Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Yuls    12/05/2012    7 recensioni
SPOILER.
Se non avete letto Mockingjay, meglio non aprire questa FanFic.
Se l'avete letto, mi aspetto una recensione.
Kisses,
Yuls.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Primrose Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

.:: Note ::.

Ok, premetto che questa storia contiene un po’ di spoiler, quindi se non hai letto il terzo libro della saga di Hunger Games, il Canto della Rivolta (o Mockingjay), ti consiglio di non andare avanti. Uomo avvisato, mezzo salvato.

 

 

Spero che questa one-shot vi piaccia, comunque, e spero che proviate le stesse emozioni che ho provato io leggendo.
Perciò, buona lettura. ^^

 

 

Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho diciassette anni. Sono nata nel Distretto 12. Il Distretto 12 non esiste più. Sono la Ghiandaia Imitatrice. Ho rovesciato Capitol City. Il Presidente Snow mi odia. Ha ucciso mia sorella. Adesso io ucciderò lui. E finalmente gli Hunger Games saranno finiti per sempre…
Rigiro il braccialetto medico tra le mani. Poi lo ripongo nel cassetto. Guardo fuori dalla finestra e i raggi di sole mi accecano. Maggio è arrivato così velocemente. Il compleanno di Prim è alle porte. Peccato lei non ci sia più. Che lei non sia qui per festeggiarlo.
Riapro il cassetto e guardo il braccialetto. No, non è stato Snow a portarmela via. Sono stati i ribelli con quella bomba disegnata da Gale e Beetee.  Tremo al solo ricordo e torno a sdraiarmi sul letto, dove ormai passo le mie giornate, sola o in compagnia di Peeta.
Lui ora non c’è. Non so se sia un bene o un male, ma mentre non sopporto più di lasciarlo vedermi soffrire, al tempo stesso mi sento egoista e lo voglio accanto a me, a consolarmi e a proteggermi.
Gale è lontano, nel Distretto 2. Non riesco a sentire la sua mancanza, ma ciò non mi turba per niente.
Un’altra persona, invece, di cui ho bisogno non è qui. Mia madre è in chissà quale Distretto a prestare soccorso. L’egoismo fa nuovamente capolino e desidero che curi me, non degli estranei.
Sento suonare il campanello e, poco dopo, alcune voci provenienti dal piano di sotto.
Peeta ha fatto entrare Sae la Zozza affinché ci prepari la cena.
Sospiro, mentre mi alzo da letto e mi dirigo verso la porta. Non scendo giù, ma vado in bagno.
Il bisogno di un bagno caldo s’impossessa di me e mentre lascio l’acqua scorrere, indosso la vestaglia e mi affaccio alla finestra. Vedo la foresta, in lontananza, luogo per me portatore di felicità, un tempo. Quando avevo Prim, Gale, mia madre. Quando Effie Trinket non aveva estratto il nome di mia sorella il giorno della Mietitura.
Dopo aver mandato giù una boccata d’aria pulita, richiudo la finestra e mi siedo sul bordo della vasca. Non me la sento ancora di cacciare. Non sono ancora mentalmente stabile, rifletto, pensando al braccialetto medico chiuso in un cassetto nella stanza accanto.
Vado verso la porta e la chiudo a chiave. Ho bisogno d’intimità. Loro capiranno.
Infine, mi sfilo la vestaglia e mi lascio scivolare nell’acqua calda e piena di bolle. Chiudo gli occhi per un po’, ma accade l’inevitabile. Proprio come l’acqua usciva dal rubinetto nella vasca, fino a poco fa, così pensieri e ricordi si riversano prepotenti nella mia mente. Ogni tentativo di scacciarli è inutile e mi trattengo dal mettere la testa sott’acqua e farla finita. Ma provocherei altro dolore alle persone che amo. Mia madre non sopporterebbe un’altra perdita. Rimarrebbe sola. Peeta mi ama. Soffrirebbe quanto mia madre. Haymitch…beh, Haymitch soffocherebbe il dolore nell’alcol. E non posso permettergli di rovinarsi così.
Guardo la finestra e capisco di aver sbagliato nel chiuderla. Mi sento soffocare. Ma non dal vapore che sale dall’acqua calda della vasca. No, sono i ricordi.

Vedo i bambini. Guardano il cielo. Scendono i paracadute. Prima esplosione. Arrivano gli infermieri. Non sono di Capitol. Sono dei ribelli. Poi la vedo. Vedo la sua treccia ricadere disordinata. La sua treccia bionda. Il cappotto le viene strappato per coprire un bambino che si lamenta.  Ed è allora che vedo un lembo della camicetta che le è uscito dalla cintura. E’ indubbiamente lei. E’ la mia paperella. Chiamo il suo nome. Lo urlo. Inizio ad avanzare verso di lei. Sono quasi arrivata al recinto. Mancano pochi passi. Mi ha sentito. Si gira e mima con le labbra il mio nome.  Seconda esplosione. Prendo fuoco e, agonizzante, sento la carne bruciare. E’ buffo pensare che “Ragazza di fuoco” fosse il mio soprannome, un tempo. Ma adesso sono senza vista, udito, e tatto. E sono senza sorella.
Riapro gli occhi e annaspo, come se avessi passato tutto il tempo sott’acqua. Invece sono rimasta in superficie. Rivedere i suoi ultimi attimi di vita è stato atroce. Avverto un groppo in gola.
Peeta bussa alla porta. Chiama il mio nome ripetutamente. Sembra preoccupato.
Non gli rispondo. Non ce la faccio. Una, due, dieci, cento lacrime si mescolano con l’acqua della vasca. Mi soffocano. Non riesco a parlare.
Scossa dai tremiti, mi esce un singhiozzo. Ma sento che Peeta non è più oltre la porta. Mi alzo ed esco sul tappeto, tutta gocciolante. I capelli appiccicati alla faccia. Mi aspetto l’abbraccio di Flavius con il suo morbido telo. Invece non c’è. Non c’è per asciugarmi.
Prendo l’accappatoio e torno in camera. Sul letto, scoppio. Non riesco a capire che fine abbia fatto la coraggiosa Ghiandaia Imitatrice che pochi mesi fa studiava piani per uccidere Snow e ribaltare Capitol City.
Ora è un uccellino indifeso, in preda alle lacrime.
Sento la porta aprirsi alle mie spalle. Peeta entra, poco silenzioso come al solito.
Si limita ad abbracciarmi. Sa che in questi casi le parole servono a poco. Lo stringo a me, mentre nella mia mente avviene una battaglia. Una parte vuole tenerlo lontano, per impedirgli di soffrire vedendomi così. L’altra ha bisogno di lui, la necessità di averlo accanto, sempre.
La seconda parte di me vince e passiamo la notte insieme, stretti l’uno all’altra.
Nessun incubo fa capolino quella notte. Solo alcuni sogni che, nonostante la loro innocenza, mi turbano. Mi agito lievemente nel sonno, mentre rivivo quei momenti.

Sono con Gale, nel nostro piccolo rifugio, parlando degli Hunger Games. Io prendo una mora dal cespuglio vicino e la mangio, gustando la sua dolcezza e asperità che insieme formano proprio un buon sapore.
Sento il mio migliore amico inveire contro Capitol City, contro la crudeltà alla quale ci sottopone da settantaquattro anni. Non riesco a comprenderlo pienamente. Forse perché non m’interessa più di tanto.
Non mi preoccupo nemmeno per Prim. Il suo nome c’è solo una volta. Quante probabilità ha di essere estratta? Pochissime.

Era il giorno della Mietitura. Me lo ricordavo bene. Era iniziato tutto allora. Respiro profondamente mentre ripiombo nel sogno e la coscienza mi abbandona.
Sono seccata con Gale. Sta qui a parlarmi di Capitol City mentre potremmo cacciare. Forse ha ragione. Con tutti questi Pacificatori in giro è un vero rischio. Ma a me il rischio piace. Guardo il sole, quasi al culmine, e capisco che è ora di andare. Devo preparami per questo stupido giorno della Mietitura. Un giorno nel quale sono scelte ventiquattro persone di cui solo una si salverà.
Dopo aver pescato lascio Gale e mi avvio verso il Prato. Varco il recinto di metallo, quasi mai elettrificato, e prendo la strada di casa. Trovo mia madre e mia sorella ad aspettarmi. Percepisco lo spavento e la preoccupazione negli occhi di quest’ultima e mi tornano in mente le parole che le ho rivolto stamattina presto.
“È il tuo primo anno, Prim. Il tuo nome è lì dentro per la prima volta.” Lei ha annuito e ha accennato un sorriso. Mi sono fermata a guardare il suo bel visino, fresco come una goccia di pioggia e incantevole come la primula da cui ha preso il nome.
Le accarezzo i lunghi capelli biondi che mia madre ha acconciato con accuratezza per il giorno della Mietitura.
“Sei bellissima, ” le dico, “ma tieni dentro la coda, paperella.”

Una lacrima mi solca la guancia nel sonno. Peeta, inaspettatamente, la cattura con un bacio. Soffoco un gemito.
Mia madre ci guarda, poi mi dice di avere qualcosa per me, nella mia camera. Mi lavo velocemente con acqua piovana e guardo cosa mi aspetta sul letto. L’abito blu di mia madre. E delle scarpe in tinta. Era l’abito che usava quando viveva ancora una vita da commerciante insieme al nonno. Mi mordo un labbro mentre lei mi arriva alle spalle e inizia a intrecciare silenziosa i miei capelli.
Allungo una mano per stringere Peeta, ma mi accorgo che la sua parte del letto è quasi fredda. Apro gli occhi e poco dopo lo vedo tornare con una tazza fumante di tè.
“Forse è un po’ troppo dolce, ” mi dice guardando il pavimento. Io assaggio la bevanda bollente e provo un moto di gratitudine verso di lui. Mi avvicino per dargli un bacio. Lui sembra sollevato.
Finito il tè, ci sdraiamo nuovamente sul letto e mi accovaccio contro di lui. Lui mi avvolge con le sue braccia e mi sento al sicuro. Prima di riprendere sonno, mi balena di nuovo un’immagine nella mente. Stringo saldamente la sua maglietta e mi trattengo dal versare altre lacrime.
Rivedo un’ultima volta Prim guardarmi preoccupata mentre le sistemavo la camicetta nella gonna, prima di addormentarmi.
“…ma tieni dentro la coda, paperella.”

  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Yuls