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Autore: Klavdiya Erzsebet    19/05/2012    2 recensioni
Sophia Lestrade è capace di essere la persona più felice della terra – ma solo a periodi, quando i ‘demoni’ la lasciano in pace. Non le piace molto suo marito quando è arrabbiata ma sente di amarlo più di se stessa quando non lo è; è confusa, riguardo a tutto.
Una perdita terribile per qualcun altro si rivelerà l’occasione giusta per accorgersi di quanto Greg sia importante – oppure per liberarsi dai demoni, questa volta per sempre.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Until Death Do Us Part'
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Autore: Klavdiya

Titolo: Demons

Fandom: Sherlock BBC

Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson, Gregory Lestrade, Sophia Lestrade, Ellen Cranly, Eleanor Gale

Genere: angst, drammatico, introspettivo

Disclaimer: non mi appartengono, purtroppo...

Sommario: Sophia Lestrade è capace di essere la persona più felice della terra – ma solo a periodi, quando i ‘demoni’ la lasciano in pace. Non le piace molto suo marito quando è arrabbiata ma sente di amarlo più di se stessa quando non lo è; è confusa, riguardo a tutto.

Una perdita importante per qualcun altro si rivelerà l’occasione giusta per accorgersi di quanto Greg sia importante – oppure per liberarsi dai demoni, questa volta per sempre.

Avvertimenti: slash

 

Cap.I

 

Sophia aveva quegli occhi verdi e grandi fissi. Nella TV spenta o nelle copertine dei DVD di film horror o pieni di sangue. Ne avrebbe voluto vedere uno magari. Greg sapeva che li adorava tutti.

 

Eppure Sophia era stanca e quello ai suoi occhi non era un mistero. Era stremata fisicamente e psicologicamente. Vedeva già le lacrime di stanchezza, le uniche che di norma le bagnavano il volto; le rendevano gli occhi di un verde smeraldo allucinante. Gli piacevano i suoi occhi. Di solito la gente neanche li notava.

 

Sophia era nervosa e si stringeva le ginocchia al petto. Rannicchiata sul divano era una bambina. Sembrava almeno desiderare ardentemente diventarlo. Improvvisamente Greg smise di ammirarla. Fisso la smorfia che le arricciava le labbra e la vide di nuovo capricciosa e nervosa.

(ti prego, lo sai, sii paziente)

 

Lo aveva sussurrato un’ora prima. A cena. Era sorprendentemente in grado di comunicare dove si trovava il suo limite o almeno di provarci, per salvarsi

(salvarli?)

dalle sue crisi di nervi e di pianto.

 

Accovacciata sul divano ogni tanto si chiudeva ancora di più e chinava la testa, incastrandola tra le ginocchia. Non aveva voglia di fare niente e quindi nemmeno di pensare, capì Greg. Uscì dalla cucina da cui la stava spiando e la guardò fissa.

 

“Cosa facciamo?” chiese lei con la sua voce musicale. Diventava più bassa, ruvida quando era di quell’umore. Greg non era sicuro di essere innocuo, quando parlava così.

 

“Io guardo War Horse[1], me l’ha prestato Anderson” le rispose sapendo che se ne sarebbe andata. E quando l’avrebbe raggiunta avrebbe avuto la sua metà del letto fredda, con lei incazzata oppure dormiente che nemmeno avrebbe osato allargarsi dalla sua parte. Come a dire dormi che domani vai al lavoro.

 

“A me Spielberg non piace” sibilò Sophia. Greg alzò gli occhi al cielo e lei si irritò – glielo vide nello sguardo. Allora lui fece l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare, pentendosene ancora prima di farla. “Lavoro tutto il giorno domani” disse semplicemente. Fingendosi incurante di tutte le volte che lui o altre le avevano detto la stessa cosa in maniere nemmeno troppo diverse.

 

Lei aveva i capelli scompigliati e si alzò dal divano. Lui la guardò e sapeva che se c’era una cosa che capiva fin troppo bene di lei, era quel suo averne fino ai capelli della solitudine ma sapere convivere solo con quella. Vedere la gente da lontano con la consapevolezza che da vicino perdeva decisamente il suo fascino.

 

L’unico motivo per cui quel matrimonio continuava da nove massacranti anni non erano i figli che non avevano ma l’assoluta necessità dell’altro per salvarsi dal baratro. Greg prese una sigaretta e vide Sophia diventare furente e guardare il pacchetto.

 

Lei che negli ultimi trentacinque anni della sua esistenza non ne aveva mai presa in mano una.

Lei che si chiedeva perché cazzo non lo stesse facendo ora e si rispondeva che era per un tempo migliore, che sarebbe venuto. Non voleva pentirsi, dopo.

 

“Beh, sei sempre via” disse come se ci stesse ragionando molto su. “Credo che non ti dispiaccia farlo anche stasera. Ho i demoni”

“Non dirlo neanche per scherzo, Sophia” la ammonì Greg e sentì la paura salirgli. Era

(pazza)

inquietante quando parlava dei suoi demoni. Spiriti nati per scherzo che sentenziavano il giusto e sbagliato secondo le idee rivoluzionarie, strane e fondamentaliste di Sophia.

 

Con malagrazia lei lo accompagnò alla porta e se ne andò prima che il senso di colpa le potesse appannare e stringerle gli occhi.

(verdi)

Chiuse la porta e Greg sospirò.

 

Due o tre volte, non le contò. Si accorse di avere in mano War Horse e lo posò sullo zerbino. Sophia aprì, lo prese e gli diede le chiavi dell’auto. Imprudente da parte sua. Farsi vedere anche di striscio con gli occhi umidi di lacrime e dare a Greg l’occasione di andarsene davvero.

(insensato da parte sua)

 

Strano come era che lo cacciasse quando chiaramente aveva soltanto bisogno di lui. Allora senza sapere bene dove andare scese nei box, tornando indietro solo per ascoltare con l’orecchio alla porta i singhiozzi uniti alla musica che doveva accompagnare l’inizio del film.

 

Quindi scese. Sul serio. Aprì il box e salì nell’auto. Appeso allo specchietto c’era ancora l’Arbre Magique all’arancia che Sophia aveva messo i primi tempi, per contrastare l’odore di macchina nuova. Per lei la loro vecchissima Volvo puzzava ancora di macchina nuova. Era un odore che la dava la nausea. Greg accese la radio e ascoltò il primo programma qualsiasi che parlasse di cose senza senso come Miami. Guidò silenzioso, o così gli sembrò, per le strade di Londra e si chiese dove fosse un motel o qualcosa del genere. Faceva buio e non c’era in giro neanche un taxi. Forse perché okay, erano le undici e mezza di sera anche se lui aveva appena cenato. Anche se lui era tornato a casa da a malapena un’ora e già era stato costretto ad andarsene. Si incantò quasi nella strada. Poi vide qualcosa scattare e urlare e prima che se ne rendesse conto al concerto partecipavano anche i freni della sua auto.

 

“EHI! STAI ATTENTO! VAFFANCULO!” gridò la cosa che doveva essere scattata e che ora era seduta a terra. Greg inchiodò e la guardò a lungo, riconoscendone i capelli biondastri e gli occhi marroni[2]. Poi realizzò che la vita di John era abbastanza ansiogena da non necessitare un automobilista incazzato che sotto la neve minacciava di linciarlo. Gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi; era sporco, inzuppato fino alle ossa e con un’espressione assassina in volto. Greg nemmeno ebbe bisogno di chiedersi cosa gli fosse successo per capire che le loro situazioni erano tragicamente simili; entrambi dividevano la casa con il Diavolo. Sperò che John non avesse anche i relativi demoni.

 

“Ti riporto a casa” disse stupidamente, ma non fece nemmeno in tempo a finire la frase che quello era già sulla sua auto.

“Non credo andrò a casa” sibilò. Dalla sua smorfie e dai suoi occhi si capiva che era furente. “Portami a un motel”

 

Greg accese la macchina. “Ce n’è uno che non costa un cazzo a un quarto d’ora da qui” disse.

La macchina partì senza fare storie e nessuno parlò, uno con le mani strette al volante fino ad avere le mani bianche per lo sforzo, l’altro troppo bagnato e arrabbiato e stanco per parlare. “Cosa ci fai a quest’ora in giro?” chiese Greg alla fine per pura civiltà.

 

“Sherlock. Mi ha mandato a interrogare un testimone. A mezzanotte”

“Credevo avesse chiuso quel caso”

“Era curioso

Sospirarono. Quasi all’unisono.

 

“Almeno non ci ha chiamati. Sono tornato a casa alle dieci e mezza e Sophia è di pessimo umore. Rompe i coglioni ogni volta che lavoro troppo. E per vendetta mi caccia di casa. È pazza, parla dei suoi demoni come delle zanzare o della polvere” Greg prese una sigaretta e fumò per la seconda volta dopo due mesi di astinenza. Si ricordò di non mettere il pacchetto in bella vista sul tavolo del salotto la prossima volta che avesse deciso di non toccarlo più. “…e sembra ogni volta che stia per morire, si mette su quel divano e fa la faccia di chi è nel mondo sbagliato nell’era sbagliata e con la persona sbagliata. Meno male che non abbiamo mai avuto figli”

 

Gettò il mozzicone fuori dal finestrino e controllò il navigatore. John si stava addormentando. Lo guardò e tentò di capire per l’ennesima volta cosa ci trovasse in Sherlock – perché il ragazzo geniale, la mente fuori dal comune la vedeva anche lui ma non trovava la persona con cui convivere e dividere casa e vita.

 

Eppure John e il suo improponibile probabile amante erano mille volte più uniti di Greg e Sophia – migliore coppia del liceo ed eterni fidanzatini fino al matrimonio. Quindi un poco Sherlock e John avrebbe dovuto invidiarli, anche se al pensiero di convivere con l’unico consulting detective del mondo provava solo tanta ammirazione mista a pena.

 

Parcheggiò in sosta vietata appena fuori dallo squallido motel e scosse appena il braccio del dottore. Quello si svegliò borbottando.

Scesero e John barcollava; Greg fu tentato di sorreggerlo ma a stento stava in piedi.

(aveva appena lavorato per quindici ore, cazzo)

 

Prenotò una doppia e si vide affibbiare una minuscola stanza di quattro metri per quattro con due letti alle estremità e il cesso sul corridoio. Tuttavia non protestò. Nel giro di sei ore l’avrebbe abbandonata a favore dell’auto, con cui avrebbe fatto chilometri fino a Scotland Yard.

(magari no)

suggerì una voce nella sua testa che riconobbe come quella di Sophia. Provò relativamente poco di interpretare quelle parole. Era solo un augurio di morte.

 

John cadde a mattone su un letto. Greg si rannicchiò sull’altro. Pensò a Sophia.

 

Tic. Tac.

Il vecchissimo orologio ticchettava. Solo le cose così fastidiose funzionavano negli squallidi motel.

 

Tic. Tac.

Batteva i secondi che separavano le due e sedici delle due e diciassette. John ebbe l’impulso di prenderlo e soffocarlo sotto al cuscino. Era un po’ troppo stanco per farlo, però. Preferiva non pensare a come sarebbe arrivato al lavoro. Decise di andare in bagno e rilasciarsi cadere sul letto. Magari sperando di non risvegliarsi mai più; sarebbe stato

(meglio)

meglio, decisamente meglio, forse.

 

Si alzò e fece attenzione a non svegliare Greg. Era sdraiato su un fianco nel letto di fronte al suo.

Aveva letto da qualche parte che rannicchiarsi in quella posizione significava rimpiangere il grembo materno. Sicuramente in quella definizione non era compreso l’obbligo di rivivere tutta la propria vita dall’inizio. Un’impresa troppo complicata, soprattutto alle due e diciassette di notte.

 

Aprì la porta con la chiave che Greg aveva posato ai suoi piedi; la richiuse alle sue spalle senza fare rumore e tenne stretto il freddo metallo che uscì dalla serratura. Percorse i cinque passi fino al bagno e si accorse di avere ancora su le scarpe bagnate del giorno prima; si sarebbe ammalato. Anche la camicia era ancora umida. Il maglione era quasi troppo pesante da quanto era pregno d’acqua.

 

La giacca a vento se la tolse e la appese per non perderla alla maniglia della stanza che cadde appena John mosse un passo nel bagno. Il rumore fu surreale e a John suonò come immenso, abbastanza forte da svegliare

(qualcuno)

tutti nel motel.

 

Solo la puzza che c’era a due metri dai cunicoli in cui erano infilati i gabinetti gli dava la nausea e risvegliava in lui quel poco che aveva mangiato a cena. Si accasciò contro uno di loro e capì di avere toccato il fondo quando si mise a vomitare e non era a causa dell’odore.

 

Sentì come una porta che sbatteva e si ricordò di non essere l’unica persona in tutte le venti stanze. Ebbe la decenza di chiudere la porta del gabinetto, mentre dei passi svelti si avvicinavano. Allora rimase in ascolto e udì l’acqua che scorreva mentre qualcuno si lavava le mani. Poi sentì l’interruttore dell’asciugatore venire premuto a vuoto e infine delle salviettine venire sfilate da un contenitore difettoso.

 

I passi svanirono veloci come erano arrivati.

Per qualche secondo John non abbassò la guardia. L’unico rumore che si sentiva era il rubinetto che perdeva.

Era così normale incontrare qualcuno in un bagno pubblico anche a quell’ora eppure era come se quell’intruso fosse appena arrivato in casa sua. Era terribilmente inopportuno.

 

John pulì la camicia dal vomito alla meglio e uscì sulle gambe malferme. Il gocciolare del rubinetto era invadente e si avvicino per chiuderlo del tutto.

Aveva sete, il sapore del vomito era ancora nella sua bocca e aprì l’acqua, chinandosi per bere. Mandò giù quel sapore di ruggine e metallo e gli sembrò di bere sangue.

 

Poi d’improvviso quei passi tornarono e altri – diversi, più veloci e leggeri – li raggiungevano. Trasalì quando delle mani gli afferrarono le spalle e qualcosa di freddo gli sfiorò la nuca; deglutì a vuoto, e come una lama sottilissima quella cosa scese più in fondo.

 

Scese fino a urtargli un dente[3] e rigare il metallo del lavandino, e allora i passi più leggeri si allontanarono un attimo mentre le mani lasciavano l’arma nella sua testa.

(e il cuore era a metà tra il precipitare nel vuoto del suo petto e atterrare)

 

John cadde a terra e quella cosa rimase dal suo cranio. Una porta sbatté, qualcun altro ancora finì sul pavimento e la paura si impossessò dei due passi distinti che ora scappavano.


 


A/N: ecco il primo capitolo della prima ff che posto *emozione*. Sono credo 7 capitoli o qualcosa del genere, e ci ho riversato il mio animo bastardo...

è la prima cosa di lunghezza decente che finisco e sono molto happy e proud. L'ha betata una mia amica che troverete come FiNNiE su EFP...

Grazie a chiunque leggerà,

Klavdiya

1 Un po’, lo ammetto, mi è venuto in mente a causa di Benedict Cumberbatch...

2 Il colore degli occhi di John mi ha fatta dannare. Diciamo che Lestrade è al buio e non guarda bene e li scambia per marroni ok xD?

3 A onor del vero, questo l’ho visto a CSI Miami.

  
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