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Autore: Lisa_Pan    21/05/2012    1 recensioni
"Ero certa di aver dimenticato ogni cosa di lui, ero certa che, una volta rivisto, la freddezza delle condizioni in cui ci eravamo lasciati mi avrebbe tenuta distante da lui, al riparo da emozioni troppo forti per me che di emozioni rischiavo di rimanerci. Ogni giorno era come camminare su un filo da equilibrista con il nulla pronto ad inghiottirmi al primo passo falso, al primo accenno di incertezza. Ogni notte le mie coinquiline dormivano nel mio stesso letto, facendomi da coperta e da cuscino: paura e angoscia si chiamavano."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I can barely breathe

Scivolai silenziosa lungo la parete di mattoncini rossi portandomi le ginocchia al petto, stravolta. Oltre il muro di roccia alle mie spalle un canyon rosso fuoco conteneva più di trentamila anime pronte ad esplodere. Sentivo le vibrazioni delle urla percorrere incontrastate la mia schiena e frantumarmi la gabbia toracica fino a raggiungere il cuore.

Respirai lentamente e a fondo, il palmo della mano sulla roccia calda e l’altro a stringermi il petto. Il pass per il back-stage appeso al collo tremava ogni volta che un boato esplodeva nell’anfiteatro.

Dopo tutto questo tempo..è come se fosse la prima volta, di nuovo.

Alzai lo sguardo scontrandomi con la porta rossa, anche lei come ogni elemento di quell’architettura a metà  strada tra paradiso e inferno, mi soffermai sulla maniglia e distesi le gambe pronta ad alzarmi e a lasciare che l’automaticità acquisita negli anni precedenti tornasse a scorrermi nelle vene oliando ingranaggi bloccati da anni di totale inutilizzo.

Il cantante uscì con lo sguardo di chi ha visto il suo sogno infrangersi in mille pezzi, mi guardò con occhi truci e mi rivolse un mezzo sorriso prima di voltarmi le spalle e dirigersi verso la porta del suo camerino. Lo vidi percorrere il corridoio incerto, come se ogni passo gli costasse enorme fatica, come se ogni passo corrispondesse a lasciarsi dietro un pezzo di se stesso. Mi voltai nel momento in cui lo vidi titubare sull’uscio del camerino, decisa a lasciarlo da solo con i suoi fantasmi e i suoi dubbi, consapevole della rumorosa discussione che stava avvenendo in quel preciso istante nella sua mente.

Il tonfo della porta riecheggiò in tutto il corridoio, preannuncio di una decisione irrevocabile e pesante come tutto il canyon alle mie spalle.

La porta rossa si aprì nel silenzio del corridoio e gli occhi del batterista si posarono nei miei gettandomi addosso la gravità della situazione. Si passò una mano sul volto come a scacciare le precedenti due ore dando a tutti, anche se forse più a se stesso, l’apparenza che non fosse successo nulla. Prima di entrare nel suo camerino tornò a guardarmi, una richiesta di aiuto si scontrò contro le mie iridi come un secchio d’acqua gelata sulla pelle ustionata dal sole; la raccolsi e mi alzai.

Posai il palmo caldo sulla maniglia fredda e la spinsi a fondo. Lasciai che la porta si aprisse da sola e che, da sola, mi mostrasse ciò che aveva gettato addosso a tutti loro tanto sgomento. La stanza era apparentemente vuota, unica testimonianza umana era una valigia ribaltata su di un comodino e qualche frammento di cd sul tappetto di fianco al letto disfatto e macchiato di sangue.

Entrai dando un colpo di nocche alla porta prima di richiudermela alle spalle. Nessuno rispose solo un rantolo raggiunse le mie orecchie e mi fece affrettare il passo in direzione del bagno.

Un odore acre m’irritò il naso, costringendomi a portare la manica in faccia. Impiegai poco meno di un secondo a mettere a fuoco la scena di fronte a me e immediatamente invidiai quella frazione di secondo in cui tutto era nebbia e fumo. Il volto totalmente immerso nell’acqua rosea, gli occhi segnati da due profonde occhiaie nere, la pelle ingiallita e il corpo martoriato da lividi viola. Un braccio sporgeva dal bordo della vasca ancora stretto nella morsa di un laccio emostatico. Mi gettai in ginocchio sul pavimento bagnato e sciolsi di corsa il nodo che attanagliava le vene del braccio. In quel silenzio credetti di riuscire a sentire un sospiro provenire dalla pelle del braccio e il fluire denso del sangue nelle vene.

Mi tirai su le maniche e affondai le braccia nell’acqua gelida tirando fuori il capo del ragazzo, portandomelo al petto. Presi a dondolarmi sulle ginocchia con il mento poggiato sui capelli neri del ragazzo tra le mie braccia.

Sei un fottuto idiota!

“Sono un idiota..”

“Si, lo sei.”

“Non ce la faccio”

“Ti sembra il giusto motivo per accorciare i tempi?”

“Ho detto ai ragazzi che non c’è verso che io torni su quel palco, non ce la faccio..”

“E’ troppo facile, è troppo facile scegliere di lasciarsi andare così, è una vita che rincorri un sogno, è una vita che ti vedo correre dietro le orme di nostro padre ed ora stai per fare la sua stessa fine. Speravo che avessi imparato dai suoi errori e avessi ripreso la parte più genuina della sua passione, speravo che fossi diverso da lui e che per un secondo, un dannato secondo, tu abbandonassi l’egoismo e ti concentrassi su ciò che ti ha tenuto in vita fino a questo momento.”

“Tutto questo mi da sollievo, non sento il dolore, non sento quel fottuto orologio ricordarmi quanto tempo manca.”

“Non lo senti perché non ha più un cazzo di minuto da contarti, il tuo tempo doveva essere finito già da un po’, ti sei giocato mesi rincorrendo un sollievo che ti sta uccidendo, in anticipo.”

“Non capisci, non capisci quanto sia difficile salire sul palco e cantare come se nulla fosse.”

“Tu hai paura.”

“Fottutamente paura!”

“Ho bisogno di te, ci sono trentamila anime la fuori che hanno bisogno di te..Brad ha bisogno di te..”

Sussurrai quel nome come se mi stessero lacerando il petto con un coltello. Era il migliore amico di mio fratello, condividevano la stessa passione, manteneva pura l’unica cura contro il cancro che attanagliava il cervello di mio fratello. Il loro rapporto era fondamentale per lui, condividere le sue paure, i suoi bisogni con qualcuno che potesse capirlo fino in fondo lo aveva salvato più volte dalla depressione e dall’abbandonarsi alla malattia in maniera irrimediabile.

“Lis io..”

Mi alzai lasciandolo solo con le sue forze, avvinghiato alla vasca per non cadere nuovamente nel gelo della solitudine che si era creato intorno. Presi da sotto il letto la sua chitarra e la poggiai di fianco alla vasca proprio sotto il suo sguardo.

“Lei è la testimonianza di quanto tu stia trascurando te stesso e quello che ti circonda. Sai che sono tremendamente seria quando dico che la musica ti teneva in vita, se sei qui è solo per lei e guarda in che condizioni l’hai ridotta. E’ solo il lontano ricordo della chitarra che accompagnava nostro padre, come tu sei il lontano ricordo di mio fratello.”

M’inginocchiai e mi portai a un centimetro dai cuoi occhi, così che la sua solitudine si scontrasse con la severità del mio sguardo. Due mondi che fino a quel momento erano andati a braccetto, i nostri, divisi da un laccio emostatico e una siringa.

“Non è il cancro che ti sta uccidendo.”

“La droga è…”

“Non è nemmeno la droga..è quell’astinenza forzata in cui ti stai costringendo”

“Astinenza, Lis..”

“Dalla musica..e da te stesso”

Uscii dalla stanza lasciando mio fratello solo nella vasca con le mie parole che riecheggiavano ancora nelle quattro mura del bagno. La porta mi sembrò esageratamente pesante e aprirla richiese molto più sforzo di quanto pensassi.

Inciampai su un paio di converse, 42-43, nere e due mani mi ripresero nell’esatto momento in cui ormai credevo di aver detto addio al naso e almeno a metà della mia dentatura perfetta. Quando quelle mani mi cinsero i fianchi capii in quale abbraccio ero finita e, nonostante l’astio che provavo nei confronti del proprietario di quelle braccia, lasciai che mi stringessero e mi riscaldassero dal gelo che mi attanagliava le ossa. Non mi ero accorta di quanto fossi fredda e tesa fino a quel momento. Ero certa di aver dimenticato ogni cosa di lui, ero certa che, una volta rivisto, la freddezza delle condizioni in cui ci eravamo lasciati mi avrebbe tenuta distante da lui, al riparo da emozioni troppo forti per me che di emozioni rischiavo di rimanerci. Ogni giorno era come camminare su un filo da equilibrista con il nulla pronto ad inghiottirmi al primo passo falso, al primo accenno di incertezza. Ogni notte le mie coinquiline dormivano nel mio stesso letto, facendomi da coperta e da cuscino: paura e angoscia si chiamavano.

“Come sta?”

Menta. Altra cosa che credevo di aver dimenticato di lui. Il suo alito profumato mi sfiorò la fronte pungendomi la pelle. Alzai lo sguardo e incrociai il nero dei suoi occhi, quella, ne ero certa, era la parte di lui che non avrei mai e poi mai dimenticato. Mi allontanai, scossa e alzai le spalle in risposta alla sua domanda.

“Entra e guarda tu stesso.”

Annuì e prima di entrare si voltò nuovamente a guardarmi.

“Aspettami qui.”

Abbassai lo sguardo e lo sentii chiamare il nome di mio fratello. Aspettai che si chiudesse la porta alle spalle e mi gettai a terra nell’esatta posizione che avevo prima di entrare in quella stanza. Erano ormai cinque anni che Luke combatteva contro il cancro, e da quasi un anno aveva la certezza di non poterne uscire vincitore. Ero con lui quando un camice bianco gli aveva dato l’unico limite che Luke non avrebbe mai voluto avere, sognava una vita piena di successi, voleva andarsene lasciandosi alle spalle anni di soddisfazioni,  anni in cui lui sarebbe stato parte integrante della storia musicale in un secolo in cui la musica stava pian piano morendo. Ero con lui e mi sentii sprofondare, sapevo che peso avrebbe avuto quel macigno sulla vita di mio fratello, una vita breve, un anno può non esser nulla. Sapevo che non avrebbe avuto la forza di affrontare quel nulla di tempo e renderlo totalizzante come solo una vita vissuta in pienezza può esserlo. Sapevo che avrebbe avuto bisogno di noi, così gli promisi che ci saremmo sempre stati. Il primo mese sembrò andare tutto a meraviglia, ogni pezzettino era incastrato nel modo giusto con il resto del quadro e mio fratello era armato di un sorriso spiazzante. Mi stavo convincendo che ce l’avrebbe fatta e che ci avrebbe regalato un anno da sogno, con la sua musica e le sue follie entusiasmanti.

Io e Brad ci avvicinammo, il nostro rapporto divenne in poco tempo qualcosa di troppo grande per noi. Eravamo un trio magnifico, ognuno si faceva forza con l’altro. Almeno era quello che credevo, Luke era peggiorato, i primi lividi comparvero dopo tre mesi dall’ultima visita e il suo volto cominciò a perdere vivacità. Erano i primi segni di cedimento e furono quelli che ruppero la magica bolla in cui ci eravamo rinchiusi negli ultimi tempi. Succede sempre, ad un certo punto, che la favola s’incrina e la storia partorisce la macchia nera sulla pagina bianca. Nel nostro caso le macchie nere eravamo noi tre, ognuno di noi permise all’altro di rovinare l’equilibrio. Mio fratello si fece la prima dose, poi la seconda e poi, alla terza, si fece scoprire da Brad. Luke diede la colpa al nostro rapporto, disse che eravamo stati egoisti, che aveva bisogno di noi e che non ci eravamo stati. Disse che il cancro lo stava divorando e che parte della colpa dell’accelerare della malattia era nostra, della nostra negligenza. Quando accusò Brad di essere stato la causa della prima dose, Brad lasciò mio fratello con un bigliettino di scuse e di buona fortuna per quegli ultimi mesi che gli rimanevano. Fu la cosa peggiore che ci capitò da quando nostro padre morì lasciandoci da soli. Mio fratello si sentì abbandonato per la terza volta. La prima da mio padre, la seconda da Brad e la terza da me.

Fu fin troppo facile per me dare la colpa a mio fratello, non credevo che Brad lo avesse abbandonato in quel modo senza avere un reale motivo, incolpai la droga e la scarsa forza di volontà di Luke e mi allontanai da lui quando disse che Brad si allontanò per causa mia.

Lasciai ogni cosa, mi allontanai dal mondo intero e mi rinchiusi in casa alla ricerca di un motivo per uscire alla luce del sole. Avevo il buio sia dentro che fuori di me. Un buio gelido che mi faceva da culla e mi conduceva in un sonno pieno di incubi. Passai un mese appollaiata sul bordo della finestra con le ginocchia al petto a sbirciare squarci di vita che avevo imparato ad indossare su me stessa, avevo imparato nomi e avevo scritto storie su quei minuscoli puntini che mi camminavano sotto lo sguardo. Volevo vivere solo di quello, di storie e di vite che non mi appartenevano, non mi avrebbero delusa, mi avrebbero accompagnata ogni notte verso un sonno privo di incubi e sogni. Mi addormentavo con la consapevolezza che presto mio fratello mi avrebbe abbandonata e avevo paura che potesse succedere in quel momento, così restavo chiusa in me stessa al riparo da tutto, da tutti e dal cancro di Luke.

Mi stavo perdendo il mondo, stavo abbandonando i miei sogni e stavo abbandonando Luke.

Una mattina mi svegliò il suono del campanello e quando aprii il batterista disse che mio fratello era migliorato e che sembrava stare meglio. M’invitò a seguire il tour e a riprendere in mano la mia professione. Insomma, mi offrì la possibilità di tornare al mondo come scoprii che mio fratello aveva fatto in quel mese in cui io sparii. Quando incontrai di nuovo Luke e mi scontrai con il suo viso sano e vivace dimenticai ogni minima cosa e ci perdonammo a vicenda con un semplice sguardo, consapevoli che nulla ci avrebbe divisi nemmeno la sua malattia.

Con il tempo capii che perdonare Luke era un conto, perdonare Brad..non ci riuscii mai. Se avevo qualcosa da imparare da Luke era che ogni cosa perde di senso rispetto ad una vita che ti sta scivolando via dalle mani e che a volte perdonare allunga di un minuto quel momento in cui tutto sembra a posto con il resto. Ma non ci riuscivo, non come lui.

E poi, la malattia fece di nuovo capolino, si prese mio fratello durante un concerto, allarmò tutti e fummo costretti a fermare Il tour e rinviarlo a data da definire. Luke passò un inferno, la malattia lo portava sempre più giù e fece riemergere tutte le rogne che avevamo lasciato dietro di noi, compresa la storia tra Brad e me.

Non ci ricascai, non mi lasciai tentare nuovamente dal richiamo della mia finestra, abbandonai l’immensa voglia di rifugiarmi nel mio angolo buio ma tranquillo e per la prima volta mi gettai in un buio di cui non conoscevo nulla. Nuotavo nell’oscurità più assoluta, cercavo di trovare il miglior modo di aiutare mio fratello, provavo a parlargli, a convincerlo a tirarsi su, ma come fai a tirare su un ragazzo al quale sono rimasti poco meno di sei mesi di vita? Cosa gli dici? Insomma brancolavo in quello stadio di ignoranza assoluta fidandomi del mio istinto e lasciandomi guidare dall’amore che avevo per Luke. Non ero cieca, avevo subito capito che il suo miglioramento era solamente apparente, ma non sapevo fermarlo, non avevo il coraggio, la droga gli dava sollievo, lo faceva stare bene per qualche istante. Era riuscito a ricominciare a suonare, il tour era ripartito e sembrava rianimarsi di quella vivacità che io adoravo in lui.

Ma come ho detto, era solo apparenza.

Lui era in quella vasca probabilmente perché non ero stata capace di fermarlo, ma non potevo decidere per mio fratello, Luke in tutto questo era terribilmente lucido. Totalmente consapevole di quello che faceva continuava a prendere le sue decisioni da solo, assumendosi le proprie responsabilità, accorciando lentamente i suoi minuti già contati da qualcun altro. Era l’unica cosa della sua vita di cui avesse la possibilità di controllo, poteva decidere di farsi o poteva decidere di non farsi, non è mai stato dipendente e, forse,  era questo che mi destabilizzava.

Nascosi il volto tra le gambe e lasciai che le vibrazioni di quelle trentamila persone alle mie spalle mi rianimasse. C’era così tanta vita aldilà del muro, invece la mia vita era circondata da paura e orologi che ticchettano impazienti e tremendamente insistenti. Ricordo di essermi trovata  più di una volta a desiderare che mio fratello smettesse di soffrire, qualunque fosse stato il prezzo da pagare, ero pronta a perderlo pur di non vederlo in quelle condizioni. Nessuno dovrebbe stare così male. Mai. E lui ne aveva passate abbastanza, era ora che tutto questo finisse.

Ma ora ero io che non andavo. Io non ero più pronta a perderlo, avevo bisogno di lui, più di ogni altro.

La maniglia scattò e la porta si aprì. Luke aveva assunto un colorito quasi normale e camminava con passo deciso anche se ogni tanto rischiava di cadere a terra, le forze lo stavano lasciando piano piano ma c’era la possibilità che qualcosa di più forte del suo corpo lo mantenesse in piedi. Mi voltai verso Brad e incrociai per un secondo i suoi occhi. Sentimenti contrastanti popolavano la mia mente e se solo ne avessi avuto la forza mi avrebbero spinta ad alzarmi e a prenderlo a pugni, avevo bisogno di sfogarmi e lui era la perfetta valvola di sfogo, tutta la rabbia che provavo nei suoi confronti pulsava nelle vene sfondandomi i timpani. Tutto il risentimento, la paura e..la delusione, mi attanagliavano lo stomaco e mi distruggevano.

Pensavo di aver dimenticato tutto e invece, era tutto ancora così vivo dentro di me come se non fosse passato nemmeno un giorno da quando Brad decise di partire e lasciarci soli. Mi sentii una stupida e dovetti accettare l’evidenza. Avevo bisogno anche di lui perché, sia nel bene che nel male, teneva viva la parte di me che  tenevo seppellita per evitare di ferire Luke; a distanza di anni lui era ancora la persona da cui attingevo la mia forza, non importa da quale sentimento la prendessi, amore, odio, rabbia, delusione, in un modo o nell’altro quella carica di emozioni m’impediva di lasciarmi andare e scappare. Come aveva fatto lui anni prima.

Il canyon cadde nel silenzio più assoluto quando mio fratello fece la sua comparsa sul palco. Mi persi la scena ma rimasi seduta a terra con le spalle a un passo dal palco a godermi un silenzio carico di rispetto e paura. La sentivo, anche se era diversa da quella che provavo io, era paura di rovinare un istante, frantumare un anima in mille pezzi e spargerla al vento. L’anima di Luke era ancora più fragile del suo corpo, se possibile, e avevo sempre amato il modo in cui nell’esatto momento in cui le corde prendevano a vibrare sotto le dita di mio fratello, anche il suo corpo veniva catturato in quella specie di danza intima e profonda in cui la sua anima prendeva vita e scorreva lungo e dentro le sue note. Quando papà ci diceva che la musica ha il potere di farti salire in paradiso e scendere all’inferno nello stesso istante, diceva la verità. Sapevo che oltre quel muro Luke stesse portando avanti una lotta con se stesso, sentivo i suoi pensieri arrivare nitidi ai miei timpani e ronzare nella testa rumorosi.

Paradiso e inferno. Un ottima discussione da portarsi sulle spalle in quel luogo, l’anfiteatro, il canyon, un parco di rocce rosso fuoco che portava il nome di “Il giardino degli angeli”.

Due note risuonarono cristalline sulla platea e un boato esplose inondando il palco di quella adrenalina di cui, ne ero certa, mio fratello avrebbe avuto davvero bisogno in quel periodo. Io dal canto mio, preferii raggomitolarmi su me stessa e godermi in pace un momento che sapevo sarebbe stato più unico che raro. Stavo a pezzi, la testa scoppiava e il petto tremava sotto il battito incostante del mio cuore. La paura e l’angoscia esplosero insieme alle voci di quelle trentamila persone passando inosservate e lasciandomi da sola con il mio sfogo personale. Avevo bisogno di silenzio e tranquillità, ma, consapevole di quanto fosse impossibile per me trovarne anche solo un briciolo, mi sarei accontentata anche di un perfetto attimo di momentaneo stand by.

Un rumore di passi e un fruscio al mio fianco. Capii di non essere sola. Pregai che non dicesse nulla e sapevo che non lo avrebbe fatto, mi capiva, mi aveva sempre capita, era per quello che adoravo passare del tempo con lui. Era l’unica persona alla qual non dovevo mentire alla domanda “Come stai?”, sapeva sempre come stavo, me lo leggeva negli occhi, nei gesti, nelle cose non dette. Aspettava il momento giusto per parlarmi, aspettava che fossi pronta e che fossi io a cercarlo, così come faceva lui. Ognuno sapeva che l’altro c’era e che ci sarebbe sempre stato.

“Perché ora?”

Non c’era più, era sparito e mi ero abituata, avevo imparato a contare su me stessa a capire quando fosse ora di lasciarsi andare e quando invece servisse la mia piena lucidità. Avevo imparato a sfogarmi senza di lui, o forse avevo imparato a vivere senza sfogarmi mai. Ma in un modo o nell’altro avevo riempito il vuoto che mi aveva lasciato, che ci aveva lasciato, con l’amore che avevo imparato a provare per Luke. Perciò..perchè ora?

“Perché era ora che tornassi..”

Per mio fratello. Era giusto, lui lo aveva perdonato da anni, Luke aveva bisogno di lui e Brad lo sapeva. Abbassai le palpebre beandomi della penombra che mi concesse quel sottile strato di pelle sui miei occhi. Ero stanca e delusa. Ma non potevo ignorare ciò che Brad stava facendo in quel momento. Era un sollievo saperlo con Luke, era un sollievo sapere che finalmente qualcosa stava tornando a posto, anche se troppo tardi, o forse no. Ero contenta per loro due e nemmeno la rabbia avrebbe potuto farmi cambiare idea.

“Grazie..”

Mi voltai verso di lui nell’esatto momento in cui anche lui rivolse a me i suoi occhi neri, per una frazione di secondo credetti che tutti gli ingranaggi fossero tornati a camminare; per una frazione di secondo provai l’impulso di sporgermi verso di lui e lasciarmi accarezzare e stringermi dalle sue braccia. Ma una frazione di secondo non bastava a farmi dimenticare.

Lo vidi esitare e sporgersi verso di me ma ruppi il contatto e feci calare nuovamente le palpebre sulla mia vista.

“Non sono tornato solo per lui..”

“Lo so..”

Lo sapevo per davvero ma cercavo di negarlo con tutta me stessa, la paura di essere di nuovo lasciata sola era grande e sapevo che non ce l’avrei fatta una seconda volta a lasciarmi tutto alle spalle e ad imparare a vivere per due.

“Lis, per favore..guardami..”

Non posso guardarti!!

“Lis..”

“Brad per favore..”

Quasi lo implorai.

“Perché?”

“Perché mi scontrerei con la verità Brad e farebbe male..”

Quanto mi avrebbe fatto bene scoprire che lui teneva ancora a me, che se n’era andato per ovvi motivi e che nonostante avesse passato tutto quel tempo lontani da noi non aveva fatto altro che pensare a noi, a mio fratello, a me? Mi sarebbe davvero servito sapere che lui ci sarebbe stato da adesso in poi, che non gli sarebbe importato quanto tempo ci sarebbe voluto per far tornare le cose come prima, ma sarebbe andato fino in fondo? Ero certa che se lo avessi guardato tutto sarebbe tornato al suo posto, lo avrei perdonato, avrei dimenticato la delusione e la rabbia e mi sarei gettata di testa nell’unico affetto di cui avevo realmente bisogno. Sapevo che mi avrebbe fatta stare bene, ma L’affetto di Brad era come una dose per Luke, non saprei mai quale sia l’ultima volta.

E a volte la paura di ricascarci e più forte della voglia di stare meglio. L’abitudine spesso vince il bisogno e il desiderio. Lasciai che vincesse su di me.

“Hai bisogno di me Lis..”

“Ma vaffanculo Brad!”

Aveva ragione ma sbattermelo in faccia in quel modo..non lo sopportavo. La rabbia cominciò a scorrermi lentamente, solida, nelle vene.

“Hai bisogno di me e lo sai..”

La sentivo salirmi al cervello, come una presenza anomala, come un forza vincitrice della gravità e della mia forza di volontà.

“Lo sai!”

Esplose e il mio corpo con lei. Distesi le gambe e mi alzai in piedi completamente fuori di me.

“Allora perché non sei rimasto? Perché ci hai lasciati in quel modo? Sapevi quanto Luke avesse bisogno di te, sapevi quanto fosse fondamentale il vostro rapporto per il suo equilibrio. Diamine Brad non passava giorno in cui tu non mi ripetessi che non avresti mai lasciato nessuno di noi, che eravamo la tua famiglia..cazzate! Hai mandato tutto all’aria. Io e Luke siamo una famiglia..io e Luke ci siamo costruiti un qualcosa senza di te, costretti a convivere con ogni dannato fantasma della sua malattia e sai chi mancava? Mancavi te, c’era un buco, ovunque andassimo, qualunque cosa facessimo, Luke lo sentiva, ci stava male e..sai cosa mi diceva? Che non importava, che capiva il motivo per cui te n’eri andato via..lui..”

Si alzò e mi venne incontro ma lo fermai.

“No..lui ha capito, ha capito cosa fosse più importante tra la rabbia e la tua amicizia..io non ci sono mai riuscita. La delusione è così grande, fa così male..pensavo di esser riuscita a dimenticare ogni cosa di te..di noi. Sai cosa significa scoprirsi deboli, di nuovo? Avere bisogno di sfogarsi e sapere che non c’è nessuno? Avevo dimenticato tutto questo, pensavo di esser diventata forte per forze di causa maggiore ma..non è così..e me ne rendo conto solo ora che ti ho di fronte. Ho un dannato bisogno di te..era questo che volevi sentirti dire?”

Lo guardai negli occhi, a pochi millimetri dal suo volto.

“Ho bisogno di te e mi odio per questo..”

Rimasi li, ferma a fissarlo, gli gettai addosso tutta la rabbia, la frustrazione, la delusione e mi sentii ridicola. Ridicola per avergli gettato addosso tutto quel fango, ridicole per averlo accusato, ma fu più forte di me. Mio fratello lo aveva accolto a braccia aperte, passandogli tutto, io non ci riuscivo, a costo di sembrare infantile e ridicola, di nuovo. S’incrinò qualcosa, sentii un “crack” farsi strada dentro di me.
Boccheggiò sulle mie labbra, accennando a parole incompiute e prive di senso. Lo lasciai lì, solo nel corridoio e mi allontanai quasi correndo decisa a mettere più metri possibili tra me e il suo sguardo, così colpevole, così sincero.

M’infilai nella massa, desiderando di sentirmi una dei tanti, estranea a quella situazione, estranea ai problemi. Permisi alla musica di entrarmi in corpo e di scorrermi nelle vene. L’adrenalina prese a pompare energia al mio corpo e mi feci trasportare dall’onda di sentimenti che non mi appartenevano ma che sapevo indossare bene, insomma, ci avevo vissuto di quelle sensazioni, a lungo, sapevo come fare.
Alzai lo sguardo al cielo e  lasciai che un ragazzo posasse le sue labbra sulle mie. Le pupille dilatate, le sue labbra umide ed impastate e gli occhi così eccitati, così pieni di vita. Sentii le labbra gonfiarsi e rinvigorirsi, come risvegliate dopo un lungo sonno. Sorrisi e mi abbandonai al caos per le successive due ore.

Dopo il concerto mi dileguai, cercando riparo nelle rocce e nelle stelle. Mi distesi e chiusi gli occhi sentendo riaffiorare lentamente i pensieri nella mente.

“Ehi..”

Spalancai gli occhi, allarmata. Mi tirai a sedere ma Luke mi fermò sedendosi di fianco a me e passandomi un braccio sulla spalla.

“Adoro questo posto.”

Sorrisi.

“Si, anch’io..”

Silenzio. Un silenzio carico di tensione.

“Sei mia sorella Lis, la più piccola, avrei dovuto pensare a te e invece..”

“No fermo, evita il discorso da fratello maggiore che non ci sta e non c’è mai stato..”

“Sta zitta un attimo e fammi parlare! Oh! Sei sempre stata tu la più grande, quella che mi faceva aprire gli occhi, quella che mi ha insegnato quanto sale mettere nella pasta e che i bianchi non si lavano con i neri. Ho fatto tanti di quei pasticci, ricordo ancora la maglia dei Kiss macchiata di candeggina, ci abbiamo messo una vita a ritingerla. Hai sempre pensato a tutto tu, mi sei sempre stata vicina. Il cancro, una macchia di candeggina, non sai quante volte ho sognato di fare come con quella maglietta, ritingerla, tentare fino a quando non scomparisse. Ma è li, sempre. Ho pensato che con te che pensi a me e con il cancro che prende decisioni sul mio corpo l’unica cosa che avrei potuto controllare fosse il dolore. Ho dimenticato di quanto fosse importante la musica. Insomma, mi hai visto oggi? Prima di salire sul palco ero in una vasca più morto che vivo e poi..ma non è solo la musica. Mi hai tenuto in piedi, anche quando sembrava che non ci fossi, mi hai sempre tenuto in piedi. Tutte le volte che mi sono arrabbiato con te, tutte le volte che ti ho dato contro, non capivo come potessi lasciarmi li, da solo. Ma cazzo Lis, adesso non capisco come tu abbia fatto a starmi vicino fino a questo momento. Al posto tuo me la sarei data a gambe, o sarei morto di paura.”

“Non ti prometto che la smetterò, Perché so quanto faccia male sentirsi quella macchia nel cervello e so quanto bene mi fa darmi un po’ di sollievo, ma posso prometterti che non mi lascerò più andare. Mi aggrapperò a me stesso e cercherò di non dimenticare mai più cosa significa sentirsi veramente bene. E’ difficile, insomma, tra poco me ne andrò e..Lis..ho paura di andarmene da solo. Non voglio lasciarti, so che sapresti cavartela senza di me..ma non conosco posto in cui io stia senza di te. Chi mi dice che lassù o laggiù o chissà che diavolo mi aspetta, io non abbia bisogno di te? L’egoismo fa parte di me, lo sai, ma non voglio lasciarti!”

Mi misi in ginocchio e strinsi il suo volto al petto come a proteggerlo da tutta la paura e la preoccupazione che lo avevano tenuto in ostaggio fino a quel momento. Lo sentii singhiozzare tra le mie braccia e presi a cullarmi su e giù sui talloni aspettando che si tranquillizzasse. Era mio fratello, era lui, non più il teschio nella vasca, era la sua voce, erano le sue braccia quelle intorno a me e le sue lacrime a bagnarmi la maglietta. Sentii il cuore esplodermi e il gelo svanire. Calore, calore in tutto il corpo, calore sulle guance, calore nel petto, calore nelle braccia.

Sentii gli ingranaggi tornare a muoversi, un altro “crack” al centro del petto.

“Lis, c’è un’altra cosa..”

Si allontanò da me senza sciogliersi dall’abbraccio, lo sguardo preoccupato e terribilmente serio.

“Brad..”

Mi allontanai da lui e rivolsi lo sguardo alle stelle incapace di ascoltare altro dalla bocca di mio fratello. Volevo mantenere quel momento intatto.

“No, ascoltami, devo dirti una cosa. Il motivo per cui se n’è andato..”

“E’ perché è un tremendo vigliacco Luke..ha avuto paura, ha scelto la via più facile..”

“Gliel’ho chiesto io.”

Una secchiata d’acqua gelida mi cadde sul viso. Incredula guardai Luke in attesa di spiegazioni.

“Ero fatto, avevo ancora la siringa nelle vene quando lui mi ha beccato in bagno, si è infuriato e mi sono sentito giudicato, offeso. Gli ho detto che lo avevi cambiato e che lui aveva cambiato te, che era diventato un cretino dietro le tue preoccupazioni. Gli ho detto che il rapporto che aveva con te stava minando il nostro e che doveva scegliere tra me e te. Lo so, sono stato uno stronzo ma non me ne rendevo conto. Ero arrabbiato, ferito, seduto sul water in mutande con una siringa nella vena, Brad mi guardava come se avesse davanti a se uno sconosciuto e mi ha detto che non avrebbe mai scelto tra me e te e che avrebbe preferito sparire dalle nostre vite e lasciare che vivessimo il nostro rapporto senza la sua presenza. Gli ho urlato che allora la decisione l’aveva presa e che non l’avrei mai più voluto vedere nelle nostre vite. Nel cuore della notte mi svegliavo e lo chiamavo urlandogli che era un vigliacco e che non avevamo bisogno di lui. Gli ho persino detto che tu stavi meglio da quando se n’era andato..”

Fece una pausa, forse per lasciarmi incassare il colpo, forse per paura di andare avanti e distruggere il mio equilibrio. Lo guardavo spaesata, confusa e incredula. Sapevo che in quel periodo non stava bene, sapevo che doveva essere il motivo per cui Brad aveva deciso di andarsene ma non credevo che fosse arrivato a tal punto. Insomma, anch’io milioni di volte davanti alla malattia di mio fratello avevo pensato di andarmene e rinunciare a star male per lui, ma ci ripensavo, sempre, perché amavo Luke più di ogni altra cosa al mondo. Perciò non giustificavo Brad, perciò ero arrabbiata con lui.

“Lis..scusami, io..hai bisogno di lui e lui ha bisogno di te, siete stati così tanto tempo dietro alla mia follia che vi meritate un rapporto sano, vero, senza macchie. Non dargli colpe che non ha.”

“Luke, ha avuto così tanto tempo per tornare, così tanto tempo per decidersi a dimenticare tutto..è tardi..”

“Cazzo dici? Non è tardi! Guardati! Ti nascondi tra le rocce, ti chiudi dentro casa pur di non farti vedere debole, provata. Hai bisogno di qualcuno che possa capirti e che sia costante, qualcuno che non abbia il cervello dominato da qualcosa più grande di lui. Hai bisogno di un rapporto vero, pieno, totalizzante.”

Sostenni il suo sguardo per un po’, titubante, tentennando un po’ tra il cedere o no. Testarda, una fottuta testarda. Distolsi lo sguardo con decisione, tornando a stendermi sulla roccia ignorando le imprecazioni di mio fratello. Solo una frase arrivò dritta al centro dell’obbiettivo.

“Di sto passo morirai prima di me Lis..almeno io ho come giustificazione il cancro, tu che scusa hai?”

Piansi, a lungo e silenziosa. Le lacrime scorrevano copiose sulle guance bagnando la roccia e inebriandomi di un profumo metallico. Ero sola, volevo esserlo, anche se dentro di me gridavo disperatamente aiuto. Volevo un abbraccio, volevo esser capita. Avevo bisogno di Brad ma ero incapace di accettarlo, incapace di lasciarmi andare.

Mi misi a sedere e mi portai le mani a coprirmi il volto completamente bagnato. Mi strinsi nelle spalle e mi dondolai lentamente cercando conforto in quel calore riacquisito da poco.
Mi sentii avvolgere e prima che me ne rendessi conto le mie gambe circondavano il bacino di Brad e le sue braccia mi stringevano a se senza darmi via di fuga. Non l’avrei cercata. Non ne avevo più la forza, ero stanca, con il corpo dolorante e privo di energie. Ultima briciola di una battaglia ormai inutile da portare avanti fu quel pianto silenzioso che riempì la notte, rimasuglio della ridicola volontà di mantenere una dignità, di mascherare il mio stato.

“Io..”

..ho bisogno di te. Avrei voluto dire, ma non ci riuscii, un singhiozzo mi fece morire in gola le parole e rimasi a metà tra la sua spalla e le sue labbra, incapace di muovere un passo in entrambe le direzioni.

“Shhhh…”

Fu un attimo. Un cigolio risuonò nella notte e cancellò via le lacrime dal mio volto. Menta. Le sue labbra si posarono sulle mie e le sue mani mi accarezzarono il volto prima di stringerlo e avvicinarlo ancora di più al suo. Sentii la sua lingua sfiorarmi il palato e pregai che il tempo si fermasse e che non si facesse mai giorno. Perché nel buio ormai avevo trovato il mio stato naturale, nel silenzio, ogni cosa sembra più grande, ogni rumore sembra frastuono e un bacio diventa esplosione.

“Mi sei mancata tremendamente Lis..”


Wishing well
Buongiorno People, questa mattina mi son svegliata con il sorriso, è successo che qualcuno mi ha scottata e bam, adesso tutto ha assunto un colore diverso, è una scemenza e probabilmente non frega a nessuno ma...bah, sto bene e credetemi è una cosa davvero importante che io stia bene, non stavo così da un bel pò di tempo. Altro motivo per cui essere felice è questa storia..non scrivevo da un pò, non ci riuscivo e ieri sera mi sono messa al computer con l'intenzione di scrivere una romantica melensa che avevo sognato un pò di notti fa e invece..è uscito questo. Non so come sia uscito fuori dalla mia testa ma..loro hanno volti e anima e corpo, li ho sentiti tutti ieri notte di fianco a me e li ho vissuti fino in fondo. Insomma, non so come sia uscita ma nella mia testa loro sono tutti li che esultano per la loro nascita.
Ringrazio già in anticipo quella strana persona che ha letto in anticipo qualche pezzetto di questa storia e che mi ha praticamente convinta a continuare, e poi insulto pubblicamente l'altra persona asociale che in un modo o nell'altro c'è sempre anche se leggerà questa dedica tra circa un anno..e poi grazie a voi che avete letto:)
Wishing well people.
Lis
Ps: non so perchè la protagonista abbia il mio nome, non lo faccio mai ma..buh, è uscito così, spontaneo..

Altre storie:
This is home
wish you were here
Somebody told me

Per uscire un pò fuori di testa invece c'è lui..
Una roba tipo un gruppo di persone deliranti:)

   
 
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