So, let it all burn
«Stark.»
Tony,
sentendosi chiamare, si voltò lentamente, riconoscendo
perfettamente la voce priva di inflessione che aveva parlato. Loki,
vestito
solo di un pantalone nero e una camicia bianca con alcuni bottoni
ancora sbottonati,
era in piedi, di fronte alla grande vetrata sotto la quale si estendeva
l’intera
New York, ancora poco illuminata dalla pallida luce del mattino. Tony
era stato
colto di sorpresa, di solito a quell’ora Loki era
già scomparso in un lampo di
luce. Non era mai capitato che si trattenesse più a lungo
del necessario. Si
alzò dal letto e continuò a fissare la lunga
schiena dell’altro per un po’, in
silenzio, aspettando che continuasse a parlare. Quando finalmente il
dio si girò,
Tony poté notare su quel volto pallido e affilato
un’espressione triste, in
qualche modo rassegnata. Durò solo una frazione di secondo,
però, prima che il
solito sorriso che non faceva presagire nulla di buono tornò
a posarsi sui suoi
lineamenti. Loki fece qualche sinuoso passo avanti, riducendo di molto
la
distanza con l’altro.
«Stark.
Ci ho riflettuto a lungo, sai? Ormai ti sei accertato che io non
ho intenzione di ucciderti, almeno per il momento. Dunque, cosa ti
frena?»
Una
delle lunghe mani di Loki andò ad accarezzare lentamente la
guancia
di Tony, per poi scivolare sul suo collo, dove piccoli segni rossastri
facevano
la loro prepotente comparsa. Tony rimase immobile, come se un animale
pericoloso –un serpente-
strofinandosi
contro di lui stesse decidendo se ucciderlo subito per divertimento, o
più
tardi per necessità. Si azzardò però
ad inarcare un sopracciglio.
«Perché
non mi hai ancora ucciso, Stark? Perché non ci hai neanche provato? Le occasioni te le ho
date.» Gli occhi verdi del dio brillarono di malizia,
alludendo alla lunga
serie di notti –e non solo-.
«Sai
benissimo che facendolo, uccidendomi, salveresti molte più
vite di quante ne
hai salvate finora. Saresti una persona migliore. Ne hai la
possibilità, perché
non la sfrutti?» Stavolta fu Loki a sollevare un
sopracciglio, ma la sua non
era una vera domanda. Tutto quel discorso, era tipico di Loki. Si stava
facendo
beffe di Tony, e implicitamente anche di tutti gli altri Avengers, che
avevano
ricevuto l’ordine inviolabile dello S.H.I.E.L.D. di non
uccidere Loki. Volenti
o nolenti, dovevano tenerlo vivo, e restituirlo vivo ad Asgard. Al
resto avrebbero
pensato gli Asgardiani. Tony sbuffò, irritato, pronto a dare
una risposta
tagliente, ma fu interrotto da Loki.
«O
forse, se in gioco ci fosse la tua vita…» con un
fluido movimento
delle dita, Loki fece comparire un sottile pugnale d’argento
dal manico inciso
e tempestato di pietre verdi simili a smeraldi, ma contenenti, al loro
interno,
una polvere dorata che riluceva e sembrava in qualche modo viva e
pulsante. A
Tony venne in mente ciò che gli era stato riferito sul
martello di Thor, “forgiato
nel cuore di una stella morente”. La sottile e affilatissima
lama brandita da
Loki seguì il profilo della gola di Tony, facendolo
rabbrividire. «Per salvare
te stesso, lo faresti, Stark? Mi uccideresti, se non avessi altra via
di
scampo?» E poi, con uno scatto fulmineo, Loki strinse la mano
libera attorno a
una delle mani di Tony, e con una presa ferrea lo costrinse ad
impugnare lo
stiletto, e a rivolgere la punta verso la sua pelle diafana ed esposta.
Il
sorriso di prima, quello che di gioioso non aveva proprio nulla, era
svanito.
Al suo posto, era apparsa un’espressione tormentata, gli
occhi si erano fatti
lucidi, e i cerchi scuri attorno alle orbite sembravano essere divenuti
improvvisamente più marcati ed evidenti. Con una mano
bloccava le dita di Tony
attorno all’impugnatura del pugnale, con l’altra,
stringeva mortalmente la gola
di Tony, mozzandogli il respiro. Tony era ipnotizzato, conscio di
ciò che
accadeva, ma incredulo e incapace di reagire.
«Uccidimi,
Stark.» La voce era indurita, ma decisa. Tony
avvertì la
pressione della mano di Loki sulla sua, un attimo per decidere, poi la
lama si
allontanò di qualche centimetro, giusto il necessario per
poter poi affondare,
con un unico colpo sicuro e preciso, per poter recidere pelle, carne,
muscoli,
trachea. -Un'unica pugnalata, per far
concludere tutto.- La punta aguzza scalfì
lievemente il collo di Loki, mentre
gocce di sangue rosso intenso sbocciavano sul candore marmoreo e
rotolavano
giù, fino a macchiare la camicia. Tony era riuscito a
riprendere possesso di sé
giusto in tempo, ed aveva potuto deviare la traiettoria del pugnale da
un lato.
La gola di Loki non era squarciata e grondante di sangue, ma solo
solcata, sul
lato destro, da un lungo ma non profondo taglio diritto. La presa di
entrambe
le mani di Loki si era allentata, per cui Tony riuscì a far
cadere a terra l’arma
insanguinata, ai loro piedi, e a riprendere fiato, ansimando
faticosamente.
Loki lo guardava. E Tony, restituendo lo sguardo, seppe cosa dire.
«No,
Loki.»
Poi
intrecciò le dita delle loro mani che fino a poco prima
stringevano
lo stiletto, osservandolo mentre la sua risposta, evidentemente
inaspettata, lo
colpiva pesantemente, lasciandolo immobile, spogliato della sua
arroganza. Gli
occhi lucidi, le sopracciglia corrugate. Eccolo qui, Loki, dio del caos
e delle
malefatte, che veniva colto di sorpresa da un inutile mortale.
Riscossosi, Loki
troncò il contatto tra le loro mani, -fredde,
gelide come sempre- ma si avvicinò
all’orecchio di Tony, i suoi capelli
neri che solleticavano l’altro, e gli mormorò, le
labbra che sfioravano con
piccoli guizzi il lobo di Tony:
«Allora,
lascia che tutto bruci.»
Nella
sua voce, tornata vellutata e pericolosa, -vino
e miele e sangue e ghiaccio- si avvertiva di nuovo
l’ombra
inquietante di un sorriso. Un secondo dopo, quando Tony alzò
lo sguardo, si
ritrovò seduto sul suo letto. Niente Loki. Niente sangue sul
pavimento.
«JARVIS,
l’ubicazione attuale di Loki?»
«Sconosciuta,
signore. Localizzato l’ultima volta due settimane fa nel
centro di Londra, e scomparso da allora.»
Ancora
una volta, Loki aveva eluso tutti i sensori e ingannato JARVIS.
Prevedibile. Ma quel loro ultimo incontro… era avvenuto?
Voltandosi verso il
comodino per prendere alcune pasticche contro il mal di testa, vi
trovò sopra
un pugnale d’argento, tempestato di pietre verdi, appoggiato
su un cuscinetto
di velluto nero.
Se
fosse un avvertimento, uno scherzo -o una
promessa-, Tony non riuscì proprio a capirlo.
Note:
questa fanfiction, liberamente ispirata dalla canzone
“Hurricane” dei
Thirty Seconds To Mars, è volutamente (ahah) sconclusionata
e incomprensibile.
Ma mi ronzava in testa, quindi ho dovuto scriverla. Chiedo perdono.
Ora, nel
caso in cui qualcuno volesse chiedere spiegazioni, dare
un’interpretazione di
quel che ha capito, o anche insultarmi pesantemente, bene, è
liberissimo di
farlo.
Alla prossima,
Unriccio.
(P.S.: questo
che vedete qui su sarà presto il mio nuovo nickname, ecco
perché non
combacia con quello attuale.)