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Autore: Querthe    12/12/2006    8 recensioni
Le quattro Inner (senza Usagi) sono ormai abituate ai loro poteri e alla perdita dei loro Soldiers, credono di poter vivere una vita tranquilla, ma una persona che le conosce bene trama vendetta per sè e per altre.
E questo provocherà grossi guai, oltre a metterle di fronte a una versione distorta di loro stesse.
E' il seguito della storia "Per amore, solo per amore". Consiglio caldamente di leggere l'altra fanfiction, o ci capirete poco o nulla.
Prossimo capitolo 04/01/2016.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ami/Amy, Makoto/Morea, Minako/Marta, Rei/Rea
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Sailor soldiers'
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Il cellulare della bionda squillò, riempiendo l’aria della stanza di una dolce melodia di musica classica del diciannovesimo secolo. Alcuni dei pazienti in attesa alzarono distrattamente la testa, osservarono la segretaria del cardiologo trafficare nella borsetta sulla scrivania accanto alla tastiera del computer e alla foto delle sue amiche, quindi tornarono a leggere annoiati le riviste sempre disponibili e che Minako si premurava di sostituire periodicamente.
- Signorina, il prossimo. - gracchiò l’interfono.
- Certo dottore. Mi scusi, posso chiederle se mi è possibile assentarmi? So che manca un’ora alla chiusura, ma non mi sento bene e…
- Nessun problema. Sarà un’occasione per muovermi avanti e indietro per lo studio. La vedo domani alla stessa ora?
- Glielo potrò dire solo stasera. Troverà comunque un messaggio in segreteria.
- Va bene. Buona serata, signorina Aino.
- Anche a lei, dottor Tomoe. - concluse la giovane, quindi alzò lo sguardo e incrociò quello di un’anziana signora dai capelli bianchi, leggermente fuori forma. - Signora Parapara, la accompagno.
Dopo aver richiuso la porta, la donna, che mostrava un po’ oltre i trent’anni, afferrò la sua borsa, il suo spolverino e si scaraventò fuori dal locale, osservando lo schermo del suo telefonino come spaventata. Poco prima di entrare nella stazione della metropolitana che l’avrebbe riportata a casa, schiacciò il tasto di richiamo automatico. Dovette aspettare solo uno squillo prima che qualcuno dall’altra parte rispondesse.
- Collegamento effettuato. Controllo sicurezza linea negativo. Reindirizzamento su linee fantasma criptate effettuato. Ciao Minako. - disse la voce leggermente metallica di Ami. - Grazie per aver risposto quasi subito.
- Alcuni di noi hanno un lavoro. - esclamò sarcastica la bionda imboccando il tunnel che portava ai tornelli d’entrata. - Cosa succede? La riunione annuale è ancora lontana.
- Affermativo. Ho delle importanti novità. Nessuna positiva.
- Tipo? - chiese curiosa.
- Di persona. Recupera le altre.
- Mi stai spaventando. - mormorò mostrando l’abbonamento al personale in guardiola. - Cosa può essere tanto grave?
- Setsuna. Yoma. Chibiusa è viva.
Il suo telefonino le cadde di mano, ma una sottile e luminosa scia si mosse fulminea avvolgendosi su di esso e ritraendosi sotto lo spolverino da cui proveniva. Lei recuperò il cellulare all’interno dell’abito e lo riportò al volto. Nessuno sembrava aver notato nulla.
- Dammi un giorno al massimo. Da te.
- Affermativo. Ventiquattro ore da adesso. Contatto chiuso.
La bionda infilò in tasca il cellulare, aspettò la prima fermata e scese, diretta ad una ben precisa stazione che era decisamente fuori strada rispetto alla sua originale destinazione. Tornò in superficie circa un’ora dopo, scoprendo che era iniziata una pioggia leggera, insistente e noiosa. Il ticchettare delle gocce sull’ombrello la accompagnò lungo le vie piene di gente fino ad un grattacielo in costruzione. Minako alzò lo sguardo verso il cartello che rappresentava l’edificio una volta finito.
- Multicielo “La scala al Paradiso”. – lesse. – Noi abbiamo faticato tanto per tornare sulla Terra, e ora una di noi sta realizzando una torre tecnologica alta oltre cinque chilometri. Sembra quasi ridicolo.
Si mosse verso l’entrata al cantiere, diretta al container da venti piedi che fungeva da ufficio. Un operaio la intercettò a pochi passi dalla porta in alluminio e formica bianca.
- Posso darle una mano?
- Cercavo un’amica. Lavora qui al cantiere.
- Dovrà avere molta fortuna. Siamo oltre cinquemila. – rise l’uomo, robusto e con una lunga barba sotto l’elmetto di sicurezza verde scuro.
- Normalmente lo sono. Cerco Makoto. Makoto Kino.
- Lo è. Fortunata intendo. Chiunque in questo cantiere la conosce dopo che ha salvato un suo collega alcuni giorni fa. Il caposquadra Kino è famosa, ormai. E’ al blocco quattro. Dovrebbe staccare tra dieci minuti. Ma non stia qui fuori al freddo. Dentro c’è del caffè e un po’ di tepore, se il termoventilatore è stato riparato.
- Grazie, come se avessi accettato, ma preferisco rimanere fuori.
- Si prenderà un accidente… - le disse preoccupato l’uomo.
- Oh, sono una dal fisico resistente. Saranno almeno un cinque anni che non ho un raffreddore… - gli sorrise la donna.
- Come vuole… - borbottò andandosene l’operaio, lasciando Minako sotto una pioggia sempre più insistente che aveva formato un’impalpabile nebbia mentre velocemente calava la sera. Gli operai turnisti iniziarono a sciamare fuori dal cantiere, correndo come per proteggersi dall’acqua. La donna scrutò la folla veloce, cercando di individuare l’amica, ma vide che non era necessario nel momento in cui la figura alta e tonica di Makoto apparve da una delle uscite. Camminava tranquilla, l’elmetto in mano, incurante della pioggia. I loro sguardi si incrociarono e il volto della bruna si illuminò in un sorriso che continuò fino a che non si trovarono una di fronte all’altra.
- Ciao infermierina… - la salutò la caposquadra scompigliandole i capelli con la massiccia mano. - Guarda che nessuno qui si fa male se ci sono io. Perdi il tuo tempo.
- Tranquilla. Non voglio certo mettermi a curare martellate e travi in testa.
- Cosa ti porta qui? Vedo dagli occhi che qualcosa non va. Ennesima delusione d’amore? Dai, offro io. Affoga i tuoi dispiaceri nella cioccolata e panna…
Minako fece una smorfia simile ad un sorriso.
- Due passi?
- Come vuoi, infermierina.
Uscirono dai confini del cantiere e si incamminarono verso un locale che spesso Makoto frequentava con i colleghi. Entrarono e si sedettero a colpo sicuro in un angolo appartato, il menù già sul tavolo.
- Mi ha chiamato Ami. - esordì Minako dopo un breve, ma quasi imbarazzante silenzio.
L’amica sollevò lo sguardo dall’elenco delle bevande calde.
- Come sta? - chiese con tono indifferente.
- Non gliel’ho chiesto. Quello che mi ha detto mi ha fatto passare la voglia di chiederglielo.
- Ha a che fare con quello che è successo sulla Luna, eh? Allora il mio non era solo un incubo. - sospirò chiamando con un gesto della mano il cameriere.
- Scusa?
- Dopo. - le disse sorridendo, quindi si rivolse al ragazzo con il taccuino in mano. - Due della casa, con troppa, e intendo troppa panna. Ah, una delle due con su del peperoncino.
- D’accordo, signora Kino. Me ne occuperò personalmente.
- Bravo Yaten. - la donna lo guardò allontanarsi. - Allora, come dicevo, è successo qualcosa di poco piacevole?
Minako annuì.
- Ami ha detto che Setsuna è tornata all’opera e che Chibiusa è viva.
La bruna mosse il capo sconsolata.
- Immaginavo. E’ successo tre giorni fa. Ho sognato Jupiter e mi sono svegliata con una fitta di tristezza.
- Capita anche a me con Venus.
- Ma non se senti la tristezza al sistema di trasmissione che ci legava ai Soldiers. Ha pulsato per alcuni minuti, poi si è spento. Ho provato a ristabilire il collegamento, ma…
- Ci eri affezionata?
- Tu no? - sorrise triste.
Il ragazzo dai capelli così biondi da sembrare candidi portò le fumanti tazze ripiene di cioccolata bianca e fondente ricoperte di panna montata e polvere di cannella o peperoncino.
- Grazie. Mi puoi preparare il conto? Saldo tutto. Per un po’ mi sposto in un’altra zona.
- Ma torna prima della fine del multicielo?
Lei rise.
- Certo. Mancano più di tre anni al completamento. Non ho intenzione di fuggire. Solo di prendermi una sorta di vacanza dal normale lavoro.
Minako mangiò un paio di cucchiai di panna, quindi pose il cucchiaino.
- Sai già quello che sto per chiederti, vero?
- Ho già avvertito mio marito l’altro ieri, a causa del sogno. Lui e i miei figli sono da mia suocera per un po’, al sicuro. Non ho acqua o luce o gas accesi, quindi possiamo anche andare a recuperare la nostra personale regina della foresta. - sorrise nuovamente, il sorriso di una madre che pensa ai suoi figli, caldo e protettivo. - Ma prima la cioccolata per il morale e le energie.
Contagiata dal suo sorriso, la bionda annuì. Quando la ebbe finita chiamò la segreteria del cardiologo, avvertendo che prendeva alcuni giorni di malattia, e uscì con Makoto.
- Ami penserà a sistemare permessi e tutta la parte burocratica. Anche se speravo di farmi queste ferie fuori programma per altri motivi.
- Già. Passiamo comunque da casa mia. Mi faccio una doccia e siamo pronte a partire.
- Anche io devo darmi una rinfrescata. E poi non credo che i tacchi vadano bene per la foresta…
- Certo le mie scarpe non sono della tua misura.
- Se ne hai un paio anche vecchio da prestarmi, le rimodello io.
- Scarponi ne ho quanti ne vuoi. - La rassicurò la bruna aprendo la macchina, una famigliare di media cilindrata color marrone. - Scusa il disordine, ma praticamente la uso come ufficio ambulante. Essendo spesso fuori casa…
- Già. Per caso stai lavorando nella mia stessa città.
- Anche se effettivamente, noi quattro comunque siamo relativamente vicine. Rei è nelle foreste a duecento chilometri da qui, e Ami poco oltre. Chissà se poi è riuscita a far crescere quelle piante tanto particolari.
- Io dico di sì. Non è certo un problema per lei costruire una serra sotterranea.
- Già…
Le luci delle vie e dei negozi corsero e sparirono veloci dietro la macchina, finché questa si fermò davanti a un piccolo stabile, un condomino di una decina di appartamenti.
- Te lo passa la compagnia?
- Sì. Un bilocale dignitoso. Certo l’edificio è un po’ rumoroso, tutto a uso foresteria, e la metà occupata da hostess e piloti. Sai il casino anche di notte… - le rispose aprendo la porta dell’appartamento, diretta convinta a un piccolo guardaroba da cui estrasse un paio di scarpe in pelle trattata per uso industriale molto rovinate. - Sono le più piccole che ho.
- Perfette. Per rimodellarle molecolarmente con i miei tentacoli ci impiegherò un po’.
- Vado in doccia intanto.
Makoto aprì l’acqua e iniziò a fischiettare mentre la bionda appoggiava lo spolverino e si slacciava la camicia, rimanendo in reggiseno. Dai sei fori scuri lungo la schiena altrettanti tentacoli di luce si fecero strada ondeggiando nell’aria. Minako chiuse gli occhi, osservano il mondo e in particolare le scarpe nelle sue mani con gli innumerevoli occhi dei naniti che erano la materia prima delle sue strane appendici. I sensori le diedero una situazione accurata di decine di parametri delle calzature, mostrandole la struttura molecolare delle stesse tramite una ricostruzione virtuale che arrivava direttamente sul suo nervo ottico. Lei si concentrò, iniziando a modificare la disposizione dei singoli atomi, spaccando e ricreando legami tramite le nanometriche pinze e gli altri strumenti che ricoprivano i tentacoli. Lavorò alacremente, finché non decise di ritirare le appendici. Aprì gli occhi, nelle mani due scarponi perfetti per il suo piede, nuovi e migliorati enormemente rispetto all’originale.
- Il colore non è perfetto, ma…
- Ti ho visto altre volte farlo, ma mi stupisci sempre! - rise la donna uscendo dal bagno con i capelli umidi, un enorme asciugamano avvolto attorno al suo corpo come un mantello. - Forza, ti do mezz’ora, poi con te o senza di te, io parto.
- Schiavista…
- Solo quando serve, e come caposquadra direi che serve sempre. - le sorrise l’altra.
Quando uscirono dal portone dell’edificio e risalirono in macchina era già buio, e ancora di più, oltre ad un vento gelido e tagliente che sferzava gli alberi, era diventato quando parcheggiarono alla base di uno scosceso dirupo.
- Anche stavolta ci tocca una scarpinata.
- Non dirmi che ti lamenterai per una camminata di un quarto d’ora? - ridacchiò Makoto. - Dai, che poi la parte faticosa tocca a me!
A una decina di chilometri di distanza, tre predatori cercavano ognuno una preda diversa.
- Dove sei bastardo? Dove sei finito? - mugugnò il cacciatore di frodo, controllando per l’ennesima volta che i colpi nel fucile fossero pronti a trapassare il lupo che era stato eletto a probabile preda dall’uomo.
Alle sue spalle sentì un fruscio, foglie spostate e unghie sulla pietra. Sparò nello stesso istante in cui si voltò, ma fece solo una sorta di buco nel cespuglio. Bestemmiò violentemente scaricando il bossolo fumante. Un ululato simile ad una beffarda risata gli fece scaricare un’altra serie di insulti alla luna. In lontananza la lupa rispose, emettendo un lungo lamento, la sua figura stagliata nel cielo, visibile al cacciatore, la lepre ai suoi piedi, pronta per essere la sua cena.
- Hai ancora un colpo. Ritentaci, sarai più fortunato. - ringhiò cattiva una voce solo vagamente femminile, apparentemente sopra la testa del cacciatore.
La sua torcia elettrica tagliò la notte, illuminando il verde cupo degli arbusti, le mille gradazioni di marrone dei tronchi e dei rami e un arto rosso scuro, lungo e nervoso, in tensione come pronto a scattare.
- Che cazzo… - mugugnò fermando il fascio di luce, per poi spostarlo per illuminare la figura accucciata sul robusto ramo a circa quattro metri dal suolo.
Era un corpo femminile, gli arti lunghi e affusolati, terminanti con robuste e affilate dita prensili. La pelle era coperta da ampie piastre apparentemente rigide e sovrapposte tra loro come un’avveniristica armatura. Tali piastre sembravano coprirle anche il volto, la superficie interrotta solo per due fessure diagonali dove gli occhi come braci ardevano e per la lunga coda di capelli neri che sbucava alla base del collo.
- Ciao. Ognuno ha trovato la sua preda. Peccato che tu ti sia fatto scappare la tua. - sibilò la creatura, saltando tanto velocemente da sparire agli occhi del cacciatore.
L’uomo si voltò, la luce ad illuminare a caso, il dito sul grilletto, pronto a sparare. L’indice tremava.
- Sono qui! - la torcia cercò la voce, ma non trovò nulla. - O qui. - la stessa voce, un’altra posizione. - O qui. - rise, posandogli un artiglio sulla spalla. Il cacciatore sparò, sicuro di averla colpita, ma nulla lo confermava. - Peccato. Hai finito i colpi. Ora tocca a me. - mormorò con cattiveria l’essere, saltando davanti a lui dalla cima dell’albero su cui era aggrappato con gli artigli.
Con la mano sinistra gli afferrò il fucile, facendo un rapido movimento con le dita della destra. Piccoli cilindri di metallo caddero a terra, una volta la parte terminale della canna.
- Cristo… Cosa sei tu?
- Solo una molto gelosa del suo territorio… - gli rispose sollevando la mano destra, pronta a tagliargli costole, polmoni e giù, fino allo stomaco. Sembrò esitare un istante, come annusando l’aria, quindi abbassò l’arto e lasciò l’arma ormai inutilizzabile. - Hai gli dei dalla tua, piccolo umano. Se risento il tuo odore in giro, sei morto. - ringhiò saltando nella notte, sparendo tra gli alberi, diretta al luogo dove le sue due amiche la stavano aspettando.
Minako stava scrutando la zona, cercando un segno di Rei, mentre Makoto stava colpendo ritmicamente la pietra ai suoi piedi con potenti pugni, il braccio destro dalla mano fino al gomito ricoperto da una spessa corazza nerastra con striature verde cupo.
- Arriverà?
- Ne sono certa. - rispose la bruna. - E’ sempre venuta, rispondendo al mio richiamo. Le vibrazioni che i miei pugni creano nel terreno viaggiano per chilometri anche oltre la foresta dove si è rifugiata la nostra testacalda.
- Certo che con un telefonino…
- E secondo te dove me lo metterei? Non ho tasche, e poi la batteria… - ridacchiò Rei apparendo di corsa, su quattro zampe, da un gruppo di alberi vicino allo spiazzo dove le due si trovavano.
L’essere si alzò sulle zampe posteriori e in pochi secondi il suo aspetto mutò in quello di una donna tra i trenta e i trentacinque anni, con lunghi capelli neri e lisci sulla pelle pallida come il chiaro di luna. Abbracciò sia Minako che Makoto, il braccio di quest’ultima tornato normale appena si era alzata dalla posizione genuflessa in cui si trovava.
- E’ sempre un piacere vederti, cucciola… - la baciò sulla fronte la bruna. - Vieni, ho dei vestiti per te. E stavolta vedi di non stracciarmeli.
- O io dovrò di nuovo darmi da fare… - sospirò la bionda alzando gli occhi al cielo in maniera comica.
- Capito. Capito… - borbottò lei. - A cosa devo la visita fuori programma?
- Glielo dici tu? Ami ha avvertito te.
- Sì ma tu sai dire le cose meglio di me. Diglielo tu…
- Dirmi cosa? Inizio ad innervosirmi.
- Ami vuole vederci. Sembrerebbe che Chibiusa sia viva. - disse Minako.
- Setsuna… Quella troia psicopatica c’è riuscita.
   
 
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