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Autore: ChiiCat92    14/05/2012    3 recensioni
cosa sareste disposti a sacrificare per amore?
tutto?
anche la vita?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The last day that I loved You

È tutto buio. Credo di avere gli occhi spalancati, per questo non mi spiego come sia possibile che sia così buio. Però è così: è buio.
Giro la testa a destra e sinistra; nel sonno devo aver gettato il cuscino per terra, o forse sono io ad essere scivolata sul pavimento, altrimenti non riesco a spiegarmi il freddo gelido che mi cammina sulla pelle e che mi ha svegliata.
Allungo un braccio nel buio per cercare di trovare il comodino e l'interruttore della luce, ma le mie dita afferrano solo aria e oscurità.
Comincia a prendermi il panico, ma passa in fretta; so di essermi addormentata nel nostro letto, verso le due di notte, distrutta per la giornata appena trascorsa e con il jet lag a farmi girare come una trottola la testa poggiata sul suo petto.
Ho ascoltato il suo cuore battere per calmarmi e riuscire finalmente a prendere sonno. Anche lui era stanco, non così tanto da crollare subito addormentato, ma abbastanza per decidere di rinunciare all'ultimo drink e filare dritti a casa. Non avevamo avuto il coraggio reciproco di chiedere all'altro di fare l'amore, benché ne avessimo entrambi voglia: la stanchezza per la prima volta ha preso il sopravvento su entrambi, e come tacito accordo ci siamo solo acciambellati a letto come due cuccioli infreddoliti. 
È stato comunque bellissimo perdere i sensi gradualmente tenendo per ultimo il vibrare continuo sotto l'orecchio del suo cuore, lento ma palpitante.
Ora, sotto di me, non c'è né il suo corpo caldo, né il materasso del nostro letto, né niente di confortante e accogliente.
Ecco che il panico ritorna. Stavolta sarà difficile farlo andare via, è troppo forte e troppo incalzante, è come un secondo cuore pulsante nelle tempie. Batte sempre più veloce, sempre più veloce.
Allungo ancora le braccia nel vuoto e riesco a realizzare a malapena di non trovarmi più nella nostra stanza. C'è freddo, spifferi gelidi mi artigliano la carne. Mi metto in ginocchio, sotto i palmi sento la granulosità della terra battuta.
C'è qualcosa che non va, c'è davvero qualcosa che non va.
- Tom? -
Chiamo; la mia voce rimbomba spaventosamente più e più volte, mi torta indietro distorta e smozzicata, un continuo di “om” “om” che si spegne gradualmente.
Di colpo una luce al neon, forte e improvvisa, si accende di fronte a me. Devo socchiudere gli occhi per un istante per riuscire a mettere a fuoco quello che ho davanti.
Brividi lunghi e dolorosi scuotono il mio corpo, il fiato mi si mozza in gola e le gambe mi tremano come fossero fatte di gelatina.
Lì, davanti a me, messi in vetrina come fossero dei manichini di nuova generazione, ci sono Tom e Sonia, separati da me da quello che sembra uno spesso vetro, e separati tra loro da un altro muro di vetro.
Per un attimo non riesco a respirare. Il mio cervello non riesce a elaborare le immagini che i miei occhi gli trasmettono, perché sono talmente assurdi che non hanno nessun motivo di essere presi e immagazzinati come reali.
Per questo, il panico si placa, e penso soavemente che quello è solo un brutto sogno, uno dei tanti sogni lucidi e vividi che faccio sempre e che mi lasciano sconcertata per l'impatto che hanno sulla mia mente. La cosa più bella di questi sogni è che vengono tessuti nel mio sonno pochi istanti prima di svegliarmi, quei terribili, velocissimi istanti in cui non capisco più se vivo nel mondo reale o in quello che il sogno ha creato per me. Ma dura pochissimo, poi apro sempre gli occhi, sempre.
E stavolta deve essere lo stesso. Sto per svegliarmi, e tutto quello sparirà, e non ci penserò più. Forse le prime ore del mattino sarò di malumore ripensando ai brividi di paura del sogno, poi lo dimenticherò e sarà come se non ci fosse mai stato.
Quindi aspetto ancora qualche secondo, stringendo i denti, i pugni, respirando piano e serrando le palpebre. Prendo un profondo respiro prima di spalancare gli occhi. Quello che ho davanti non è cambiato.
Alla luce dei neon riesco a guardarmi. Sono vestita esattamente come quando sono andata a letto: un pantaloncino e una canotta, comodi per dormire con le temperature primaverili di Los Angeles.
Mi guardo intorno e capisco di essere in trappola. Ma ancora prima di riuscire a dire o fare qualsiasi altra cosa, un senso di claustrofobia mi attanaglia il petto e mi costringe a tossire alla ricerca di aria fresca.
Ci sono solo quattro pareti intorno a me. Di fronte, le vetrine in cui sono esposti in bella vista Sonia e Tom, a destra una parete di vecchie mattonelle luride, a sinistra la sua gemella. Guardo indietro, oltre la mia spalla, un'altra parete, con tre porte di legno scrostate dall'umidità, le due porte esterne hanno due piccole chiavi appese ai pomelli; a separarmi da quelle porte, un tavolaccio, sempre di legno, una sedia traballante, e una pistola, adagiata sulla superficie piatta, in riposo.
Mi tiro su alla velocità della luce, e benché il mio primo istinto sia quello di correre da loro, mi dirigo verso le porte, evitando cautamente il tavolo e l'arma nera che riposa sul legno.
Mi avvento sulla maniglia facendola scattare su e giù e sperando che si spalanchi, provo ad aprirla con la chiave ma non si apre né si muove di un millimetro; presa completamente dal panico provo con la seconda porta, quella di mezzo, scuoto la maniglia ma neanche un gemito, strappo la chiave dalla prima porta e provo ad aprirla con quella, ma non entra neanche nella serratura, o forse sono le mie mani a tremare troppo per riuscirci; passo con furia alla terza e alla sua chiave inutile che non sembra essere fatta per lei.
Niente. Nessuna porta si apre, nessuna chiave apre nessuna porta.
Sento montare le lacrime e un groppo mi stringe la gola, ma non piangerò, no.
Abbandono con riluttanza le porte e corro dall'altra parte della stanza.
Il vetro su cui poggio le mani e ghiacciato.
Tom è lì, sdraiato sul pavimento, lo stesso su cui poggio i miei piedi scalzi. Sembra che dorma.
Comincio a picchiare furiosamente sul vetro. Così forte che cominciano a farmi male le nocche e i polsi. Ma il vetro sembra spesso diversi centimetri, l'effetto che deve avere dall'altra parte sarà solo un leggero “tonc tonc”, più simile a un bussare irrequieto.
Eppure ottengo l'effetto sperato: Tom si sveglia. Scuote piano la testa, sbatte gli occhi, e si volta verso di me.
Sento al mia voce da lontano gridare il suo nome, fino a scorticarmi la gola.
Sul suo volto passano una decina di espressioni diverse, riesco a scorgere paura, confusione e incredulità.
Le sue labbra sillabano il mio nome. Adesso riesco a piangere, due lacrime mi rigano il volto e un singhiozzo mi scuote dalla testa ai piedi.
Tom scatta in piedi e mi raggiunge, le mie mani oltre il vetro si poggiano sulle mie. Comincia a parlare, almeno credo, vedo solo le sue labbra muoversi, ma nessun suono raggiunge il mio orecchio.
Gli faccio cenno che non riesco a sentirlo, lui digrigna i denti, frustrato. Anche lui come me indossa quello che aveva quando siamo andati a letto, una semplice maglietta a maniche corte nera e un bermuda a fantasia scozzese azzurra e verde.
Comincia ad aggirarsi nella stanza come un possente leone chiuso in gabbia. Tasta ogni angolo, tasta il muro, scuote la porta sulla parete sinistra, chiusa come quelle nella stanza dove mi trovo io.
Sembriamo le nuove attrazioni di un perverso zoo all'avanguardia.
Lui torna da me, poggiando virtualmente le mani sulle mie. Lentamente mi dice di stare tranquilla. È tutto apposto dice. Io gli sorrido e gli annuisco: non gli credo.
Sonia bussa contro il vetro che la separa da Tom. Ha gli occhi grandi, dilatati dalla paura. Corro da lei, che si accuccia nell'angolo dove i due vetri si congiungono. Sta cercando di dirmi qualcosa, ma non riesco a capire cosa, non riesco a sentirla.
Il senso di frustrazione mi spinge a urlare e disperarmi, ma l'autocontrollo mi blocca al mio posto.
Anche Tom si è avvicinato all'angolo. Siamo separati solo da pochi centimetri di vetro, vicinissimi eppure lontanissimi.
- Benissimo. -
Saltiamo in aria come se una mano fredda, sudata e appiccicaticcia ci avesse sfiorati. Guardiamo nello stesso momento in tre direzioni diverse: Tom, verso l'angolo in alto a sinistra, Sonia nell'angolo in alto a destra, io in alto, dietro di me.
È un altoparlante, collegato a una telecamera accesa puntata su di noi. Come ho fatto a non averla vista prima?
- Adesso che siete tutti svegli posso darvi il benvenuto. -
Gracchia contenta la voce all'altoparlante.
Anche se non posso sentire ciò che succede nelle altre stanze, mi appare subito chiaro che la voce parla in filodiffusione in tutte e tre, così che tutti noi possiamo sentirla.
- Spero che il risveglio non sia stato troppo traumatico. Avete riposato bene, sul pavimento delle mie confortanti celle? -
La voce ride soddisfatta.
- Chi diavolo sei? Che cosa vuoi da noi? - E' la voce di Tom. Chiunque abbia parlato ci ha messo in comunicazione. Lui deve essersi accorto che adesso possiamo sentirci e si affretta ad aggiungere: - Stai bene? Ti ha fatto qualcosa è tutto... -
Ma prima che possa finire la sua voce si spegne, di nuovo muta.
- No, no, no. - continua l'essere senza volto all'altoparlante - Non dovete interrompermi mentre sto parlando, è cattiva educazione, e per di più non vi ho dato il permesso di parlare. -
Il terrore che mi prende lo stomaco e lo attorciglia mi fa lanciare un urlo disperato. Tom è caduto a terra, si contorce sul pavimento sporco, gli arti rigidi, tutti i peli del corpo rizzati.
- No!!! - urlo - No, Tom, no! - e picchio sul vetro, lo voglio sfondare, lo voglio abbattere, voglio andare da lui, voglio toccarlo, voglio abbracciarlo.
Solo adesso vedo che alla caviglia destra ha uno strano congegno, simile alle cavigliere per la libertà vigilata che si vedono in certi film americani.
Di colpo smette di agitarsi e si rilassa. Non riesco a smettere di singhiozzare mentre lo guardo spalancare gli occhi e respirare piano. Un filo di bava gli cola dalle labbra, gli occhi sono arrossati, i capelli alla base della nuca si sono rizzati fino a sembrare sottili fili di ferro rigido.
- Questo è un assaggio di quello che vi succederà se non fate i buoni e non mi lascerete finire. -
Sia io che Sonia ci fissiamo le caviglie: ne abbiamo uno uguale legato attorno alle nostre.
Tom si mette seduto, trema tutto, sembra un bambino. Nell'altra stanza Sonia è tanto spaventata che non muove un muscolo, fissa imperterrita la cavigliera come se la sola forza del pensiero potesse servire per sganciarla.
- Ora, immagino che non vi piaccia l'idea di rimanere folgorati nel giro di un'ora, no? -
- Che vuol dire...? -
Mi ritrovo a sussurrare.
La voce sembra sogghignare. Mi immagino già la persona a cui appartiene. La distorsione che l'avvolge non mi permette di capire se sia un uomo o una donna, ma io lo immagino come un uomo, un grosso uomo bruno, con occhi di ghiaccio freddi e implacabili.
L'uomo che da qualche tempo a questa parte non faceva che riempire la cassetta della posta con lettere minacciose. Niente di grave, aveva detto la polizia; d'altronde Tom rimaneva sempre una star del rock, e le lettere minatorie erano roba di tutti i giorni. Noi non ci avevamo dato poi molto peso, tutt'al più che altri si occupavano di leggerle e inoltrarle alla polizia. Eravamo semplicemente tornati alla nostra vita, io e Sonia in Italia, lui in America, come se nulla fosse. Qualche giorno fa sono riuscita a strappare il permesso a mia madre di partire per poter stare qualche giorno con lui, non più di qualche giorno, e il fatto che Sonia condividesse il viaggio con me era riuscito a convincere i miei che non ci fosse niente di male.
Da quando io e Tom e lei e Bill stiamo insieme non abbiamo fatto altro che fare su e giù, avanti e indietro per tutto il globo, come trottole impazzite. Ma ne è valsa la pena, ogni giorno speso sull'aereo, ogni minuto d'attesa: valeva tutto, tutto pur di stare con le persone che più amavamo.
La mia migliore amica e l'amore della mia vita: non potevo voler stare con nessun altro.
- Vuol dire - la voce misteriosa riprende a parlare prendendomi alla sprovvista - che avete ancora...sessanta minuti di vita. - la reazione che vedo in Tom e Sonia deve essere la stessa che ho anch'io: sgraniamo gli occhi all'inverosimile e spalanchiamo le labbra, increduli - I giocattolini che avete legati alle caviglie trasmettono, come il nostro giovanotto avrà potuto constatare, un impulso elettrico che posso comandare a mio piacimento. Tra sessanta minuti ne invierò uno di 200 volt, che vi ucciderà...sul colpo, abbastanza velocemente, sì. -
- Chiunque tu sia sei un pazzo! Un malato! Che cazzo ti è saltato in men... -
Un'altra scossa obbliga Tom ad accartocciarsi al suolo come una pallina di carta appallottolata. Ho solo il tempo di gridare ancora il suo nome prima di gettarmi in ginocchio contro il vetro. Con le mani compresse contro quella superficie fredda, cosa darei per poterla attraversare, diventare inconsistente per un attimo e poter andare dall'altra parte.
- Cattivo, cattivo ragazzo, avevo detto che non dovevi interrompermi! La mamma non ti ha insegnato le buone maniere? -
- Che cosa vuoi da noi? -
E' Sonia a parlare. La sua voce sembra venire da molto lontano, da un luogo freddo e sperduto, piccola nei vestiti che l'hanno vista felice fino a qualche ora fa con la persona che ama.
- Voglio vedere quanto ci tenete l'uno all'altro. - asserisce, sempre più melliflua, la voce - Voglio vedere cosa siete disposti a fare, quanto siete egoisti. -
- E quindi? Che cos'è che dovremmo fare? -
Bisbiglia Tom, ancora accasciato al suolo, probabilmente dolorante, ma non deciso a perdere la forza che ha dentro il cuore. Non so quale siano gli effetti di una scarica elettrica sul corpo umano, ma ora come ora vorrei avere tutte le conoscenze adatte per poterlo aiutare.
- Oh, sei impaziente ragazzino, e anche forte, a quest'ora dovresti aver perso i sensi, mi stupisci piacevolmente. Ciò che dovete fare è uscire di qui. Ma vi avverto: solo due di voi varcheranno quella soglia...vivi. - una lenta, strisciante risata si diffonde all'altoparlante, mettendoci in cuore una paura che ha solo un nome: Morte - Come hai visto, piccola, ci sono tre porte dietro di te. - automaticamente mi rivolgo verso le tre porte serrate - Hai provato ad aprirle, ma sono chiuse elettronicamente. La porta alla tua sinistra ti conduce nella stanza della tua amichetta, la porta a destra ti conduce dal tuo fidanzatino, e l'ultima...bhè, quella porta fuori. - faccio scorrere lo sguardo a destra e sinistra alla velocità della luce, l'adrenalina mi fa battere il cuore a mille - Il punto è: chi di voi uscirà da quell'ultima porta? - ancora una risatina - Le due chiavi appese ai pomelli aprono i congegni legati alle loro caviglie, il tuo verrà disattivato automaticamente quando avrei scelto...chi dei due salvare. - sento il cuore battere tanto da sprofondarmi nel petto, diventare così pesante da non poter più essere retto da ossa e tessuti, cadere a terra e rotolare lontano - Quando avrei preso una decisione, basterà che tu mi dica il nome della persona che hai deciso di condannare, e la porta dell'altro si sbloccherà. Potrai prendere la chiave e liberarlo dal congegno e insieme potrete uscire e chiamare la polizia se vi andrà, ma non farete abbastanza in fretta per salvare chi è rimasto. È facile no? Di' un nome e tu e la persona che più ami verrete salvati. - cado a terra, ginocchioni, priva di forza con le lacrime che mi lavano il volto. Sento gli occhi di Tom e Sonia  fissarmi da oltre il vetro, in attesa di una condanna, o della redenzione. - Ma - continua la voce - c'è un'altra opzione: se prima dei sessanta minuti che vi ho dato sceglierai di prendere la pistola...e ucciderti...loro saranno entrambi salvi, i dispositivi disattivati e le porte aperte. Bhè...tic tac, il tempo scorre. -
La comunicazione si interrompe con un sonoro “click”, sostituito da un incessante, snervante ticchettare di un orologio.
Mi ritrovo da sola, in quella stanza, da sola di fronte alla certezza che sto per fare l'unica cosa sensata che c'è da fare.
Il mio cuore ha smesso di battere, sembra già preparato a quello che sta per succedere.
Rimango seduta, a gambe incrociate, sul freddo pavimento, le mani non tremano più, il respiro è calmo, la mente lucida.
L'ho capito subito. L'ho capito nello stesso istante in cui quella voce l'ha detto.
Sorrido tra me e me.
Mi alzo, vado da Sonia.
Sonia. Lei. Solo lei. La mia migliore amica. Non ho mai trovato sufficienti e adeguate parole per descrivere cosa è lei per me, forse non l'ho mai capito fino in fondo, forse non sono fin in fondo in grado di esprimerlo. La guardo, con i suoi grandi occhi castani, il suo viso da bambina, la sua espressione sempre un po' triste e spaventata, con le sopracciglia leggermente incurvate tra di loro, anche quando è felice. È bella quando ride, mi piace vederla ridere, mi piace riuscire a farla ridere, ma non sono mai stata abbastanza brava.
Da quando ci conosciamo è stata lei a far rinascere in me tanti sentimenti che credevo essere morti e sepolti, sentimenti che avrei dovuto continuare a coltivare e che invece avevo lasciato seccare e morire; è stata lei a darmi tante volte coraggio, è stata lei ad accompagnarmi lungo il periodo della lotta contro me stessa, è stata lei che ha diretto la mia speranza per un futuro migliore e splendente, verso un sogno che si sarebbe potuto realizzare e che poi è diventato realtà: Tom. È stata lei che ha continuato a dirmi che non avremmo mai potuto sapere come sarebbero andate le cose, e che forse c'era qualcosa di diverso e speciale in serbo per noi. Aveva ragione, non ho mai avuto l'occasione per dirglielo, ma sono sicura che lei lo sa, dentro il suo cuore, nel profondo, lei lo sa. È tutto merito suo se sono quella che sono, se non mi sono lasciata andare allo sconforto, se sono riuscita a sconfiggere i miei demoni. Come faccio a dirle tutto questo quando le parole non bastano? Quando i pensieri non riescono a tradursi in parole? Quando un semplice “ti voglio bene” non è sufficiente per esprimere tutto quello che ho dentro? Non sono stata affettuosa, espansiva abbastanza, non sono stata amica abbastanza per lei.
I miei piedi fanno rotolare contro il vetro un gessetto nero, o un pezzo di carbone, non lo so. Lo raccolgo, me lo rigiro tra le mani.
Con dita ferme comincio a scrivere sul vetro. La mia scrittura è sbieca e sbilenca nel tentativo di essere leggibile dall'altra parte.
Lei piange. Potrebbe fare diversamente? Ha già capito tutto. Ha già capito cosa voglio fare.
Sei speciale.
Sei una persona fantastica.
Sei la mia migliore amica.
Sei una sorella.
Sei forte.
Sei unica.
Ti voglio bene.
Lo scrivo in modo ossessivo, ricopro tutto il vetro fin dove riesco ad arrivare con le braccia.
Sonia picchia i pugni sul vetro, urla ma non la posso sentire; per fortuna: altrimenti non so se riuscirei a fare quel che è giusto fare.
Non riesco a guardarla, non riesco a dirle addio.
Mi trascino dall'altra parte del vetro, mi trascino verso Tom, che ora è in piedi di fronte a me, le mani che sembrano voler spingere quella parete e distruggerla.
Lui riesco a guardarlo, ci riesco. Voglio imprimermi la sua immagine nelle iridi prima di chiudere gli occhi per sempre.
Gli sorrido.
Stupido, piccolo, borioso, amabile ragazzo.
Quando l'ho conosciuto ero solo una bambina spaesata e confusa, con lui sono riuscita a diventare una donna. Mi ha rubato il cuore senza dire una parola, mi ha preso l'anima senza neanche sfiorarla, mi ha legato a lui con corde invisibili. Arrogante, narcisista, e fragile e puro come un giglio bianco, dalle mille sfaccettature imprevedibili che stento ancora a capirle. Riesce a illuminarmi la giornata solo con un sorriso, mi accoglie tra le sue braccia quando quando si fa notte e la paura mi assale e gli incubi diventato pantani inestricabili. Mi ha accompagnato nel labirinto della vita rendendo la monotonia di lunghi giorni inoperosi qualcosa per cui valeva ancora la pena sperare e lottare. Mi ha fatto innamorare. Mi ha fatto innamorare senza che io sapessi o conoscessi l'amore. Mi ha resa in grado di amarlo, quando lui stesso fingeva di amarsi, quando io non ero in grado di amare me. Ci siamo trovati nel nostro amore, nessuno di noi amava se stesso, ma è riuscito ad amare l'altro. È stato ed è la stella più luminosa del mio cielo, ben più brillante di un Sole. Eppure, l'ho potuto amare veramente per così poco, davvero poco, solo qualche misero mese. Conosco gli anfratti delle sue labbra, l'incavo dolce della sua spalla, il calore del suo petto, e lo amo, lo amo con tutta la forza di cui dispongo, ma l'ho amato per poco, troppo poco. Ho ancora troppo amore dentro di me.
Poggio una mano sul vetro, con l'altra comincio a scrivere.
Ti amo.
In tutte le lingue che conosco, in inglese, in tedesco, in italiano, in spagnolo, in francese, così che la parete di vetro diventa uno strano traduttore estemporaneo dell'essenza dell'amore nel mondo. Sette miliardi di lingue che in questo momento, in questo unico momento, pronunciano quelle parole: ti amo. Semplicemente.
La cosa peggiore è leggere la consapevolezza che si accende nelle iridi castane di Tom. Adesso ha capito, ma adesso è troppo tardi per fermarmi, adesso sa che cosa voglio fare, adesso sa perché lascio cadere il gessetto e vado a piccoli passi verso il tavolo, verso la pistola, verso la mia fine.
Io non lascerò che loro muoiano.
Io non lacerò che le due persone che più amo e ho amato e mai amerò in questa vita muoiano.
Io non lascerò che accada, per nessuna ragione al mondo.
Io posso salvarle.
I tonfi sordi che vengono dalle mie spalle hanno solo una fonte: Tom, che si accanisce contro il vetro, con pugni, calci, spallate, con tutta la forza che gli è rimasta.
Non voglio voltarmi. Non voglio vedere Sonia in lacrime, non voglio vedere la disperazione di Tom.
Prendo la sedia traballante, la volto verso le porte chiuse, così che io possa dare le spalle a quelle due meravigliose persone per cui sto per sacrificare la mia vita.
È buffo come io non abbia neanche un ripensamento, neanche un tremolio, neanche un rimpianto.
È buffo perché non sono mai stata sicura di qualcosa come in questo momento in tutta la mia vita.
Mai, mai come adesso, con questa fredda arma tra le mani, troppo pesante per me, che non so maneggiare,
che non so come usare, che ho visto solo attraverso uno schermo televisivo o al cinema.
Sembra un giocattolo, ma so che non lo è, sento la crude realtà di morte che porta su di sé.
E va benissimo, perché non è la loro morte.
Spero che riusciranno a perdonarmi per quello che sto per fare, spero che se ne facciano una ragione e che capiscano che l'amore che provo per loro ha un solo limite: la mia esistenza. Spero che sappiano quanto li amo, spero che capiscano perché ho deciso di morire per loro. Spero che non se ne facciano una colpa, non potrei sopportare di sapere che si stanno avvelenando l'anima per qualcosa per cui ho scelto io, di mia spontanea e tranquilla volontà.
Dio, so che ci sei, perdonami se non sono stata una brava cristiana, ho fatto tanti errori e tanti peccati, e sto per togliermi la vita che tu mi hai donato. Ti prego, Dio, se tutto questo può essere un'attenuante, conduci la mia anima in un posto migliore, se non in Paradiso, almeno in posto da dove posso vedere queste persone che io tanto amo. Ti prego, ti prego Dio, aiutale a vivere bene senza di me, aiutale a non ricordare niente di questa sofferenza, asciuga le loro lacrime come io avrei fatto, manda un Angelo accanto a loro per lenire le loro ferite, per avvolgerli in un abbraccio quando io non avrò più braccia, per dargli un bacio, per conciliare loro il sonno con una dolce ninnananna. Ti prego, lava le mie colpe, ma puniscimi se è quello che merito. Amen.
Mi punto la pistola alla tempia.
E premo il grilletto.

Please don't be sad
Although it's time to leave
If this is true love
Please save a place in your heart for me

Du wirst für mich immer heilig sein
Ich sterb  für unsere Unsterblichkeit
Meine Hand  von Anfang an über Dir 
Ich glaub an Dich
Du wirst für mich  immer heilig sein

I can't give you more than this
so this is my goodnight
it's dedicated to you
my little shining star




14/05/2012  

   
 
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