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Autore: Hotaru_Tomoe    18/05/2012    4 recensioni
Lo strumento cantava tra le abili dita del detective e sembrava raccontare una storia impetuosa ed incalzante, fatta di solitudine e tristezza, di un vuoto mai colmato, di profumi antichi e di nostalgia.
John, Sherlock e qualcosa di irrisolto tra loro dopo il ritorno del detective. Post-Reichenbach.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: Sherlock appartiene ad Arthur Conan Doyle, alla BBC e a Moffat e Gatiss.
Note: che dire... le immagini postate su "Sherlockians Anonimi" continuano ad ispirarmi.

  

COME PRIMA

John si accorse che stava fissando il cursore lampeggiante del suo laptop da cinque minuti buoni. Scrollò la testa e inarcò appena le labbra in un sorriso: evidentemente, oltre al blocco dello scrittore esisteva anche il blocco del blogger.
Quella sera aveva rimesso mano al blog per la prima volta dopo tre anni di hiatus, aveva finito di descrivere il loro primo caso risolto dopo "Il ritorno" e non sapeva come chiudere il post. Non che fosse un patito di virtuosismi letterari, gli serviva una semplice frase conclusiva, ma proprio non gli veniva in mente nulla.
Cosa avrebbe potuto scrivere, che era tornato tutto come prima?
Sarebbe stato bello, ma era davvero così?
Da quando erano tornati in Baker Street, John provava un inesausto senso di disagio, come se il loro rapporto e tutto ciò che erano stati, fossero rimasti congelati per troppo tempo e ora riprendessero a girare come un meccanismo arrugginito.
Come se "la caduta" avesse segnato un indelebile spartiacque nelle loro vite.
Ogni gesto, ogni piccola abitudine quotidiana riaffioravano dal passato con dolore: perché se ora era un piacere cucinare la cena per due e cercare di far recuperare a Sherlock i troppi chili perduti, il gesto portava con sé la consapevolezza di tre anni di cene solitarie e la latente sensazione di essere stato lasciato indietro.
Per questo, sempre più spesso, si ritrovava a fissare il detective, chiedendosi quando sarebbe comparso il prossimo arcinemico.
Quando sarebbe arrivata la prossima volta in cui Sherlock lo avrebbe abbandonato.
Sapeva di essere patetico e anche abbondantemente ridicolo. Non è che tutti i giorni capiti di dover fingere la propria morte, gettando nella disperazione più totale il tuo miglior amico.
La verità era che, nonostante a Sherlock avesse assicurato il contrario, ancora non si era lasciato alle spalle il suo finto suicidio e quei tre anni di separazione. Per questo non riusciva a pensare che fosse tornato tutto come prima.
Sì, era patetico.
Il detective alzò gli occhi dal suo cellulare guardando verso John, ma questo distolse lo sguardo, fissando cocciuto lo schermo del computer: l'ultima cosa di cui aveva bisogno era uno sguardo di compatimento.
Senza dire una parola, Sherlock si alzò, prese il violino e si diresse alla finestra, la sua finestra. Appoggiò lo strumento sotto il mento, inclinò la testa e iniziò a suonare, le braccia aperte in un ampio arco, l'archetto che correva veloce e leggero sulle corde.
 

Quella era la serata delle prime volte, allora, perché non aveva più sentito il suono del suo violino da... da quel giorno.

John non era un esperto di musica classica e non riconobbe l'autore del brano, ma il modo in cui Sherlock suonava il violino, quello era inconfondibile.

Si appoggiò allo schienale della sedia, congiunse le mani appena sotto il mento, la bocca semiaperta in una espressione a metà tra l'adorazione e il più profondo stupore e restò immobile, gli occhi fissi sulla schiena e sulle scapole spigolose di Sherlock, i cui movimenti si intuivano sotto la veste da camera, le orecchie e la mente piene di quella melodia appassionata e struggente.

Lo strumento cantava tra le abili dita del detective e sembrava raccontare una storia impetuosa ed incalzante, fatta di solitudine e tristezza, di un vuoto mai colmato, di profumi antichi e di nostalgia.

Parlava di un dolore che John riconobbe così simile al suo.

"Non sei il solo ad aver sofferto in questi tre anni. Lui non lo ammetterà mai, non ne parlerà mai. Non direttamente, almeno."

Poi la musica cambiò, si fece più dolce e tranquillizzante "Allegro." ricordò John a se stesso e a quel punto chiuse gli occhi, ripescando la melodia dai suoi ricordi, i ricordi "del prima".

Sì, ricordava bene quella parte di brano: quando conobbe Sherlock la prima volta gli orrori visti in guerra erano ancora così vivi in lui da provocargli terribili incubi, in seguito ai quali si svegliava urlando. Quelle volte, nel cuore della notte, John udiva la melodia del violino di Sherlock rompere il silenzio, salire fino alla sua camera ed avvolgerlo come una seconda coperta, finché non chiudeva gli occhi di nuovo e dormiva tranquillamente fino al mattino.

"Questo. Questo è rimasto come allora."

E forse anche tutto il resto: il tè, i litigi per convincere Sherlock a mangiare, le parti di cadavere in ogni dove, il risolvere casi insieme. Per la prima volta dal ritorno di Sherlock, John pensò davvero che potesse tornare tutto come prima.

Un'altra prima volta, quella sera.

Forse doveva solo lasciare che il dolore, il risentimento e tutto ciò che di negativo la sua anima aveva accumulato, scorresse via, portata lontana dal loro appartamento dalle note di quella melodia così cara.

Il brano finì e Sherlock ripose il violino nella custodia. Senza una parola tornò a scambiare messaggi sul cellulare con Lestrade.

John sciolse le dita intrecciate e finì il suo post:


"E così sono ricominciate le indagini del mio amico Sherlock Holmes.

Il clamore suscitato dal suo ritorno è ormai alle spalle e la vita è ricominciata come prima."

 

FINE

 

Il brano che mi sono immaginata di sottofondo a questa fanfiction è la Sonata n. 1 in G maggiore, Op. 78 per violino e pianoforte di Brahms.

   
 
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