Una questione di fiducia
Il
cimitero era una valle di cipressi e lapidi bianche su cui si riversavano le
luci livide di un cielo coperto. Molly Hooper affrettò il passo ed uscì dal
sentiero tracciato per inoltrarsi sul prato verde e umido. Per un attimo si
guardò attorno con aria disorientata, come se non si capacitasse di dove si
trovava e dei motivi che l’avevano condotta sino a lì, ma poi il suo sguardo si
posò sul lato più estremo, vicino alle mura di cinta.
Riconobbe
il punto e partì spedita in quella direzione.
Che
non si recasse spesso al cimitero era un dato di fatto, ma a sua difesa andava
detto che Molly avesse perso molto e che l’unico funerale a cui avesse
assistito in vita sua fosse stato quello di suo padre. Aveva diciassette anni allora
e anche a distanza di anni, ora che lo scoccare dei trenta rintocchi era acquattato
dietro l’angolo, le sembrava ancora di percepire l’odore dolciastro di incenso
e cenere a farle pizzicare fastidiosamente il naso, di osservare impotente la
pioggia di fiori sulla bara infossata. Il rumore della terra buttata a manciate
e quello delle vanghe poi. Rabbrividì e si chiuse in gola con le dita
informicolite il bavero del cappotto scuro. Non aveva bottoni poco sotto il
collo e doveva tenerselo bloccato così, con la mano. Aveva dimenticato anche la
sciarpa e i capelli, che sarebbero risultati d’aiuto in quella ricerca di
calore, erano legati sulla nuca in una crocchia stretta, alla Minerva McGonall.
Il pensiero le strappò un sorriso minuscolo, ma un’altra sferzata d’aria le fece
lacrimare gli occhi e bastò questo per riportarla alla realtà. Ricordarle dov’era
e chi era. Per cosa era lì.
Molly
Hooper non amava i funerali, tantomeno i cimiteri. Lavorava con i cadaveri però,
aveva a che fare con la morte tutti i giorni, in ogni sua forma e nelle sue
cause più disparate. Sapeva cosa fosse l’originalità la Dama in nero, questo era
certo; non le piaceva ripetersi se non quand’era strettamente necessario.
Molly
non temeva la morte quindi.
Non
per sé, almeno. Ma c’era qualcosa in Lei che la soggiogava, minandone le capacità
di controllo ed era la paura. Quel terrore sacro e inviolato che le torceva lo
stomaco prima di mettere piede in obitorio. Che le faceva serrare lo sguardo sui
nomi scritti a penna sui fascicoli e sui fogli delle cartelle da firmare. Era il
timore che un giorno, prima o poi, Quella sarebbe venuta a consegnarle qualcuno
di familiare. Il corpo di un amico, un viso conosciuto, mani strette in prese
energiche al primo incontro, qualcosa di spezzato per sempre nella sua vita.
Fino a quel momento era stata fortunata. Sui tavoli al Barts non era mai accaduto
nulla di tutto questo.
Fuori…
quello era un altro discorso.
Il
punto dell’essere lì, davanti ad una lapide nera – a farlo riconoscere anche
quella sottile differenza, la diseguaglianza di un colore -, la terra ancora
fresca di sepoltura e i fiori già secchi, come scheletri della primavera che
sfumava in quell’inverno che si protraeva troppo a lungo. Il punto, si sforzò
di concentrarsi, era ricordarsi che non era infallibile. Nessuno lo era o beh,
quasi nessuno. Non lei ad ogni modo.
E
se c’era stato un tempo in cui la cosa aveva potuto anche starle bene, ora quel
tempo era giunto al capolinea. Perché dalla sua fallibilità era dipesa una
vita. E da una sua bugia ne dipendevano molte altre.
Al
momento, quindi, oltre che essere una donna dalla fallibilità da appurare, era
anche una donna confusa e vagamente intimorita. No. Forse intimorita non era il
termine più adatto, ma scombussolata scuramente sì.
Il
fatto era che non riusciva più a concentrarsi, qualsiasi cosa facesse. Beveva un
tè e pensava a lui. Svolgeva delle analisi e pensava a lui. Quando un paio di ore
prima perfino nel dormiveglia la sua mente in qualche modo aveva registrato il
fatto che pur nella sua poca lucidità, stesse pensando a lui, Molly aveva
deciso che fosse arrivato il momento di agire e di farlo immediatamente.
In
piedi nel cimitero, tremante e infreddolita, con gli occhi socchiusi a leggere
l’iscrizione incisa sul marmo della pietra tombale, il tutto però assumeva una
luce diversa, infinitamente più stupida e meno illuminante. Cercò di fare mente
locale, combattendo la sensazione del sentirsi una sciocca e peggio, di starsi anche impegnando a dimostrarlo con il suo comportamento.
Ricapitolando
dunque. Aveva buoni motivi per credere che Sherlock stesse bene. Buoni motivi,
ma non l’assoluta certezza. Rimpiangeva di non essere stata presente il giorno
del funerale. Magari adesso avrebbe avuto una risposta sensata al posto di quel
guazzabuglio sconnesso che aveva in testa.
E come? Anche in quel caso, infatti,
come avrebbe potuto ottenere l’evidenza di una semplice impressione?
Scoperchiando
una bara, rivelandola vuota, scandalizzando gli amici e sbugiardando la messa
in scena magistrale di un truffatore?
Tradendo
una fiducia a stento, e immeritatamente forse, conquistata?
Non
aveva il cuore spezzato dal dolore lei. Non come John, non come Mrs Hudson. E i
nervi… per quanto non d’acciaio ancora tenevano quelli. La reggevano.
Eppure
era a lei che Sherlock si era affidato in quel frangente. Chi altri avrebbe
acconsentito, d’altronde? Quante altre amicizie coltivava il consulente
investigativo troppo intelligente e astuto? Quanti conosceva al Barts pronti ad
aiutarlo e ad offrire quello che lei era stata disposta a fare senza quasi
battere ciglio?
Rubare,
mentire. Una ladra bugiarda. Ecco cosa era diventata.
E
pure l’avrebbe rifatto ancora, disse a se stessa in un impeto d’orgoglio e
risolutezza. Mille e mille altre volte se necessario, se questo fosse servito a
salvarlo.
Se
solo ne avesse avuto la certezza però.
Se
solo avesse potuto essere sicura che il prezzo era valso a qualcosa. Che fosse
servito, che fosse stata utile una volta tanto.
-
Non si muova, signorina Hooper. -
La
voce, nel freddo di quel pomeriggio uggioso, era intimidatoria e pastosa.
Morbida quanto doveva esserlo la pelliccia di visone che le circondava le spalle,
il manicotto in cui teneva al caldo le mani che riusciva a immaginare senza
sforzo bianche e morbide, curate. Non come le sue che erano screpolate e con le
unghie spezzate, rosicchiate sino alla carne viva per il nervosismo.
Aveva
ripreso il vecchio vizio di adolescente insicura negli ultimi tempi, quello che
aveva smesso davanti ad un’osservazione poco felice sulle presunte cause da
ricercarsi dietro quel tic.
Sempre lui
maledizione. - Non
si giri e mi ascolti – aggiunse la voce.
Non
le aveva premuto niente contro la schiena, magari un’arma ad avvalorare la
natura reale di quella richiesta effimera, dietro cui si celava un ordine che
era tassativo. Ciò nonostante Molly obbedì, un poco intimidita. Non voleva
scontri e poi doveva ammetterlo: sin dalla prima volta che aveva sentito
parlare di lei, aveva sempre desiderato incontrarla, pur se in circostanze e
luoghi diversi. L’ultima volta che l’aveva vista, o meglio che aveva creduto di
vederla, era stata nuda su un tavolo operatorio, col viso sfregiato. Presunta morta. Il fatto che non si
sentisse particolarmente turbata o sconvolta all’idea di saperla alle sue
spalle, viva, non la sorprese. Non era la prima e presumibilmente, sperava che
non sarebbe stata l’ultima a morire per finta.
-
So chi è lei – disse senza voltarsi e si congratulò con se stessa per il tono
fermo che aveva usato.
-
Non me ne stupisco, cara. Ognuno ha studiato la propria lezione con lui. –
Irriverente,
calma, sfacciata. Irene Adler era tutto questo e molto altro. Riuniva
sicurezza, potere, bellezza. Il riflesso di chiunque si fosse guardato nello
Specchio delle Brame.
Non
il suo però. - Cosa vuole? –
-
Nulla che lei non possa darmi. – Appena più dura mentre si chinava all’altezza
del suo orecchio e scandiva due semplici parole: - Una risposta. –
-
E perché viene a chiederla proprio a me? – domandò Molly aggrottando le
sopracciglia. Anche nel vento pungente le arrivava un profumo sottile,
elegante. Sicuramente costoso.
-
Le retrovie sono sempre ben informate in una guerra, malgrado ogni pregiudizio
al riguardo. Chi si curerebbe mai di ciò che nasconde un soldato quando ci sono
capitani e generali da catturare? – Anche senza guardarla, le parve quasi di
vedere il suo sorriso impenitente, divertito. Il collo le doleva nello sforzo di non voltarsi a controllare.
-
Ma lei non la pensa così – Molly si sentì in dovere di chiarire.
-
Certo che no. Ciò che si tende a dimenticare è cosa siano stati quegli stessi
comandanti in principio, prima di ricoprire qualsiasi carica di spicco. Io non
commetto quell’errore, non dimentico chi ero, cosa sono stata. Dunque eccoci
qui, con la mia domanda pronta ad essere posta e a cui lei risponderà con
assoluta onestà. – Le toccò la spalla in un gesto casuale, quasi per richiamare
la sua attenzione, ma con le dita scese ad artigliarle il braccio, brusca, letale.
In una minaccia appena velata. - È tutto vero? – chiese in un’inflessione d’urgenza.
Molly
non era così stupida da non capire a cosa si riferisse. Si trattenne a stento dal
liberarsi dalla morsa con uno strattone e deglutì. - Non lo so – ripose con una
franchezza che era dolorosa a lei per prima. La presa al braccio si sciolse immediatamente
lasciandole sulla pelle un’eco pulsante.
-
È sincera – confermò Irene con approvazione. - Tuttavia non sembra disperata.
Questo mi porta a credere che sappia qualcosa di cui altri non sono a
conoscenza. –
-
Potrei solo essere il tipo di persona che spera molto – tentò Molly, non
sforzandosi neppure di suonare convincente.
-
Quello è fuor di dubbio. – C’era l’ombra di un sorriso che subito sbiadì. - Non
ne ha la certezza. È per questo che è qui. –
Molly
annuì, non poteva fare altro. Non aveva neppure la forza di voltarsi ad
osservarla direttamente. Solo quella di immaginarla, ricreare ogni sua espressione
ricavandola dal tono di voce. - Ho solo la fiducia – disse ed era ammettere abbastanza.
Dopo si sentì scoperta e nuda sotto lo sguardo di lei che le fissava la schiena
ed ora percepiva appuntato alla nuca.
-
Come me – la sentì rispondere.
-
Come tutti del resto – ribatté con una sorta di amarezza involontaria.
Lei
la colse e sorrise senza discrezione. - Il mondo è formato per la maggior parte da
bugiardi, creato da bugiardi e manovrato da bugiardi. Nei secoli l’intera
storia è stata scritta sulla scia delle loro menzogne. Non starei qui a
crucciarmi per una singola bugia detta a fin di bene. –
-
Non sono come lei. Mentire non fa parte di ciò che sono. –
-
Pensa che per qualcuno lo sia? All’inizio vale per tutti, ma subdolo non è
male. Così come onesto non deve essere necessariamente bene. Paura e coraggio.
È solo un modo come un altro per definire la stessa cosa. Le due facce di
Giano. Vincere o perdere. In entrambi i casi qualcuno ottiene qualcosa perdendo
qualcos’altro. –
Molly
si accigliò. - Perché mi sta dicendo tutto questo? –
-
Per offrirle l’evidenza che cerca. La mia risposta l’avevo già. L’ho avuta ben
prima di venire qui. Gliela regalo. La consideri un pegno di amicizia o di
stima. Di gratitudine per quel che sappiamo entrambe che ha contribuito a
salvare. –
Le stava dicendo
che…
scacciò l’euforia a più tardi, a quando sarebbe stata sola, nel suo
appartamento, a registrare appieno il significato recondito di quell’incontro.
-
Rimango solo un soldato – si costrinse a far presente.
-
Forse, – riconobbe Irene in tono di circostanza, - ma sono i soldati a fare gli
eserciti, non i generali. –
Non sono loro a
decidere le sorti della battaglia però, pensò Molly.
Grazie,
avrebbe voluto dire, ma sarebbe stato inutile e superfluo. Per Sherlock almeno sarebbe
stato di certo così, ma per Irene, chissà? Nell’indecisione lo bisbigliò e voltandosi
da sopra la spalla ad osservarla finalmente, la colse di profilo mentre le
rivolgeva un cenno d’intesa. Ed eccola là Irene Adler, abbagliante anche se camuffata
da vedova in lutto. Da sotto il cappellino, con la veletta abbassata sul viso
pallido e bello, gli occhi azzurri parvero strizzarsi in un gesto di complicità.
Per
un momento le sembrò di vedere un altro paio d’occhi ugualmente chiari, ma
quelli erano tremolanti nei ricordi. Pareva già passato troppo tempo
dall’ultima volta che li aveva fissati. Aveva provato per anni a saldarli nella
memoria, senza risultato e fallendo sempre.
Sherlock
era sfuggente in ogni caso. Imprevedibile. Nella realtà come nell’irrealtà
della fantasia.
Da: La Donna
Ho saldato il mio debito. Molly-hogan*
è stato risolto. Non era necessario ad ogni modo. A quanto pare aveva fiducia.
Da
qualche parte in un vicolo laterale, un cellulare vibrava nella tasca interna
di un soprabito. Le campane risuonarono a morto nel silenzio del cimitero
vicino mentre una ragazza usciva a testa bassa nel riverbero stemperato del
sole calante, tenendosi il colletto del cappotto sollevato con una mano. Procedeva
a passi piccoli e svelti lottando contro il vento, in viso un’espressione assorta, ma
anche inequivocabilmente serena. Un attimo dopo l’ombra nella stradina era già
scomparsa, in un’illusione che si rivela semplicemente per quel che è.
N/a:
Avevo
giurato a me stessa che non avrei mai scritto su Sherlock. Perché Sherlock è
Sherlock e so di non esserne all’altezza, che non lo sarò mai anzi. Eppure eccomi
qui, abbacinante nella mia promessa spezzata xD
Amo
il personaggio di Molly. Amo quella che può essere considerata la sua rivalsa,
o meglio l’inizio della sua rivalsa, nel finale della seconda stagione. Amo il
modo in cui lei si rapporta a Sherlock e come lui, malgrado il suo essere crudelmente
sincero e sprezzante, non riesca ad esserlo troppo con lei, non senza sentirsi
in colpa. non senza costringersi a chiedere perdono.
Molly
è qualcuno in cui tutti noi possiamo rispecchiarci. È il nostro riflesso, non
dello Specchio delle Brame, ma della Realtà. È leale, gentile, forte. Ha l’aria
di porsi mille e mille problemi. Quando è nervosa balbetta e chiede scusa ogni
tre parole.
Spero
che questo esperimento, perché di questo si tratta, abbia rotto il ghiaccio e
che sia piaciuto a qualcuno. Che i personaggi e le loro reazioni siano
verosimili. A mia difesa posso solo dire di aver resistito finché ho potuto. Ieri
mattina però l’immagine di questo scambio era così a fuoco nella mia mente che
non ho potuto fare altro se non tradurla in parole. Un abbraccio a tutti ;)
*
Molly-hogan: traducevo facendo doposcuola a mio fratello e l’occhio mi è caduto
lì. Direttamente dal vocabolario d’inglese, la parola significa rompicapo,
puzzle. Ho pensato che per un messaggio in codice andasse bene.