Era
mattino. Le prime luci dell’alba filtravano dalle persiane della mia finestra,
andandosi a posare proprio sui miei occhi. Era un qualcosa di fastidioso ma
allo stesso tempo di sollievo. Mi facevano capire che era passato un altro
giorno, un altro giorno che avevo vissuto e che ero ancora viva. Mi stiracchiai
le braccia e mi alzai dal letto. Cercai le mie pantofole, senza successo, e mi
incamminai a piedi nudi fuori dalla stanza. Peccato che il mio corpo fosse
scollegato dalla mia volontà di coordinazione dei movimenti. Sbattei il mignolo
del piede proprio nello spigolo della porta, cosa che fece scaturire dalla mia
bocca parole non proprio adeguate per una ragazza.
“
Maledizione, porca di quella trota infame. Stupidissimo spigolo dei miei
stivali!”
Qualche
porta si spalancò e ne uscirono fuori tre ragazzi parecchio assonnati.
“
Non dirmelo. Hai sbattuto di nuovo il mignolo del piede nello spigolo della
porta vero? Cercherò di comprarti le tute di gomma che mettono alle persone che
non riescono a muoversi, bambina.”
Guardai
male la persona che aveva appena pronunciato quelle parole, ovvero mio fratello
Alex. Lui era due anni più grande di me, completamente diverso dalla
sottoscritta sia per l’aspetto fisico che per quello caratteriale.
Lui
era quello solare, estroverso, ma difficile da avvicinare, da “conquistare” oserei dire. Alto, moro,
occhi verdi, era il classico tipo che faceva cadere tutte le ragazze ai suoi
piedi. Non passava inosservato, soprattutto per il tipo di abbigliamento che
usava portare, in altre parole jeans con camicia e trench. Molti lo avrebbero
definito il classico fighetto del cazzo figlio di papà, che al solo schiocco di
dita poteva avere tutto quello che voleva. In realtà non era così.
Il
mio, come il suo passato, era molto diverso da quello che la gente pensava di
noi. Tutti pensavano che avessimo avuto un’infanzia felice, fatta di amore e di
attenzioni, cosa alquanto diversa dall’effettiva realtà. Molte persone non
credevano neppure che io e lui fossimo fratello e sorella ma sottoscritta
Ginevra, poteva dimostrarlo con tanto di attestato di nascita, e perché no? Anche
facendo il test del DNA.
Lui
era il giorno ed io la notte, lui era quello estroverso e io quella introversa,
lui era quello socievole con tutti e io quella asociale. In verità non fui
sempre così. Fino all’età di otto anni ero una ragazza piena di vita e di gioia
di vivere, con la voglia di fare nuove conoscenze e di ridere. Tutto successe
quel giorno, il giorno in cui la mia vita cambiò completamente senza punto di
ritorno.
Facevo la terza elementare, mentre
mio fratello la quinta elementare. Stavamo tornando a scuola da soli. Da mesi i
nostri genitori non facevano altro che litigare tra di loro, alzando la voce,
ma mai le mani. Quando succedevano questi litigi, io mi rinchiudevo in camera,
tappandomi le orecchie con le mani, cercando di non sentire le urla rotte dal
pianto di mia madre, e il ringhiare furioso di mio padre.
Mia madre incolpava mio padre di
non prendersi le proprie responsabilità come genitore e come marito, facendo
varie supposizioni, una delle quali che lui si fosse trovato un’altra donna. Lui,
dal canto suo, respingeva tutte queste accuse, accusando mia madre di fare
troppi ragionamenti strani e che lo stesse opprimendo. Non c’era bisogno che
qualcuno mi facesse capire che il loro matrimonio era finito. Una bambina di
otto anni capisce queste cose, anzi le intuisce ancor prima che avvengano. Da cosa
lo si capisce? Da vari fattori, dalle piccole cose, come un bacio dato prima di
uscire, un’occhiata particolare, una parola dolce, o addirittura un gesto. Tutte
cose che non c’erano più da molto tempo.
Mio fratello veniva sempre in
camera mia e mi abbracciava, poggiando le sue mani sulle mie, come se cercasse
in tutti i modi di non farmi sentire niente. Le urla dei miei genitori erano un
qualcosa che mi stava perforando il cervello, penetrava dentro di me come se qualcuno
lo avesse marchiato a fuoco sulla mia pelle. Il tutto finiva sempre con una
porta che veniva sbattuta seguita subito dopo dal silenzio. Mia madre si era
data all’alcolismo per colpa di tutte le congetture e le ipotesi che poteva
formulare nella sua mente. Non riusciva a capacitarsi del comportamento di mio
padre che cambiò così bruscamente da un giorno all’altro. Tutto c’era nella mia
famiglia, tranne l’amore.
Io e mio fratello ne parlammo solo
una volta, trovandoci d’accordo che nostro padre non amasse più nostra madre. Arrivammo
addirittura alla conclusione che il divorzio, e ancor prima la separazione,
fosse l’unica via per non far cadere nostra madre nel baratro della
depressione. Nostro padre cominciò a mancare per giorni interi, mentre nostra
madre cominciò a non uscire più di casa. Solo una volta chiamammo qualche
nostro parente per farci aiutare, ma nessuno volle darci il loro aiuto. Nessuno
aveva visto di buon occhio l’unione dei nostri genitori, anzi erano quasi
contenti che stesse succedendo tutto questo.
Io e mio fratello non eravamo
preparati, tutto era nuovo per noi, e la cosa difficile fu far finta che tutto
andasse bene, che non stesse succedendo niente del genere. Le persone non
avrebbero mai sospettato della situazione familiare che avevamo vedendo i
nostri volti. Ai loro occhi eravamo come tutti gli altri bambini della nostra
età, senza pensieri tranne quello di giocare. Cominciammo a prenderci le nostre
responsabilità troppo presto. Eravamo noi a fare la spesa, a cercare di tirare
su il morale a nostra madre, ricevendo alcune volte solamente degli schiaffi,
seguiti subito dopo dalle lacrime e dalle scuse. Eravamo cresciuti troppo in
fretta, abbandonando il nostro ruolo di bambini per prendere quello di adulti.
Anche stare a casa era diventato
pesante, tutto in quella casa faceva venire la voglia di andare via, scappare
in un luogo lontano. Tutto successe in un’afosa notte d’estate. Mio padre non
si faceva vedere da settimane. Nostra madre dormiva grazie all’aiuto dei
tranquillanti. Dovevamo stare attenti pure alle dosi che prendeva, avendo paura
che esagerasse con le dosi. Alex dormiva in camera, mentre io, svegliata da uno
degli innumerevoli incubi che ormai infestavano i miei sogni, mi svegliai e
andai in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Quando fui li, notai la sagoma di
qualcuno seduto su una sedia del tavolo. Mi paralizzai all’istante pensando che
fosse un ladro che era riuscito a entrare in casa senza che noi ce ne
accorgessimo, ma quando i miei occhi si abituarono al buio, vidi che altri non
era che mio padre.
“ Speravo che fossi tu.
Mi sei mancata così tanto.”
Si avvicinò verso di me e mi
abbracciò. Le mie narici furono subito investite dal forte odore dell’alcool. Le
mani di mio padre andarono subito a posarsi sulla mia maglia, cercando di
togliermela, ma io per tutta risposta, cercai di allontanarmi da lui. Il gesto
parve non piacergli, tanto che mi afferrò per un braccio e mi spinse sul
tavolo, tappandomi la bocca con la sua grande mano.
“ Ho sempre pensato che
il tuo nome si abbinasse perfettamente alla tua persona. Sei irriverente,
proprio come un alcolico, proprio come un Gin.”
Sempre tenendomi la bocca tappata
con una mano, mi levò in fretta i pantaloni del pigiama. Cercai di
allontanarlo, graffiandogli le braccia, mordendogli la mano. Per tutta risposta
prese uno straccio che mia madre usava per asciugare le pentole, e con quello
mi tappò la bocca. Quello che successe in seguito fu un susseguirsi di
disgusto, odio e dolore. Quell’uomo che una volta era stato un padre amorevole
verso di me, si era trasformato in un essere che aveva profanato sua figlia. Le
lacrime inondavano i miei occhi, cadendo fino a frenare la loro caduta sul
tavolo dove quel mostro mi aveva fatto stendere. A nulla servirono le mie lotte
per liberarmi, per farlo andare via da me, era più forte di me sotto ogni punto
di vista. Chiudevo addirittura gli occhi con la speranza che, una volta
riaperti, tutto fosse finito, o nella migliore delle ipotesi non fosse mai
accaduto. Forse fu la disperazione, o forse l’incoscienza della mia età, che mi
fece far voltare la testa più volte, tanto che lo straccio non tappò più la mia
bocca e mi fece urlare.
Mio fratello e mia madre scesero di
gran corsa. L’ultima cosa che ricordo di quel momento, furono le luci che si accendevano
e mio padre che veniva portato via da me. Il resto fu talmente sfuocato, che
non riuscivo a dare il giusto ordine ai ricordi che si affollavano nella mia
mente. Quando mi svegliai mi trovai in un letto d’ospedale. Mio fratello era
accanto a me che dormiva. Aveva un bendaggio sul sopracciglio destro. Quando la
nebbia che diradava i miei ricordi fu scomparsa, i ricordi affollarono la mia
mente, facendomi urlare e facendomi agitare. Alex si svegliò di soprassalto,
mentre i medici cercavano di calmarmi in qualche modo.
L’unica frase che rimbombava nella
mia mente era che mio padre mi aveva violentato, il mio corpo era stato
profanato da mio padre. Per molti anni dovetti vivere con il pensiero fisso che
in realtà fosse stata solo ed esclusivamente mia la colpa di tutto ciò che era
successo. Mi ero assunta io le responsabilità di un qualcosa delle quali non
avevo colpa.
Venni a sapere che era stato Alex a
far andare via mio padre, cercando di proteggermi da lui. Chiamarono la polizia
e fu arrestato per violenza su minori. Nostra madre non resse il colpo e morì
qualche anno dopo, dopo che la depressione la indusse ad ingerire troppi
medicinali mischiati all’alcool, al gin tanto amato da mia madre. Avevo quindici
anni quando lei morì, nove quando mio padre mi violentò. Mi aveva violentato il
giorno del mio nono compleanno. Il suo era stato un regalo che non mi sarei mai
dimenticata per il resto della mia vita. Un anno dopo Alex divenne maggiorenne
e noi ci trasferimmo in un’altra città. Non avevo voglia di stare in quella
cittadina dove tutti sapevano ciò che era successo alla nostra famiglia. Tutti cercarono
di aiutarmi, dai servizi sociali, ai medici, fino a mio fratello, ma io mi
chiusi in un ermetico mutismo.
Era stata mia la colpa di tutto, io
ero stata l’unica colpevole, anche della morte di mia madre. Non riuscii
nemmeno a piangere al suo matrimonio. I miei occhi erano stati prosciugati, non
avevo più lacrime da versare.
Ci trasferimmo da due nostri cugini
che avevano perso i genitori in un incidente stradale qualche anno fa. Loro non
furono affidati ai servizi sociali come noi, Alistair, mio cugino più grande
aveva diciannove anni, mentre il più piccolo, Lux, ne aveva quindici. Lux e
Alex hanno la stessa età, si sbagliano esattamente due settimane. Andammo a
vivere da loro e insieme formammo una famiglia, quella famiglia che io non
avevo mai avuto. Loro sapevano del nostro passato, ma non avevano detto mai
niente al riguardo, anzi! Avevano avuto sempre un occhio particolare per me,
cercando di non farmi mancare nulla.
Me ne rendevo conto da sola che ero
diversa. Ero diventata timida, avevo paura dell’altro sesso, avevo paura che i
ragazzi si comportassero con me nella stessa identica maniera di mio padre. Alzai
delle barriere invisibili contro tutti, fidandomi di poche persone. Cercarono di
farmi sentire a mio agio, ma l’unica cosa che mi faceva stare veramente bene
erano le gare di atletica leggera. Quando correvo mi sentivo libera, come se
riuscissi a mettere quanta più strada possibile fra me ed il mio passato…
Li
guardai malissimo e mi infilai in bagno prima che loro riuscissero ad entrare.
“
Non starci tre ore come al tuo solito!” disse Lux, mentre Alistair borbottava
qualcosa di incomprensibile, forse il suo disaccordo nell’essere stato
svegliato in questo modo brusco. Chiusa in bagno mi feci una doccia veloce e mi
preparai, andando in camera ad indossare qualcosa di comodo. Quello era il mio
primo giorno di scuola nel liceo Dolce Amoris sia per me che per mio fratello,
con l’unica differenza che lui e Lux erano al quarto anno, mentre io al
secondo. Alistair lavorava come commesso in un negozio di musica. Tutti e tre
erano musicisti. Alistair con il basso, Lux con la chitarra elettrica e Alex
con la batteria. Qualche volta cantavo per loro, ma la sola idea di cantare
davanti un mare di gente, mi faceva indietreggiare e mi faceva passare la
voglia. Tutto ciò mi metteva in soggezione.
Infilai
un paio di jeans e una maglia a maniche corte viola scuro. Cercavo in tutti i
modi di passare inosservata, ma la sensazione che tutti sapessero del mio
passato, era un qualcosa che faceva capolino costantemente nella mia vita. Raccolsi
i capelli lasciando due ciocche di capelli che ricadessero ai lati del mio
viso. Indossai un paio di Converse a scacchi, ma non mi truccai. Odiavo il
trucco e non ero capace a fare quella semplice mansione che tutte le ragazze al
giorno d’oggi sanno fare. Nessuno me lo aveva insegnato. Scesi sotto e trovai
la colazione in tavola. I ragazzi scesero subito dopo e tutti facemmo colazione
in fretta e furia.
“
Ricordatevi. La prima cosa da fare una volta entrati a scuola è quella di
andare dal segretario a dare i documenti della vostra iscrizione” disse
Alistair, che bevve il suo caffè in un unico sorso ustionandosi la lingua. Alex
e Lux risero sotto i baffi, beccandosi un’occhiata glaciale.
“
Tranquillo fratellone, andrà tutto bene! Alex e Ginevra sono in buone mani con
me!” disse Lux e io ebbi la netta impressione che le sue parole fossero l’esatto
contrario delle sue azioni.
Ci
preparammo ed uscimmo tutti di casa. Alistair ci diede un passaggio a scuola,
già gremita di gente. Mi sentivo spesata, non sapevo che cosa fare a dire il
vero. Era come se i miei piedi si fossero inchiodati al suolo e non volessero
staccarsi per niente al mondo. L’idea di fuggire seduta stante da quel posto
era un’idea alquanto allettante, ma rimasi accanto agli altri due ed entrai
dentro l’edificio.
Come
mi sarei trovata in quella scuola? Avrei fatto amicizia? Come se mio fratello
fosse stato una calamita, tutte le ragazze si girarono al suo passaggio ed io
alzai gli occhi al cielo. Quanto mi irritavano queste cose!
“
Hai finito di fare il fighetto di questo…” ma non finii mai la frase che andai
contro qualcuno. Lux mi prese al volo e non caddi a terra, guardai
distrattamente chi fosse. Era biondo, sembrava il classico principe azzurro che
salva la principessa dai personaggi cattivi. Rimasi un attimo in soggezione,
mentre il suo sguardo vagava su di me. Che cazzo aveva da guardare?
“
Scusami, non volevo venirti addosso, ma con tutte queste carte non riuscivo a vedere
dove andavo” disse, ma Lux mi precedette e cominciò a parlare.
“
Nathaniel tranquillo! Stavamo cercando giusto te. Questi sono i miei cugini
Alex e Ginevra. Sono nuovi e dovevano darti i loro documenti.”
“
Fa sempre piacere avere dei nuovi studenti” disse Nathaniel prendendo anche i
nostri fascicoli e dandoci anche i codici degli armadietti e l’orario. Presi il
tutto ringraziando con un breve cenno del capo. Non riuscivo a parlare con le
persone dell’altro sesso, a meno che non fossero mio fratello ed i miei cugini.
Uscii dalla stanza e mio fratello mi lanciò un’occhiata fulminante. Che cosa
pretendeva? Ero così, lui era quello popolare e io quella messa di lato. Che si
godesse il suo attimo di gloria. Andai verso il mio armadietto e presi i libri
per poi dirigermi in classe. I ragazzi stavano entrando e io feci lo stesso,
sedendomi all’ultimo banco in fondo. Avevo appena posato i libri, quando una
ragazza dai capelli ramati mi mise davanti a me.
“
E’ libero questo posto?”
“
Sì, certo” dissi cercando di calmarmi. Dovevo rilassarmi e non essere tesa come
una corda di violino.
“
Io sono Iris, piacere di conoscerti” mi disse quella ragazza e io timidamente la
guardai.
“
Io sono Ginevra” le dissi ma non potei dire nient’altro che il professore entrò
in aula.
I
miei cugini e mio fratello si erano raccomandati che facessi delle nuove
amicizie, che non facessi l’asociale. Forse potevo fare una prova con Iris, no?
Le due ore passarono velocemente, tanto che alzarmi, andare a prendere gli
altri libri ed entrare nell’altra stanza, furono dei gesti automatici, come se
fossi abituata a farli da una vita. Ero di nuovo con Iris in aula e di nuovo ci
sedemmo nello stesso banco.
“
Sei nuova, vero?”
“
Sì, mi sono trasferita quest’estate con mio fratello. Abito con i miei cugini”
dissi e lei sorrise.
“
Tuo fratello era quel ragazzo bellissimo che appena entrato ha fatto girare
mezza scuola?”
“
Non mi dire che piace pure a te. Se lo vuoi prenditelo così evito di
sopportarlo” dissi facendola ridere ancora di più.
“
Non sarebbe una cattiva idea” disse e li finì il nostro discorso poiché era
appena entrato il professore.
Le
ore passarono velocemente ed altrettanto velocemente io, Lux e Alex tornammo a
casa a piedi, dato che Alistair era ancora a lavoro. Non era andato male come
primo giorno di scuola. Si poteva dire che mi fossi fatta un’amica. Ero così
assorta nei miei pensieri che a stento mi resi conto che avevano suonato alla
porta. Chi cavolo poteva essere a quell’ora? Andai ad aprire la porta, dato che
i due cugini avevano sparato la musica a tutto volume nella camera delle prove.
Aprii
la porta e mi trovai di fronte un ragazzo dai capelli rossi con dietro una
chitarra. Incarnai un sopracciglio al suo sguardo. Che cavolo aveva da
guardare?
“
Mi dispiace non compro chitarre” dissi chiudendogli la porta in faccia e
tornando in cucina, spegnendo il fuoco. Come se Alex e Lux avessero sentito l’odore,
si catapultarono in cucina, mentre il campanello della porta suonava
insistentemente. Chi cavolo era ancora? Lux andò ad aprire.
“
Oh, finalmente sei qui!” disse per poi entrare in cucina con quel tizio dai
capelli rossi.
“
La prossima volta evita di chiudere la porta in faccia alle persone.”
“
La prossima volta evita di guardare una ragazza come se non ne avessi mai viste
in vita tua” dissi prendendo un pacco di grissini e andando in camera mia. Quel
tipo mi irritava parecchio, tutti i ragazzi a dire la verità mi irritavano e mi
incutevano timore, ma lui in maniera particolare, come quel Nathaniel.
Mi
sedetti sulla scrivania e feci qualche compito e leggendo qualche libro. Quando
sentii la porta della stanza delle prove chiudersi, uscii dalla mia stanza ed
uscii fuori casa. Avevo voglia di farmi un giro in città, alla fine non c’era
niente di male. Incontrai Iris e feci una passeggiata con lei, parlando del più
e del meno e costatando che non era per niente male. Era davvero simpatica. Quando
tornai era quasi buio e ora di cena. Stavo per aprire la porta, quando vidi
uscire quel tizio dai capelli rossi in compagnia di un tizio dai capelli
bianchi. Cosa era diventata quella casa? Un albergo dove tutti potevano entrare
ed uscire?
Feci
finta di nulla ed entrai in casa, mangiai e andai a letto. Ero troppo stanca
per fare tutto. Non che avessi avuto una giornata pesante, ma era pesante
ricominciare una nuova vita da zero, ti stremava mentalmente.