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Autore: Sophrosouneh    24/05/2012    1 recensioni
[Lo definivano figlio di Dio, ma ben sapeva di non essere altro che un esperimento non andato a buon fine.
Solo lei sapeva amarlo.
Solo Lucifero lo aveva accolto.
Solo in quel luogo poteva realmente essere sé stesso.
Quella cripta era il loro perfetto santuario d’amore.
Nascendo come angelo aveva imparato ad odiare l’azzurro, e rinascendo come demone aveva scoperto la bellezza del rosso scarlatto del sangue.] [Astaroth/Astarte]
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Astaroth, Astarte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Sophrosouneh
Titolo: Il ventre gravido della Vergine.
Fandom: Angel Sanctuary
Personaggi: Astaroth, Astarte

Genere: Introspettivo, Dark
Avvertimenti: One shot
Rating: Arancione
Prompt: Sangue

Credits: tutti i personaggi appartengono a quella santa donna di Kaori Yuki, che personalmente venero anche solo per il fatto di aver disegnato questo manga.
Prima Classificata al Contest In the Darknes.




Il ventre gravido della vergine.

Lentamente fece scorrere la superficie affilata della lama sulla pelle diafana dell’angelo. Sebbene non applicasse che un’irrisoria pressione, la carne si lacerò, rivelando due lembi pulsanti di muscoli e tessuto sotto cutaneo. Dalla nuova ferita sgorgarono rivoli di liquido scuro. Il taglio non era tanto profondo da disperdere un’ingente quantità di sangue, ma doloroso oltre ogni dire.
Ne furono la prova le altre grida che si levarono dalla gola scarnificata della donna che, ormai, dopo giorni di tortura, implorava a gran voce la morte.
Ma il Duca del terrore pareva avere una diversa opinione.


Con sguardo trasognante inalò il dolcissimo aroma del nuovo sangue versato, avvicinando, quasi inconsciamente, il volto alla fonte del suo piacere.
La donna, memore delle passate esperienze, urlò istintivamente, ma ciò non distolse Astaroth dal suo intento. Lambendo quella tenera carne poteva assaporarne la deliziosa consistenza e il sapore intenso.
Se c’era qualcosa a cui non era capace di resistere era la vista del sangue. Lo adorava poiché era la sola cosa che riuscisse un poco a distrarlo dalla dilagante noia in cui trascorreva la sua monotona vita.


Dominando su un immenso labirinto, l’unico piacere che Lucifero gli aveva concesso era di dilettarsi con i topolini stolti ed ingenui che vi finivano dentro e, ingenuamente, coltivavano la speranza di uscirne.
Appostato in silenzio nell’ombra, come il più letale dei predatori, attendeva di poter sbranare le sue prede. E quella volta aveva avuto più fortuna del solito: invece dei soliti sudici topi di fogna, nella sua trappola era caduta una spaurita colombina. Sarebbe stato delizioso strapparle le candide ali.

“Sta zitta! Rovini il sapore del sangue.”


Con dita lascive percorse lento le curve della Vergine severa. Da innumerevoli secoli essa era divenuta sua fedele compagna nella monotonia di quel luogo. Allargando le braccia ne cinse il seno in un moto di sconsiderato affetto.
Il metallo freddo della donna d’acciaio risvegliò in lui antichi ardori, e con la lingua andò a ripulire la sua algida consorte da una goccia di sangue che ne aveva imperlato lo statico volto.


La vergine di Norimberga restava stupenda ai suoi occhi, bella e perfetta nella sua ieratica maestà.
Neppure il tempo e la noia avrebbero minimamente scalfito i sentimenti che provava per lei.
“Tu sei l’unica donna che io possa amare” le sussurrò suadente il Duca, accarezzandone la solida consistenza.


Lei era la sua gioia e il suo diletto, l’immortale compagna capace di farlo sentire vivo e di accendere una fiammella di passione nel suo cuore. Freddo per indole, il Duca del terrore odiava legarsi in modo troppo stretto a coloro che lo circondavano, anche perché provava per ognuno di loro un profondo disgusto. Persino il tanto magnanimo e glorificato Re Oscuro per lui non era che un mero simulacro: gli doveva la sua vita, ma questo non pregiudicava i sentimenti che provava per lui.
Solo lei era capace di restargli accanto, la Vergine assisteva impassibile, dalla sua metallica prigione, alle più sfrenate perversioni dell’angelo caduto. Aveva visto quel demone smarrire la sua coscienza ogni giorno di più, venir schiacciato da un peso troppo grande anche per lui.
L’unica cosa che chiedeva era che lui le donasse bambini da racchiudere nel suo grembo per sentire il loro sangue venir prosciugato e scorrere abbondante nel suo freddo corpo senza vita.


“Sei contenta amore mio? Sta volta ti ho portato una bambina davvero dolce, non trovi?” per tutta risposta l’essere in grembo alla Vergine si mosse in segno di protesta, ma questo non fece che rendere più gravi le sue, ormai numerose, ferite. Le lame affilate penetrarono in profondità la tenera carne lacerando le viscere della prigioniera, mentre una nuova cascata di sangue si riversava dal corpo esanime.


“Mi chiedo quanto tempo ancora ti sia rimasto?” sussurrò il demone, scrutando dalla feritoia gli occhi morenti della sua giovane preda. Erano di un azzurro limpidissimo, paragonabile solo a quello dell’Aziluth. Possedevano un lontano e mistico sapore di liberta; sarebbe volentieri volato via in quegli spicchi di cielo.
Parevano quasi implorarlo di lasciarla andare.
Aveva sempre odiato quella particolare tonalità di azzurro. Ad esso erano legati spiacevoli ricordi.
Alla nascita era stato avvolto dalla luce splendente color lapislazzulo che filtrava dalle eteree nubi.
Da quel momento era iniziato il suo martirio –il loro martirio.

Lo avevano definito figlio di Dio, ma ben sapeva di non essere altro che un esperimento non andato a buon fine.
Solo lei sapeva amarlo.
Solo Lucifero lo aveva accolto.
Solo in quel luogo poteva realmente essere se stesso.

Quella cripta era il loro perfetto santuario d’amore.
Nascendo come angelo aveva imparato ad odiare l’azzurro, e rinascendo come demone aveva scoperto la bellezza del rosso scarlatto del sangue.


“Mi dispiace, mio piccolo uccellino, ormai non volerai mai più” a quella parole un velo cristallino parve calare lentamente sulla cornea dell’amara ospite del Duca.

­­

Astaroth, fammi uscire!” quella voce la conosceva fin troppo bene.

Rimbombava nella sua testa con un ritmo costante e serrato, non lo lasciava ragionare neppure un attimo.
Aveva mantenuto il controllo su di lei fin troppo a lungo, adesso Astarte premeva per uscire con rinnovato vigore, sapeva che non sarebbe riuscito a trattenerla per molto.
Dallo scarno trono di marmo del Duca un enorme boa bianco strisciò fino a raggiungere i piedi del suo padrone, prono a terra per lo sforzo di mantenere la sua personalità.
Lentamente le squame del rettile cominciarono ad imbrunirsi sotto lo sguardo impotente di Astaroth che, con le mani cinte attorno alla testa, tentava invano di resistere alla sorella.
In pochi secondi l’incantesimo del Re Oscuro si manifestò in tutto il suo devastante potere: l’intera pelle del serpente era mutata e adesso appariva del colore stesso della caligine infernale.
L’animale andò lentamente ad avvolgere le sue spire lungo il corpo flessuoso della sua padrona.


Astarte era riuscita, con non poca fatica, a prendere il controllo del corpo del fratello. I suoi occhi grandi e luminosi si levarono sulla Vergine che troneggiava di fronte ai suoi occhi.
C’era un odore pungente e metallico nell’aria.
Si trovava in una sala per le torture, non avrebbe dovuto meravigliarsene, ma in una quantità così grande poteva voler dire solo una cosa: carne fresca.
Riappropriandosi di tutta la grazia che si addiceva a una Duchessa del suo calibro, si appoggiò alla donna di ferro per riuscire a scorgerne l’interno.


Il suo sguardo parve riprendersi , animandosi di un ardore che raramente possedeva.
Un sorriso dolcissimo andò ad incresparle le labbra, lasciando scoperti i denti perlacei.

“Ecco dov’eri finita, bambina mia.”

Le mani della donna corsero ai suoi capelli, intrecciandoli dolcemente mentre intonava una rilassante ninnananna.
Morbidamente sedeva , rinchiusa nelle sue stanze, su di un soffice talamo ricoperto dalle più preziose stoffe e ricami.
“Sai, Astaroth è cattivo con me, non mi lascia mai uscire di qui. Dice che nessuno deve vedermi.” Sussurrò continuando a modellare la morbida chioma.
“Ma io gli voglio bene, lui è pur sempre il mio amato fratello. Dio si è divertito ad unirci in un unico corpo dal momento della nostra nascita.” A rivangare quei dolorosi ricordi le mani del demone tremarono percettibilmente.
“E Astaroth, sebbene sia più forte di me, non ha mai neppure tentato di sopprimere la mia coscienza. Non è così che si comporta un buon fratello?” chiese, assaporando il dolce sapore di quelle parole.

Per quanto dolore potesse infliggerle, non sarebbe mai stato abbastanza per farle dimenticare quanto gli doveva.


La duchessa sussultò, portandosi le mani al grembo.
“Sei davvero una birichina, bambina mia. Hai proprio voglia di venir fuori, eh?” disse, sorridendo al suo ventre gravido.
“Ma non temere, staremo insieme per sempre.”
Sta volta suo fratello le aveva fatto un regalo davvero stupendo. Quella colombina continuava ad agitarsi inquieta nel suo ventre, ma sapeva che sarebbe diventata un’ottima figlia.
Con le lunghe dita affusolate sfiorò la soffice consistenza del vestito, morbidamente drappeggiato sopra il ventre rigonfio.


D’altro canto, per quanto lui potesse disprezzarla, Astarte sapeva di essere l’unico suo più grande diletto.
Era una vergine dal grembo perennemente gravido di un sangue non suo.


Ne era sicura, questa sarebbe diventata la sua bambina più bella.


Ti piace nostra figlia, Astaroth?

Note (post lettura): volevo far notare soltanto l’assonanza tra la Vergine di Norimberga e il personaggio di Astarte che sono la stessa persona nel cuore di Astaroth. Infatti l’angelo che lui chiude all’interno della Vergine si ritrova all’interno dell’utero di Astarte, cresciuto da lei come una figlia.

Alla fine Astarte si riferisce all’anima come “nostra figlia” poiché, sebbene, come anatomicamente ovvio (poiché condividono lo stesso corpo), Astaroth non sia il padre della bambina, è stato lui che ha rinchiuso l’anima nella Vergine di Norimberga, facendo in modo che poi si reincarnasse nel corpo della sorella.

Lo so, è una cosa dannatamente malata e perversa, ma se non mi fossi presa queste licenze con Astaroth e Astarte non me le sarei prese più con nessuno!


  
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