I can barely breathe
Scivolai silenziosa lungo la parete di mattoncini rossi portandomi
le ginocchia al petto, stravolta. Oltre il muro di roccia alle mie spalle un
canyon rosso fuoco conteneva più di trentamila anime pronte ad esplodere.
Sentivo le vibrazioni delle urla percorrere incontrastate la mia schiena e
frantumarmi la gabbia toracica fino a raggiungere il cuore.
Respirai lentamente e a fondo, il palmo della mano sulla
roccia calda e l’altro a stringermi il petto. Il pass per il back-stage appeso
al collo tremava ogni volta che un boato esplodeva nell’anfiteatro.
Dopo tutto questo
tempo..è come se fosse la prima volta, di nuovo.
Alzai lo sguardo scontrandomi con la porta rossa, anche lei
come ogni elemento di quell’architettura a metà strada tra paradiso e inferno, mi soffermai
sulla maniglia e distesi le gambe pronta ad alzarmi e a lasciare che l’automaticità
acquisita negli anni precedenti tornasse a scorrermi nelle vene oliando
ingranaggi bloccati da anni di totale inutilizzo.
Il cantante uscì con lo sguardo di chi ha visto il suo sogno
infrangersi in mille pezzi, mi guardò con occhi truci e mi rivolse un mezzo
sorriso prima di voltarmi le spalle e dirigersi verso la porta del suo
camerino. Lo vidi percorrere il corridoio incerto, come se ogni passo gli
costasse enorme fatica, come se ogni passo corrispondesse a lasciarsi dietro un
pezzo di se stesso. Mi voltai nel momento in cui lo vidi titubare sull’uscio
del camerino, decisa a lasciarlo da solo con i suoi fantasmi e i suoi dubbi,
consapevole della rumorosa discussione che stava avvenendo in quel preciso
istante nella sua mente.
Il tonfo della porta riecheggiò in tutto il corridoio,
preannuncio di una decisione irrevocabile e pesante come tutto il canyon alle
mie spalle.
La porta rossa si aprì nel silenzio del corridoio e gli
occhi del batterista si posarono nei miei gettandomi addosso la gravità della
situazione. Si passò una mano sul volto come a scacciare le precedenti due ore
dando a tutti, anche se forse più a se stesso, l’apparenza che non fosse
successo nulla. Prima di entrare nel suo camerino tornò a guardarmi, una
richiesta di aiuto si scontrò contro le mie iridi come un secchio d’acqua
gelata sulla pelle ustionata dal sole; la raccolsi e mi alzai.
Posai il palmo caldo sulla maniglia fredda e la spinsi a
fondo. Lasciai che la porta si aprisse da sola e che, da sola, mi mostrasse ciò
che aveva gettato addosso a tutti loro tanto sgomento. La stanza era
apparentemente vuota, unica testimonianza umana era una valigia ribaltata su di
un comodino e qualche frammento di cd sul tappetto di fianco al letto disfatto
e macchiato di sangue.
Entrai dando un colpo di nocche alla porta prima di
richiudermela alle spalle. Nessuno rispose solo un rantolo raggiunse le mie
orecchie e mi fece affrettare il passo in direzione del bagno.
Un odore acre m’irritò il naso, costringendomi a portare la
manica in faccia. Impiegai poco meno di un secondo a mettere a fuoco la scena
di fronte a me e immediatamente invidiai quella frazione di secondo in cui tutto
era nebbia e fumo. Il volto totalmente immerso nell’acqua rosea, gli occhi
segnati da due profonde occhiaie nere, la pelle ingiallita e il corpo martoriato
da lividi viola. Un braccio sporgeva dal bordo della vasca ancora stretto nella
morsa di un laccio emostatico. Mi gettai in ginocchio sul pavimento bagnato e
sciolsi di corsa il nodo che attanagliava le vene del braccio. In quel silenzio
credetti di riuscire a sentire un sospiro provenire dalla pelle del braccio e
il fluire denso del sangue nelle vene.
Mi tirai su le maniche e affondai le braccia nell’acqua
gelida tirando fuori il capo del ragazzo, portandomelo al petto. Presi a
dondolarmi sulle ginocchia con il mento poggiato sui capelli neri del ragazzo
tra le mie braccia.
Sei un fottuto idiota!
“Sono un idiota..”
“Si, lo sei.”
“Non ce la faccio”
“Ti sembra il giusto motivo per accorciare i tempi?”
“Ho detto ai ragazzi che non c’è verso che io torni su quel
palco, non ce la faccio..”
“E’ troppo facile, è troppo facile scegliere di lasciarsi
andare così, è una vita che rincorri un sogno, è una vita che ti vedo correre
dietro le orme di nostro padre ed ora stai per fare la sua stessa fine. Speravo
che avessi imparato dai suoi errori e avessi ripreso la parte più genuina della
sua passione, speravo che fossi diverso da lui e che per un secondo, un dannato
secondo, tu abbandonassi l’egoismo e ti concentrassi su ciò che ti ha tenuto in
vita fino a questo momento.”
“Tutto questo mi da sollievo, non sento il dolore, non sento
quel fottuto orologio ricordarmi quanto tempo manca.”
“Non lo senti perché non ha più un cazzo di minuto da
contarti, il tuo tempo doveva essere finito già da un po’, ti sei giocato mesi
rincorrendo un sollievo che ti sta uccidendo, in anticipo.”
“Non capisci, non capisci quanto sia difficile salire sul
palco e cantare come se nulla fosse.”
“Tu hai paura.”
“Fottutamente paura!”
“Ho bisogno di te, ci sono trentamila anime la fuori che
hanno bisogno di te..Brad ha bisogno di te..”
Sussurrai quel nome come se mi stessero lacerando il petto con
un coltello. Era il migliore amico di mio fratello, condividevano la stessa
passione, manteneva pura l’unica cura contro il cancro che attanagliava il
cervello di mio fratello. Il loro rapporto era fondamentale per lui,
condividere le sue paure, i suoi bisogni con qualcuno che potesse capirlo fino
in fondo lo aveva salvato più volte dalla depressione e dall’abbandonarsi alla
malattia in maniera irrimediabile.
“Lis io..”
Mi alzai lasciandolo solo con le sue forze, avvinghiato alla
vasca per non cadere nuovamente nel gelo della solitudine che si era creato intorno.
Presi da sotto il letto la sua chitarra e la poggiai di fianco alla vasca
proprio sotto il suo sguardo.
“Lei è la testimonianza di quanto tu stia trascurando te
stesso e quello che ti circonda. Sai che sono tremendamente seria quando dico
che la musica ti teneva in vita, se sei qui è solo per lei e guarda in che
condizioni l’hai ridotta. E’ solo il lontano ricordo della chitarra che
accompagnava nostro padre, come tu sei il lontano ricordo di mio fratello.”
M’inginocchiai e mi portai a un centimetro dai cuoi occhi,
così che la sua solitudine si scontrasse con la severità del mio sguardo. Due
mondi che fino a quel momento erano andati a braccetto, i nostri, divisi da un
laccio emostatico e una siringa.
“Non è il cancro che ti sta uccidendo.”
“La droga è…”
“Non è nemmeno la droga..è quell’astinenza forzata in cui ti
stai costringendo”
“Astinenza, Lis..”
“Dalla musica..e da te stesso”
Uscii dalla stanza lasciando mio fratello solo nella vasca
con le mie parole che riecheggiavano ancora nelle quattro mura del bagno. La
porta mi sembrò esageratamente pesante e aprirla richiese molto più sforzo di
quanto pensassi.
Inciampai su un paio di converse, 42-43, nere e due mani mi
ripresero nell’esatto momento in cui ormai credevo di aver detto addio al naso
e almeno a metà della mia dentatura perfetta. Quando quelle mani mi cinsero i
fianchi capii in quale abbraccio ero finita e, nonostante l’astio che provavo
nei confronti del proprietario di quelle braccia, lasciai che mi stringessero e
mi riscaldassero dal gelo che mi attanagliava le ossa. Non mi ero accorta di
quanto fossi fredda e tesa fino a quel momento. Ero certa di aver dimenticato
ogni cosa di lui, ero certa che, una volta rivisto, la freddezza delle
condizioni in cui ci eravamo lasciati mi avrebbe tenuta distante da lui, al
riparo da emozioni troppo forti per me che di emozioni rischiavo di rimanerci.
Ogni giorno era come camminare su un filo da equilibrista con il nulla pronto
ad inghiottirmi al primo passo falso, al primo accenno di incertezza. Ogni
notte le mie coinquiline dormivano nel mio stesso letto, facendomi da coperta e
da cuscino: paura e angoscia si chiamavano.
“Come sta?”
Menta. Altra cosa che credevo di aver dimenticato di lui. Il
suo alito profumato mi sfiorò la fronte pungendomi la pelle. Alzai lo sguardo e
incrociai il nero dei suoi occhi, quella, ne ero certa, era la parte di lui che
non avrei mai e poi mai dimenticato. Mi allontanai, scossa e alzai le spalle in
risposta alla sua domanda.
“Entra e guarda tu stesso.”
Annuì e prima di entrare si voltò nuovamente a guardarmi.
“Aspettami qui.”
Abbassai lo sguardo e lo sentii chiamare il nome di mio
fratello. Aspettai che si chiudesse la porta alle spalle e mi gettai a terra
nell’esatta posizione che avevo prima di entrare in quella stanza. Erano ormai
cinque anni che Luke combatteva contro il cancro, e da quasi un anno aveva la
certezza di non poterne uscire vincitore. Ero con lui quando un camice bianco
gli aveva dato l’unico limite che Luke non avrebbe mai voluto avere, sognava
una vita piena di successi, voleva andarsene lasciandosi alle spalle anni di
soddisfazioni, anni in cui lui sarebbe
stato parte integrante della storia musicale in un secolo in cui la musica stava
pian piano morendo. Ero con lui e mi sentii sprofondare, sapevo che peso
avrebbe avuto quel macigno sulla vita di mio fratello, una vita breve, un anno
può non esser nulla. Sapevo che non avrebbe avuto la forza di affrontare quel
nulla di tempo e renderlo totalizzante come solo una vita vissuta in pienezza
può esserlo. Sapevo che avrebbe avuto bisogno di noi, così gli promisi che ci
saremmo sempre stati. Il primo mese sembrò andare tutto a meraviglia, ogni
pezzettino era incastrato nel modo giusto con il resto del quadro e mio
fratello era armato di un sorriso spiazzante. Mi stavo convincendo che ce l’avrebbe
fatta e che ci avrebbe regalato un anno da sogno, con la sua musica e le sue
follie entusiasmanti.
Io e Brad ci avvicinammo, il nostro rapporto divenne in poco
tempo qualcosa di troppo grande per noi. Eravamo un trio magnifico, ognuno si
faceva forza con l’altro. Almeno era quello che credevo, Luke era peggiorato, i
primi lividi comparvero dopo tre mesi dall’ultima visita e il suo volto
cominciò a perdere vivacità. Erano i primi segni di cedimento e furono quelli
che ruppero la magica bolla in cui ci eravamo rinchiusi negli ultimi tempi.
Succede sempre, ad un certo punto, che la favola s’incrina e la storia
partorisce la macchia nera sulla pagina bianca. Nel nostro caso le macchie nere
eravamo noi tre, ognuno di noi permise all’altro di rovinare l’equilibrio. Mio
fratello si fece la prima dose, poi la seconda e poi, alla terza, si fece
scoprire da Brad. Luke diede la colpa al nostro rapporto, disse che eravamo
stati egoisti, che aveva bisogno di noi e che non ci eravamo stati. Disse che
il cancro lo stava divorando e che parte della colpa dell’accelerare della
malattia era nostra, della nostra negligenza. Quando accusò Brad di essere stato
la causa della prima dose, Brad lasciò mio fratello con un bigliettino di scuse
e di buona fortuna per quegli ultimi mesi che gli rimanevano. Fu la cosa
peggiore che ci capitò da quando nostro padre morì lasciandoci da soli. Mio
fratello si sentì abbandonato per la terza volta. La prima da mio padre, la
seconda da Brad e la terza da me.
Fu fin troppo facile per me dare la colpa a mio fratello,
non credevo che Brad lo avesse abbandonato in quel modo senza avere un reale
motivo, incolpai la droga e la scarsa forza di volontà di Luke e mi allontanai
da lui quando disse che Brad si allontanò per causa mia.
Lasciai ogni cosa, mi allontanai dal mondo intero e mi
rinchiusi in casa alla ricerca di un motivo per uscire alla luce del sole.
Avevo il buio sia dentro che fuori di me. Un buio gelido che mi faceva da culla
e mi conduceva in un sonno pieno di incubi. Passai un mese appollaiata sul
bordo della finestra con le ginocchia al petto a sbirciare squarci di vita che
avevo imparato ad indossare su me stessa, avevo imparato nomi e avevo scritto
storie su quei minuscoli puntini che mi camminavano sotto lo sguardo. Volevo
vivere solo di quello, di storie e di vite che non mi appartenevano, non mi
avrebbero delusa, mi avrebbero accompagnata ogni notte verso un sonno privo di
incubi e sogni. Mi addormentavo con la consapevolezza che presto mio fratello
mi avrebbe abbandonata e avevo paura che potesse succedere in quel momento,
così restavo chiusa in me stessa al riparo da tutto, da tutti e dal cancro di
Luke.
Mi stavo perdendo il mondo, stavo abbandonando i miei sogni
e stavo abbandonando Luke.
Una mattina mi svegliò il suono del campanello e quando
aprii il batterista disse che mio fratello era migliorato e che sembrava stare
meglio. M’invitò a seguire il tour e a riprendere in mano la mia professione.
Insomma, mi offrì la possibilità di tornare al mondo come scoprii che mio
fratello aveva fatto in quel mese in cui io sparii. Quando incontrai di nuovo
Luke e mi scontrai con il suo viso sano e vivace dimenticai ogni minima cosa e
ci perdonammo a vicenda con un semplice sguardo, consapevoli che nulla ci
avrebbe divisi nemmeno la sua malattia.
Con il tempo capii che perdonare Luke era un conto,
perdonare Brad..non ci riuscii mai. Se avevo qualcosa da imparare da Luke era
che ogni cosa perde di senso rispetto ad una vita che ti sta scivolando via
dalle mani e che a volte perdonare allunga di un minuto quel momento in cui
tutto sembra a posto con il resto. Ma non ci riuscivo, non come lui.
E poi, la malattia fece di nuovo capolino, si prese mio
fratello durante un concerto, allarmò tutti e fummo costretti a fermare Il tour
e rinviarlo a data da definire. Luke passò un inferno, la malattia lo portava
sempre più giù e fece riemergere tutte le rogne che avevamo lasciato dietro di
noi, compresa la storia tra Brad e me.
Non ci ricascai, non mi lasciai tentare nuovamente dal
richiamo della mia finestra, abbandonai l’immensa voglia di rifugiarmi nel mio
angolo buio ma tranquillo e per la prima volta mi gettai in un buio di cui non
conoscevo nulla. Nuotavo nell’oscurità più assoluta, cercavo di trovare il
miglior modo di aiutare mio fratello, provavo a parlargli, a convincerlo a
tirarsi su, ma come fai a tirare su un ragazzo al quale sono rimasti poco meno
di sei mesi di vita? Cosa gli dici? Insomma brancolavo in quello stadio di
ignoranza assoluta fidandomi del mio istinto e lasciandomi guidare dall’amore
che avevo per Luke. Non ero cieca, avevo subito capito che il suo miglioramento
era solamente apparente, ma non sapevo fermarlo, non avevo il coraggio, la
droga gli dava sollievo, lo faceva stare bene per qualche istante. Era riuscito
a ricominciare a suonare, il tour era ripartito e sembrava rianimarsi di quella
vivacità che io adoravo in lui.
Ma come ho detto, era solo apparenza.
Lui era in quella vasca probabilmente perché non ero stata
capace di fermarlo, ma non potevo decidere per mio fratello, Luke in tutto
questo era terribilmente lucido. Totalmente consapevole di quello che faceva
continuava a prendere le sue decisioni da solo, assumendosi le proprie
responsabilità, accorciando lentamente i suoi minuti già contati da qualcun
altro. Era l’unica cosa della sua vita di cui avesse la possibilità di
controllo, poteva decidere di farsi o poteva decidere di non farsi, non è mai
stato dipendente e, forse, era questo
che mi destabilizzava.
Nascosi il volto tra le gambe e lasciai che le vibrazioni di
quelle trentamila persone alle mie spalle mi rianimasse. C’era così tanta vita
aldilà del muro, invece la mia vita era circondata da paura e orologi che
ticchettano impazienti e tremendamente insistenti. Ricordo di essermi
trovata più di una volta a desiderare
che mio fratello smettesse di soffrire, qualunque fosse stato il prezzo da
pagare, ero pronta a perderlo pur di non vederlo in quelle condizioni. Nessuno
dovrebbe stare così male. Mai. E lui ne aveva passate abbastanza, era ora che
tutto questo finisse.
Ma ora ero io che non andavo. Io non ero più pronta a perderlo,
avevo bisogno di lui, più di ogni altro.
La maniglia scattò e la porta si aprì. Luke aveva assunto un
colorito quasi normale e camminava con passo deciso anche se ogni tanto rischiava
di cadere a terra, le forze lo stavano lasciando piano piano ma c’era la possibilità
che qualcosa di più forte del suo corpo lo mantenesse in piedi. Mi voltai verso
Brad e incrociai per un secondo i suoi occhi. Sentimenti contrastanti
popolavano la mia mente e se solo ne avessi avuto la forza mi avrebbero spinta
ad alzarmi e a prenderlo a pugni, avevo bisogno di sfogarmi e lui era la
perfetta valvola di sfogo, tutta la rabbia che provavo nei suoi confronti
pulsava nelle vene sfondandomi i timpani. Tutto il risentimento, la paura e..la
delusione, mi attanagliavano lo stomaco e mi distruggevano.
Pensavo di aver dimenticato tutto e invece, era tutto ancora
così vivo dentro di me come se non fosse passato nemmeno un giorno da quando
Brad decise di partire e lasciarci soli. Mi sentii una stupida e dovetti
accettare l’evidenza. Avevo bisogno anche di lui perché, sia nel bene che nel
male, teneva viva la parte di me che
tenevo seppellita per evitare di ferire Luke; a distanza di anni lui era
ancora la persona da cui attingevo la mia forza, non importa da quale
sentimento la prendessi, amore, odio, rabbia, delusione, in un modo o nell’altro
quella carica di emozioni m’impediva di lasciarmi andare e scappare. Come aveva
fatto lui anni prima.
Il canyon cadde nel silenzio più assoluto quando mio
fratello fece la sua comparsa sul palco. Mi persi la scena ma rimasi seduta a
terra con le spalle a un passo dal palco a godermi un silenzio carico di
rispetto e paura. La sentivo, anche se era diversa da quella che provavo io,
era paura di rovinare un istante, frantumare un anima in mille pezzi e
spargerla al vento. L’anima di Luke era ancora più fragile del suo corpo, se
possibile, e avevo sempre amato il modo in cui nell’esatto momento in cui le
corde prendevano a vibrare sotto le dita di mio fratello, anche il suo corpo
veniva catturato in quella specie di danza intima e profonda in cui la sua anima
prendeva vita e scorreva lungo e dentro le sue note. Quando papà ci diceva che
la musica ha il potere di farti salire in paradiso e scendere all’inferno nello
stesso istante, diceva la verità. Sapevo che oltre quel muro Luke stesse
portando avanti una lotta con se stesso, sentivo i suoi pensieri arrivare
nitidi ai miei timpani e ronzare nella testa rumorosi.
Paradiso e inferno. Un ottima discussione da portarsi sulle
spalle in quel luogo, l’anfiteatro, il canyon, un parco di rocce rosso fuoco
che portava il nome di “Il giardino degli angeli”.
Due note risuonarono cristalline sulla platea e un boato
esplose inondando il palco di quella adrenalina di cui, ne ero certa, mio
fratello avrebbe avuto davvero bisogno in quel periodo. Io dal canto mio,
preferii raggomitolarmi su me stessa e godermi in pace un momento che sapevo
sarebbe stato più unico che raro. Stavo a pezzi, la testa scoppiava e il petto
tremava sotto il battito incostante del mio cuore. La paura e l’angoscia
esplosero insieme alle voci di quelle trentamila persone passando inosservate e
lasciandomi da sola con il mio sfogo personale. Avevo bisogno di silenzio e
tranquillità, ma, consapevole di quanto fosse impossibile per me trovarne anche
solo un briciolo, mi sarei accontentata anche di un perfetto attimo di
momentaneo stand by.
Un rumore di passi e un fruscio al mio fianco. Capii di non
essere sola. Pregai che non dicesse nulla e sapevo che non lo avrebbe fatto, mi
capiva, mi aveva sempre capita, era per quello che adoravo passare del tempo
con lui. Era l’unica persona alla qual non dovevo mentire alla domanda “Come
stai?”, sapeva sempre come stavo, me lo leggeva negli occhi, nei gesti, nelle
cose non dette. Aspettava il momento giusto per parlarmi, aspettava che fossi
pronta e che fossi io a cercarlo, così come faceva lui. Ognuno sapeva che l’altro
c’era e che ci sarebbe sempre stato.
“Perché ora?”
Non c’era più, era sparito e mi ero abituata, avevo imparato
a contare su me stessa a capire quando fosse ora di lasciarsi andare e quando
invece servisse la mia piena lucidità. Avevo imparato a sfogarmi senza di lui,
o forse avevo imparato a vivere senza sfogarmi mai. Ma in un modo o nell’altro
avevo riempito il vuoto che mi aveva lasciato, che ci aveva lasciato, con l’amore
che avevo imparato a provare per Luke. Perciò..perchè ora?
“Perché era ora che tornassi..”
Per mio fratello. Era giusto, lui lo aveva perdonato da
anni, Luke aveva bisogno di lui e Brad lo sapeva. Abbassai le palpebre beandomi
della penombra che mi concesse quel sottile strato di pelle sui miei occhi. Ero
stanca e delusa. Ma non potevo ignorare ciò che Brad stava facendo in quel
momento. Era un sollievo saperlo con Luke, era un sollievo sapere che
finalmente qualcosa stava tornando a posto, anche se troppo tardi, o forse no.
Ero contenta per loro due e nemmeno la rabbia avrebbe potuto farmi cambiare
idea.
“Grazie..”
Mi voltai verso di lui nell’esatto momento in cui anche lui
rivolse a me i suoi occhi neri, per una frazione di secondo credetti che tutti
gli ingranaggi fossero tornati a camminare; per una frazione di secondo provai
l’impulso di sporgermi verso di lui e lasciarmi accarezzare e stringermi dalle
sue braccia. Ma una frazione di secondo non bastava a farmi dimenticare.
Lo vidi esitare e sporgersi verso di me ma ruppi il contatto
e feci calare nuovamente le palpebre sulla mia vista.
“Non sono tornato solo per lui..”
“Lo so..”
Lo sapevo per davvero ma cercavo di negarlo con tutta me
stessa, la paura di essere di nuovo lasciata sola era grande e sapevo che non
ce l’avrei fatta una seconda volta a lasciarmi tutto alle spalle e ad imparare
a vivere per due.
“Lis, per favore..guardami..”
Non posso guardarti!!
“Lis..”
“Brad per favore..”
Quasi lo implorai.
“Perché?”
“Perché mi scontrerei con la verità Brad e farebbe male..”
Quanto mi avrebbe fatto bene scoprire che lui teneva ancora
a me, che se n’era andato per ovvi motivi e che nonostante avesse passato tutto
quel tempo lontani da noi non aveva fatto altro che pensare a noi, a mio
fratello, a me? Mi sarebbe davvero servito sapere che lui ci sarebbe stato da
adesso in poi, che non gli sarebbe importato quanto tempo ci sarebbe voluto per
far tornare le cose come prima, ma sarebbe andato fino in fondo? Ero certa che
se lo avessi guardato tutto sarebbe tornato al suo posto, lo avrei perdonato,
avrei dimenticato la delusione e la rabbia e mi sarei gettata di testa nell’unico
affetto di cui avevo realmente bisogno. Sapevo che mi avrebbe fatta stare bene,
ma L’affetto di Brad era come una dose per Luke, non saprei mai quale sia l’ultima
volta.
E a volte la paura di ricascarci e più forte della voglia di
stare meglio. L’abitudine spesso vince il bisogno e il desiderio. Lasciai che
vincesse su di me.
“Hai bisogno di me Lis..”
“Ma vaffanculo Brad!”
Aveva ragione ma sbattermelo in faccia in quel modo..non lo
sopportavo. La rabbia cominciò a scorrermi lentamente, solida, nelle vene.
“Hai bisogno di me e lo sai..”
La sentivo salirmi al cervello, come una presenza anomala,
come un forza vincitrice della gravità e della mia forza di volontà.
“Lo sai!”
Esplose e il mio corpo con lei. Distesi le gambe e mi alzai
in piedi completamente fuori di me.
“Allora perché non sei rimasto? Perché ci hai lasciati in
quel modo? Sapevi quanto Luke avesse bisogno di te, sapevi quanto fosse
fondamentale il vostro rapporto per il suo equilibrio. Diamine Brad non passava
giorno in cui tu non mi ripetessi che non avresti mai lasciato nessuno di noi,
che eravamo la tua famiglia..cazzate! Hai mandato tutto all’aria. Io e Luke
siamo una famiglia..io e Luke ci siamo costruiti un qualcosa senza di te,
costretti a convivere con ogni dannato fantasma della sua malattia e sai chi
mancava? Mancavi te, c’era un buco, ovunque andassimo, qualunque cosa
facessimo, Luke lo sentiva, ci stava male e..sai cosa mi diceva? Che non
importava, che capiva il motivo per cui te n’eri andato via..lui..”
Si alzò e mi venne incontro ma lo fermai.
“No..lui ha capito, ha capito cosa fosse più importante tra
la rabbia e la tua amicizia..io non ci sono mai riuscita. La delusione è così
grande, fa così male..pensavo di esser riuscita a dimenticare ogni cosa di
te..di noi. Sai cosa significa scoprirsi deboli, di nuovo? Avere bisogno di
sfogarsi e sapere che non c’è nessuno? Avevo dimenticato tutto questo, pensavo
di esser diventata forte per forze di causa maggiore ma..non è così..e me ne
rendo conto solo ora che ti ho di fronte. Ho un dannato bisogno di te..era
questo che volevi sentirti dire?”
Lo guardai negli occhi, a pochi millimetri dal suo volto.
“Ho bisogno di te e mi odio per questo..”
Rimasi li, ferma a fissarlo, gli gettai addosso tutta la
rabbia, la frustrazione, la delusione e mi sentii ridicola. Ridicola per
avergli gettato addosso tutto quel fango, ridicole per averlo accusato, ma fu
più forte di me. Mio fratello lo aveva accolto a braccia aperte, passandogli
tutto, io non ci riuscivo, a costo di sembrare infantile e ridicola, di nuovo.
S’incrinò qualcosa, sentii un “crack” farsi strada dentro di me.
Boccheggiò sulle mie labbra, accennando a parole incompiute
e prive di senso. Lo lasciai lì, solo nel corridoio e mi allontanai quasi
correndo decisa a mettere più metri possibili tra me e il suo sguardo, così
colpevole, così sincero.
M’infilai nella massa, desiderando di sentirmi una dei
tanti, estranea a quella situazione, estranea ai problemi. Permisi alla musica
di entrarmi in corpo e di scorrermi nelle vene. L’adrenalina prese a pompare
energia al mio corpo e mi feci trasportare dall’onda di sentimenti che non mi
appartenevano ma che sapevo indossare bene, insomma, ci avevo vissuto di quelle
sensazioni, a lungo, sapevo come fare.
Alzai lo sguardo al cielo e lasciai che un ragazzo posasse le sue labbra
sulle mie. Le pupille dilatate, le sue labbra umide ed impastate e gli occhi
così eccitati, così pieni di vita. Sentii le labbra gonfiarsi e rinvigorirsi,
come risvegliate dopo un lungo sonno. Sorrisi e mi abbandonai al caos per le
successive due ore.
Dopo il concerto mi dileguai, cercando riparo nelle rocce e
nelle stelle. Mi distesi e chiusi gli occhi sentendo riaffiorare lentamente i
pensieri nella mente.
“Ehi..”
Spalancai gli occhi, allarmata. Mi tirai a sedere ma Luke mi
fermò sedendosi di fianco a me e passandomi un braccio sulla spalla.
“Adoro questo posto.”
Sorrisi.
“Si, anch’io..”
Silenzio. Un silenzio carico di tensione.
“Sei mia sorella Lis, la più piccola, avrei dovuto pensare a
te e invece..”
“No fermo, evita il discorso da fratello maggiore che non ci
sta e non c’è mai stato..”
“Sta zitta un attimo e fammi parlare! Oh! Sei sempre stata
tu la più grande, quella che mi faceva aprire gli occhi, quella che mi ha
insegnato quanto sale mettere nella pasta e che i bianchi non si lavano con i
neri. Ho fatto tanti di quei pasticci, ricordo ancora la maglia dei Kiss
macchiata di candeggina, ci abbiamo messo una vita a ritingerla. Hai sempre
pensato a tutto tu, mi sei sempre stata vicina. Il cancro, una macchia di
candeggina, non sai quante volte ho sognato di fare come con quella maglietta,
ritingerla, tentare fino a quando non scomparisse. Ma è li, sempre. Ho pensato
che con te che pensi a me e con il cancro che prende decisioni sul mio corpo l’unica
cosa che avrei potuto controllare fosse il dolore. Ho dimenticato di quanto
fosse importante la musica. Insomma, mi hai visto oggi? Prima di salire sul
palco ero in una vasca più morto che vivo e poi..ma non è solo la musica. Mi
hai tenuto in piedi, anche quando sembrava che non ci fossi, mi hai sempre
tenuto in piedi. Tutte le volte che mi sono arrabbiato con te, tutte le volte
che ti ho dato contro, non capivo come potessi lasciarmi li, da solo. Ma cazzo
Lis, adesso non capisco come tu abbia fatto a starmi vicino fino a questo
momento. Al posto tuo me la sarei data a gambe, o sarei morto di paura.”
“Non ti prometto che la smetterò, Perché so quanto faccia
male sentirsi quella macchia nel cervello e so quanto bene mi fa darmi un po’ di
sollievo, ma posso prometterti che non mi lascerò più andare. Mi aggrapperò a me
stesso e cercherò di non dimenticare mai più cosa significa sentirsi veramente
bene. E’ difficile, insomma, tra poco me ne andrò e..Lis..ho paura di andarmene
da solo. Non voglio lasciarti, so che sapresti cavartela senza di me..ma non
conosco posto in cui io stia senza di te. Chi mi dice che lassù o laggiù o
chissà che diavolo mi aspetta, io non abbia bisogno di te? L’egoismo fa parte
di me, lo sai, ma non voglio lasciarti!”
Mi misi in ginocchio e strinsi il suo volto al petto come a
proteggerlo da tutta la paura e la preoccupazione che lo avevano tenuto in
ostaggio fino a quel momento. Lo sentii singhiozzare tra le mie braccia e presi
a cullarmi su e giù sui talloni aspettando che si tranquillizzasse. Era mio
fratello, era lui, non più il teschio nella vasca, era la sua voce, erano le
sue braccia quelle intorno a me e le sue lacrime a bagnarmi la maglietta.
Sentii il cuore esplodermi e il gelo svanire. Calore, calore in tutto il corpo,
calore sulle guance, calore nel petto, calore nelle braccia.
Sentii gli ingranaggi tornare a muoversi, un altro “crack”
al centro del petto.
“Lis, c’è un’altra cosa..”
Si allontanò da me senza sciogliersi dall’abbraccio, lo
sguardo preoccupato e terribilmente serio.
“Brad..”
Mi allontanai da lui e rivolsi lo sguardo alle stelle
incapace di ascoltare altro dalla bocca di mio fratello. Volevo mantenere quel
momento intatto.
“No, ascoltami, devo dirti una cosa. Il motivo per cui se n’è
andato..”
“E’ perché è un tremendo vigliacco Luke..ha avuto paura, ha
scelto la via più facile..”
“Gliel’ho chiesto io.”
Una secchiata d’acqua gelida mi cadde sul viso. Incredula
guardai Luke in attesa di spiegazioni.
“Ero fatto, avevo ancora la siringa nelle vene quando lui mi
ha beccato in bagno, si è infuriato e mi sono sentito giudicato, offeso. Gli ho
detto che lo avevi cambiato e che lui aveva cambiato te, che era diventato un
cretino dietro le tue preoccupazioni. Gli ho detto che il rapporto che aveva
con te stava minando il nostro e che doveva scegliere tra me e te. Lo so, sono
stato uno stronzo ma non me ne rendevo conto. Ero arrabbiato, ferito, seduto sul
water in mutande con una siringa nella vena, Brad mi guardava come se avesse
davanti a se uno sconosciuto e mi ha detto che non avrebbe mai scelto tra me e
te e che avrebbe preferito sparire dalle nostre vite e lasciare che vivessimo
il nostro rapporto senza la sua presenza. Gli ho urlato che allora la decisione
l’aveva presa e che non l’avrei mai più voluto vedere nelle nostre vite. Nel
cuore della notte mi svegliavo e lo chiamavo urlandogli che era un vigliacco e
che non avevamo bisogno di lui. Gli ho persino detto che tu stavi meglio da
quando se n’era andato..”
Fece una pausa, forse per lasciarmi incassare il colpo,
forse per paura di andare avanti e distruggere il mio equilibrio. Lo guardavo
spaesata, confusa e incredula. Sapevo che in quel periodo non stava bene,
sapevo che doveva essere il motivo per cui Brad aveva deciso di andarsene ma
non credevo che fosse arrivato a tal punto. Insomma, anch’io milioni di volte
davanti alla malattia di mio fratello avevo pensato di andarmene e rinunciare a
star male per lui, ma ci ripensavo, sempre, perché amavo Luke più di ogni altra
cosa al mondo. Perciò non giustificavo Brad, perciò ero arrabbiata con lui.
“Lis..scusami, io..hai bisogno di lui e lui ha bisogno di
te, siete stati così tanto tempo dietro alla mia follia che vi meritate un
rapporto sano, vero, senza macchie. Non dargli colpe che non ha.”
“Luke, ha avuto così tanto tempo per tornare, così tanto
tempo per decidersi a dimenticare tutto..è tardi..”
“Cazzo dici? Non è tardi! Guardati! Ti nascondi tra le
rocce, ti chiudi dentro casa pur di non farti vedere debole, provata. Hai
bisogno di qualcuno che possa capirti e che sia costante, qualcuno che non
abbia il cervello dominato da qualcosa più grande di lui. Hai bisogno di un
rapporto vero, pieno, totalizzante.”
Sostenni il suo sguardo per un po’, titubante, tentennando
un po’ tra il cedere o no. Testarda, una fottuta testarda. Distolsi lo sguardo
con decisione, tornando a stendermi sulla roccia ignorando le imprecazioni di
mio fratello. Solo una frase arrivò dritta al centro dell’obbiettivo.
“Di sto passo morirai prima di me Lis..almeno io ho come
giustificazione il cancro, tu che scusa hai?”
Piansi, a lungo e silenziosa. Le lacrime scorrevano copiose
sulle guance bagnando la roccia e inebriandomi di un profumo metallico. Ero
sola, volevo esserlo, anche se dentro di me gridavo disperatamente aiuto.
Volevo un abbraccio, volevo esser capita. Avevo bisogno di Brad ma ero incapace
di accettarlo, incapace di lasciarmi andare.
Mi misi a sedere e mi portai le mani a coprirmi il volto
completamente bagnato. Mi strinsi nelle spalle e mi dondolai lentamente
cercando conforto in quel calore riacquisito da poco.
Mi sentii avvolgere e prima che me ne rendessi conto le mie
gambe circondavano il bacino di Brad e le sue braccia mi stringevano a se senza
darmi via di fuga. Non l’avrei cercata. Non ne avevo più la forza, ero stanca,
con il corpo dolorante e privo di energie. Ultima briciola di una battaglia
ormai inutile da portare avanti fu quel pianto silenzioso che riempì la notte,
rimasuglio della ridicola volontà di mantenere una dignità, di mascherare il
mio stato.
“Io..”
..ho bisogno di te. Avrei
voluto dire, ma non ci riuscii, un singhiozzo mi fece morire in gola le parole
e rimasi a metà tra la sua spalla e le sue labbra, incapace di muovere un passo
in entrambe le direzioni.
“Shhhh…”
Fu un attimo. Un cigolio risuonò nella notte e cancellò via
le lacrime dal mio volto. Menta. Le sue labbra si posarono sulle mie e le sue
mani mi accarezzarono il volto prima di stringerlo e avvicinarlo ancora di più
al suo. Sentii la sua lingua sfiorarmi il palato e pregai che il tempo si
fermasse e che non si facesse mai giorno. Perché nel buio ormai avevo trovato il
mio stato naturale, nel silenzio, ogni cosa sembra più grande, ogni rumore sembra
frastuono e un bacio diventa esplosione.
“Mi sei mancata tremendamente Lis..”
Ringrazio già in anticipo quella strana persona che ha letto in anticipo qualche pezzetto di questa storia e che mi ha praticamente convinta a continuare, e poi insulto pubblicamente l'altra persona asociale che in un modo o nell'altro c'è sempre anche se leggerà questa dedica tra circa un anno..e poi grazie a voi che avete letto:)
Wishing well people.
Lis
Ps: non so perchè la protagonista abbia il mio nome, non lo faccio mai ma..buh, è uscito così, spontaneo..
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wish you were here
Somebody told me
Per uscire un pò fuori di testa invece c'è lui..
Una roba tipo un gruppo di persone deliranti:)