germania.

 

 

 

TonyCocchi

  
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