Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: Hagne    20/05/2012    2 recensioni
"Quando un Re senza trono, ridotto in schiavitù, torna alla ribalta.
Quando degli dei, infrangendo le regole, compiono una blasfemia.
Quando ciò che non dovrebbe esistere nasce, cresce e uccide.
Allora nasce questa storia.
Una storia di amore, odio, rancore, e crescita.
Perchè il confine tra bene e male è labile, precario, e non sempre ciò che sembra giusto, lo è davvero"
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“I've been dreaming for so long, 
To find a meaning 
To understand. 
The secret of life, 
Why am I here 
To try again?” 


[…]

“Will I always, 
Will you always 
See the truth 
When it stares you in the face? 
Will I ever 
Will I never free myself 
By breaking these chains? 


( Jillian – Within Temptation ) 










La monotonia di quel luogo cominciava ad annoiarla  benché,  ancora bambina,  riuscisse a trovare divertente persino il piccolo esserino che zampettava allegro tra le pareti d’oro della stanza sigillata.
 
Eppure l’aria viziata era diventata pian piano insopportabile, e se chiudeva gli occhi, dietro le pupille di luce riusciva a vedere i ricordi sbiaditi di un mondo verde, colmo di fiori, cieli azzurri e paesaggi incontaminati.
La paura dell’ignoto leniva però  la sua curiosità di bambina, perchè nascere da sola, nel vuoto e nel buio avrebbe spaventato chiunque, persino gli uomini che sentiva parlare fuori dalla sua stanza  ogni giorno.
Fu proprio nell’udire le voci di quelle creature allontanarsi che la piccola abbozzò piccoli passi, cadendo gattoni quando l’instabilità delle sue gambette non la resse abbastanza.
Emise un piccolo vagito frustrato, osservando malamente i propri arti inferiori che non si comportavano come avrebbero dovuto, anche se la naturalezza di quella caduta era attribuibile ad un semplice dato di fatto.
 
Nessuno le aveva insegnato a camminare.
Nessuno le aveva spiegato a cosa servissero le braccia e le gambe .
 
Nessuno le aveva spiegato 
cos’era. 
Chiuse gli occhi, stringendo le palpebre per richiamare alla mente i dipinti abbozzati di eventi passati che non ricordava, non sapeva di avere nella propria testa, e quando la visione di un uomo che correva venne inquadrata dal suo cervello, la bambina tornò in piedi con un certo sforzo, ondeggiando un po’ ma riuscendo a stare ritta in piedi.
 
Gli occhi misero a fuoco nel buio il riquadro più chiaro che componeva la stanza,e quando vi corse in contro, la bambina non vi sbattè come avrebbe invece dovuto.
 
Perché l’impalpabilità del suo essere la rendeva fuggevole come un soffio d’aria fresca, e quando il lungo corridoio deserto accolse i suoi piedini nudi e gelati, nessuno sembrò far caso a lei.
 
Lo strano odore sgradevole della prigione era scomparso, sostituito da una frescura che solleticava le ciocche che si inanellavano sul petto della bambina, curiosa e attratta dal colore sgargiante delle pareti d’oro e argento.
 
La piccola non sapeva come si chiamassero quei grandi pilastri che sorreggevano lo strano soffitto, ne conosceva i nomi abbozzati dalla sua mente, ma non ne comprendeva il significato,  il
 perché, né capiva perché quel luogo continuasse ad essere così buio, freddo e sgradevole. 
Lei aveva visto prati verdi, fiori e acque cristalline, ma la solitudine di quella gabbia dorata sembrava diramarsi all’infinito, quasi non vi fosse mai una fine a quel lugubre senso di abbandono.
 
Si era liberata da un luogo stantio e dall’odore di chiuso per ritrovarsi in una prigione un po’ meno stretta, soffocante, ma ugualmente oppressiva . Nel girovagare con lo sguardo poi,  gli occhi le caddero sull’unico punto di luce che si riusciva ad intravedere in fondo a quella lingua d’ambra che si lanciava davanti a lei, ma quando la lanterna mostrò l’ombra ondeggiante di una figura enorme e grottesca,  la bambina si sentì assalire da una strana sensazione.
 
Un bizzarro senso di smarrimento che la faceva sudare freddo e perdere colore al viso mano a mano che quella figura avanzava verso di lei.
In  uno slancio di quello che la sua mente catalogò come 
“paura" si diresse a passo svelto verso una parete, gettandovisi dentro quando una voce d’uomo la portò a piagnucolare per lo spavento. 
Attraversò porte, caracollò per una lunga scalinata a chiocciola che discendeva come un serpente di pietra fin alle fondamenta delle prigioni, e quando, con un ultimo sforzo, si gettò all’interno di una stanza buia  ma separata all’esterno da lunghe sbarre baluginanti, il buio la inghiottì,
di nuovo .
Lì faceva più freddo che lassù , dove era abituata a dondolarsi in attesa che qualcosa accadesse.
 
E l’unica luce presente era generata da  quelle strane aste che la bambina osservò dall’angolo della stanza con una certa diffidenza.
 
Perché non sapeva cos’erano.
 
Non conosceva la loro derivazione, la loro causa o l’effetto, come la maggior parte delle cose che la circondavano.
 
Era ignorante sulla funzionalità dei suoi stessi arti, sul perché udisse un sonoro
 tum-tum  echeggiarle nel petto.    
E la paura era stata la prima emozione che l’aveva fatta sentire strana, accerchiata, braccata.
 
Gattonò sofficemente per qualche metro, storcendo la bocca rossa nel sentire sotto il palmo della mano un tessuto ruvido, ma non come, secondo i suoi ricordi, sarebbe dovuto essere il pavimento di una stanza.
 
Con le piccole dita tastò il terreno, riuscendo con un certo stupore a stringere nella manina il pavimento, e quando sentì la terra tremare sotto i suoi piedi alzò d’istinto il viso, incrociando nel buio dell’angolo due punti luminosi, fluorescenti come le sbarre,  ma di un azzurro ghiaccio che faceva
 “paura”. 
La curiosità riuscì per un momento a smorzare la sensazione di panico, ma quando quei punti luminosi si strinsero in sottili linee di vento freddo, la bambina lanciò un piccolo urlo, rintanandosi nell’angolo opposto e coprendosi il viso con le manine tremanti.
 
Divenne buio pesto, perché le sbarre si erano spente come candele, e l’unica fonte di luce continuavano ad essere quei punti azzurri che la piccola fissava tra le dita gelate.
 
Erano tornati alla loro forma normale, tondi e un po’ allungati sui lati, e sebbene le aste avessero perso il loro colore accecante, la piccola si sorprese di notare qualcos’altro oltre ai puntini luminosi.
 
Vide due braccia conserte, catturate da uno strano oggetto che sembrava fargli male ai polsi legati.
Scorse anche un paio di gambe come le sue, anche se un po’ più lunghe, abbandonate sul pavimento morbido che qualcosa nella sua testa catalogò come
“mantello”. 
E se guardava un po’ più sù, riusciva persino a scorgere una testa.
 
Non sapeva come si chiamassero le altre parti del viso, ma tastando il proprio capì che lui era come lei, anche se una strana
“cosa" gli copriva la bocca, nascondendo parte del “naso ?" , non ricordava bene come si chiamasse in realtà. 
Eppure riusciva a vederlo, e presto scoprì, con un certo stupore, che era
 lei  ad essere diventata luminosa come le sbarre, ed era sempre lei ad illuminare la creatura. 
Battè le manine tra di loro, per vedere come funzionasse quello strano alone colorato che la circondava, e quando al contatto delle sue
 “dita “ uno strano sfrigolio generò piccoli bagliori chiari pigolò una risata deliziata. 
Ci mise un po’ a stancarsi di quel nuovo gioco, ma lo sguardo di quella creatura fisso su di lei la portò nuovamente a guardarlo con una punta di curiosità.
 
Era molto più grande e alto visto come occupava la maggior parte dell’angolo, mentre lei a stento ne ricopriva metà, ma non sembrava particolarmente interessato a lei, perché chiuse i punti luminosi e piegò il mento sul petto, indifferente.
 
Qualcosa si agitò nel suo petto, una sensazione di fastidio che la portò ad alzarsi con le manine chiuse in pugnetti, ma quando una voce bassa e calda si intrufolò tra di loro, la bambina smise di irradiare luce e tornò ad osservare le sbarre nuovamente riaccesesi.
 
La voce tornò ad echeggiare tra le pareti, ma ancor prima che la creatura potesse svoltare l’angolo  lei era già scappata via, intimorita e spaventata, oltrepassando nuovamente le pareti per tornare al sicuro nella sua prigione buia.
 
Perché lì nessuno parlava,
 era sola, e poteva di nuovo sentirsi al sicuro. 
Tornò a battere le manine tra di loro, e quando nuovamente quella luce colorata tornò ad avvolgerla  la bambina sorrise tra sé e sé, lanciando occhiate curiose alla parete.
 
Perché aveva imparato cos’era una bocca, un naso e delle gambe.
 
Aveva imparato a correre e ad 
“accendersi” ma soprattutto, aveva imparato la sua prima parola.
Quella che la voce bassa e calda aveva lamentato con una punta di rammarico.
 
“Loki”.
 









 

°°°





L’
”ostinazione” e l’ ”audacia” furono rispettivamente la seconda e la terza sensazione che lei imparò. 
Ostinata nel tornare, ogni giorno, a far visita alla creatura dai punti luminosi, audace nell’affrontare i pericoli dei corridoi e delle creature parlanti che girovagavano per le prigioni.
 
L’abitudine di accovacciarsi nell’angolo e fissare l’essere con la strana
 “cosa” in viso l’aveva portata ad abbandonare con sempre più frequenza la sua stanza   per saggiare altre sensazioni che generavano altri  tum-tum  nel suo petto. 
Trovava divertente il modo in cui quel suono tornava a ripetersi più velocemente ogni qual volta osservava la creatura, quasi fosse
“emozionata” nel rivedere quello che qualche notte fa  il suo cervello aveva chiamato“ amico”. 
“Amico”.
 
Quella parola l’aveva tenuta sveglia notti intere, aveva occupato i suoi pensieri e incuriosito la sua mente  sempre affamata di nuove risposte, di nuovi quesiti.
 
Aveva imparato due parole nuove, e tutto grazie alla
 creatura. 
Qualche volta si metteva in un cantuccio e alzava due dita per ripeterle e memorizzarle, affinchè non dimenticasse quanto imparato.
 
E ogni qual volta la sua bocca si lasciava sfuggire un
 “Loki amico”, la strana creatura la guardava con una certa fissità prima di tornare a distogliere lo sguardo verso l’esterno della prigione.
Quel giorno il suo
 “amico”  sembrava aver perso anche la voglia di starla a guardare, e continuava a rimanere con le“palpebre”  chiuse.
Anche a lei era capitato di chiudere gli occhi, ma solo perché aveva paura di quello che la circondava, per nessun altro motivo.
 
E il pensiero che la creatura potesse avere paura come lei la fece sentire strana,
 “triste“ . 
Si allungò di poco, sfiorando con le piccole dita la fine del
 “mantello”, attenta a non “ spaventarlo”, perché neanche a lei piaceva avere paura, non le piaceva per niente. 
Il
 tum – tum nel suo petto era sgradevole in quel caso, e non voleva che il suo amico patisse lo stesso. 
Perciò gli gattonò accanto con cautela, osservando con sempre più stupore le differenze tra i loro corpi.
 
La creatura aveva braccia lunghe lunghe, e aveva anche
 “qualcosa” di nero a sfiorargli il viso.
Tornò seduta sui talloni, allungando una mano verso  ciò che lei aveva sulla testa, e quando prese tra le dita una ciocca rosa chiaro, la sua mente le venne in soccorso ancora una volta.
 
“Capelli” .
 
Sorrise sofficemente nel bisbigliare quella nuova parola, guardando i suoi
 “capelli” con una certa emozione.
Con delicatezza afferrò anche una ciocca dei
 “capelli dell’amico Loki”, accostandola alla sua e notando la differenze di tonalità. 
La creatura era tutta scura, buia come la sua prigione,
 “nera” come specificò la sua mente, ma lei aveva cominciato ad apprezzare il nero e il buio, perché le ricordava lui, e la faceva sentire al sicuro, protetta.
Tirò un po’ i suoi capelli, sbilanciandosi un poco per essere in grado di afferrare anche quelli della creatura, ma ancor prima di potergli sfiorare la guancia per raggiungere l’ultima ciocca, i punti luminosi tornarono a spalancarsi, ad accecarla con il freddo di quel colore che prima le aveva fatto paura   e che ora la faceva sbiancare per la sorpresa.
 
“Qualcosa”
 la acciuffò prima che la bambina potesse fuggire via, lo strano oggetto che costringeva le braccia di Loki a stare conserte e che ora le stritolava  la schiena in una morsa dolorosa. 
La sensazione di  paura che la assalì la portò a battere i pugnetti sul petto di lui  con forza, nella speranza di non sentire più quella cosa fredda che le gelava la schiena.
 
Ma le braccia di Loki erano ferme,
 forti, e quando  alzò il viso per chiedere scusa, gli occhi chiari di lui la immobilizzarono, portando via la sua voce e la paura. 
Perché non sembrava cattivo come le immagini sbiadite che urlavano nei suoi incubi.
 
Non la guardava con rabbia, ma si limitava semplicemente a fissarla, indifferente, ma con quella luce così
 “triste” da causare un nuovo ritmo del suo tum-tum. 
Un ritmo che però non faceva male, ma che la fece sorridere e la portò ad allungare una manina sulla guancia fredda del suo
 amico. 
La
 “cosa”  che gli celava la bocca sembrava farlo soffrire, e sfiorò anche quella, grattando con i polpastrelli la pelle sensibile sotto l’occhio, il tentativo blando e goffo di una bambina che non sapeva nulla di ciò che la circondava ma che, nonostante tutto, aveva ancora voglia di imparare, di confortare. 
Era freddo, ma non come il freddo pungente e doloroso della prigione.
 
Il suo era un freddo incredibilmente dolce, morbido come la spalla contro la quale si reggeva con una manina per non cadere.
 
Neanche le sue braccia attorno alla sua schiena le facevano male, sembravano solo reggerla, affinchè non cadesse, affinchè non si ferisse .
 
Lo cinse con le sue, di braccia, accucciandosi sul suo petto con un pigolio soddisfatto che soffocò contro il tessuto ruvido del mantello.
 
E quando, dopo un attimo di incertezza e rigidità, lo sentì sistemarsi meglio contro la parete, poggiando il mento appuntito sulla sua testa, un fiotto di
 “felicità”  le incendiò il viso. 
Si addormentò contro di lui, fiduciosa, raggomitolata dolcemente sul petto che sentiva alzarsi e abbassarsi lentamente sotto le sue dita,  che sentiva
 “respirare”. 
Dopo quella sera non fece più ritorno nella sua prigione.
Non provò neanche ad uscire dalle sbarre, si limitò a trascorrere le sue giornate ad imparare nuove cose, a fissare il suoamico Loki
 e ad osservare le differenze tra i loro corpi. 
Ed imparò altre due parole, la terza e la quarta, le più dolci, quelle che la faceva sentire felice.
“Calore” e “abbraccio”
. 







°°°








“Cambiamento”
 fu la quinta  parola che fu costretta ad imparare, e la prima che imparò ad “odiare” . 
Non perché non  le piacesse il significato, ma perché, semplicemente, la sua mente aveva catalogato la nuova lunghezza dei suoi arti con quell’unica parola, e quello non le piaceva.
Aveva  odiato fin da subito quel nuovo termine, e  l’ avrebbe voluto dimenticare, nascondere come le sue braccia e le sue gambe.
 
Perché era diventata troppo
 “lunga” per rientrare nel piccolo spazio ricavato tra le braccia di Loki, troppo "pesante"per dondolarsi sulle sue gambe, troppo "sottile" per riuscire a coprirlo come una coperta.
E lei
 odiava tutto quello. 
Odiava
 sbattere contro il soffitto, cadere ogni qual volta le sue nuove gambe, non avendo  ancora imparato che serviva un altro po’ di forza per farla stare in piedi, cedevano. 
Ma soprattutto,
 odiava essere diventata grande quasi quanto Loki. 
Lui però non sembrava esserne sorpreso, né spaventato.
 
La fissava come sempre, con la solita scintilla di finto disinteresse che col tempo aveva imparato ad “amare”
 , ed era proprio per quella parola che lei non apprezzava i suoi “cambiamenti” .   
Non poter più stargli accanto come prima la irritava, la rendeva scostante e furiosa, una sensazione che, al pari della felicità, le imporporava le guance e le incendiava il petto.
 
Ma faceva anche male, e a lei il dolore non piaceva, come la paura.
Aveva imparato anche quello però.
Distinguere cosa le
 piaceva e non, e Loki rientrava nella prima categoria. 
Si lasciò cadere con uno sbuffo frustato poco distante dall’amico, troppo concentrata ad osservare la sua mano notevolmente cresciuta per far caso al rumore fuori dalla prigione.
 
Ma quando
 quella voce tornò a chiamare la creatura  a lei di fronte, la paura tornò, feroce, a divorarle il petto.
Stava giusto per nascondersi dietro di lui quando  si accorse, con una punta di nervosismo, che chiunque avrebbe potuta notare i suoi capelli d’arcobaleno, o le sue gambe tanto lunghe anche se si fosse accucciata dietro di lui, e il terrore la ghermì.
 
Gettò un' occhiata carica di terrore all’angolo del corridoio, sentendo le gambe tremare per la paura quando qualcosa la tirò giù con forza, e il buio la avviluppò come una calda coperta.
 
La sorpresa lasciò spazio al viscido senso di panico che la fece raggomitolare sotto il mantello con il quale Loki l’aveva coperta, attenta a non fare troppo rumore.
 
Perché era schiacciata contro Loki, nascosta dal suo mantello,  ma un singolo movimento avrebbe potuto tradire entrambi, e la sola possibilità di essere scoperta da quelle creature parlanti la immobilizzò.
 
- Quando la smetterai di fissarmi a quel modo fratello? Per quanto ancora intendi odiarmi? – soffiò amara la voce che tempo addietro le aveva consentito di imparare la sua prima parola.
 
Divenne curiosa, improvvisamente, perché era la prima volta che sentiva qualcuno parlare, e il modo in cui quel suono vibrava nell’aria, nelle sue orecchie,  la sorprese piacevolmente.
 
- Tutto il tempo che sarà necessario – fu la secca risposta di una voce più fredda, appuntita e tagliente.
 
Il timbro gelido che sentì vibrare nel petto sul quale poggiava l’orecchio.
 
A quel punto non potè impedire a se stessa di sgranare gli occhi e far scattare, in un gesto nervoso, il proprio braccio verso l’alto.
 
Le braccia di Loki però furono più veloci di lei.
 
Con un movimento alquanto doloroso la cinse con le proprie manette, bloccandole ogni movimento e costringendola a ricercare nuovo spazio tra le sue braccia, per non destare troppi sospetti.
 
Ma non era la paura di essere scoperta a ghiacciarle il respiro, bensì una nuova sensazione che non aveva avuto ancora la possibilità di sperimentare, una sensazione che  avrebbe preferito non conoscere.
 
Sentire gli occhi pungere non le piaceva.
 
Avere il respiro ansante e la gola secca non le piaceva.
 
La
 “delusione” non le piaceva. 
Perché Loki sapeva parlare, ma non aveva mai sentito il bisogno di farlo con lei, lei che voleva imparare a farlo, lei che voleva conoscere nuove cose, ma soprattutto , volava sapere più cose su di lui,
 di lui.
- Hai avuto molto tempo per pensare alle tue malefatte. Non sei ancora riuscito a capire che il tuo desiderio di vendetta non porterà mai a  nulla di buono?
 
Lo sentì contrarsi sotto di sé,
 “irrigidirsi” le consigliò la sua mente prima che Loki tornasse a rilassarsi sotto le sue dita. 
- Non è il buono che ricerco, fratello, ma il potere, solo questo.
 
- Vedo che il fatto di aver perso il Tesseract e la battaglia non ti abbiamo scalfito minimamente.
 
Qualcosa nella sua testa prese ad urlare, forte, sempre più forte, tanto da costringerla a rilasciare un gemito che Loki fu lesto a soffocare contro il proprio petto, schiacciandola con le manette.
 
Un lungo silenzio seguì le sue parole, e quando il rumore di passi che si allontanavano portò  l’uomo ad allentare la presa, lei fu abbastanza veloce da trascinarsi via e tornare ritta, con il viso rivolto alla parete.
 
Non si voltò, non ne ebbe la forza, si limitò solo a gettarsi contro il muro e sparirvi dentro, confusa da quel vortice di immagini che alla frase della creatura parlante si era materializzato nella sua mente.
 
Quando fu finalmente al riparo, nella sua prigione, diede un piccolo colpetto alle mani , osservando l’alone di luce per un breve attimo, per
 “riscaldarsi” . 
Perché quel freddo non le piaceva, non la faceva sentire al sicuro, ma le faceva paura,
 come la prima volta. 
Aspettò qualche altro attimo prima di far ripiombare la stanza nelle tenebre, osservando con occhi lucidi l’esserino zampettare per le pareti della prigione.
 
Ma quella volta non lo trovò divertente, non vi riuscì.
 
E chiuse gli occhi, perché aveva paura, e perché voleva solo tornare a sentire il vuoto,
 il nulla, e non quella voce che avrebbe potuto parlarle, ma che non lo aveva fatto . 
Si addormentò per la prima volta senza sapere come avesse fatto, incurante dell’ombra al di fuori della porta  e di quello sguardo azzurro, indurito dal presentimento, che aveva visto quell’unico sprazzo di luce blu saettare in una stanza che, secondo le regole, sarebbe dovuta essere inghiottita dal buio.
 
Sempre .
 





Continua…



Ringrazio tutti per coloro che hanno letto. L’ispirazione è venuta all’improvviso per questo capitolo, e spero sia venuto bene, e che la storia non stia prendendo una piega sbagliata.
 


-
 Anastasiya Rajikova : Innanzitutto, amo il tuo nick, davvero. Ti ringrazio per il commento  e per le tue belle parole, ero sicura che nessuno lo avrebbe fatto,ad essere sinceri. Spero che questo capitolo non abbia deluso le tue aspettative. Un saluto caloroso!

Al prossimo aggiornamento, Gold Eyes.  

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Hagne