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Autore: Californication    23/05/2012    0 recensioni
- Io sono Jin Xu - disse l'ultimo ragazzo.
L'ultimo ragazzo che gli occhi di Katie avrebbero mai visto.
Era una ragazzo speciale.
Katie era rimasta folgorata dalla bellezza eterea che quel ragazzo emanava.
Lo voleva solo per sé.
Voleva poterci giocare solo lei.
Voleva poterlo fissare solo lei.
Era stato amore a prima vista il suo, come quando da bambina vedi un peluche e sai che lo vuoi, che facendo gli occhi da cucciolo lo otterrai perché mamma e papà non possono resistere.
Lui era il suo peluche.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 - Le Masque







Le fiabe dicono più che la verità. E non solo
perché raccontano che i draghi esistono,
ma perché affermano che si possono sconfiggere.
G. K. Chesterton


Katie era una ragazza sopra le righe.
Non c'erano aggettivi per descriverla.
Katie era Katie, una ragazza in continua evoluzione e per questo indefinibile.
Un giorno amava il rosa e il giorno dopo amava il verde. Un giorno voleva andare al mare e quello seguente in montagna.
Imprevedibile e curiosa, due tratti sempre presenti in lei.
Quella mattina la fortuna sembrava giocare a nascondino, e da brava giocatrice qual'era, si nascondeva per non farsi trovare.
Era nel bel mezzo di una corsa sfrenata per arrivare puntuale nel suo ritardo, quando un improvviso stimolo acuto, l'avvertiva che doveva assolutamente fare la pipì.
Una persona "normale" si sarebbe fatta sforza e l'avrebbe trattenuta per i due isolati che restavano, ma non lei.
Era incontinente, informazione imbarazzante data la giovane età. Non lo sapeva nessuno, nessuno esclusa Margaret, sua sorella.
Correva cercando un angolino appartato che le permettesse di fare quel goccio che minacciava di uscirle, bagnandogli i jeans.
Quel quartiere, però, non aveva stradine buie ma solo case a schiera divise da siepi.
Siepi che nella mente di Katie, si trasformavano in toilette naturali.
Non c'era nessuno, la strada principale era deserta, e neanche una balla di fieno l'attraversava, come si vedeva spesso nei film.
Quatta si avvicinò alla siepe più vicina. Si sentiva una ninja, pronta a battere la ritirata appena occhi estranei si sarebbero posati su di lei.
Tirò giù svelta i calzoni aspettando impaziente che la vescica si svuotasse al più presto.
Non era la prima volta che urinava in posti così inconsueti, come non era la prima volta che lo faceva in una proprietà privata che non era la sua.
Poco importava, quella casa non l'avrebbe più rivista. Quanto si sbagliava.
Appagata e in ritardo riprese la pazza corsa, una corsa così pazza e scatenata che non si rese conto del souvenir che aveva lasciato sul prato; la sua carta d'identità.
Raggiunta la redazione, si diresse dal suo capo, pronta per un'altra ramanzina.
Era come tornata al liceo, quando direttasi dal dirigente scolastico inventava le scuse più assurde per giustificare quel ritardo dettato dal sonno.
Non era solo incontinente ma pure narcolettica.
Dio doveva proprio odiarla.
Il capo del suo settore era un uomo di mezza età, grasso, calvo e con una voce roca e petulante.
Era un uomo d'oro se lo prendevi con il piede giusto, ma Katie già dalla sua assunzione l'aveva preso con il piede opposto.
Bussò alla porta del suo ufficio, insicura e tremante, pronta a fare gli occhi alla bambi.
- Avanti - sentenziò l'uomo rassegnato. Aveva intravisto la figura bassa e snella della ragazza prima ancora che bussasse.
- Signor Spink? - aveva detto Katie sottovoce.
- Signorina Blackmore - rispose duro l'uomo, non lasciandosi convincere dall'aura angelica che la ragazza emanava.
- Quale scusa tirerà fuori quest'oggi? Il cane le ha mangiato le chiavi? O la sveglia non ha suonato? - continuò l'uomo con amara ironia.
Ironia in ipotesi che Katie aveva già utilizzato da tre anni a questa parte.
- Mi scusi davvero, le prometto che non ... - disse convinta la ragazza - si ripeterà mai più - concluse il signor Spink al posto suo.
Conosceva a memoria quella tiritera.
- Dopo tre anni dovrebbe cambiare frase - rispose un poco più rilassato l'uomo.
La verità era che gli piaceva quella ragazza, aveva qualcosa di speciale, qualcosa che trasmetteva solo nel suo lavoro.
Era vero che era sbadata, ritardataria e combina guai, ma aveva una passione che nessun'altro gli aveva mai mostrato.
Ecco il motivo per il quale non l'avrebbe licenziata, la rivista aveva bisogno di più persone come lei.
- Mi scusi - disse la ragazza fissandosi i piedi, diventati improvvisamente interessanti.
- Non perdiamo tempo signorina Blackmore. Oggi ho un lavoro molto impegnativo per lei - disse l'uomo riscuotendosi dai suoi pensieri troppo magnanimi, nei confronti della ragazza in questione.
- Mi dica - rispose remissiva, felice di avere ancora un posto di lavoro sul quale contare.
- Le Masque - disse l'uomo convinto, riprendendo il fervore che lo caratterizzava.
- Le Masque? - rispose confusa Katie dall'improvvisa parola chiave. Il suo lavoro era fare la fotografa, non l'indovina.
Non era mai stata brava in quei tipi di giochi, non era una ragazza che brillava per intelligenza e furbizia.
- Le Masque, il gruppo pop più in voga di questo periodo - rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo, ma accortosi del viso spaesato della ragazza cercò di spiegarsi meglio.
- Sono originari della Cina, ma hanno sempre vissuto qui a Los Angeles e sono uno dei gruppi emergenti che ha avuto maggior successo in così poco tempo - poteva sembrare strano ma Katie non amava la musica, lei preferiva leggere. Quelle parole silenziose che come un segreto tenevi dentro, gli trasmettevano una vasta gamma di emozioni.
- Terranno il loro primo concerto tra una settimana al Theater Palace e ho pensato fosse giusto - spiegò lentamente correggendosi subito dopo - o meglio proficuo, dedicargli l'articolo di punta e la prima pagina - finì osservandola per capire se il messaggio era stato recepito.
- Ho bisogno di più tempo, devo discutere delle idee con il mio staff. Non siamo pronti, non può darmi su due piedi un compito così importante con così poco preavviso - disse la ragazza risentita della negligenza riservatale.
- Penso che tu e il tuo staff siate all'altezza e confido che il tutto si possa risolvere entro le 19:00 - concluse non ammattendo repliche.
- Certo - lo assecondò cercando di raggelare i bollenti spiriti dettati dall'irritazione.
"Non ce la farò mai! Sono spacciata, è meglio che sgombro la mia scrivania già da adesso, perché verrò licenziata in tronco" pensò Katie con disperazione, avviandosi verso il set totalmente libero da qualsiasi cosa.
"Aspetta Katie" si disse mentalmente " Tu non hai una scrivania".
Una fotografa era considerata meno di zero, ma era quella che si faceva il culo più di tutti.
Era lei che doveva interagire con le star capricciose e viziate, era lei che riceveva insulti per la sua incompetenza, ed'era sempre lei che innaffiavano con la bottiglietta quando avevano le loro crisi da "diva".
Era sottopagata e doveva pure fingersi il cagnolino dell'icona di turno.
- Katie - Lucy Stivens era una stagista di diciannove anni che amava la fotografia quanto lei. Era ingenua, ma non stupida e la passione che emanava di certo l'avrebbe ricompensata in poco tempo, forse un anno o forse di meno.
- Lucy aggiornami - aveva detto immediatamente, tralasciando i convenevoli.
- Le Masque arriveranno qui fra un'ora e siamo tutti nel panico. Siccome sono una band emargente nessuno conosce ancora bene il loro stile e inoltre nessuno a la più pallida idea di chi siano e ne di che faccia abbiano - il suo staff la rispecchiava e la stimavano. Si era creata con il tempo una complicità che talvolta non si raggiungeva neanche in vent'anni. Era grata poiché non erano solo impiegati ma anche amici.
- Lucy respira! - ordinò Katie, notando il colorito paonazzo della più piccola.
La considerava una sorellina, ma era pur sempre lavoro. Doveva mantenere la calma, pensare e agire efficientemente.
- Si, scusa - ripensando ai dati di cui era a conoscenza, avevano in mano un pugno di mosche.
Era come fare un set fotografico a dei fantasmi, senza nome e senza volto.
- Riunisci tutti e ci vediamo tra tre minuti nel camerino principale - il camerino principale era la loro sala per esporre idee e comunicazioni urgenti.
- E Lucy? - aveva detto bonariamente, cerando d'impietosirla - Si? - rispose ingenua l'altra.
- Portami un caffè, per favore - gliel'aveva chiesto nei panni d'amica e non da datore di lavoro.
- Certo - era la sua stagista, la sua segretaria ma Katie si ostinava a non volerla trattare come tale.
Gli ricordava terribilmente lei.



*



Erano arrivati e senza presentarsi o dire nulla si erano catapultati nel camerino per trucco e parrucco.
Da quanto erano stati veloci non gli aveva neanche visti in faccia.
"Maleducati! Ma chi si credono di essere la principessa Diana?!" pensò Katie in un lampo di stizza.
- Lucy? - richiamò la ragazza sempre al suo fianco.
- Dimmi sergente - rispose ironica la biondina per il tono aspro e duro che aveva usato.
- Cosa sai dirmi di loro, non voglio farmi cogliere impreparata - non era una guerra, ma quando c'erano di mezzo star di quel genere, che davano per scontato la loro popolarità, era meglio non rischiare. Specialmente se avevano oggetti contundenti in mano. Parola di Katie.
- Vediamo ... - disse prendendo un foglio dal malloppo disordinato che teneva in braccio.
- Sono una boyband emergente lanciata dalla Universal. I componenti sono nati tutti attorno all'anno 1989 - recitò Lucy leggendo da quel foglio stropicciato, stampato da Wikipedia.
- Lucy voglio i nomi - disse la ragazza decisa.
- Certo ...  Il main dancer è Tong Gao, il rapper e piccolo del gruppo è Luke He, il vocalist in seconda è He Nii e infine il leader è Jin Xu - 
I nomi non erano il suo forte, sopratutto se erano complicati e molteplici.
- Stanno arrivando sergente - sussurrò Lucy con lo sguardo piantato per terra.
Quattro ragazzi vestiti in nero si erano portati al centro del set.
- Buongiorno a tutti! Noi siamo "Le Masque" e siamo onorati di esser quì oggi - disse uno dei ragazzi a voce alta.
- Buongiorno - rispose il mio staff in coro per poi tornare alle loro mansioni.
"Forse non sono maleducati come pensavo e forse gli ho davvero giudicati male" si disse cercando un'incoraggiamento.
Sorriso sulle labbra, spalle dritte e petto in fuori, ecco la sua camminata professionale.
Probabilemente la faceva sembrare un'idiota, ma con quella camminata si sentiva adulta e sicura di sè.
- Buongiorno. Io sono Katie Blackmore e per oggi sarò la vostra fotografa - aveva detto la ragazza in modo rispettoso.
- Piacere, io sono He Nii e parlo a nome di tutti se dico che è siamo davvero eccitati! Non vediamo l'ora di lavorare e fare il nostro meglio - rispose altrettanto educatamente il ragazzo, che aveva urlato poco prima.
- Piacere mio - ora che poteva osservarli meglio si rese conto di quanto fosse sbagliata l'idea che si era fatta.
Non erano affatto brutti, non avevano dita palmate ne terzi occhi.
Erano di una bellezza tutta loro.
He Nii, un ragazzo solare e gentile dall'aspetto dolce. I capelli castani erano corti e tirati di lato con la lacca, mettendo in mostra occhi limpidi e un sorriso sincero.
Tong Gao, era più serio ma non per questo meno bello. Aveva capelli lunghi e mossi, occhi scuri e un sorriso accecante.
Luke He era il più riservato, di una tenerezza infinita. L'aspetto rispecchiava di certo il suo carattere timido, aveva capelli corti e biondi e occhi leggermente più schiusi.
- Io sono Jin Xu - disse l'ultimo ragazzo.
L'ultimo ragazzo che gli occhi di Katie avrebbero mai visto.
Era una ragazzo speciale.
Aveva capelli corti neri e una simpatica frangetta gli ricadeva sopra la fronte. Labbra carnose e tentatrici e infine gli occhi, la cosa più bella che avesse mai visto.
Occhi cerulei.
Katie era rimasta folgorata dalla bellezza eterea che quel ragazzo emanava.
Lo voleva solo per sé.
Voleva poterci giocare solo lei.
Voleva poterlo fissare solo lei.
Era stato amore a prima vista il suo, come quando da bambina vedi un peluche e sai che lo vuoi, che facendo gli occhi da cucciolo lo otterrai perché mamma e papà non possono resistere.
Lui era il suo peluche.
- Wow - aveva detto Katie in preda a un trip mentale.
Se non sarebbe morta di batticuore, sarebbe sicuramente morta soffocata dalla saliva in eccesso che stava producendo.
Lo voleva e lo avrebbe avuto, anche se non sapeva come, visto che non aveva quei mezzi del quale ogni donna era provvista.
Non aveva tette, era piatta come una tavola da surf.
Non era alta, anzi un nano da giardino la definivano.
Aveva tre orribili risvolti di ciccia ogni volta che si sedeva, gli aveva pregati tutti, santi, dii e pure Johnny Depp per fargli scomparire.
Non aveva una pelle perfetta, anzi aveva degli orribili brufoli che si erano fissati a pianta stabile sulla sua fronte poco spaziosa.
Cigliegina sulla torta, era pisciona e pure rincoglionita.
Abbattuta si diede mentalmente della stupida.
Quel peluche lo avrebbe preso di certo un'altra bambina. Una bambina con più tette, stronza e tronfia che rispondeva al nome di Sophia.
Shopia, denominata la dea, stava entrando con la sua camminata decisa e sexy verso di lei, puntando, mangiando, desiderando e scopando con occhi peccaminosi Jin.
- Katie, tesoro! - aveva detto Sophia con voce provocante e mielosa.
"Sono fottuta. Addio mio bel pezzo di manzo."
 













  
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