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Autore: Mabs    16/05/2012    16 recensioni
"Ho scelto il classico perché odio la matematica, non perché amo l'italiano". Questa era la risposta che Luca era solito dare a chiunque gli chiedesse perché avesse scelto quella scuola. Pieno di insufficienze, il diciassettenne inizierà a prendere di sua spontanea volontà delle ripetizioni dalla professoressa Di Spuria, signora dalla mezza età con un metodo di insegnamento davvero molto...particolare.
Genere: Dark, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era stato lo stesso Luca a chiedere alla madre di cominciare a prendere ripetizioni di matematica: dall’inizio dell’anno non faceva che collezionare un’insufficienza dopo l’altra e non poteva permettersi di avere un debito come l’anno precedente.
Luca si era da poco fidanzato con una ragazza di cui era davvero innamorato (evento più unico che raro, dato il fatto lui che era più un tipo da “amori folli dalla durata di una notte o forse due” che da  “è con te, e solo con te che voglio passare il resto della mia vita”) e i suoi genitori, se avesse avuto il debito non gli avrebbero di sicuro permesso di uscire con Marta, la sua ragazza, e lui stesso non ne avrebbe avuto il tempo materiale, impegnato tra ripetizioni ed esami di riparazione. Era dunque pensando a lei, che Luca aveva implorato la madre di portarlo da qualche bravo professore affinché gli facesse capire una volta per tutte quegli argomenti che proprio non riuscivano ad entrargli in testa.
La madre, prima di inoltrarsi in un lungo giro di telefonate, rimproverò per l’ennesima volta Luca, perché lui era la rovina di quella famiglia, lui era motivo di disonore e di vergogna, la pecora nera della casa. La sua era una famiglia strana, piuttosto male assortita: due genitori modello, intelligenti, perspicaci e dal bell’aspetto, con una figlia brava nello studio, nello sport, nel pianoforte e in tutto ciò che faceva. E poi c’era lui. Luca: una sigaretta dietro l’orecchio sempre pronta per essere accesa, una fila di ragazze pronte a farsi dare “una botta e via dal più sexy della scuola” e una sfilza di insufficienze in quasi tutte le materie.

«Se stai al classico, è quasi impossibile avere una sufficienza in matematica. Se scegli questa scuola non è perché ti piace l’italiano, ma perché non ti piace la matematica». Questa era la giustificazione che Luca dava ai genitori ogni volta che cercavano di fargli pesare il fatto che non riuscisse a recuperare ormai da tre anni quell’insufficienza in matematica che lo accompagnava persino durante l’estate.
 
La professoressa che gli avrebbe fatto ripetizioni era una conoscente di un fidato amico dei genitori. 
«E’ una brava persona. Ha avuto gravi problemi psicologici per diversi anni, ma ora sta meglio, ed è una delle insegnanti più competenti che io conosca. Ha anni ed anni di insegnamento alle spalle. Tuo figlio si troverà bene». In questo modo la professoressa Di Spuria era stata presentata alla madre di Luca dal loro amico di famiglia.
 

«Chissà che tipa sarà» pensò Luca scosso da una più che lecita quantità di ansia, suonando il campanello. Sulla soglia della porta comparve una donna di mezza età in vestaglia che si rigirava tra le mani una manciata di pastiglie.
«Buonasera, sono Luca».
La donna lo guardò spaesato.

«Si ricorda? Sono il ragazzo delle cinque e mezza a cui deve fare ripetizioni di matematica e geometria! Se vuole ripasso tra qualche minuto...» disse Luca, avendo notato la strana espressione che la professoressa Di Spuria aveva stampata in faccia. Quella lo guardò, per poi girarsi dandogli le spalle ingoiando tre delle pasticche che aveva in mano, girandosi nuovamente verso di lui e dicendogli, con voce ferma e decisa: «entra».
Luca avanzò richiudendosi la porta dietro le spalle. Non era un grande osservatore ma non riuscì a fare a meno di notare la strana tappezzeria a pacchiani fiori arancioni che circondava l’intero salotto dandogli un’aria alquanto poco confortevole. 
«Siediti qui» disse la signora scostando di poco la sedia da sotto l’enorme tavolo in legno che contribuiva a dare un non so che di rustico all’enorme stanza arancione. Luca si sedette con cautela senza mai staccare gli occhi dalla donna.
«Vuoi qualcosa da bere? Un succo, un thè o un bicchiere d’acqua?» disse la professoressa Di Spuria sforzandosi di risultare simpatica.
«Un bicchiere d’acqua, grazie».
Sarebbe forse stato meno scortese rifiutare, ma Luca acconsentì quasi solo perché qualcosa nella voce della donna gli fece comprendere che se non avesse accettato, lei avrebbe continuato ad insistere.

«Ecco a te” disse la donna tornando poco dopo nella stanza, accennando un sorriso forzato. Posò davanti a Luca un bicchiere di acqua torbida quasi tendente al grigio. Luca la guardò sconcertato. Il suo istinto di sopravvivenza gli suggerì di far finta di berne un sorso e tirare fuori con nonchalance il proprio libro di algebra.
«Non bevi più?» disse la donna sgranando gli occhi, prendendo il bicchiere e portandoglielo vicino alla bocca. Luca non ebbe il coraggio di rifiutare. Ne bevve un sorso e poi un altro ancora, per poi posare nuovamente il bicchiere sul tavolo.
Era in quel momento, che la nausea aveva cominciato a mettergli lo stomaco in subbuglio. 

«Finiscila…tutta.» Disse la donna, questa volta con voce più ferma e decisa.
Luca, che continuava a chiedersi perché la professoressa insistesse così tanto, bevve tutto il contenuto del bicchiere senza fare domande. La donna sorrise dicendo a denti stretti 
«cominciamo? Allora dimmi, Luca. E’ così che ti chiami, giusto? Qual è il tuo problema? Equazioni? Radicali? Sistemi?» La stanza attorno a Luca cominciava a girare. Le orecchie gli fischiavano. Era travolto da vampate di calore e la vista era offuscata da vaganti macchie scure, ma riuscì comunque a parlare, lottando per non svenire seduta stante. «Le equazioni. Di secondo…di secondo grado». Disse asciugandosi il sudore che continuava a scendergli dalla fronte.
«Allora prendiamo un esercizio facile dal tuo libro» disse la Di Spuria aprendo il volumetto verde sotto agli occhi di Luca. «x²=9. Scrivila sul tuo quaderno». Luca con la vista offuscata e i riflessi lenti che si ritrovava in quel momento, lottò per aprire il quaderno ed afferrare la matita, che in quel preciso istante sembrava pesante come piombo. «Ora prova a risolverla».
Luca la osservò per qualche secondo e poi scrisse, cercando con tutte le sue forze di non perdere i sensi 
«x²=3, è giusta?»
La donna lo guardò con gli occhi spalancati, poi afferrò di scatto il libro scaraventandolo per terra e urlando «NO!». Luca spaventato provò ad alzarsi, ma le gambe non rispondevano ai suoi comandi.
«L’acqua, è stata di sicuro l’acqua che mi ha fatto bere» pensò Luca tentando con le poche forze che gli rimanevano di spostare la propria sedia il più lontano possibile dalla Di Spuria.
«NO! NO! NO! NON E’ GIUSTA» continuava ad urlare imperterrita la donna, sbattendo e lanciando tutto ciò che trovava davanti a sé.  Luca era immobilizzato. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo. In quel momento, valutò che l’unica azione giusta che poteva fare, fosse prendere il mano la matita e correggere l’equazione.
«Scusi…» borbottò ancora scosso dal mal di pancia e stordito dal fischio costante che sentiva nelle orecchie «ora ci riprovo».
La professoressa aspettò paziente che Luca finisse di scrivere l’equazione, con quella matita che diventava via via più pesante.
“x2= radice di 9
» scrisse a fatica sul foglio «così è giusta?» riuscì a dire Luca, farfugliando.
La professoressa Di Spuria fece un sorrisetto compiaciuto, annuendo. Poi afferrò dal proprio astuccio verde un compasso. Scoppiò in una risata fragorosa, e urlò tra le lacrime 
«NOO!» calando il compasso dritto sulla mano di Luca, creando un buco apparentemente invisibile, che cominciò ad allargare muovendo con forza l’oggetto appuntito circolarmente.
Luca urlò, reggendosi il polso con l’altra mano. Provò nuovamente ad alzarsi ma quando le sue gambe si fletterono cadde a terra, attutendo la caduta con il gomito sinistro, che si ruppe all’istante provocando un sonoro scricchiolio. La donna afferrò dallo stesso astuccio verde un comune righello.
Luca provò ad indietreggiare ma il gomito rotto non glielo permetteva. La vista gli si offuscava sempre di più. Sentiva che di lì a poco sarebbe svenuto. Non ebbe il tempo di realizzare che il suo braccio sinistro era inondato di sangue provocato dal buco infertogli dalla donna, che quest’ultima le balzò addosso, spingendogli con forza il righello in bocca.

«E quant’è quella che tu chiami radice di nove?» urlò la donna spingendogli il righello sempre più giù.
Luca provò a parlare, ma il righello non glielo permetteva. Provò a tossire ma non ne aveva la forza. Cominciò a mancargli il respiro. Provò ad alzarsi ma fu tutto inutile, i suoi arti non rispondevano ai comandi.
Si sentiva soffocare, e se la donna non gli avesse tolto dalla gola quel righello sarebbe morto all’istante.
La vista di Luca cominciò a diventare sempre più annebbiata.
Improvvisamente, svenne.
 

«Buongiorno signora. Sono Serena, la ragazza delle ripetizioni delle 18.30, si ricorda?»
La professoressa Di Spuria le sorrise cordialmente: «Certo che mi ricordo! Entra pure, cara!”
Serena le sorrise di rimando.

«Gradiresti un bicchiere d’acqua?»
«Sì, grazie! Nel frattempo potrei usare il suo bagno? Dovrei solamente lavarmi le mani, dato che è da questa mattina che non passo a casa» disse Serena aggiustandosi i capelli.
«Ma certo cara, vai pure. L’ultima porta a destra!».
Serena camminò a passi incerti, non potendo fare a meno di notare l’orribile tappezzeria che circondava tutte le pareti della casa.
Aprì la porta socchiusa, tastando la carta da parati arancione per trovare l’interruttore della luce.
Appena la lampadina si accese, Serena inorridì, lanciando un urlo.
Disteso nella vasca da bagno di ceramica cosparsa di sangue vi era un ragazzo, sui sedici anni. Una mano bucata penzolava dal bordo, e la punta di un righello riusciva ad intravedersi dalla bocca. Era a torso nudo, e incisa a caratteri cubitali sul suo petto, cosparso di sangue ormai asciutto, vi era un’equazione; di secondo grado, per la precisione: 
«X2=9 → X=3».





Angolo Autrice!
Questa è una piccola e stupida storiella uscita dal mio cervello malato durante il compito in classe di italiano AHAHHA il tema era sull'inquinamento o sull'importanza dello sport, e io ovviamente mi ritrovo a pensare a compassi, righelli e professoresse matte, lol. Vabè, diciamo che ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale (sèsè, come no), e per il resto...boh, ditemi voi se vi è piaciuta o se fa cagare e devo cancellarla all'istante, grazie per aver letto. Se vi siete disturbati così tanto da stare qui a leggerla tutta avrete sicuramente perso più di 10 minuti. Ecco, già che ci state perdetene altri due e recensite, lol. GRAZIE *-*
  
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