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Autore: Fusterya    20/05/2012    29 recensioni
C'è una questione legale che Sherlock vuole risolvere, peccato che John ne sia colto... alla sprovvista.
Note: questa follia mi farà perdere punti, lo so, ma ho avuto un attacco di idiozia oggi pomeriggio e vi prego di perdonarmi. Però ho riso tanto nello scriverla. Ogni tanto ce vò, no? Vabbè, leggete, se volete, e poi DIMENTICATE.
Disclaimer: nessun personaggio o situazione mi appartiene, nè lo farà mai.
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autrice (bisognosa di ricovero): da dove mi sia uscita questa, proprio non lo so.

Prendetela per quello che è: un momento di cazzeggio assoluto, un attimo di follia e demenzialità pura! Dopo tanto angst, dovevo pur riprendermi...
Perdono, perdono, perdono.

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John stava bevendo tranquillamente il suo thè pomeridiano post lavorativo, seduto al tavolo della cucina, e leggeva una rivista, quando una mano imperiosa calò dinanzi a lui e sbatté sul tavolo qualcosa.
“Ecco” disse Sherlock “Leggi e firma”.
Poi fece il giro del tavolo e si andò a sedere di fronte a lui, appoggiando i gomiti sulla superficie legnosa e il volto tra le mani, e tirando fuori il suo miglior sguardo alla “tu farai come dico io, come fai sempre”.
John prese il foglio con aria scettica e lo squadrò superficialmente. Era un modulo di un ufficio pubblico.
Prese a scorrerlo con gli occhi dalla prima riga in giù e, contemporaneamente, la sua espressione cominciò a cambiare: da tranquilla a curiosa, poi incredula, e infine sgomenta.
Abbassò il foglio, guardò Sherlock con aria sconvolta, lo risollevò e rilesse per sicurezza... un’altra volta, altre due. I suoi occhi scorrevano febbrilmente su e giù.
Poi sbatté definitivamente il foglio sul tavolo.
“Sherlock!”
“Cosa?”
“Hai già perfino compilato la tua parte!”
“Certo. Il punto è quello.”
“Cos’è questa roba, sei impazzito???”
“E’ quello che è” rispose lui, tranquillissimo, dandosi indietro verso la spalliera della sedia e incrociando le braccia.
John era interdetto, lo guardava a bocca aperta e non riusciva a replicare una singola, fottuta cosa.
“Ma davvero non ti rendi conto... Sherlock...”
“Ok, come al solito tu necessiti spiegazioni dettagliate” Sherlock era irritato, si riallungò sul tavolo e prese il foglio, puntandoci sopra il dito “Punto primo: viviamo insieme, siamo coinquilini e colleghi di lavoro, un lavoro pericoloso in cui abbiamo rischiato di morire varie volte a testa, per cui le ragioni della necessità di una tutela ci sono tutte. Punto secondo: stando a quanto appena detto, in caso di morte di uno dei due, l’altro non ha alcun diritto sulle proprietà materiali o intellettuali di costui, nel tuo caso il blog, nel mio caso le mie ricerche e i brillanti risultati dei miei esperimenti. Tu obietterai: ci sono i testamenti per questo. Sì, ma post mortem sono procedure lunghe e laboriose: bisogna incaricare un pubblico ufficiale, darne lettura, convincere i parenti che è la verità e bla bla bla. Potresti anche obiettare che non è il tuo caso, visto che non possiedi praticamente niente, ma potrebbe essere il mio.“
E allungò sotto il naso di John un altro foglio.
John lo prese con dita quasi tremanti e i suoi occhi si spalancarono sempre di più.
“Sherlock!”
“Sì, è il fondo fiduciario a mio nome che il mio buon fratello ha sempre fatto incrementare diligentemente. Come vedi, ne vale la pena.”

“E tu mi fai dannare ogni mese per pagare l’affitto???” sbottò John.
“Non voglio usarlo, è roba di Mycroft e mi irrita come nessun’altra cosa, ma in caso di mia morte potrebbe essere utile a te.”
Sdegnato, John allontanò da sé il primo foglio, il modulo.
“Non sono ragioni sufficienti per fare una cosa così ridicola!”
“Punto terzo: ti piacerebbe se tu morissi e Harry piombasse qui prendendo tutte le tue cose e dicendo che sono sue? Libri, computer, vestiti, oggetti. O se morissi io e Mycroft facesse lo stesso, per di più buttandoti fuori di casa?”
“Mycroft non lo farebbe!”
“Oh, mettilo alla prova!”
John restò in silenzio. Per un attimo la sua mente vagò e si posò sulla terribile eventualità, facendogli serpeggiare un brivido lungo la colonna vertebrale. Lo guardò mordicchiandosi il labbro inferiore.
“No.”
“Ecco, appunto.”
John ci pensò per un attimo, poi si risvegliò dal torpore con incredulità.
“Ma qui si sta parlando di MATRIMONIO!” esclamò fuori di sé all’indirizzo di Sherlock, che sbuffò spazientito.
“E’ un semplice contratto, John. Come se ne fanno migliaia in tutto il paese ogni giorno!”
“E’ una... una domanda di matrimonio! Tu devi essere pazzo!” John lo guardava come se non lo avesse mai visto, si passò una mano tra i capelli, aveva la gola secca.
“Tu dai troppa importanza alle parole, è un contratto! Che si chiami matrimonio o meno, non ha nessuna rilevanza.”
“Importanza alle parole.... dio mio, tu sei fuori di testa! Vuoi che ci... sposiamo? E chi indosserà l’abito bianco?”
“Non essere ridicolo” ringhiò Sherlock “stai travisando come sempre, non riesci a cogliere il succo della faccenda. Tutela legale. E stop. Andiamo lì domani mattina, da soli, e non lo saprà nessuno finché uno dei due non morirà.”
“Già, e dopo???”
Sherlock lo fissò con una nota stonata negli occhi verdi.
“Dopo. A te importerebbe, dopo?”
John restò ammutolito. Sherlock si alzò di scatto e lo guardò con disprezzo.
“Ah, dimenticavo, a te importano, queste cose.”
Si sporse sul tavolo, prese il foglio e, a grandi passi arrabbiati uscì dalla cucina.
John rimase immobile, senza parole e con il battito cardiaco accelerato.
Cos’era appena successo? A malapena connetteva.
Questa assurdità andava discussa a fondo. Era davvero così pazzo? O magari era sotto effetto di qualche sostanza stupefacente.
In ogni caso, questa nuova follia non poteva essere ignorata, come John faceva il novanta per cento delle volte.
Si alzò, furibondo, e gli andò dietro.
Si era rinchiuso in camera.
Non bussò neanche. Spalancò la porta con energia, per trovarlo che si era appena seduto sul letto, schiena poggiata alla spalliera e libro in grembo.
“Non chiuderai l’argomento come il solito bambino capriccioso che sei!” lo ammonì “Io e te adesso parliamo... di QUESTO!”
E indicò il modulo che giaceva abbandonato suo copriletto di Sherlock.
“Non c’è niente da dire, un no è un no.”
“Sherlock...” John si passò una mano sulla faccia, esasperato, soffermandosi a stringersi il setto nasale tra due dita “forse tu non ti rendi conto di quello che dici! E se io un giorno incontrassi.... qualcuno???”
“E’ rilevante?”
“Cosa? Certo che è rilevante! Sarei già sposato! Con te! Per motivi burocratici!”
Sherlock non alzò nemmeno gli occhi dal libro.
“Qualora volessi sposarti davvero, ti concederei il divorzio. Ma dubito che lo farai mai, impenitente scapolo John Watson, come dicono i giornali.” Sottolineò quest’ultima frase con le sopracciglia entrambe sollevate e la voce canzonatoria.
“Questa conversazione è surreale!”
“Tu sei surreale, se non vedi il REALE vantaggio di una cosa simile.”
“Tu hai perso il contatto con la realtà, Sherlock Holmes!”
“Tu non l’hai mai avuto, John Watson.”
“ ‘Fanculo!”
“Come preferisci.”
John marciò fuori dalla stanza e cominciò a circolare in tondo nel soggiorno.
Era basito. No. Di più. Esterrefatto.
Ma come gli era venuto in mente?
Apprezzava l’intento, certo, ma sarebbe bastato andare in uno studio legale qualunque e farsi una procura a vicenda.
E poi, da quando in qua Sherlock Holmes si preoccupava di cose... pratiche? Legali? Delle conseguenze di qualcosa?
Era un altro suo modo di marcare il territorio? Di stampare il proprio marchio definitivo nella sua vita? A questo punto, si aspettava che gli chiedesse di tatuarsi una S e una H da qualche parte, magari in fronte.
Incredibile! Inaccettabile!
John non riusciva a riderne e a scrollare le spalle, come tutta la faccenda avrebbe ampiamente meritato.
Più ci pensava, più gli saliva il sangue al cervello.
Tornò di là sempre più sconcertato.
“Adesso dimmi da dove ti è venuta fuori quest’idea!”
Sherlock abbassò il libro e alzò il sopracciglio sinistro.
“John, l’argomento ti sta agitando più del necessario, cosa che trovo francamente ridicola: per me siamo già passati oltre. Puoi uscire e chiudere la porta? Torna quando avrai sbollito la tua costernazione,”
“MI HAI CHIESTO DI SPOSARTI!” urlò John esasperato.
Sherlock sospirò pazientemente.
“Non capirò mai tutta l’importanza che date a questi discorsi voi... persone normali.”
“Grazie a dio, almeno ammetti apertamente che l’anormale sei tu!”
“Allora, lo facciamo o no?”
“No! Certo che no!”
“E perché sei tornato qui a parlarne?”
“Io... tu... ma su quale pianeta vivi, Sherlock?”
“Domani alle dieci, ho già preso appuntamento.”
“Cosa??? No, ho detto di no. No.”
Sherlock risollevò il libro e riprese a leggere.
“Non c’è bisogno di vestirsi eleganti.”
“Cristo Santo!”
“E ora magari fai del thè, se non ti dispiace.”
“Ti ammazzo, giuro!”
“Fai pure, ma dopo le dieci di domani.”
John ritornò nel soggiorno con passo pesante e sprofondò nella poltrona con un grugnito. Incredibile! Anche per lui che lo conosceva così bene, che ne tollerava senza una piega tutte le intemperanze, tutte le follie... questo era inaccettabile.
INACCETTABILE!

Non gli parlò per il resto della giornata, e non fece il thé.

Nel taxi, alle 11 del mattino dopo, John guardava fuori con le labbra strette e le sopracciglia aggrottate.
Tornavano dalla sede del dipartimento comunale in cui Sherlock aveva preso appuntamento, e il suo stato civile era cambiato.
Come ci era riuscito?
COME.CI.ERA.RIUSCITO?
Sherlock lo aveva svegliato presto, lui era a malapena riuscito ad aprire gli occhi dopo una notte insonne e agitata, lo aveva guardato fisso e aveva capito che non avrebbe mollato.
Sarebbe diventato estenuante, invadente, ossessivo, come in tutte le cose che gli interessavano.
E forse aveva anche vagamente ragione. Un atto notarile o un documento qualsiasi firmato presso un avvocato non avevano la piena valenza che aveva... questo.
Ma perché John aveva all’improvviso assecondato tutta questa urgenza di sistemare quell’aspetto della loro vita... da semplici amici?
Se lo chiedeva da solo e non si sapeva dare risposta.
Idiota, si ripeteva mentalmente. Idiota.Idiota.Idiota.

La scena davanti al pubblico ufficiale incaricato era stata a dir poco surreale, grottesca.
L’uomo, con la fascia del dipartimento di stato civile al braccio, la faccia seria e l’espressione istituzionale, li aveva accolti nella stanza con professionale cordialità e si era guardato attorno. 
John fissava il pavimento.
“Testimoni?”
“Nessuno” aveva risposto Sherlock con aria affabile.
Pensosamente, quello era andato in un’altra stanza ed era tornato con una segretaria e un altro tizio.
Sbrigate le formalità, il burocrate aveva preso in mano un libretto con le formule di rito e aveva letto.
Vuoi tu... e bla bla.
John aveva continuato a fissare il pavimento per tutto il tempo.
“Sì” aveva detto Sherlock.
Quando era toccato a lui, la voce non usciva.
Vuoi tu... e bla bla blaaaaa.
Era stato costretto ad annuire e a schiarirsi la gola, sempre senza alzare gli occhi, e anche così aveva sussurrato.
“Tutto bene, signor Watson?”
Allora, per forza di cose, aveva dovuto guardare il tizio in faccia.
Sherlock lo fissava di sottecchi, alla sua destra.
“Certo, sì. Tutto ok.” si era raddrizzato nelle spalle e aveva cercato di assumere un’aria disinvolta.
Che diavolo stava facendo???
“Gli anelli?”
“Cosa???”
“Chi di voi ha gli anelli?”
L’uomo guardò prima uno e poi l’altro.
“Niente anelli” sorrise Sherlock, che oggi sorrideva un sacco “siamo due persone piuttosto anticonvenzionali”
John era rosso in viso come un quattordicenne sorpreso dalla madre a masturbarsi.
In realtà, pensò con rabbia, ci sarebbero voluti eccome, gli anelli!
Mi trascini in questa cosa senza senso e non hai il coraggio di fare le cose fino in fondo?
O forse glieli avrebbe fatti ingoiare, se solo li avesse tirati fuori.
Non lo sapeva neanche lui.
Aveva firmato un registro con una calligrafia irregolare, pungolato da un gomito di Sherlock nell’omero quando il momento era giunto, e si era visto stringere la mano, con tanto di auguri, dal pubblico ufficiale e dai due testimoni improvvisati, che li guardavano in trepidante attesa di un bacio, o un abbraccio reciproco .
Si stava girando per uscire di corsa dalla stanza, precedendo Sherlock, quando il principale officiante lo fermò un’altra volta.
“C’è un’ultima cosa: qualcuno di voi due vuole aggiungere il cognome dell’altro al proprio? Se è così, lo registriamo adesso.”
John era avvampato e aveva balbettato “No, grazie!”
John Hamish Watson Holmes!
Inconcepibile!
Sherlock aveva sorriso ancora e aveva guardato John col chiaro intento di mandarlo su tutte le furie.
“Io sarei tentato, ma firmare diventerebbe un incubo.”
Sherlock Holmes Watson.  
Allucinante!
L’occhiataccia omicida ricevuta in risposta aveva fatto ridacchiare Sherlock di più.
E poi, finalmente, erano andati via.

Non era mai, mai stato più imbarazzato in vita sua.
Quell’essere ultraterreno riusciva a fargli fare le cose più impensabili che uomo possa anche solo immaginare di fare!
Gli camminava tre passi davanti, furibondo.
Sentiva chiaramente dietro le spalle Sherlock che sghignazzava nella propria testa.
“Smettila!” si fermò bruscamente e girò sui tacchi. “Smettila di ridere!”
Sherlock era serissimo, a parte l’angolo destro del labbro lievemente tirato in su.
“Povero John, questa faccenda ti sta sconvolgendo. Mi vedi ridere?”
“Certo!!! In maniera lampante e offensiva! Smettila!”
“John, sei troppo teso, rilassati. E’ solo una firma su in foglio di carta.” disse Sherlock sventolando il certificato.
John riprese a camminare velocemente e lo staccò di qualche altro passo, muto e arrabbiato. Con sé stesso.
Cosa, cosa gli era passato per la mente quando, stamattina, si era convinto che in fondo, a vederla come Sherlock, tutto ciò non era niente di che???

“Dovrò sopportarti ancora per molto con quest’umore?” chiese Sherlock mentre erano nel taxi, e con aria beata piegò il certificato e se lo infilò nella tasca interna del cappotto.
“Ancora non capisco come tu sia riuscito a farmelo fare. Hai ragione su di me, sono un completo idiota.!”
“Ribadisco, John, è solo un documento.”
“E’ un certificato di matrimonio. Siamo sposati. Per me è una grossa cosa.”
“Perché?”
John guardava fuori, la città scorreva veloce oltre il vetro un po’ sporco del taxi.
“Non avrei mai pensato di sposarmi senza neanche avere una relazione” disse tra i denti.
“Una relazione? E’ questo il problema?”
“Tu quale credi che sia?” si girò a guardarlo con astio “Le persone sposate di solito stanno ANCHE insieme. Hanno un legame profondo. Dormono insieme. Fanno sesso. Si aiutano, si supportano, si amano!”
“Non è quello che facciamo noi?” chiese Sherlock con aria innocente, sgranando gli occhi chiarissimi.
John si strozzò con la sua stessa saliva, la cosa fece comprendere a Sherlock la gaffe appena fatta.
“Oh... a parte la cosa del sesso, intendo” rettificò in corner.
“Sherlock, c’è una notevole differenza tra essere... amici che si supportano come noi, ed una coppia nel senso sentimentale del termine! Ma in queste faccende sei effettivamente ritardato o mi prendi solo in giro???” sbottò John.
“Noi abbiamo una relazione, John. Esclusiva, interessante e molto solida.” disse quello tranquillo, sfilandosi i guanti.
“Cosa? Certo! Ma non quella che intendo io” si infervorò “non quella che ci vuole come base per un... matrimonio!”
Quello lo guardò interrogativamente.
John stava per morire di frustrazione.
“Amore, Sherlock! Parlo di amore... sentimento.... coinvolgimento personale, attrazione sessuale, come te lo faccio capire? Dio mio!”
Sherlock guardò davanti a sé con le labbra imbronciate. Si posò le mani in grembo con garbo, si drizzò nelle spalle.
“Se è questo che ti turba, allora sappi che io ti amo, John.”
John quasi saltò sul sedile e i suoi occhi divennero enormi.
“Cosa???”
Gli sembrava che dal giorno prima non riuscisse a dire altro che: cosa???
Sherlock continuava a fissare davanti a sé con espressione ostinata.
“Sherlock?”
Quello sospirò.
“E va bene” continuò “lo ammetto. Questa... reazione chimica, questa” fece roteare la mano per aria per sottolineare il concetto “...specie di disagio emotivo che provo nei tuoi confronti e che mi rende... confuso, spesso maldestro, a volte triste, io credo che sia amore. Ecco. Per cui, se vuoi una relazione che giustifichi il matrimonio... ebbene, eccoti accontentato.”
“Oh mio dio... “ mormorò John. Si nascose il volto tra le mani.
Dallo specchietto centrale, il tassista li osservava sconvolto.
“Ehm...” Sherlock si allargò il colletto della camicia con un dito, ora sembrava lui imbarazzato “a quanto pare la cosa non ti interessa, mi sembra di capire.”
“Mi hai trascinato in tutto questo per... oh, mio dio.” John era più incredulo di come lo era stato durante la singolare proposta del giorno prima.
“Sono un imbecille, mi faccio manipolare da te come un imbecille... ti ho SPOSATO, cazzo! E’ solo una firma... una cosa legale... o mio dio...” recriminò John con la faccia tra le mani.
“John...”
“Non potevi semplicemente dirmelo?” esplose addrizzandosi nelle spalle e guardandolo furibondo “Entrare nella mia stanza di notte e saltarmi addosso, come fanno le persone NORMALI? E poi aspettare che io avessi una reazione qualunque e basarti su essa? “
“Ti dispiace, dunque?” Sherlock si accigliò e lo guardò in cagnesco” e in quel caso che reazione avresti avuto, sentiamo?”
“Oh, dio. Non lo so.” si arrese John, sospirando e riprendendo a guardare fuori.
Era troppo, troppo per un giorno solo.
Il cuore gli martellava nel petto.
Perché il cuore gli martellava così, nel petto?
“Non lo so, non lo so, Sherlock... tu mi farai uscire di testa...”
Sherlock lo osservava con gli occhi ridotti ad una fessura, con la sua tipica espressione riflessiva.
“Non lo so è una gran bella riposta” disse sornione.
John si girò a guardarlo e sembrava spossato. Svuotato.
Confuso.
Confuso?
“Ti sei fatto sposare con l’inganno, come nei romanzi ottocenteschi? Per legarmi a te ?” gli chiese disarmato.
Sherlock rise di gusto.
“Oh, no, la faccenda legale è vera. Anche.”
Il taxi frenò in quel momento dinanzi al loro portone.
John ne discese con un senso di vertigine diffuso non solo in testa, ma in tutto il corpo.
Salirono per le scale con John sempre qualche passo avanti, offeso. Arrabbiato.
Non sapeva precisamente quale cosa lo imbestialisse di più.
La propria idiozia?
Le motivazioni di Sherlock?
Quale era la verità, in tutta questa confusione?
Era una presa in giro? Non lo era?
E cos’era questa faccenda dell’amore?
Amore???
Aveva le mani fredde e sudate.
Appena entrarono in casa, lanciò il giubbotto sul divano e andò in cucina, agguantò il bollitore con violenza, facendo tintinnare altre suppellettili lì vicino, e lo riempì d’acqua, aprendo il rubinetto al massimo, come se lo volesse annegare sotto il getto.
Anche la sua testa era piena d’acqua. E il suo stomaco era contratto per il nervosismo.
Sherlock era dietro di lui, appoggiato con una spalla allo stipite della porta.
“Ti ho sconvolto, mi dispiace. Avrei dovuto essere un po’ più delicato.”
“Te ne accorgi adesso? Sociopatico del cazzo.”
“John...”
John accese il bollitore e restò a guardarlo.
“Cos’è che ti fa infuriare tanto?”
“Il fatto che mi prendi sempre in giro. Mi hai fatto fare la cosa più stupida che io abbia mai fatto in tutta la mia vita, con una semplicità disarmante.” Si girò a guardarlo con aria truce “Non lo sopporto. E poi dici delle... assurdità. Tu... che mi ami? E’ come la questione della tutela legale? Una stronzata?”
Sherlock inspirò pazientemente, non si era nemmeno tolto il cappotto.
“Ti darebbe fastidio se dicessi che è una bugia?”
John diventò rosso in viso per la rabbia.
“Certo che mi darebbe fastidio. Non si dicono certe cose alla gente così, tanto per dirle!”
A quella reazione, Sherlock accennò un sorrisetto.
“Se invece ti ribadissi che non è una bugia?”
Sherlock lo guardava come se lo volesse trapassare con gli occhi.
John, per la prima volta in assoluto, percepì qualcosa.
Quel qualcosa era lì, intrappolato nei cristalli di quelle iridi trasparenti ma incomprensibili.
John restò muto. La morsa allo stomaco si strinse di più. Aveva difficoltà a deglutire.
Che cosa gli stava succedendo?
Sherlock gli si avvicinò, fissandolo senza nessun timore, nessun imbarazzo, nessuna reticenza.
Lui non riusciva a staccare gli occhi dai suoi.
“Cosa faresti se ti ribadissi che non è una bugia?” ripeté Sherlock, ormai a pochi centimetri da lui.
I risvolti anteriori del suo cappotto sfioravano il maglione di John.
“Non lo so.” rispose John con difficoltà.
Voleva pensare e dire una cosa, ma il suo cervello ne elaborava un’altra.
Il cuore gli era risalito in gola.
Sherlock gli posò le mani sulle spalle, si chinò un po’ verso di lui, avvicinò la bocca al suo orecchio; John sentì le ginocchia farsi molli.
“Non avere tutta questa paura, John.” lo esortò suadente.
Aveva di fronte un bastardo seduttore, altro che vergine!
Un’altra cosa nuova per cui essere furiosi!
Ma aveva ragione. Era terrore, niente altro. Di cosa? Di lui? Della gente?
Io non sono gay, ma ho appena sposato un uomo.
Apparentemente senza motivo.
Apparentemente, ovvio.
Dio.Mio.
“Ho paura” ammise un po’ tremando, non sapendo distinguere se per l’emozione o per il timore che aveva di lui, questo nuovo Sherlock terrorizzante che lui non aveva mai visto.
Che faceva di lui ciò che voleva. E che forse avrebbe potuto fargli tanto, ma tanto male.
“Ti amo” gli sussurrò nell’orecchio.” E’ la verità pura. Nuda e cruda. Niente giochetti su questo, John.”
John sentì la pelle d’oca sollevarsi potente su tutto il lato destro del collo, sulle braccia, dietro la nuca.
Cosa diavolo...?
“Posso baciarti? Dopotutto siamo... come dire... sposati?” gli chiese appoggiando le labbra sul suo collo.
John smise di respirare. Chiuse gli occhi.
Era su un altro pianeta, solo con lui.
“Ok” mormorò.
Comprendendo all’istante, appena la bocca carnosa e morbida di Sherlock fu sulla sua, che tutta la rabbia derivava da sé stesso. Dalla frustrante negazione ad oltranza che si era imposto fin dal giorno prima, dalla settimana prima, da sei mesi prima.
Sherlock non faceva di lui ciò che voleva, Sherlock lo induceva a prendere atto dei suoi stessi desideri.
Illuminante. Devastante.
Si sentì abbracciare.
Lo abbracciò anche lui. Rispose al bacio con veemenza, mentre un sentimento di liberazione gli sgombrava la gola da tutto l’astio, da tutta la furia.
Non c’era niente, niente di strano, nessuna sovversione del proprio mondo, del proprio io, considerò mentre lo baciava, e il piacere che la cosa gli provocava gli faceva rilassare i muscoli della schiena.
Niente di sbagliato. Niente di fuori posto. Niente di diverso.
Nemmeno di fronte alla legge, dopotutto.


  
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