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Autore: Sherlock_Watson    14/05/2012    1 recensioni
Tratti di lettere presi dal diario di un giovane bassista alla ricerca di una band.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Siete mai arrivati ad un certo punto della vita dove la mente si pervade di pensieri tipo “devo lasciare un segno della mia esistenza”?! Beh, questo è il mio. Ecco perché ho deciso di tenere un diario: poi magari se diventerò famoso lo pubblicheranno anche.. chi può dirlo?! Beh, mi chiamo Phil e sono un bassista, suono in un gruppo chiamato “Four Of Teens” (il nome è ancora in fase di perfezionamento). Sotto consiglio dei miei “soci” voglio tornare indietro a quella giornata uggiosa da cui tutto ebbe inizio.
 
Era il 23 marzo 2003. Avevo diciassette anni quando stavo vagando con il mio basso a spalle per i portici isolati in cerca di ispirazione. Da due anni sapevo suonare il basso e la chitarra, così mi misi a comporre canzoni. L’unica cosa che mi mancava, era un gruppo pronto ad accogliermi, cioè, prima ce l’avevo, ma decisi di andarmene perché i componenti mi trattavano come se non esistessi, dicendomi ciò che dovevo e non dovevo fare, arrabbiandosi sempre. Quel pomeriggio, con mio grande stupore, vidi un piccolo foglietto sulla bacheca degli annunci. Lo staccai delicatamente e con il cuore a mille iniziai a leggere: “Cercasi bassista e vocalista per gruppo alternative rock e altri generi. Siamo tre ragazzi più o meno sui diciott’anni.”. Sotto c’era il numero da chiamare. Non riuscivo ancora a crederci, pensavo *Il mio sogno si sta avverando!*.
Misi il foglio in tasca e corsi a casa. Rispolverai un po’ di canzonette finite nell’oblio per assicurarmi che la mia cultura musicale fosse all’altezza della loro. Poi mi decisi a chiamare e rispose un ragazzo: la sua voce era piuttosto seccata, ma alla fine riuscii a farmi sistemare per un provino. Mi presentai all’orario stabilito con il mio Fender ’62. Il ragazzo del telefono mi disse di sbrigarmi, mentre gli altri due restavano seduti dietro zitti. Collegai il basso all’amplificatore e improvvisai un po’ di pezzi famosi targati Nirvana, Foo Fighters, Pearl Jam e altri artisti.. . Mi fermai per ricevere l’esito finale: i due dietro rimasero a bocca aperta, l’altro mi guardò serio e cominciò ad avvicinarsi dicendo: “Ti ho per caso detto di fermarti?! Sei assunto, amico!” e cacciò un sorriso. *Ce l’ho fatta!*.
Quella sera festeggiammo e ne approfittai per conoscerli meglio. Jonathan, “il ragazzo del telefono”, era il leader del gruppo, nonché cantante e chitarrista; all’inizio sembrava arrogante, ma ho imparato ad accettarlo e, devo ammetterlo, non è male! Gregory è il chitarrista principale; è molto estroverso, non fu difficile legare con lui. Infine c’è Ronald, il batterista timidone. *Questo è il mio gruppo, cavolo!*. Cominciò tutto bene: andavo in scooter da loro a provare, scrivevamo canzoni insieme, insomma, un vero gruppo.
Poi arrivò un giorno in cui Jon mi chiese di trovare un pub in cui suonare qualche serata. Ero sorpreso. Ero riuscito subito ad entrare nel suo “cerchio della fiducia” e non volevo deluderlo. Così, finite le prove, mi recai immediatamente al mio pub preferito per chiedere informazioni. Quando entrai mi si gelò il sangue nelle vene. Vidi William. Lui era il leader del mio vecchio gruppo. Feci per girarmi e uscire, ma mi notò e gridò: “Philip! Vecchio mio! Cosa fai di bello qui?”, io risposi “Nulla..”. Dovevo scampare da quel dialogo, ma poi mi fece “la” domanda: “Hai un nuovo gruppo?”. Volevo nasconderglielo. Esitai a rispondere, ma il mio basso a spalle rispondeva per me. Prenotai in fretta una serata e me ne andai, sotto lo sguardo fulminante di Will. Venne fuori che mi sabotò la prenotazione, mettendola a suo nome, così per la sera stabilita ci fu una confusione assurda. Avevo deluso Jon.
Il giorno seguente trovai lo scooter a pezzi, anche in quel caso non c’era da sforzarsi a pensare che Will ne fosse l’artefice. Mi stava riempiendo di problemi. Ricordo ancora che il giorno in cui mi congedai mi maledì dicendo: “Io ti rovinerò, McCaugheney!”. Ci stava riuscendo: senza lo scooter non riuscivo a raggiungere i ragazzi per le prove e questo faceva impazzire Jon. Gli dissi che avevo dei problemi, nascondendo il “caso William”. Circa una settimana dopo, Jon riuscì a sistemarci in uno dei concerti d’apertura per i The Killers. Era la nostra occasione. Quando mancava una settimana al grande evento, Jon mi chiamò. Aveva una voce calma e bassa, cominciò un lungo discorso e arrivò ad una frase che mi spezzò il cuore: “Phil.. sei fuori.”. Chiesi spiegazioni, e Jon insistette sul fatto delle prove, che non sapevo ciò che bisognasse suonare.
Non esitai un minuto di più a pensare che anche dietro a tutto questo ci fosse lo zampino di Will. Avrebbe potuto far credere a Jon che fossi tornato da loro, o almeno io l’ho pensata così. Posai il cellulare e mi recai subito al pub dove l’avevo rincontrato. Lo vidi, in mezzo alla sua gente, mentre beveva e si pavoneggiava. Non notò che mi stavo avvicinando, così sferrai un pugno, ma era troppo ubriaco per accorgersene. Allora ne seguì un altro e un altro ancora. Lo massacrai. Fui anche sul punto di colpirlo in testa con il basso se non mi fossi girato verso l’uscita. Nessuno si preoccupò di lui che, nonostante perdesse sangue come un rubinetto, rideva istericamente versandosi birra ovunque.
I giorni passavano, finché il grande momento giunse, “grande” per loro. Mancavano tre ore per l’esattezza. Pensavo che Jon mi avesse già rimpiazzato, quando guardai il cellulare e vidi una chiamata persa: era Jon. Senza lo scooter fu difficile, ma mi misi a correre fino allo stadio senza esitare di più. Li raggiunsi in un quarto d’ora. Le facce di Greg e Ron furono spiazzate dalla gioia quando mi videro. Ma io cercavo lo sguardo di Jon. Mi sorprese da dietro dicendo: “Ti va..?”. La sua vaghezza mi dava un certo sollievo, così afferrai il basso e ci incamminammo verso il palco. Jon mi mise una mano sulla spalla e guardandomi negli occhi mi disse: “Mi sono reso conto di quanto abbiamo bisogno di un bassista solo quando non c’eri.. nessuno suona quell’arnese meglio di te! Io sono stato proprio un..”, “Jon, non importa.. avrei dovuto dirti tutto.. ma ora è passato. Pensiamo solo a scatenarci!” risposi.
Dopo il sipario, un’accozzaglia di gente puntava gli occhi su di noi. Nervosi? Sì, certo, è naturale, ma partimmo con “Rock You Like A Hurricane” e ci passò subito.
Fu meraviglioso: le facce del pubblico rimasero ineffabili davanti ai nostri strumenti che suonavano. Infine, un gigantesco applauso chiuse la nostra performance. Jon e gli altri guardavano dritto verso il pubblico, io no. Io guardai il viso di Jon: era felice, soddisfatto e orgoglioso di noi. Mi chiesi cos’avrei fatto se non fossi arrivato qui, e se non avessimo fatto pace.
Grazie alla passione comune della musica, insomma, ho trovato dei veri amici, e da quel momento capii che non ci saremmo mai più separati.
22 giugno 2010
Phil McCaugheney
 
 
 
 
Note:
Per questa storia mi sono ispirata ai Beatles, come si può notare, i nomi si assomigliano vagamente… per il resto, però, è parte della mia storia. Dopo averla scritta, sono entrata a far parte di un gruppo. Che strano scherzo! :D
  
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