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Autore: Melanto    12/05/2012    4 recensioni
- ULTIMO CAPITOLO ONLINE -
[Sequel di "Solo un nome" - ambientato cinque anni dopo]
«Oggetti delicati che devono essere protetti, i fiori sono le donne, che passeranno di mano in mano e appassiranno lentamente. I loro petali si consumeranno e cadranno. Noi siamo uomini.»
«E se non siamo fiori, allora cosa?»
«Noi siamo i rami e gli steli che li sorreggono. E non importa quante mani tenteranno di spezzarci, noi resisteremo e la nostra pelle sarà corteccia. Dura.»
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nasir, Nuovo personaggio
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Solo un nome'
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Note Iniziali: Ci ho messo un po’, ma non ho la minima intenzione di abbandonare questo progetto, quindi, eccomi di ritorno! :3
Questa storia si colloca cinque anni dopo gli eventi di “Solo un nome”, quindi ci troviamo con un Nasir sedicenne alle prese con la vita alla villa e con gli eventi che lo aiuteranno a forgiare il suo carattere già ferrigno.
E’ composta da cinque parti (forse sei, devo valutare se darvi l’ultimo capitolo tutto intero) in fase di conclusione – e non manca molto! :3333 –.

XD in coda ci sono delle note-delirio, perché questa storia mi ha fatto un po’ (tanto) delirare! *ride*

Nota Importante: mi sono resa conto solo mentre scrivevo questo sequel che la lingua parlata all’epoca degli eventi non era l’arabo, ma l’aramaico.
Quindi, le frasi arabe usate in “Solo un nome”… ho provato a tradurle in aramaico XD (sperando di non aver combinato macelli, ma le informazioni su questa lingua – soprattutto aramaico antico – non è che siano molte e molto chiare, eh XD. Il problema è sempre trovare la forma translitterata, perché quella con i caratteri tradizionali la si trova). Fortuna ha voluto che io abbia scovato un pdf, “Assyrian, Kurdish & Yizidis Dictionary”, e mi sia aiutata con quello. XD TROLOL. (il testo è del 1920 ed è una figata! Pensate che usavano ancora la forma ‘thou’ per la seconda persona singolare al posto di ‘you’ – il testo è in inglese e tutto translitterato. AMEN)

Ci ribecchiamo alla fine per il resto (dopo aver letto le note finali, penserete che io non abbia proprio niente da fare! XD E’ un brutto problema quello di voler cercare di rendere il background il più solido possibile e di voler fare le cose per bene.)

Buona lettura! :3

Solo un nome
- Branches -

 

- PARTE I° -

Il tessuto leggero del lenzuolo simulò il suono di uno schiocco quando venne oscillato nel vento e poi teso.
Delle risate lo coprirono, perdendosi nell’aria sotto il portico anteriore della villa dove la primavera carezzava la pelle con i primi caldi, promessa di un’estate che avrebbe fatto rimpiangere il freddo invernale.
«E’ così, ti dico!» Chadara si impuntò. I capelli biondi danzavano nella luce del sole che li rendeva ancora più luminosi, quasi fossero d’oro. Ai suoi piedi era abbandonata una cesta con degli abiti. «Non mi credi?»
Tiberius unì le due estremità del tessuto, riducendone la lunghezza alla metà. Il sorriso aleggiava ancora sulle sue labbra. «Ma se non eri nemmeno presente» ci tenne a sottolineare.
«Me lo ha confidato Leoria(1), e lei c’era, e anche Kaeso.» Ridacchiò, arricciando il naso e mordendosi appena il labbro inferiore. «Ha detto che Helvius è scivolato, cadendo di schianto sulla schiena, nel centro del mercato di Capua. Solo gli Dei le hanno impedito di non ridere.»
Tiberius liberò un lungo sospiro, piegando il lenzuolo ancora una volta prima di lasciarlo nelle sole mani di Chadara. «E’ stata imprudente; anche a dirtelo. Se Helvius dovesse scoprire che vi state prendendo gioco di lui-»
«Si tratta solo di una risata innocente. Domani sarà già tutto dimenticato.»
Lui scrutò a lungo nei vivissimi occhi azzurri della giovane schiava e alla fine si strinse leggermente nelle spalle, convenendo che, al calare del sole, ogni burla sarebbe stata messa da parte.
Era meglio non scherzare con Helvius, aveva uno sguardo che non gli era mai piaciuto, al pari di quello del dominus, ma mentre quest’ultimo, alla fine, si era rivelato essere feroce solo se gli si disobbediva, il soldato aveva una cattiveria che sembrava non scomparire mai.
Tiberius levò lo sguardo al cielo sovrastante, terso in quel primo pomeriggio di primavera. Con una mano si schermò dai raggi del sole spostando le iridi scure alle guardie ferme sulla sommità della torretta. Qualcuna passeggiava sulle mura, pigramente. Il portone d’ingresso era aperto e due legionari lo presidiavano; oltre loro si poteva scorgere la strada che puntava verso Capua.
Erano passati sei anni da quando era arrivato alla villa, ma per lui sembravano esserne trascorsi molti, molti di più. Erano una vita. A volte si chiedeva come facesse Kaeso a non sentire il peso di quell’esistenza intrappolata dalle alte mura che circondavano la proprietà del dominus né del tempo che scandiva attimi che mai sarebbero stati propriamente suoi. Poi si ricordava che, dopotutto, anche lui viveva quella situazione e non aveva bisogno di porre domande di cui già conosceva la risposta.
Col senno di poi, si era reso conto che non gli era andata tanto male e che, nonostante il dominus avesse degli sguardi sinistri, la vita alla villa era molto tranquilla e pacifica. Il lavoro giornaliero lo teneva costantemente impegnato e se non era affaccendato in altro, allora era al fianco di Kaeso. Molto spesso, Victor pretendeva la sua presenza, soprattutto quando era impegnato a soddisfare i propri desideri con lo schiavo più anziano. Era sempre stato così, fin da quando era arrivato, tanto che ormai aveva smesso persino di rimanerne turbato. Più che altro, restava l’amarezza di non poter impedire a Kaeso di sottostare ai voleri dell’uomo.
Era disgustoso.
Eppure, lo schiavo personale sembrava essersi abituato anche a quello.
Tiberius si era quindi convinto che fosse solo una questione di tempo e di età; Kaeso aveva dieci anni in più di lui e una diversa maturità. Di sé, invece, poteva dire d’aver ancora quell’orgoglio del cazzo annidato da qualche parte, in fondo al cuore, ma iniziava a perdere il contatto con il bambino che era stato solo pochi anni prima e quella forza di non arrendersi mai, quel desiderio di libertà, sembrava essersi allontanato con lui.
Il tempo aveva saputo dominare il cane selvatico che era stato per far posto a un cucciolo obbediente e ligio.
«Hai notato che spesso i suoi occhi sono su di te?» Chadara riprese a parlare, pescando altri abiti dalla cesta e piegandoli con precisione. Era arrivata alla villa due anni dopo Tiberius e i suoi colori così chiari, uniti alla vivacità dello sguardo, avevano da subito attirato la sua attenzione e curiosità. La considerava un’amica fidata e importante e sapeva che quel sentimento era pienamente ricambiato. Certo, non sempre si trovavano d’accordo; Chadara era ormai rassegnata alla sua condizione di schiava, mentre lui, nonostante tutto, continuava a mantenere quella scintilla di rispetto per sé stesso che permetteva al suo orgoglio di sopravvivere, seppur nascosto e dormiente.
«No, non l’ho notato» rispose lui con una smorfia di disgusto. «E spero proprio che ti sia sbagliata anche tu.»
«Mh, non credo. Sono molto attenta a queste cose.» Maliziosamente si morse di nuovo il labbro inferiore, facendogli scuotere il capo. «Ad ogni modo, se non ti interessano le sue attenzioni, mi permetti di provare a prenderle per me? So che gli piacciono sia gli uomini che le donne. E lui ha una buona posizione, dopotutto.»
Tiberius si accigliò e assunse un tono più serioso. «Non dovresti parlare in questo modo.»
«E in quale modo dovrei? Quale credi sarà il mio destino? Siamo schiavi, Tiberius. Tutto quello che dobbiamo fare è obbedire e saper aprire bene le gambe al cazzo giusto.»
«E sarebbe quello di Helvius?»
«E’ il meno peggio. Dopotutto, il ruolo di schiavo personale appartiene a un altro.»
«Ed è anche molto più duro di quanto immagini.» Lui lo sapeva, lo aveva visto con i propri occhi. «Non dovresti parlarne con così tanta leggerezza.»
«A chi credi che spetterà quando il dominus si sarà stancato di Kaeso? Non sei stato allevato da lui per niente…»
«Kaeso è il suo preferito» rimarcò il siriano.
Non che non ci avesse pensato, ma ogni volta aveva allontanato da sé quell’idea con tutte le sue forze, sentendosi subito in colpa nei riguardi di Kaeso. Sospirò.
«E comunque… non è certo quello a cui ho sempre aspirato.»
«Aspirare? Esiste davvero qualcosa cui noi possiamo tendere oltre a sopravvivere?»
Tiberius distolse lo sguardo, puntandolo lontano all’orizzonte che, anche solo immaginandolo, si estendeva oltre le mura della villa.
Chadara sembrò seguire il filo dei suoi pensieri e inarcò un sopracciglio.
«Non dirmi che pensi alla libertà.»
«Tu no?»
«La libertà è inutile se non hai una posizione con cui difenderla. I miei genitori mi hanno venduta perché non avevano denaro. Che libertà c’era in quello? Ora ho un tetto sulla testa, del cibo, abiti. Molto più di quanto avessi mai avuto. Portare un collare non mi pesa.»
Tiberius non se la sentì di criticare il discorso di Chadara; dal suo punto di vista, l’essere divenuta la schiava di un dominus così importante era stato solo un guadagno. Dare via il proprio corpo, in cambio di protezione e rispetto, era uno scambio equo perché lei aveva sempre pensato che nulla fosse gratuito. Tutto aveva un prezzo.
«E comunque a stare sempre con Kaeso sei diventato noioso come lui.» Chadara lo pungolò con un mezzo sorriso e lui rispose a tono.
«Non è vero. E Kaeso non è affatto noioso.»
In quel momento, dalla torre che affiancava il portone d’ingresso, emerse proprio Helvius. Aveva una mela nella mano e il coltellino nell’altra. Staccava pezzi piccoli che poi portava alla bocca accompagnandoli assieme alla lama. Si appoggiò al muro della torretta e, dopo aver fatto vagare pigramente lo sguardo d’intorno, si decise a fermarlo proprio su di loro. I capelli biondi avevano un colore più scuro e meno lucido, quasi sporco, rispetto quelli lucenti di Chadara.
Quest’ultima notò subito i suoi occhi. Con una punta di malizia, rimbeccò. «Che ti avevo detto? Il suo sguardo è per te.»
Tiberius, suo malgrado, si ritrovò a incrociarlo e dovette convenire che Helvius stava fissando proprio lui.
Conscio di essere stato scoperto, il legionario accennò un sorriso compiaciuto e sollevò quello che rimaneva della mela in segno di saluto.
Lui avrebbe voluto calarsi la più palese espressione di disgusto, ma il richiamo di Victor arrivò tonante tanto da farlo sussultare.
«Tiberius
«Il dominus! Perdonami, Chadara, devo andare!» Lo schiavo corse via, attraversando l’ingresso. Trovò il padrone sulla soglia dello studio che aveva al piano inferiore.
Quando l’uomo lo vide, assottigliò lo sguardo e tese le labbra, calandosi un’espressione minacciosa sui tratti nient’affatto gentili.
Tiberius seppe che sarebbe stato rimproverato.
«Quanto cazzo dovrò urlare prima di farmi sentire da te? Gli Dei t’hanno privato dell’udito o cosa?!»
«L-le mie scuse, dominus. Ero fuori e-»
«Taci.» Lo zittì Victor con un cenno deciso della mano. Tiberius lo vide guardarsi ancora attorno prima di aggiungere. «Dov’è Kaeso?»
«E’ nelle cantine, dominus, per l’inventario, come gli avevate ordinato.»
Victor, che era già pronto per abbaiare qualche insulto, si fermò all’improvviso, ricordandosi di quel particolare. «Ah. L’inventario, sì… mi era passato di mente.» Inspirò a fondo, arricciando le labbra in una smorfia e appuntando meglio la veste sulla spalla. L’espressione furente di prima dissolta all’improvviso per far posto a uno di quei sorrisi sottili che mantenevano nascosti i denti, ma gli illuminavano lo sguardo di una luce sinistra.
Tiberius avvertì nettamente il peso di quegli occhi su di sé, lo squadravano con attenzione e lui tenne basso i propri, in attesa di ricevere l’ordine successivo.
«Vorrà dire che mi accompagnerai tu.» Victor si mosse, passandogli accanto. «Andiamo nel frutteto.»

La villa aveva una seconda uscita sul retro della costruzione. Il portone, più piccolo, era presidiato da un solo legionario.
Tiberius era già stato all’esterno della villa e qualche volta aveva accompagnato il dominus e Kaeso negli enormi vigneti. Il frutteto si estendeva al di là delle vigne, dove Tiberius non era mai arrivato né gli dispiaceva poterlo vedere. Provava sempre un senso di sollievo e tranquillità quando aveva l’occasione di varcare le mura di quella casa che erano spesse, alte. Opprimenti. Un simbolo che in ogni momento era lì a ricordargli che non poteva abbandonarle, che apparteneva a quella villa, ora, a quel dominus, a quella vita. A quel nome.
Erano anni che nessuno lo chiamava Nasir e se all’inizio la mancanza verso la propria identità era stata forte e quasi insostenibile, il tempo aveva saputo annebbiare i suoi ricordi e rendere più spesso il cumulo di terra sotto cui aveva soffocato il fuoco del proprio orgoglio.
Kaeso lo aveva aiutato molto, da quel punto di vista. La sua presenza sembrava mantenere una sorta di equilibrio tra il passato della sua origine e il presente della sua vita alla villa. Ed era tutto ciò che seguitava a ricordargli da dove fosse venuto, che riusciva a non fargli dimenticare quanto caldo fosse il sole della Siria e quanto dispettosa fosse la sabbia del deserto, che si infilava dappertutto, né la voce di suo fratello che tuonava forte e vitale a ogni ritorno e chiamava il suo nome. Il suo vero nome.
Camminarono tra i filari delle viti, dove altri schiavi erano ancora al lavoro per prendersene cura mentre dal fondo si vedevano rientrare i braccianti che stavano abbandonando il frutteto. Nel cielo, il sole non picchiava più con forza, ma iniziava a prendere la via del tramonto, seppur lentamente.
Già di lontano, Tiberius poté scorgere una improvvisa macchia di colore nel verde e marrone.
«Se non vado errato non lo hai mai visto.»
La voce di Victor lo riscosse dai suoi pensieri; aumentò il passo per tenergli dietro. «Dominus
«Il frutteto, dico. Non lo hai mai visto, vero?» L’uomo gli rivolse la coda dell’occhio e lui s’affrettò a scuotere il capo.
«No, dominus
Il sorriso sulle labbra di Victor si tese, accentuando le rughe al lato della bocca.
«Allora, ammira.» L’uomo allargò le braccia, non appena emersero dal vigneto, e Tiberius poté riempirsi gli occhi di un enorme mare rosa che frusciava piacevolmente nel vento. «Non trovi sia maestoso?»
Egli rispose quasi senza rendersene conto, completamente rapito da quello spettacolo di colori che era così vasto da sembrare infinito e irreale.
«Sì… dominus…»
Nel suo villaggio non ricordava di simili meraviglie, forse perché troppo vicino al deserto e lui troppo impegnato a sopravvivere per rendersi conto davvero di ciò che lo circondava, mentre ora, imprigionato in quella parte così diversa del mondo, c’erano tante cose che aveva imparato a scoprire e che i suoi occhi avevano visto, che a volte pensava stesse solo sognando. Ma quegli alberi davanti a lui erano reali e così i loro colori.
«Che stai aspettando, Tiberius? Muoviti.»
La voce del dominus lo richiamò all’improvviso. Si era distratto talmente tanto da essere rimasto immobile e imbambolato senza accorgersi che il padrone aveva ripreso a camminare.
Svelto lo raggiunse, mantenendosi distante di un passo. Lo sguardo continuava a seguire le chiome fiorite. Viste da vicino erano ancora più belle.
«Vediamo se Kaeso ti ha istruito bene» Victor lo interrogò in maniera inaspettata. «Quali sono le coltivazioni di cui la mia famiglia si occupa da anni?»
«A parte le viti, dominus, vi sono peschi. Poi meli, fichi e ulivi.» Tiberius dosò attentamente ogni parola per non sbagliare. L’uomo annuì.
«Giusto. E lo sai cosa sono questi?» domandò ancora, volgendosi per guardarlo.
Lo schiavo dovette ammettere di non averne idea, poiché non li aveva mai visti dal vivo né tantomeno Kaeso era entrato nel particolare.
Scosse il capo, abbassando gli occhi al suolo. «Le mie scuse, dominus. Non lo so.»
«Peschi. La mia frutta riempie le tavole più ricche di Capua e non solo.»
Tiberius si era aspettato di venir rimproverato, ma ciò non accadde. Con lo sguardo seguì il dominus che si era avvicinato a uno degli alberi.
L’uomo aveva una predilezione nel portare avanti lunghi monologhi, a volte così contorti che lui faticava a seguirne la logica. Li usava soprattutto per mantenere viva la dialettica che lo faceva essere un prospero mercante e grande affarista. E per quanto fossero per lo più portati avanti per auto compiacersi e sentire il suono della propria voce, Kaeso si era sempre raccomandato affinché vi prestasse la massima attenzione, perché dal dominus ci si doveva aspettare di tutto. Così, il giovane rimase ad ascoltarlo mentre l’uomo sollevava una mano verso un ramo basso.
«La primavera. Che momento meraviglioso. Il manifestarsi della rinascita anche dove tutto sembrava morto.» Victor fece scivolare le dita tra i petali dei fiori. «Guarda ora come la vita torna a stordirci con i suoi colori e profumi.» Si volse, l’indice sollevato per sottolineare l’importanza delle proprie parole. «I fiori sono il segreto di un buon raccolto: se sono molti, altrettanti saranno i frutti. E come puoi vedere anche tu, gli Dei mi saranno ancora favorevoli, quest’anno.»
Tiberius si volse per riflesso, facendo vagare lo sguardo lungo il pescheto. Non c’era un ramo privo di fiori; erano così fitti che si perdevano a vista d’occhio. Significava che il raccolto sarebbe stato più che prospero.
Piano, riprese a camminare seguendo il padrone.
Alle loro spalle, la villa sembrava quasi essere stata divorata, tanto che quando Tiberius si volse per scorgerla, non vi riuscì. Il rosa dei peschi aveva coperto il passaggio e si poteva solo andare avanti.
«E’ in questa perfezione compatta che si esaltano le differenze» riprese il dominus volgendosi a cercare il suo sguardo con la coda dell’occhio; sulle labbra aveva di nuovo quel sorriso sottile. Subdolo. Lo stesso che gli aveva rivolto il giorno in cui era stato donato a lui e ogni volta che se lo ritrovava puntato addosso, Tiberius spostava subito lo sguardo. Lo fece anche in quel momento e subito i suoi occhi vennero catturati dall’unica nota candida e brillante in quel tripudio di rosa. Un albero isolato, nel centro tra due filari. I fiori erano così bianchi da abbagliarlo e il loro profumo era deciso ma piacevole.
«Cosa credi che sia?» gli domandò Victor.
Lui non lo sapeva. «Non un pesco, dominus
L’uomo accennò una risata divertita. «No, infatti. È un pruno, l’unico in tutto il frutteto.» Si volse, scorse lo schiavo che si manteneva più a distanza e agitò una mano. «Avvicinati e guardalo bene.»
Tiberius obbedì. L’odore di quei fiori era piacevole e avvolgente.
«Ha molti più anni di me. Venne piantato dal padre di mio padre e ogni anno ha sempre benedetto le nostre tavole con raccolti di tutto rispetto, per essere un albero solo.» Victor fece un passo indietro, per portarsi alle spalle dello schiavo mentre questi era distratto nel contemplare il pruno e le sue infiorescenze. «Un albero diverso dagli altri, ma che spicca più di tutti.» Gli occhi seguivano la linea della schiena che, dalla nuca, scompariva poi all’interno degli abiti. Il sorriso assunse una sfumatura di puro piacere. «Lo sai da dove viene?»
«No, dominus
«Prova a indovinare.» Le iridi di Victor carezzavano i capelli, che oscillavano nella brezza, e le braccia scoperte, sottili. Si avvicinò adagio, mentre lo schiavo si attardava a toccare il fiore a lui più vicino.
«Sicilia?» Tiberius non ne aveva idea e propose il primo nome che gli venne. La pelle rapita dalla morbidezza dei petali, sembravano di seta. Poi, il calore di un sussurro gli scivolò tra l’orecchio e il collo e lui sussultò ma non seppe per cosa di preciso tra la sorpresa, il fatto che il dominus gli si fosse avvicinato tanto senza che se ne accorgesse o la risposta. Tutto ciò che fece fu di girarsi di scatto e trovare i suoi occhi più vicini di quanto fossero mai stati.
«Damasco.» Il sorriso compiaciuto di Victor era sempre lì, ancorato alle labbra, mentre intrappolava le iridi del ragazzo nelle proprie e quelle di Tiberius avevano sempre avuto una nota calda, come bronzo fuso, che lo aveva lasciato impressionato fin dalla prima volta che le aveva viste, così come i capelli, neri e lucenti, setosi. La pelle, poi…
Gli ricordava moltissimo Kaeso alla sua età: quella freschezza tipica di chi era nel momento del passaggio, della propria primavera, tra bambino e adulto. Era come un fiore.
«E’ siriano» rimarcò.
Tiberius abbassò lo sguardo al suolo, svelto, assumendo una postura più dritta e attenta. Quando gli era troppo vicino provava un senso di fastidio che Kaeso gli aveva sempre imposto di controllare con le unghie e con i denti e lui aveva imparato a comprimerlo nel minore spazio possibile, cercando di focalizzare la propria attenzione su altro; come il pruno e la scoperta che venisse anche lui dalla sua terra. Pensò a quello.
Con la coda dell’occhio catturò il movimento della mano del dominus che si sollevava e allungava alle sue spalle.
«Hai visto il candore dei fiori? Non hanno la minima macchia né punta di diverso colore. Nemmeno un neo, nulla. Eppure, i suoi frutti sono così scuri. E dolci.»
Lui non lo contraddisse, ma rimase immobile ad ascoltarlo. Victor ritrasse la mano e tra le dita reggeva un piccolo gruppo di tre fiori nati sullo stesso rametto. Tiberius fermò lo sguardo su di loro.
«Questo è il momento migliore per cogliere una simile perfezione. La bellezza di un fiore è tutta qui, nell’attimo in cui sboccia completamente; così breve ed effimero e al contempo così incantevole.» Il dominus gli appuntò i fiori tra i capelli; risaltavano come perle sui suoi colori scuri. Poi gli sollevò il mento affinché non rifuggisse ancora il suo sguardo.
«Ti donano molto» disse e lui deglutì con un leggero sforzo.
«Vi ringrazio, dominus
Il padrone piegò leggermente il capo di lato, stringendo gli occhi; gli passò un dito sulla guancia e tornò a sorridere ancora più di prima. «Quanti anni devi compiere, ora?»
«Diciassette, tra alcune lune.»
«Ti è cresciuta la prima barba.»
«L-le mie scuse, dominus, provvederò subito a-»
«No, non c’è fretta.» Gli carezzò la guancia ancora per un momento, poi tornò a prendergli il mento. «Vedi? Come quel pruno, anche tu sei sbocciato. E’ la tua primavera.»
E c’era ancora, più forte di prima, quella nota di compiacimento nella voce che lo metteva a disagio, ben più del solito. Sembrava quasi che il dominus stesse aspettando qualcosa e che, ormai, l’attesa fosse finita.
Così come aveva iniziato, Victor lo lasciò andare e si volse, sistemando la stoffa sui fianchi. «Rientriamo.» Con passo più svelto si incamminò in direzione della villa.
Tiberius non lo seguì subito, ma rimase a guardare la sua schiena per un momento ancora.
Il dominus aveva parlato in maniera strana e nelle sue parole, così come nello sguardo e nel sorriso, c’era qualcosa che non riusciva a comprendere, ma che era stato capace di fargli ghiacciare la schiena.

 

 


[1]LEORIA: il nome me lo sono inventato, visto che nessuno degli schiavi di Victor viene mai nominato, a eccezione di Tiberius e Chadara. Ecco la fortunata a essere divenuta ‘Leoria’: *clicca qui*


 

Ciarle Randomiche: la villa di Victor (ribattezzata Villa Victoria XD) E’-UN-DELIRIO.
Me ne sono resa conto mentre studiavo i fotogrammi in cui compare (in modo da ricavarne una sorta di piantina in cui far muovere i personaggi): non è MAI la stessa. Non sto scherzando. °-°
Le inquadrature – differenti ogni volta – non corrispondono alla prima in cui vediamo la famosa villa dall’alto. Ho provato a individuare le prospettive e, semplicemente, sono errate.
XD Ridiamo.
In particolare, la prima volta che viene inquadrata si vede chiaramente che vi è una distesa di terra alle sue spalle e lungo il sentiero anteriore che porta al portone principale.
Uhm.
Mi spiegate perché nell’inquadratura successiva c’è il MARE?! IL MARE CON LA SCOGLIERA!!! MA DA DOVE CAZZO--!!! \O/ *si mette le mani nei capelli*
Io ci ho passato le mie serate a cercare di trovare un senso alle angolazioni diverse in cui viene inquadrata la villa, dall’esterno, e non sono riuscita a cavarne un ragno dal buco, tranne che: l’hanno fatta a cazzo. XD
Così, sono giunta alla conclusione che io considererò per questa storia SOLO la prima inquadratura, quella in cui ci viene mostrata attraverso gli occhi di Spartacus & Co. che la guardano dall’alto, alcuni momenti prima di attaccarla. XD
Quindi, ecco Villa Victoria in tutto il suo splendore (?!): *CLICCAMIIIII* Nell’immagine sono riportate tutte le varie zone e divisioni interne così come ho pensato avessero potuto essere. Sia la stanza personale di Victor (immagine F) che il suo studio (immagine H) sono prive di finestre, quindi ho pensato che fossero interne alla villa e non perimetrali. Per quanto riguarda il secondo cortile interno (immagine E), in "Vengeance" appare ormai pieno d'erba(ccia) e un po' trascurato (°-° cosa molto strana. Victor non mi sembra un tipo che fa crescere la gramigna in casa; dipende anche quanto tempo è passato da che Sparty & Friends si sono accampati a Villa Victoria). Io ho immaginato che, prima degli eventi di "Vengeance", quel cortile avesse una seconda vasca per la raccolta delle acque piovane (anche perché non avrebbe un cazzo di senso avere una stanza col cielo a vista senza una finalità specifica. Le varie teste di pietra che compaiono, mi fanno anche pensare a delle divinità oppure sono i parenti illustri di Victor. Mboh! XD A bontà vostra, a me non sono serviti, almeno fino ad ora *TROLOL*. Deciderò più avanti - inteso, nelle prossime fic - perché quella vasca è stata dismessa (in fondo devono passare ancora quattro anni prima che Sparty conquisti Villa Victoria).

#La follia è con me #AMEN.

Le ciarle finiscono per questa prima parte :3
Ringrazio in anticipo tutti coloro che decideranno di fermarsi a leggere questa storia e vi rimando al prossimo capitolo!
(Ah, sì! Giusto per: 'branches' significa 'rami' X3)



EDIT DELL'ULTIMO MINUTO: NUOOOOOOH!!! \O/ Ho dimenticato di ricordare a Hayley di mettere 'Chadara' nell'elenco piggì che lei ha fatto per Erika (sì, ora la sezione ha l'elenco piggì *-*)!!! ANATEEEEEMAAAA!!! \O/ Adesso bisognerà aspettare di avere almeno 10 fic su Chadara prima di poterne chiedere l'inserimento \O/ #Chadyyyy #non volevo dimenticarti!!! #Piango disperata

   
 
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