Serie TV > Castle
Ricorda la storia  |      
Autore: AlwaysReading    20/05/2012    5 recensioni
Piccola one shot venuta in mente dopo aver visto uno spezzone dell'episodio 3.24 Knockout
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Roy Montgomery
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Forgiveness

Sono stanco.
E questo, al momento, pare essere il mio unico pensiero.
Per intere notti non ho fatto altro che fissare l’immacolato soffitto della mia camera,
rimuginando sull’ennesimo caso di omicidio a cui New York ha fatto da scenario.

Un’altra madre che non potrà più stringere fra le braccia la propria figlia,
un altro padre che si tormenterà nel ricordo della propria creatura violata.
Ed una ragazza di appena 25 anni che non potrà più assaporare il calore del sole sulla pelle, la tenerezza di una carezza sul viso.

Sospiro a lungo, passandomi una mano sugli occhi e poi fra i corti capelli, cercando di riprendere un briciolo di lucidità per potermene tornare a casa,
dalla mia famiglia, al tepore del camino scoppiettante nel salone.

Raccolgo e riordino le innumerevoli pagine sparpagliate sulla scrivania, sistemandole con cura all’interno della cartellina gialla.

Firmo in calce l’ultimo foglio, e lascio che le mie dita scorrano lentamente sulla carta ruvida.

Un’altra storia chiusa.

Un’altra battaglia vinta.

Ma la lunga esperienza mi ha insegnato che l’appagamento di un caso risolto non riesce mai ad esser completamente pieno …
è come un flebile bagliore che, inevitabilmente, si disperde all’interno di un’enorme caverna scura: domattina altre foto riempiranno il mio studio,
nuove immagini torneranno a popolare le mie notti insonne, un’altra famiglia piangerà la prematura scomparsa di una persona amata.

Pian piano ti rendi conto di star lottando contro un nemico senza forma, al quale non c’è modo di mettere catene.
Noi poliziotti combattiamo contro il male, e ci alimentiamo di quella sola pace che possiamo dare alle vittime ed ai loro cari.
E così sarà all’infinito.

Chiudo la porta del mio ufficio e lascio che la quiete notturna del XII mi accompagni lungo la strada.

L’ambiente è appena illuminato dall’instabile luce di un pallido neon, che con il suo ronzio persistente satura lo spazio circostante .

Tutti hanno abbandonato la propria postazione, ed il distretto è ormai completamente vuoto.
Percorro il lungo corridoio, scandendo i secondi con i miei passi lenti e misurati,
fino a quando non sopraggiungo alla porta dello schedario.

Rivolgo un’ultima occhiata al fascicolo giallo che stringo nella mano, prima di entrare in questa grande stanza che,
come uno scrigno, custodisce la storia di migliaia di vittime.

Il flebile bagliore di una lampada mi coglie alla sprovvista: a quanto pare non sono l’unico stacanovista a popolare questo triste posto.
Silenziosamente avanzo verso la sorgente luminosa, e ci metto qualche secondo per focalizzarmi sulla sagoma sottile che mi da le spalle:
sta seduta su una sedia scomoda ed all’apparenza instabile, mentre stringe una torcia gialla in una mano sottile.

“Lavoriamo fino a tardi, detective?” dico a voce alta, sorridendo al diabolico pensiero di far spaventare questo giovincello sbarbato alle prima armi..

Vedo le spalle della persona a me di fronte sussultare di colpo.
Si solleva rapidamente dalla sedia per poi voltarsi di scatto, fissandomi pietrificata.

Decine di pagine e foto si rovesciano sul pavimento, e vengo per una attimo distratto dal lento scivolare della carta sulle mattonelle scure.

Sollevo poco dopo gli occhi, e per una attimo ho l’impressione di star sognando.

E’ una ragazzina di appena vent’anni quella che ho di fronte.

Capelli corti e scuri le incorniciano un volto pallido e magro, dai lineamenti delicati e perfetti.
Due grandi occhi verdi mi scrutano preoccupati, mentre stringe nervosamente il labbro inferiore fra i denti perlacei.

Indossa una divisa di agente semplice, e decisamente non dovrebbe essere qui, a quest’ora della notte, a rovistare fra i casi di omicidio.

“Chi diavolo è lei? E cosa ci fa qui?” dico a denti stretti, furioso ed incredulo.

Lei mi degna appena di uno sguardo, prima di inginocchiarsi a terra per raccogliere le scartoffie prima scivolate.

Risistema tutto nella cartella con meticoloso ordine, per poi rialzarsi e tornare a fissarmi negli occhi, questa volta con determinata tranquillità.

Mi avvicino minacciosamente verso di lei, come se volessi investirla con la mia autorità …
eppure non si smuove, continua a guardarmi circospetta ed immobile.

Mi accorgo del suo nervosismo soltanto quando la vedo deglutire a fatica, la mandibola contratta e le labbra serrate.

“Le ho fatto delle domande, agente. Ed esigo che lei mi risponda. Ora.”
Le alito contro, e per la prima volta l’osservo vacillare.

Abbassa lo sguardo sul plico che stringe al petto,
e che senza troppi complimenti non tardo strapparle dalle mani.

Sfoglio rapidamente le pagine, e per un momento anche il mio stesso equilibrio sembra venir meno.
Il respiro mi si blocca in gola, ed è come se un pungo violento mi avesse trafitto lo stomaco.

Osservo le fotografie di una giovane donna sorridente, con due enormi occhi azzurri che scrutano l’obiettivo.
E poi quella stessa donna riversa al suolo, in una pozza di sangue. Gli occhi serrati e le labbra schiuse in un ultimo, agognato, respiro.

Non ho bisogno di leggere il nome impresso sul fascicolo per poterla riconoscere:
lo spettro di quella donna mi spalleggia costantemente da anni, il rimorso di quella morte mi ha marchiato a vita.

Lei è il mio incubo peggiore. Il mio dolore più grande.

“Agente Katherine Beckett”.

Le parole della ragazza giungono ovattate alle mie stesse orecchia, come se provenissero da un punto lontano della stanza.

I suoi due grandi occhi verdi mi osservano, e solo ora mi accorgo della terribile somiglianza con la donna nella foto.

“Lei era mia madre” aggiunge poi.

E a quelle parole mi sento morire.

********

E’ ormai l’una di notte quando finalmente varco la soglia di casa.
Cerco di fare il minore rumore possibile, sperando di non svegliare nessuno.

Eppure anche solo inserire le chiavi nella toppa della serratura mi viene difficile:
le mani mi tremano e, nella mia mente, una miriade di pensieri si affollano incessantemente.

Chiudo piano l’uscio e mi lascio avvolgere dalla semioscurità della casa, così pacifica e silenziosa.

I pallidi raggi della luna penetrano dalle finestre socchiuse, ed un piacevole profumo di incenso mi invade i sensi.

Scorgo mia moglie Evelyn distesa sul divano, e lentamente mi avvicino a lei.
Riposa tranquilla, con il capo adagiato sul bracciolo … i suoi lineamenti sono distesi dal sonno,
e le sua labbra sono piegate in un leggero sorriso.

Le sfioro una guancia con il dorso della mano,
per poi andare ad intrecciare le mie dita con quelle di lei, adagiate morbidamente sul ventre proteso.

Rebecca le dorme accanto, cullata e protetta dalle braccia della madre: tiene la piccola testa abbandonata sul petto di Evelyn,
mentre folti ricci scuri le ricadono pigramente sul viso.

Resto per qualche altro secondo ad osservare i miei due amori più grandi, gioendo al pensiero del terzo in arrivo.

Lascio che questo quadro mi riempia gli occhi, per imprimersi indelebilmente nella memoria.

Ma in una frazione di secondo il mio pensiero ritorna a lei.
A quella ragazza persa e disperata che mi è entrata nella pelle.
A quegli occhi tristi e perseguitati che sprigionavano un dolore devastante.

E senza neanche accorgermene sopprimo un singhiozzo, mentre calde lacrime iniziano ad offuscarmi la vista.
Cerco di trattenerle, stringendo il labbro inferiore fra i denti, mordendolo fino a sentire il metallico sapore del sangue invadermi la bocca.

Osservo mia figlia e l’immagine di lei si sovrappone al ricordo di Katherine… di quella ragazza alla quale ho indirettamente strappato la persona più cara,
di quella creatura che mai più potrà perdersi nell’immenso calore di un abbraccio materno.

Respiro profondamente, e sfioro tremante le gote paffute della mia bambina, mentre una nuova consapevolezza inizia a farsi strada…

Spero davvero che Dio mi abbia dato la possibilità di redimermi dai miei peccati,
di rimediare a quegli errori che mai avrei voluto compiere.

La mia vita ha ora incrociato quella di lei, fornendomi la concreta visione della sofferenza che le mie scelte hanno causato.

Mi sento già irrimediabilmente legato a Kate… e, come un balsamo, questo inatteso sentimento inizia a guarire ferite ancora aperte e sanguinanti:
l’amerò come una figlia, e la proteggerò come non sono stato in grado di fare con sua madre.

L’accompagnerò lungo la strada di una vita tormentata, la porgerò una mano quando la violenza del mondo l’avrà abbattuta.

Ed aspetterò, paziente, che un giorno qualcuno irromperà nella sua triste esistenza, per restituirle parte di quell’amore che io le ho rubato ..
e con la dolcezza di un semplice tocco, sarà in grado di lenire le devastanti cicatrici incise dal passato.


**************
Piccola one shot dedicata a Roy Montgomery… mi è venuta in mente guardando uno spezzone del 3.24
http://www.youtube.com/watch?v=UA5_bo1XMPA
http://www.youtube.com/watch?v=LcfPMZ876cQ&feature=plcp
ed ho pensato a come Roy debba essersi sentito ad incrociare per la prima vola Kate, ed al rimorso che per tutto il tempo ha portato sulle proprie spalle (perché, pur non essendo stato l’artefice dell’omicidio di Johanna, se ne ritiene ad ogni modo responsabile).
Scusate gli errori e le imprecisioni ^_^

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: AlwaysReading