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Autore: Milla Chan    20/05/2012    3 recensioni
[ Secondo episodio della serie di Buret ]
Il sorriso di Danimarca vacillò.
Si allungò verso di lui e lo prese per il polso, strattonandolo.
Norvegia barcollò, provando con tutto se stesso a starsene inchiodato al pavimento, ma lesse negli occhi blu del danese che sarebbe arrivato al punto di trascinarlo, se Nor avesse continuato ad essere tanto testardo.
-Norge.- lo richiamò ancora, scuotendolo di nuovo per il polso, come fosse stato uno stupido animale che doveva ubbidire ad un ordine. L’altro rimase immobile, sostenendo il suo sguardo.
-Smettila.-
Berwald si alzò in piedi, afferrando saldamente il braccio di Danimarca, che alzò gli occhi sorpresi su di lui e lo osservò per qualche secondo, prima di scoppiare in una risata folle.
-Sverige...- disse tra un singhiozzo divertito e l’altro, mollando però le presa su Norvegia.
Una smorfia sostituì velocemente il suo sorriso squilibrato.
-...Che cazzo vuoi?-
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Islanda, Norvegia, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Vores historie.'
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Nota:
Questa fanfiction fa parte della serie Vores Historie ed è il seguito di
Buret.
Se non l’avete letta, difficilmente capirete il senso di questa storia.
Buona lettura!

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Toc  toc.
 
Norvegia aprì stancamente gli occhi.
 
Toc toc.
 
Girò lentamente la testa verso la porta, fissandola.
Il primo pensiero che lo attraversò fu Dan. Dan, solo Dan, sempre e solo lui, qualunque cosa facesse o qualsiasi cosa pensasse.
Ma non era lui, non poteva di certo essere lui, perché lui non aveva sicuramente la decenza di bussare.
Danimarca entrava e basta, parlava, faceva quello che voleva fare, parlava di nuovo, come se non fosse mai successo niente, e rideva.
 
Toc toc.
 
-Apri…- sussurrò mentre sporgeva la mano oltre il confine del letto.
Non voleva mormorare, voleva urlare, gridare a chiunque fosse stato dietro a quella dannata porta di aprire e portarlo via.
Quel tono terribilmente patetico, lontanamente supplicante, non avrebbe mai voluto usarlo. Anche perché probabilmente era talmente basso che nessuno l’avrebbe sentito, se non la sua coscienza.

Toc toc.
 
-Apri.- ripeté, sforzandosi di essere più deciso e di parlare più forte, dopo aver tirato un profondo respiro, sentendo il cuore che accelerava.
Se ne avesse avuto la forza, si sarebbe alzato e avrebbe spalancato lui stesso quella porta, sbattendola talmente forte da romperla.
Sarebbe stato bello farlo, se non si fosse sentito avvizzito come un fiore al quale non danno acqua da mesi, faticando a stare in piedi, tanto debole che gli sembrava che il suo corpo seguisse i solchi del materasso, e non che il materasso si adattasse al suo corpo.
Assurdo Norvegia, davvero assurdo.
 
-Apri quella dannata porta…!- ringhiò infine, la testa che pulsava per l’impazienza, appoggiandosi al cuscino con la mano per riuscire ad alzare il busto.
L’uscio finalmente si dischiuse in un cigolio e la figura di Berwald, appoggiata allo stipite, proiettò la sua ombra sul pavimento.
 
-Posso…?- chiese lo svedese con un filo di voce, quasi timidamente, mettendo un piede nella stanza.
-Nessuno potrebbe, in verità.- rispose acido Norvegia, con la voce roca di chi non parla da troppo tempo, cercando un appiglio nel suo orgoglio sgretolato.
Berwald sospirò, camminando piano fino al letto ed osservando attentamente per qualche minuto il ragazzo steso a pancia in giù tra le lenzuola, un piccolo verme, il polso che ricadeva mollemente oltre il letto e il corpo nudo e graffiato.
-Non voglio il tuo aiuto.-  mentì Norvegia, guardando un punto imprecisato davanti a sé.
Ma Svezia sapeva bene che l’avrebbe detto, così come sapeva che non era affatto ciò che pensava veramente.
Non poteva ignorare la sua voce tremante, non aveva potuto evitare di immaginare tutto ciò che accadeva in quella brutta stanza.
Non poteva più lasciar perdere tutto, sarebbe stata una cosa orribile, lui si sarebbe sentito in colpa e tutto sarebbe andato di male in peggio. Si dava dello stupido e dell’egoista per aver pensato per così tanto tempo che non stava succedendo nulla di grave, o che almeno si sarebbe risolto tutto presto, che Danimarca sarebbe tornato quello di prima e sarebbero stati di nuovo una famiglia, come ai primi tempi, come in fondo tutti desideravano.
 

-Danimarca è pazzo.- disse piano, come a dar voce ai suoi pensieri, allungando una mano verso di lui e passandogliela tra i capelli, spostandogli dalla fronte dei ciuffi fastidiosi. –Non devi vergognarti, Norvegia.-
 

-…Fallo smettere.- sussurrò dopo un lungo silenzio, tentando di mantenere un’espressione distaccata, che però sfociò in una smorfia piena di dolore. Si coprì il volto con le mani, detestandosi per aver lasciato che la situazione diventasse tanto irrimediabile.
Berwald tirò un profondo sospiro, alzando con delicatezza il ragazzo a sedere per poi chinarsi e prenderlo in braccio, tenendolo avvolto nell’ampio lenzuolo, sporco e chiazzato di qualcosa che, con tutta probabilità, pensò Svezia, era sangue.
Era talmente leggero che non gli sembrava neanche di starsi sforzando a sollevarlo. Forse l’unico peso effettivo era quello sulla sua coscienza.

Il respiro di Norvegia tremava, teneva le mani chiuse contro il petto e il collo reclinato in avanti, forse a voler coprire la propria patetica faccia, o i segni rossastri e le striature violacee sul collo e sul petto.
Fu portato fuori dalla stanza, mentre nella sua mente una voce, urlando, chiedeva perché nessuno fosse mai venuto ad aiutarlo prima di allora, perché nessuno lo avesse ancora sottratto da tale orrore, perché l’avessero lasciato lì tanto a lungo e si fossero resi conto di tutto forse troppo tardi.
 
-...Va tutto bene...-
-Bugiardo.-

Svezia camminava per il corridoio, tenendolo stretto a sé, stando ben attento a non fargli male. Lo vedeva livido ed acciaccato, esattamente come una mela che ti sfugge dalle mani e cade per terra, ma consapevole che gli facesse molto più male il cuore che non il bacino o il resto del corpo.
 
-Noregur!- la vocina di Islanda risuonò lungo il corridoio.
Norvegia alzò la testa e Berwald si fermò.
Il bambino corse loro incontro, prendendo con le mani il lenzuolo che strusciava per terra e alzandosi sulle punte dei piedi mentre gli sorrideva.
Svezia si inginocchiò, appoggiando lentamente il ragazzo per terra, affianco al fratellino.
Lasciandogli una carezza sul viso, Norvegia provò a rispondere a quel sorriso innocente.
-Non ti vedevo da tanto, Nore…- continuò, passandogli le braccia attorno al collo e abbracciandolo più forte che poté.
Il ragazzo si morse le labbra, passandogli la mano tra i capelli chiari. Non aveva neanche più la concezione del tempo. Forse stare giornate intere passate ad aprire e chiudere negli occhi nella speranza che tutto fosse solo un lungo, lunghissimo incubo, stava diventando davvero troppo atroce per essere sopportato ancora.
 

-…Che cos’hai?- pigolò improvvisamente, sedendosi sul pavimento tra i due uomini e appoggiando la testolina sulla spalla del fratello.
Norvegia aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Islanda lo guardava con una nota di preoccupazione, ma la cosa più spaventosa alla quale avrebbe potuto pensare era un’influenza, non certo una situazione tanto complessa.
-...Racconta un po’ a Norge le belle cose che hai fatto ieri…- azzardò Svezia con tono tranquillo, sicuro che sviare il discorso avrebbe giovato a tutti e sapendo quanto fosse importante, per Norvegia, incominciare a svagare la mente.
-Sì!- il volto del bambino si illuminò ed iniziò a gesticolare, profondamente deciso a far capire ogni singolo dettaglio di ciò che avrebbe detto –Sì, sì, Nore, non ti immagini! C’erano dei sassi bellissimi e allora io…-
-Oh!-
Tutti e tre alzarono la testa.
-Ma che bella famigliola, posso unirmi anch’io?-
Dan camminò con lentezza verso di loro, con un sorriso infantile stampato sul volto macchiato di sangue.
Norvegia si sentì l’aria mancare, vedendolo, e vedendo l’abbraccio affettuoso che gli diede Islanda quando gli corse incontro, come se fosse un gesto quotidiano e non gli importasse di sapere cosa avesse fatto nella giornata, come se non gli importasse di vederlo coperto di sangue e come se non vedesse la sua espressione che lasciava trasparire una mentalità distorta.
 
-Norge.-
Quella voce lo risvegliò dai suoi pensieri, ritrovandosi così a fissarlo con le braccia strette attorno alle gambe. Gli aveva parlato con tono talmente basso che gli sembrò di rabbrividire.
-Andiamo, Norge, non vuoi restare qui.- gli disse sorridendo, mentre muoveva qualche passo verso di lui. Ma non aspettava una risposta, non era neanche una domanda, quella.
Come se lui sapesse perfettamente ciò che voleva, come se Norvegia non avesse voce in capitolo, nemmeno per decidere di se stesso.
Che quel sorriso di Danimarca fosse falso, Nor lo sapeva già, oltre alla voce che lo tradiva, i suoi gesti che lo tradivano. Era nervoso, nervoso perché Nor non era con lui, non avrebbe voluto perdere tempo prezioso stando lì a pregare Norvegia di venir via con lui, era nervoso perché Berwald era lì con il suo vizio preferito e lui non sapeva cosa fosse successo prima del suo arrivo.
Norvegia fissò la mano ruvida tesa verso di lui e scosse la testa.
 
Il sorriso di Danimarca vacillò.
Si allungò verso di lui e lo prese per il polso, strattonandolo.
Norvegia barcollò, provando con tutto se stesso a starsene inchiodato al pavimento, ma lesse negli occhi blu del danese che sarebbe arrivato al punto di trascinarlo, se Nor avesse continuato ad essere tanto testardo.
-Norge.- lo richiamò ancora, scuotendolo di nuovo per il polso, come fosse stato uno stupido animale che doveva ubbidire ad un ordine. L’altro rimase immobile, sostenendo il suo sguardo.
-Smettila.-
Berwald si alzò in piedi, afferrando saldamente il braccio di Danimarca, che alzò gli occhi sorpresi su di lui e lo osservò per qualche secondo, prima di scoppiare in una risata folle.
 

-Sverige...- disse tra un singhiozzo divertito e l’altro, mollando però le presa su Norvegia.
Una smorfia sostituì velocemente il suo sorriso squilibrato.
-...Che cazzo vuoi?- sibilò tra i denti, guardandolo con gli occhi di chi sta seriamente perdendo la pazienza.
Svezia contrasse per un attimo i muscoli della fronte, sicuro che quella storia non sarebbe finita in modo pacifico.
 
Norvegia si tirò su, barcollante, non staccando nemmeno un secondo gli occhi dai due uomini di fronte a sé, pronti ad attaccarsi come due bestie selvatiche. Deglutì, lanciò una fugace occhiata al fratellino, ancora seduto per terra, con gli occhi increduli e lucidi. Lo prese faticosamente in braccio ed indietreggiò di qualche passo.
 
Sgranò gli occhi ed iniziò a correre quando Danimarca prese Berwald per il colletto, tirandolo verso di sé con un ringhio.
 
Corse più veloce che poté lungo i corridoi, tutti terribilmente uguali, lunghi e stretti, non sapendo neanche dove stesse andando, temendo di collassare da un momento all’altro perché tutto girava vorticosamente attorno a lui, sapendo bene che non avrebbe potuto continuare a lungo. Le gambe gli sarebbero cedute a breve.
Voleva cambiare tutto, rimediare, ma per ora non poteva fare altro che scappare, girando in tondo per quella casa enorme.
Sentiva il bambino tra le braccia piangere ed aggrapparsi al suo lenzuolo, sentiva nelle orecchie il proprio respiro affannoso e il battito del cuore, troppo veloce, sentiva la voce di Danimarca chiamare il suo nome lontano e l’ansia che gli chiudeva la bocca dello stomaco.
Si fermò più volte a prendere fiato, guardando preoccupato dietro di sé.
Che cosa stava facendo, dove pensava di andare?
Si lasciò sfuggire un gemito, accasciandosi per terra, decisamente sfinito, continuando a stringere Islanda e sentendo i passi pesanti di Danimarca rimbombare per i corridoi.
-Corri a cercare... Corri da Tino.- gli disse ansimante, allentando l’abbraccio. –E non... Non guardare indietro. Intesi?-
Il bambino lo osservò con gli occhi e le guance arrossate, passandosi una manina sulla faccia per togliere le lacrime. –...Dove sono pabbi e Sve?-
-Ehi, ehi... Va tutto bene.- gli sorrise debolmente, baciandolo in volto e accarezzandolo piano per tranquillizzarlo.
-Stiamo... Stiamo giocando a nascondino. Io non riesco a correre, sono vecchio. Ma tu vedi di non farti prendere, okay? Altrimenti pabbi poi ti fa il solletico.-
Islanda annuì convinto, attento ad ogni parola del fratello e prendendola per oro colato, iniziando subito a correre, sparendo dietro ad una parete.
 
-Norge!-
Con un tempismo perfetto, Dan sbucò dal fondo al corridoio.
Norvegia, ancora con il respiro pesante, girò indietro la testa, vedendo il danese ripulirsi dal sangue, per spalancare poi le braccia e camminare un po’ più veloce per raggiungerlo.
-Perché sei scappato?- gli sorrise apertamente, prendendogli la testa con entrambe le mani e tirandola verso di sé, baciandolo quasi con violenza.
-Dov’è Sve?- sussurrò, provando a mantenere un tono fermo nonostante i polmoni gli bruciassero.
-Perché chiedi di lui dopo che sono stato  tutto il giorno fuori casa?- mormorò dispiaciuto, passandogli le mani attorno al busto e tirandolo su.
Norvegia sentiva di non poter restare in piedi. Se Dan l’avesse lasciato, lui sarebbe semplicemente caduto di nuovo a terra come una bambola. Starsene con i piedi che strisciavano contro il pavimento non era certo una bella sensazione, ma non aveva davvero la forza di rimanere saldamente fissato a terra. Gli girava la testa e iniziava a vedere nero, aveva le vertigini e la nausea, gli pareva che il petto sarebbe scoppiato da un momento all’altro.
 
Dan lo strinse forte contro di sé in un qualcosa che risultò essere un goffo abbraccio.
-Non rispondi, Norge?-
L’altro si limitò a respirargli sul collo, chiudendo piano gli occhi, le braccia molli lungo il corpo cinto dal danese.
Lo dondolò un poco, restando sul posto, non rendendosi davvero conto di quanto Norvegia si sentisse male.
-Ti amo da impazzire.- sospirò, come un bambino che finalmente torna a stringere uno dei suoi giocattoli preferiti dopo tanto tempo.
-...Sei già impazzito.- riuscì a sibilargli vicino all’orecchio con una punta di odio e rabbia, aggrappandosi con le mani al suo cappotto fradicio e zuppo. –...E non te ne rendi conto.-
Dan colse perfettamente quell’inclinazione di voce e irrigidì i muscoli della faccia. Qualcosa sembrò spezzarsi, nell’atmosfera attorno a loro.
Norvegia si sentì scivolare a terra, dopo che Dan allentò la presa su lui.
Nel profondo, sperò davvero di arrivare a perdere i sensi. Sarebbe riuscito a rilassarsi, per una volta dopo chissà quanto tempo.
Sperò che il suo corpo decidesse di averne avuto abbastanza, e altrettanto facesse la sua mente; sperò di riuscire a lasciarsi andare, per poi svegliarsi e trovare tutto al proprio posto, come se non fosse mai successo nulla e nessuno si ricordasse niente, lui compreso.
 

-Non è vero.- disse con voce roca Danimarca, guardandolo con un’espressione talmente seria e terribile che, se l’altro fosse riuscito a vedere tutto distintamente, l’avrebbe veramente spaventato.
-Non sono pazzo.-
 

Norvegia sentì altri passi, come se avesse la testa imbottita di ovatta.

-Se questa non è pazzia, dimmi tu che cos’è.- mormorò una voce che, alle orecchie di Norvegia, sembrava davvero Svezia.
-Dan, pensi che con tutte le volte che ci siamo presi a pugni, proprio questa volta avrei dovuto lasciar perdere?-  continuò imperterrito lo svedese, passandosi il dorso della mano in faccia per togliere il sangue che scivolava lungo il volto da un taglio sotto l’occhio.
Danimarca indietreggiava a mano a mano che Svezia gli si avvicinava, tenendo gli occhi blu spalancati e fissi su di lui.
Norvegia, ora, si sforzava di tenere gli occhi aperti, ed era profondamente grato a Berwald, perché vedeva che, in qualche modo, Dan era rimasto scosso.
 

- Dan, guardarti, per amor del cielo. Guardaci tutti.-
 
Ci fu un momento di silenzio.
Berwald lo prese per le spalle, scuotendolo con forza.
-Svegliati, dannazione, non ti rendi conto di cosa stai facendo!-
 
-Sverige, non prendo ordini da un mio sottoposto!- rispose rabbioso, ringhiandogli in faccia e allontanandolo con un gesto secco. –Sei debole. Lo sei sempre stato. Non sei nessuno senza di me.-
 
-Chi è il debole, tra noi due...- ribatté l’altro con voce calma, tendendo le braccia lungo il corpo. –...Se tu hai bisogno di far star male gli altri per sentirti potente?-
 
Danimarca sgranò gli occhi blu, scossi, avventandosi a passo di carica su Berwald come un animale.
-No!- gridò, quasi con disperazione, come se non volesse credere a quelle fin troppo evidenti parole, sbattendolo contro il muro e scrollandolo.
 
-Danimarca.- lo richiamò con pazienza, prendendogli le braccia e spingendolo per terra. -...Non ti resterà nessuno, se vai avanti così.-
Camminò lentamente verso Norvegia e lo prese in braccio, cominciando ad allontanarsi.
 
-No... Norge!- gridò il danese, trascinandosi per terra ed allungando il braccio verso di lui, come se lo vedesse per la prima volta.
Si rese conto improvvisamente della scia di sangue che lasciava costantemente dietro di sé, quando girava per casa, del corpo di Norvegia che sembrava quasi martoriato. Si rese conto che ora era lui quello che strisciava.
Non voleva credere che le parole di Svezia gli avessero aperto gli occhi.

-...Tu starai sempre con me, non è vero, Norge?-
 
 
Lui non rispose, tenendo gli occhi socchiusi e respirando con fatica contro il petto di Svezia.

Non lo guardò neanche.
 


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Angolo autrice.
Dopo varie(?) sollecitazioni e un’improvvisa ispirazione, eccomi arrivata con il proseguimento di Buret!
Spero vi sia piaciuto, anche se non è proprio un lieto fine. Non è neanche un finale vero e proprio, se devo dirlo. (Lulu, perdonami! X°° )
In ogni caso, grazie per aver letto, mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensate ç*ç
Un bacio!



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