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Autore: LivingTheDream    19/05/2012    7 recensioni
"Una morsa allo stomaco, una fitta al cuore. Gli occhi stretti, a non lasciar passare l'anima che tentava di buttarsi giù. La tentazione di saltare c'era – oh, eccome se c'era – ma aveva una persona da aspettare, avesse dovuto farlo per tutta la vita, non sarebbe morto prima di esserselo trovato davanti almeno una volta.
Scese dal cornicione, dal tetto, dai ricordi e dalle tentazioni. Provò a scendere da sé stesso, ma non ci riuscì.
Allora salì su un taxi.
«221b Baker Street»."
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: LivingTheDream
Titolo: Captain, Colonel
Personaggi/Pairing: John Watson, Sebastian Moran/Jim Moriarty
Wordcount: 2158 (fiumidiparole)
Rating: PG-13
Warnings: Slash, linguaggio pesante, AAAAAAAAngst
Riassunto: "Una morsa allo stomaco, una fitta al cuore. Gli occhi stretti, a non lasciar passare l'anima che tentava di buttarsi giù. La tentazione di saltare c'era – oh, eccome se c'era – ma aveva una persona da aspettare, avesse dovuto farlo per tutta la vita, non sarebbe morto prima di esserselo trovato davanti almeno una volta.
Scese dal cornicione, dal tetto, dai ricordi e dalle tentazioni. Provò a scendere da sé stesso, ma non ci riuscì.
Allora salì su un taxi.
«221b Baker Street»."
Note: Tutto ciò partecipa alla Sherlothon indetta da sherlockfest_it, sperando di recuperare almeno lo scarto! *forza Fanon!* Ad ogni modo, penso sia uno dei lavori di cui vado più fiera, e dato che ultimamente mi sta succedendo spesso, ciò mi fa sentire molto bene. Vediamo che ne pensate voi. Ah, e dato che quella meravigliosa donna depressa e geniale che è Nacchan ama John e Sebastian, questa storia diventa per lei <3.
Musica: Who am I to say, Hope


 

Il soldato – la schiena rigida e l'atteggiamento mai sfumato di portare rispetto ad un superiore inesistente – carezzava il pavimento ruvido con le mani, grattando ogni tanto con le unghie e volgendo lontano lo sguardo quando un uccello o un aereo capitavano nel suo campo visivo.

Il vento scompigliava i capelli ad un cielo grigio, eppure non sentiva freddo. Il gelo che si sentiva addosso costantemente era peggio, era più interno, era implacabile anche a voler ingoiar fuoco.

Strinse gli occhi e respirò l'aria inquinata come fosse l'ultimo boccone di vento pulito nell'universo, poi si alzò e mosse un passo deciso su quel campo di battaglia incorniciato da una città morta in fin troppi sensi.

Londra.

Londra che continuava a vivere, seppur morta, anche senza quei due fottutissimi sociopatici – Londra che dormiva decisamente più tranquilla, a quel punto, quello era poco ma sicuro.

Un piede davanti all'altro, misurò ogni centimetro, contò ogni battito.

Anche l'ultimo, poteva sentirlo. Tu-tum, tu-tum, tu- crack. Fine del gioco, zero pari, niente supplementari e tutti a casa.

E così era rimasto solo. Un assistente senza il suo assistito da seguire. Un falco senza ali per volare. Una luce senza notte da illuminare. Una voce che nessuno ascolterà. Bella cagata.

Se n'erano scordati tutti, man mano, del suo uomo. Il suo uomo, quello che una volta era il suo uomo mentre ora era semplicemente il suo uomo, morto. E quelli che non se ne erano scordati ne parlavano male, passandosi di mano in mano un coltello piantato a fondo nel suo stomaco che non aspettava altro che essere spostato, girato, tolto e riaffondato,a quanto pareva.

Ancora se lo vedeva davanti – pallido, a fissarlo con occhi senza vita, il sangue a formare curve eleganti attorno a lui, le labbra ancora così rosse che sembravano essere lì lì per schiudersi e dirgli qualcosa, e baciarlo, magari. Avrebbe voluto abbracciare quel corpo e rimanere lì fino a vederlo diventare cenere, come fece una donna che, in Afghanistan, si vide morire davanti il suo bambino e rimase lì, a tenerlo in braccio, a piangere ed a farsi morire di fame. Non ci fu verso di portarla via, e lui era sicuro che non si sarebbe mai dimenticato di quella scena come di tante altre, se possibile peggiori, anche se quella ne batteva molte.

E dire che ne aveva visti tanti di cadaveri – eppure non pareva mai essere abbastanza. Voleva di più, non riusciva più a reggerlo, voleva il sangue, non voleva la vendetta, voleva il riscatto, voleva essere salvato per poi essere rigettato di nuovo nell'adrenalina liquida, voleva la verità, voleva altre bugie, voleva la salvezza – ma a modo suo, voleva la morte di quell'egocentrico assassino che lo aveva strappato alla vita che gli aveva ridato la vita. E dire che ai suoi occhi era parso tutto così inutile, finirla così, una cosa che tanto li divertiva, un gioco che li appassionava, che li teneva attaccati alla vita anche se non lo erano mai stati veramente.

Era un gioco, uno stupido fottuto gioco in cui lui non era stato calcolato. Lui, che non era solo un soldato, una pedina, ma anche un compagno, un assistente, un amico, forse, chi lo sa.

Si passò una mano tra i capelli chiari, azzurro sporco di sangue a fissare, lontano, il nulla. Le spalle leggermente curve a sopportare tutto quel peso senza che nessun generale lo obbligasse a non fare la femmina che anche le femmine stanno più dritte di te.

Mosse qualche altro passo all'indietro, fissando una macchia rossa incrostata sul pavimento, rimossa solo in parte dal cemento ma mai totalmente dalla sua memoria.

Salì sul cornicione, senza tentennare, e guardò giù.

Più o meno in quello stesso punto, era stato. Sospeso per qualche secondo come un panno ad asciugare al sole dell'alba, una banconota che vola via, una bandiera che rappresenta le idee e il credo di un solo individuo nel mondo. Gli avrebbe voluto sparare, in quel momento, un colpo non mortale che lo avrebbe fatto fermare, a dire che sto combinando, una cosa del genere. Non lo aveva fatto. Lo avrebbe voluto ammazzare con le sue stesse mani, almeno, e non lasciarglielo fare da solo.

Una morsa allo stomaco, una fitta al cuore. Gli occhi stretti, a non lasciar passare l'anima che tentava di buttarsi giù. La tentazione di saltare c'era – oh, eccome se c'era – ma aveva una persona da aspettare, avesse dovuto farlo per tutta la vita, non sarebbe morto prima di esserselo trovato davanti almeno una volta.

Scese dal cornicione, dal tetto, dai ricordi e dalle tentazioni. Provò a scendere da sé stesso, ma non ci riuscì.

Allora salì su un taxi.

«221b Baker Street». Tanto valeva portarsi avanti con il lavoro, no?

Una porta nera fin troppo conosciuta. Lettere dorate. Odio, odio profondo e vero, sotto la pelle. Voglia di ricominciare – ricominciare ad odiare, però, come prima, più di prima.

Dito sul campanello, una calma quasi impropria. Gli aprì un uomo, un soldato, la schiena rigida e l'atteggiamento mai sfumato di portare rispetto ad un superiore inesistente, ma con l'espressione di un campo di battaglia, gli occhi della guerra e le labbra dell'amore. Per un attimo rimase affascinato dalla sua straordinaria ordinarietà, dal fracasso della lotta che si portava dentro e che tutti potevano sentire e riconoscere ma non fare loro, dallo sguardo fermo e dalle mani tremanti. Rimase affascinato dalla spalla contratta e dal bastone a sopperire le mancanze, dal mento alto di chi prende a testate chi è contro chi ama ma non chi è contro di lui, dagli occhi cerchiati di odio per sé stesso e rabbia per gli altri.
Ma soprattutto rimase incantato, proprio, una cosa che lui non credeva più di poter fare, incantarsi, rimase incantato da come era evidente che fosse stato salvato anche lui, ma in un modo totalmente diverso eppure perfettamente identico. Non erano simili, erano uguali.

Fece il saluto militare, in un gesto che sapeva di vecchie emozioni.

«Capitano John Hamish Watson, Quinto Corpo Fucilieri del Northumberland? So che non mi conosce, ma ho qualcosa da dirle. Sono il colonnello Sebastian Moran. Ho sentito tanto parlare di lei».

Ricevette il saluto militare, in un gesto che sapeva di un rispetto che non meritava.

 

 

«Scusi la franchezza, ma... lei non era morto?», chiese John, porgendo la tazza di the al soldato seduto davanti a lui. Teneva le gambe leggermente larghe e lo sguardo duro di chi ne ha viste troppe per sorridere anche solo per cortesia. Lo osservò con un certo interesse allungare il liquido bollente con il contenuto di una strana fiaschetta, per poi prenderne un sorso quasi inesistente. Aveva l'atteggiamento di un uomo che ha davanti tutto il tempo del mondo, e forse non era solo un'impressione.

«Cosa glielo fa pensare, capitano?», gli domandò in risposta il colonnello dopo qualche minuto di silenzio, e a John si raddrizzarono la testa e la schiena automaticamente, i muscoli tesi in risposta a quell'appellativo di cui improvvisamente si rese conto di sentire la mancanza, come quando non ti accorgi di avere sete fino a quando non stai bevendo. Sentì in lontananza l'eco degli spari, lo immaginava così bene che lo percepiva, gli sembrava di esservi stato immerso fino a quel momento, e avvertiva i suoi soldati che gli urlavano che c'è bisogno di lei, capitano. Capitano. Capitano. Capitano.

«Capitano?», lo risvegliò la voce di Moran, roca e ruvida come una roccia che non vede altro che vento e sabbia da secoli.

«Io... me lo ricordo, colonnello, come fosse ieri», iniziò, perplesso, lasciando da parte il bastone e sedendosi velocemente in poltrona nonostante la gamba gli lanciasse fitte preoccupanti, «me lo ricordo perfettamente, raccolsi la sua Dog Tag con queste mani, lei... lei era morto! Ci portarono il suo corpo, lei aveva un compagno di stanza che lo ha anche riconosciuto, me lo ricordo, era il giorno prima che mi sparassero, se non ricordo questo allora vuol dire davvero che ho perso qualche rotella».

Anche Sebastian ricordava chiaramente il giorno della sua morte.

Non pioveva una goccia d'acqua, non tirava un alito di vento. Erano soli, lui, il bolt-action posizionato ed una postazione di quelle che normalmente becchi solo se hai un culo grande quanto una casa, e lui l'aveva avuto. La battaglia infuriava lontana, ma lui era stato mandato lì a proteggere il perimetro in mancanza di altri uomini fidati, non deve passare un soldato a cinquecento metri dal perimetro, chiaro Moran?, limpido, generale, e nessun soldato lo fece, nemmeno a dirlo.

Aveva già sparato ad un paio di moribondi sacchi di carne da macello vestiti da militari quando il suo mirino si era fermato su una cravatta annodata ad un uomo che camminava verso di lui. Camminava con la calma di chi ha tutto il tempo del mondo e con l'eleganza di chi tutto quel tempo ce l'ha perché se l'è comprato. Camminava fissando la postazione del cecchino anche se Sebastian avrebbe scommesso il braccio con cui sparava meglio sul fatto di essere invisibile da quel punto. Camminava con le mani nei pantaloni costosi e con i piedi immersi zuppi nella decisione dei padroni del mondo. Camminava sorridendo – sorridendogli. Non disse una parola, non si dichiarò di una fazione particolare, non sventolò bandiere, sapeva in qualche strano modo che Sebastian non lo avrebbe sparato – non posso sprecare colpi per un miraggio, si disse infatti il cecchino, eppure continuava a seguire con gli occhi quella figura quasi ipnotica.

L'uomo arrivò alle sue spalle dopo tanto di quel tempo che a Sebastian parve un battito di ciglia. Intorno si era finalmente alzato il vento eppure non un granello di polvere aveva ancora intaccato il vestito di quell'uomo dagli occhi così scuri e così belli.

Sebastian ricordava di essersi voltato, sempre in ginocchio, e di aver alzato lo sguardo tenendosi una mano sulla fronte per proteggersi dal sole. Era così vicino da poterlo toccare, così in controluce da sembrare un dio. Probabilmente lo era.

Ti va di morire per me, colonnello?,” gli chiese, la voce del diavolo che ti promette il paradiso e tu accetti, ed infatti così andò. Afferrò la mano pulita di quell'uomo che gliela porgeva, per alzarsi, e fu come aver venduto la propria anima a peso d'oro. Appena fu in piedi – era decisamente più alto dell'altro, ma la sensazione generale di timore e rispetto non scomparve – l'altro gli passò un dito sul collo, così piano da sembrare una carezza, scoprendogli prima la maglietta e poi la pelle, per prendere la Dog Tag del cecchino e strappargliela via con un gesto netto.

Da quel momento, il colonnello Sebastian Moran per il mondo era morto, ma al servizio di Jim Moriarty si sentiva vivo come mai lo era stato in tutti quegli anni.

Gli era grato di avergli fatto conoscere prima il crimine, poi il sangue, poi il sesso e poi l'amore, ma quelli veri. E poi la morte e la follia, anche loro quelle vere.

Non disse nemmeno una parola di tutto questo a John, che continuava a tacere, rispettoso, ed a stare quasi sull'attenti, sospeso tra il dubbio di star sognando e quello di essere totalmente impazzito. Dal canto suo, più guardava quell'uomo e più pensava, quasi scherzosamente, ad una sua copia malvagia, una specie di alter ego al servizio del male. Si trattenne dal ridere al pensiero che, magari, come lui è- come lui era il braccio destro di Sherlock Holmes, magari il colonnello era quella di Moriarty. Scosse la testa dandosi dell'ossessionato,e del patetico.

«Vede, capitano, la morte non è un processo così irreversibile come sembra. La gente torna indietro così tante volte da così tanti posti che io non mi stupirei se si vedesse tornare a casa altri... amici, ecco. Sono comunque venuto a farle le condoglianze. So che ci siamo a malapena parlati, ma la mia occupazione mi ha portato ad incrociare varie volte quella del signor Sherlock Holmes, ed anche io ho perso una persona importante nella stessa situazione».

John non era certo di aver capito tutto del suo discorso, ma ugualmente sorrise, amaro, e si passò la lingua sulle labbra sistemandosi meglio sulla poltrona. «Morto per vincere uno stupido gioco portato avanti da un genio folle? Io non credo che-»

«Proprio così, capitano. Non avrei saputo usare parole più adatte», lo interruppe, e, accendendosi una sigaretta, gli sorrise. Se quello si poteva definire un sorriso, ovviamente, dato che sembrava più una presa in giro.

Quando, un'ora dopo, il colonnello Sebastian Moran lo salutò uscendo da Baker Street, John pensò che non lo avrebbe rivisto mai più, né lui né quel suo strano sorriso.

 

Vide quell'uomo decine di altre volte, nelle occasione più svariate. Dire che si frequentavano, come insinuava Greg, sarebbe stato esagerare. John diceva che si tenevano compagnia.

Vide quel sorriso solo un'altra volta, in un'unica, assurda occasione, sempre rivolto a lui.

«Addio, Holmes, accetto la sconfitta quando la vedo. Che le avevo detto, capitano, eh? La gente torna indietro così tante volte da così tanti posti...»

 

Sebastian Moran si tolse la vita tre giorni dopo, ancora nelle celle di New Scotland Yard, per dissanguamento. Sul muro, tre parole, scritta di sangue. Moriarty era vero.
 

   
 
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