Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Ricorda la storia  |      
Autore: ChiiCat92    25/05/2012    5 recensioni
Per tutti coloro che hanno apprezzato Deep Sea, ecco a voi come la storia si coclude veramente.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
- Extra: La Sirenetta -

[…] Per molte notti sentì i pescatori, che stavano in mare con le lanterne, parlare molto bene del principe, e fu felice di avergli salvato la vita quella volta che era quasi morto e si era abbandonato alle onde; pensò anche al capo che aveva riposato sul suo petto, e con quanta dolcezza lo aveva baciato.
Ma lui non ne sapeva niente. Non poteva neppure sognarla. [...]

[…] Allora sentì attraverso l'acqua il suono dei corni e pensò: “Sta certamente navigando qua sopra, colui che io amo più di mio padre e di mia madre, che riempie ogni miei pensiero e nella cui mano io voglio riporre la felicità della mia vita.” […]

[…] - Soffrirai come se una spada affilata ti trapassasse. Tutti quelli che ti vedranno, diranno che sei la più bella creatura umana mai vista! Conserverai la tua aggraziata andatura, nessuna ballerina sarà migliore di te, ma a ogni passo che farai, sarà come se camminassi su un coltello appuntito, e il tuo sangue scorrerà. - […]

[…] La Sirenetta, vestita di seta e d'oro, reggeva lo strascico, ma le sue orecchie non sentivano quella musica gioiosa, i suoi occhi non vedevano quella sacra cerimonia: pensava alla sua morte e a tutto quello che avrebbe perso in questo mondo. […] La Sirenetta ripensò alla prima volta in cui si era affacciata sulla terra e aveva visto lo stesso splendore e la stessa gioia […]

[…] Sapeva che quella era l'ultima volta che vedeva colui per il quale aveva lasciato la sua gente e la sua casa, per il quale aveva rinunciato alla sua bella voce, per il quale aveva sofferto ogni giorno tormenti senza fine, che lui neppure poteva immaginare. Quella era l'ultima notte in cui avrebbe respirato la sua stessa aria. […]

Hans Christian Andersen
Fiabe: La Sirenetta

*

Nella mente di Tom la ragazza era stata solo un'apparizione. Probabilmente aveva visto quello che voleva vedere, era una strana proiezione della sua mente, la personificazione del trauma subito.
O almeno era quello che continuava a ripetergli lo psicologo da cui aveva cominciato ad andare. Bill l'aveva praticamente trascinato nello studio medico dicendogli che aveva bisogno di sapere se stava davvero bene, che si sarebbe sottoposto anche lui alla terapia e che avrebbero superato insieme quel momento.
A Tom tutto quello sapeva tanto di presa per il culo. Non si sentiva pazzo, non era pazzo, ma non poteva non pensare che stava negando la sua pazzia, e questo, anche se non lo era, ce lo faceva diventare. Era un circolo vizioso da cui non sapeva come uscire.
Comunque fosse non aveva visto neanche l'ombra di quella ragazza nella settimana successiva. Quindi cominciava a pensare che fosse davvero una visione.
Era il 29 Giugno, era estate, faceva caldo, e rimanere a mollo in piscina non rinfrescava dalla calura che il Sole spandeva su LA per tutto il giorno.
Doveva essere l'estate più calda di sempre, perché l'asfalto bruciava e il cielo era terso e l'aria sembrava in fiamme.
Tutto quel caldo rendeva apatici. Il sudore si appiccicava addosso e dava l'impressione di non poter essere lavato via.
C'era sempre troppo sole, troppa luce.
Le cicale frinivano a non finire, era un concerto che riempiva le ore più calde della giornata, il sottofondo musicale di un'estate che non voleva smettere di riscaldare la Terra.
Tom coprì la luce del sole con una mano aperta. Era sdraiato a bordo piscina, un piede a mollo, una bottiglia d'acqua ghiacciata a fianco.
Si doveva essere appisolato, quando aveva chiuso gli occhi da quel lato c'era ancora ombra. Ora invece il sole illuminava tutto il cortile. Avrebbe potuto giurare di sentire l'acqua sui fili d'erba del prato evaporare per il troppo calore.
Si tirò su a sedere. Aveva la schiena, i capelli, la fronte, ogni centimetro di pelle ricoperta di sudore. Aveva caldo da impazzire.
Si stropicciò gli occhi e per un attimo si fece buio. Quando tornò a vedere il giorno bruciava con ancora più violenza.
Cercò Bill con gli occhi socchiusi perché la luce era davvero troppo forte. Non era nei paraggi. Quando faceva così caldo si chiudeva nella sua stanza con il condizionatore sparato al massimo, oppure lo costringeva a scendere sulla spiaggia.
Fissò l'acqua azzurra della piscina. Era placida e tranquilla, silenziosa, non aveva un fremito. Avrebbe voluto essere così, privo di emozioni.
Si lasciò scivolare dentro la vasca. Con tutto il caldo che aveva preso l'acqua gli sembrò gelida e rinfrancante. Gli venne subito la pelle d'oca mentre si lasciava scivolare sul fondo. La pressione gli fece fischiare subito le orecchie, sentì battere forte il cuore e i polmoni chiedevano un sorso d'aria. Ma lì, sul fondo, si stava così bene che lui non se la sentiva di risalire in quel mondo caotico e privo di senso. Finalmente dopo tanto tempo riusciva a sentire i suoi pensieri, riusciva a rimetterli in ordine.
L'acqua salata della piscina gli irritava gli occhi, ma non voleva tenerli chiusi.
Quando i suoi polmoni furono sul punto di scoppiare, smise di tenersi sul fondo con le braccia e si diede una spinta verso l'alto. Per un attimo, quando respirò di nuovo ossigeno, rimpianse di non avere le branchie, o di non essere un campione di apnea.
Si tirò su di nuovo sul bordo della piscina, sbuffando e tossendo.
Prima di vederla percepì la sua presenza sulla pelle. Era una sensazione strana, gli dava calore e conforto, e non sapeva spiegarsi perché.
Volse la testa e la vide: quella ragazza, in piedi accanto a lui, sempre sorridente nel suo vestitino bianco a fiorellini azzurri. Con i capelli resi dorati dal sole sembrava brillare di luce propria. Forse era un Angelo.
- Ancora tu. -  le disse soltanto. Lei annuì, allargando il sorriso. - Che ci fai qui? -
- Ogni tanto...vengo a trovarti. -
- Non sei venuta spesso ultimamente. -
Stavolta lei scosse la testa.
- Sono venuta. Tu non mi hai vista. -
Tom era decisamente confuso. Stava parlando con una persona reale o era qualcosa che usciva dalla sua testa come tentativo di conforto come aveva detto lo psicologo? Dato che lui non parlava molto con gli altri, neanche con suo fratello negli ultimi tempi, era la sua mente a creare quell'immagine così che lui potesse sfogarsi?
- Come ti chiami? -
Il sorriso della ragazza si rabbuiò per un attimo, per poi tornare splendente come prima.
- Maryll. -
- Maryll. - ripeté lui. Aveva un bel suono, però sapeva di un nome inventato. Se era stato lui a crearlo aveva dato a quella ragazza un nome veramente delizioso. - E' strano. -
- Da dove vengo io non lo è così tanto. -
- E da dove vieni tu? -
- Da un bel posto. -
Quella Maryll cominciava a smuovere in Tom un assurdo senso di disagio. Ne aveva quasi paura. Sembrava una presenza evanescente, credeva che se avesse distolto lo sguardo lei sarebbe scomparsa.
Percorse il suo corpo con occhi curiosi, finché non arrivò ai piedi, che sanguinavano.
Gli venne un tuffo al cuore.
- Hai camminato a piedi scalzi fino qui? -
Lei mosse le dita dei piedi con una strana espressione sul volto.
- Una specie. -
Rispose.
- Ti sei ferita, non ti fanno male? -
- Prima sì. Adesso non più. -
Nessuno dei due osava staccare gli occhi di dosso all'altro. Erano incatenati tra loro da un vortice di sensazioni, emozioni e pensieri che non li lasciava ragionare lucidamente.
Maryll non riusciva a sopportare tutto quello, il dolore era enorme, lo sentiva incalzare dentro di lei, aumentare sempre di più. Quanto ci avrebbe messo ad ucciderla? Però non poteva e non voleva andarsene. Sarebbe stato comunque magnifico morire lì, con lui. E poi, finché era in sua presenza, riusciva a dimenticare tutto, o quanto meno a fare finta di aver dimenticato tutto.
Tom stava per chiederle se poteva fare qualcosa per lei quando la voce di Bill irruppe tra loro nella magica bolla che li conteneva.
Per la sorpresa voltò la testa verso il fratello dietro di lui. Si maledisse per averlo fatto quando tornò con gli occhi al punto dov'era Maryll solo un attimo prima: di lei, ora, non c'era più nessuna traccia.
- Tom? Mi rispondi o no! Che diavolo ti prende?! -
Lo riscosse ancora Bill, che evidentemente stava lì a chiamarlo da un pezzo. Lui sbatté forte gli occhi contro la luce del Sole. Che avesse avuto ancora le traveggole? Il caldo, il suo trauma, poteva essere qualsiasi cosa. Erano ore che se ne stava sotto il sole.
- Io? Niente, tutto apposto. -
Il fratello fece una smorfia di disappunto, non è che ci volesse un genio per capire che non c'era niente di “apposto”. Ma Bill sapeva che indagare non avrebbe fatto sentire Tom meglio, quindi sospirò.
- Sei stato un po' troppo al sole, non trovi? -
Tom ebbe una fitta allo stomaco. Sembrava quasi che gli avesse letto nel pensiero. Non poteva assolutamente dirgli quello che aveva visto.
- Sì, hai ragione. Faccio una doccia e mi rintano nella mia stanza. -
- Stasera hai intenzione di uscire? -
Chissà, magari avrebbe visto la ragazza misteriosa in giro. Lei gli aveva detto di essere venuta...e non essere stata vista.
- Sì, perché no. -
Rispose quindi Tom, abbozzando un sorrisetto. Bill fece finta di ricambiarlo.

Non si parlarono per il resto della giornata, neanche a sera quando presero la macchina per andare al ristorante.
Tom era troppo preso dai suoi pensieri per dare retta anche a quelli di Bill.
- Ho invitato un paio di amici. -
Disse all'improvviso il fratello. Tom lo guardò stranito.
- Chi? -
- Ti piaceranno. -
Ma lui aveva come l'impressione che no, non gli sarebbero piaciuti.
Rimase col broncio per tutto il tragitto fino al ristorante, anche quando Bill parcheggiò l'auto e lo invitò a scendere.
Era il solito ristorante giapponese, che era diventato più una seconda casa che altro.
Bill andò saltellando contento verso l'entrata, mentre Tom, con le mani in tasca e il mega broncio sulla faccia, lo seguì senza dire una parola.
Sulla porta del locale, che fumava lentamente una sigaretta, c'era una bella ragazza bionda. Quei lunghi filamenti d'oro erano morbidi sulle spalle e si arricciavano dolcemente fino a raggiungere il sedere, piccolo, rotondo, alto. I fianchi erano delineati, il ventre piatto, le gambe alte e slanciate. Tom non poté fare a meno di far correre gli occhi sul suo corpo. Era infilata in un piccolo vestitino che lasciava molto poco all'immaginazione. Eppure non era volgare, non dava l'impressione di esserlo, neanche su quei tacchi di 12 centimetri. Anche con le scarpe però era più bassa di lui.
Voltò la testa bionda verso di loro ed entrambi rimasero inchiodati dai suoi grandi occhi castano chiaro. Sorrise a entrambi, diede l'ultimo tiro alla sigaretta e la gettò nel cestino prima di venirgli in contro.
- Ma chi è...? -
Chiese con un filo di voce, e una voglia incalzante ai lombi, Tom.
- La persona che ho invitato per stasera. - Bill diede una bella pacca sulla spalla a Tom - E' un po' che non te la spassi, ho pensato che ti sarebbe andato di vedere qualcuno. -
- Ma tu sei tutto scemo! Mi hai organizzato una serata con una escort! -
Bill ridacchiò sommessamente.
- No, non è una escort, è solo una ragazza carina che ho incontrato mentre tu te ne stavi rinchiuso in casa con il tuo mal di testa. Non è il mio tipo. - gli fece l'occhiolino - Gli piaci più tu. - con una spintarella lo incoraggiò a fare qualche passo avanti - Forza, divertiti. -
Poi fece dietrofront e lo lasciò solo, con la ragazza che si avvicinava a lui.
- Ciao! -
Gli disse, cogliendolo alla sprovvista.
- C-ciao! -
Lui che si ritrovava a balbettare. Doveva avere per forza qualche rotella fuori posto.
- Credo che tuo fratello voglia che tu esca con me. -
Rise lei. Aveva una bella risata, molto frivola ma non snervante.
Lui le rivolse un sorriso sghembo, di quelli che gli venivano fuori quando aveva voglia e quando sapeva di avere tutte le carte in regola per soddisfare quella voglia. Infatti la ragazza rimase immobile a fissare quel meraviglioso sorriso, estasiata.
- Mio fratello crede a un sacco di cose, poi sta a me fare i fatti. -
Ecco che lei ridacchiava ancora.
- Io sono Marina. -
Un campanello si accese nella mente di Tom.
Maryll. Pensò subito, ma il pensiero si esaurì presto, sfumando in qualcosa che doveva ricordarsi ma che gli sfuggiva.
- E io sono incantato di fare la tua conoscenza. -
- Cliché. -
Sorrise Marina. Anche Tom sorrise.
- Dovevo tentare. -
Le cinse i fianchi e la invitò ad entrare nel ristorante.

Dovette ammettere, mentre sorseggiava la sua birra, che la compagnia di Marina era piacevole. Non era una ragazza particolarmente intelligente, particolarmente dotata, ma era piacevole. Riempiva in qualche modo il vuoto che Tom sentiva dentro di sé. Non era un buon cemento per tutte le sue crepe, ma era già un collante che gli evitava di cadere a pezzi. Era piacevole. Sì. Non c'era altra definizione.
Forse non ne sarebbe uscito niente, forse sarebbe stata un'altra botta e via, ma Dio solo sapeva
quanto desiderasse qualcosa che anche solo si avvicinasse a una botta e via.
Per cui, finito di bere la birra, chiese il conto al cameriere.
- Ti va di fare una passeggiata? -
Le chiese. Era quasi certo che se avesse voluto sarebbe arrivato in terza base senza neanche chiederglielo, ma non ne aveva voglia. Voleva qualcosa di tradizionale e tranquillo per una volta.
- Certo, perché no. -
Non le fece pagare la cena, ci mancherebbe, e uscendo le diede la sua giacca, perché con quel vestitino risicato si vedeva lontano un miglio che pativa il freddo. La notte a LA tendeva a diventare gelida, il vento spirava dal mare portando il suo sapore di sale sulla pelle che inevitabilmente si accapponava; era un drastico alternarsi di mattinate aride e serate ghiacciate che lasciava la città boccheggiante.
Tom si sentiva come un gentiluomo di altri tempi.
Mentre passeggiavano parlavano del più e del meno, di cose inutili e superficiali, cose che non andavano a toccare il personale, anche perché Tom non aveva il coraggio di aprirsi.
Parlare senza pensarci troppo era un sollievo. Lei gli dava la possibilità di discutere di tutto ciò che gli passava per la testa, anche se era completamente privo di senso.
Passeggiarono sul lungo mare, imbarazzati ma complici di quel momento.
Tom aveva l'impressione che lei avrebbe voluto prendergli la mano, per questo lui le aveva infilate in tasca, non credeva di averne voglia.
La luna era di nuovo sparita. In cielo si vedeva solo un ovale nero come la pece in tutto quel blu scuro. Tempo qualche giorno e sarebbe ricomparsa, spicchio dopo spicchio, fino a tornare piena.
- Ci sediamo? -
Tom si riscosse, non si era accorto che Marina gli stava parlando.
- Ehm...sì, va bene. -
Lei lo trascinò su una panchina e si sedettero, vicini, gamba contro gamba; il mare di fronte a loro era agitato, anche se non c'era vento. I cavalloni si arricciavano sulla spiaggia lasciandosi dietro solo schiuma bianca. Era arrabbiato, furioso, senza alcun apparente motivo. Dalla guardiola dei bagnini sventolava mogia la bandiera che annunciava il divieto di balneazione, non c'era abbastanza vento per farla agitare in aria. Ma il mare era ingestibile comunque.
Tom, per qualche strana ragione, si chiese cosa avrebbe provato a vivere sul fondo dell'Oceano, nel silenzio delle onde, mentre sopra si scatenava una tempesta.
- Sei piuttosto pensieroso. -
Guardò Marina. Stava con le braccia strette in grembo nel suo quadrato di spazio, incollata a lui. Era troppo carina. Davvero troppo.
- Ultimamente mi capita spesso. -
- Ho sentito...cioè...ho sentito quello che vi è capitato. È una cosa tremenda. -
Tom si irrigidì, anche se lei non sembrò accorgersene.
- Sì, tremendo. -
- Scusa. Magari non ti va di parlarne. -
- A dire il vero non mi ricordo molto, quindi non saprei neanche come fare a parlarne. -
Marina si tormentò le mani fissando altrove. Aveva toccato un punto dolente che aveva gelato Tom, ma era troppo tardi per porvi rimedio.
Il ragazzo la guardò di sottecchi. Era davvero snella, sembrava un'attrice, o una fotomodella, o qualcosa del genere, o avrebbe dovuto esserlo.
Quei capelli biondi gli ricordavano...
Si sporse su di lei e la baciò. Senza pensarci. Non voleva pensarci.

Cominciò a uscire con Marina cercando di vedere se fosse stato possibile una relazione tra di loro. Lei che era perfetta e lui che era perfetto sembravano una coppia perfetta. Ma ovviamente avrebbero dovuto agire di nascosto, almeno per un po' di tempo.
Intanto avrebbero festeggiato il 4 Luglio insieme, era già qualcosa.
Tom non aveva più visto quella ragazza misteriosa. A dire il vero l'aveva completamente rimossa dalla sua memoria, preso com'era da Marina non aveva tempo per pensare a nient'altro.
Adorava passare il tempo con lei perché lo distoglieva da tutto. Gli ricordava tempi migliori in cui la sua anima era tranquilla e felice, gli ricordava quello che c'era stato prima, anche se non sapeva bene che cosa volesse significare quel “prima”.
L'avrebbe portata sulla spiaggia a vedere i fuochi d'artificio, forse le avrebbe preso un gelato; avrebbe vissuto quella storia da adolescente innamorato.
Non voleva ammettere con se stesso che c'era qualcosa che non andava in tutta quella storia.
Non aveva mai provato cosa volesse dire essere innamorati di qualcuno, eppure aveva la sensazione di esserlo stato una volta, e di non riuscire minimamente a ricordarlo. Voleva riempire i vuoti della sua memoria con Marina, e per il momento sembrava andare tutto bene.
Tom portava a passeggio Scotty, come tutti i giorni. Era il tramonto, il mare era ancora agitatissimo, lui era di cattivo umore.
Scotty non era gestibile, strattonava il guinzaglio con forza, trascinandolo dove voleva lui, ma Tom non aveva la minima intenzione di stargli dietro, quindi lo tirava a sé e lo sgridava.
Il cane faceva finta di non sentire il dolore del collare che gli serrava il collo e continuava a tirare come un pazzo.
Tra uno sbuffo e l'altro Tom fu costretto a seguirlo per buona parte del tragitto. Si sentiva lui il cane tra i due.
- Scotty, finiscila, non è giornata. -
Sbottò, strattonandolo per l'ennesima volta. Il cane ringhiò al suo indirizzo e continuò a tirare, cocciuto come un mulo.
Non capì se lo fece apposta o fu solo la stanchezza a farglielo fare, ma mollò il guinzaglio del cane e lo lasciò correre libero.
Imprecò contro se stesso e contro quel dannato animale e prese a inseguirlo.
Arrivò fin sul lungo mare, sulla pista ciclabile, lo sciabordare delle onde era un urlo continuo nelle orecchie, gli schizzi d'acqua arrivavano fin lì.
Si bloccò all'improvviso scuotendo la testa. Tutto quello sapeva di deja-vu. Sbatté forte gli occhi e lasciò perdere: era solo una ridicola sensazione, e il suo cane correva per la spiaggia come un pazzo, doveva andarlo a riprendere.
Scotty era lì, sulla spiaggia, il muso appoggiato alla sabbia, annusava tutto intorno. Poi alzò la testa e abbaiò all'indirizzo di Tom, come per guidarlo sulla giusta strada.
Il cane si prendeva anche gioco di lui, se non avesse saputo che era solo un animale avrebbe pensato che stava veramente cercando di farlo impazzire.
Tom gli corse dietro, irato e intenzionato a fargli la pelle. Mentre il cane continuava a fermarsi e abbaiare per poi tornare a correre quando lui lo raggiungeva.
- Dove mi stai portando. -
Si ritrovò a sussurrare tra sé e sé Tom.
Il cane s'infilò dietro gli scogli, dove finiva la spiaggia. Il mare era talmente agitato che si lanciava sulle rocce con violenza. Scivolare in acqua in quel momento sarebbe stata morte certa.
A Tom si attorcigliò lo stomaco. Scavalcò il primo scoglio, Scotty lo aspettava lì vicino, seduto, la coda tra le gambe, le orecchie basse, chino su quella che sembrava essere...
- Maryll! -
Urlò Tom, sconvolto.
La ragazza delle sue apparizioni era stesa su uno scoglio. Le sanguinava copiosamente la testa. Doveva essere stata sbattuta sulle rocce per la violenza dell'acqua. Tom si lanciò su di lei prima che l'onda successiva la trascinasse a largo. Con la bassa marea in quello spiazzo doveva esserci una piccola conchetta privata, con una lingua di sabbia pressoché invisibile a sguardi indiscreti. Adesso però l'acqua arrivava fino alle ginocchia, e dava l'impressione di dover salire ancora, e ancora.
Tom s'immerse con foga, rischiò di inciampare ma non staccò gli occhi da lei. Quando le arrivò vicino la strinse forte tra le braccia. Era fredda, sembrava morta. Il cuore prese a battergli a una velocità tale che sembrava voler decollare.
Un'onda lo travolse e per un attimo non riuscì a respirare, ma non lasciò che Maryll gli sfuggisse tra le mani per niente al mondo. Si aggrappò a uno scoglio e aspettò che passasse.
L'acqua salata gli bruciava gli occhi e il naso. Si sentì venire meno ma non permise a se stesso di lasciare la presa.
Quando finalmente l'onda passò lui tossì disperato alla ricerca d'aria. Il cane abbaiava come un forsennato dalla cima dello scoglio più alto.
Tom si alzò sulle gambe traballanti e trascinò se stesso e Maryll fuori dall'acqua, fuori da quell'anfratto di morte.
Si arrampicò sugli scogli e si ritrovò sulla spiaggia, fradicio, con la ragazza tra le braccia e Scotty che gli leccava il volto per rianimarlo.
- Buono Scotty. - ansimò Tom, rassicurando il cane che uggiolava - E' tutto...tutto ok. -
Sputò un'abbondante boccata d'acqua salata poi si tirò su, sempre tenendo Maryll stretta a sé.
Tra le gambe gli gironzolava il cane che continuava ad abbaiare e uggiolare.

Tom arrancò fino a casa con Maryll tra le braccia. Collassò solo un attimo dopo di adagiare la ragazza sul divano del salotto. Si lasciò cadere sulle ginocchia e riprese finalmente fiato. Adesso aveva la prova che Maryll era un essere tangibile, vero; sentiva le braccia tremargli per lo sforzo di trasportarla, e sentiva il suo profumo esotico spirare dalla sua pelle, dai suoi capelli bagnati.
- Tom? Sei tu? Tom...ma che diavolo...! - Tom riuscì a rivolgere solo un'occhiata stanca a Bill, fermo sulla soglia del salotto - Ma...chi è?! Che cosa è successo?! -
- Lei...è...Maryll. L'ho trovata sulla spiaggia...rischiava di annegare. -
- Ma sanguina! È ferita! Chiamo un'ambulanza! -
- No! - urlò Tom, più forte del fratello che già aveva la voce isterica e alta - No, chiama il nostro medico di fiducia. Niente ambulanza. -
Bill non seppe spiegarsi cosa vide negli occhi di Tom, ubbidì e basta.

Il medico finì di fare la sua visita in silenzio. Era arrivato in silenzio, aveva tirato fuori i suoi strumenti in silenzio, e ora in silenzio fissava i due ragazzi.
Era un bravo dottore. Da quando erano arrivati a Los Angeles era stato lui a prendersi carico delle loro malattie, tutte quante, dai raffreddori all'influenza, dalla bronchite di Bill alla tendinite di Tom.
Sapeva essere discreto quanto professionale e sembrava sapere tutto quello che c'era da sapere sulla medicina.
Ma ora, fissando i due, aveva uno sguardo che non gli avevano mai visto. Sembrava confuso, pessimista, pensieroso.
Tom non riusciva più neanche a tenere ferme le mani. Ma non voleva che trapelasse qualcosa, non voleva che capissero che era terribilmente in ansia, che si stava rodendo l'anima.
Avevano adagiato la ragazza nella stanza degli ospiti. Quella casa era abbastanza grande da poter ospitare una buona decina di persone: un posto si ritagliava per tutti.
Spariva sotto le coperte del grande lettone. Si vedevano solo le forme del suo corpo, si udiva il rantolo continuo del suo respiro.
- Io veramente non so che dire. -
Esordì il medico con una voce piatta da mettere i brividi. Tom si sentì morire.
- Perché? -
Chiese quindi, quasi strozzandosi. Il medico tirò un lungo sospiro.
- La ragazza sta bene. Almeno a me pare di capire che stia bene. Sulla fronte ha solo qualche leggera escoriazione, hai detto che era stata trascinata sugli scogli dalla marea, no? Non sono ferite gravi, le ho disinfettate ed è bastato qualche cerotto. Quelli che mi preoccupano sono le piante dei piedi. -
Tom tremava tutto, e non sapeva spiegarsi perché.
- Qualche giorno fa...camminava...camminava scalza, è possibile che si sia ferita per quello? -
Bill gli lanciò uno sguardo che lasciava poco intendere al dottore ma che Tom comprese immediatamente. Era chiaro che lui aveva incontrato quella ragazza anche prima, e che non gli aveva detto nulla.
- No, non può essere. Anche se tu mi confermi di averla vista camminare scalza per ferite del genere sarebbe dovuta stare a piedi nudi sui carboni ardenti. -
- E dunque? -
Fece Bill per entrambi, dato che Tom aveva la bocca troppo secca per parlare.
- E dunque non ne so spiegare l'origine, non so se sono autoinflitte o se è stata costretta a fare chissà quale diavoleria. - la parola “torturata” si accese immediatamente nelle teste dei gemelli causando ad entrambi fitte gelide allo stomaco - Le ho fasciate e disinfettate, ma dovrò tornare per vedere se migliorano. Intanto vi prescrivo degli antibiotici che dovete farle assumere assolutamente due volte al giorno per debellare qualsiasi forma di infezione. Se non si cicatrizzano bene dovrò consigliarvi di portarla da uno specialista, nel frattempo vi prego di non lasciarla alzare per nessun motivo. -
Bill aveva la faccia da “mi tocca anche fare la cameriera”, ma non commentò.
- Grazie dottore. -
Disse Tom, lanciandosi a stringere la mano all'uomo occhialuto.
Quello gli rivolse un sorriso.
- Aspetta ad essermi grato. -
E con quelle parole si congedò, lasciandoli soli.
Bill rimase immobile davanti alla porta d'ingresso con le braccia incrociate per un attimo. Cercava di immagazzinare tutte quelle informazioni in modo che non gli costassero una sfuriata.
Non potevano certo tenersi in casa una ragazzina vagabonda. Dovevano sporgere denuncia alla polizia. Magari qualcuno la stava cercando. Magari le persone che le avevano fatto del male. Oppure sotto quell'aspetto da innocentina dimorava l'anima di un criminale. O peggio, di una pazza isterica che li avrebbe accoltellati di notte. Potevano veramente permettersi di tenere in casa una perfetta sconosciuta?
- Non fare il cazzone Bill. Lei rimane qui. -
Gli disse Tom senza che neanche lui avesse aperto bocca.
- Ma chi ha detto niente. -
- L'hai pensato, è sufficiente. -
- Perché non mi hai detto di averla incontrata prima? -
Tom sentì il cuore perdere un battito. Come se fosse semplice. Per giorni aveva lottato tra la paura di essere impazzito e la voglia di essere sano. Che cosa avrebbe pensato Bill se fosse andato da lui a dirgli di aver visto una ragazzina fantasma apparirgli davanti per poi scomparire nel nulla? L'avrebbe solo preso per uno schizofrenico, come d'altronde lui stesso credeva di essere.
- Veramente, te l'ho detto di averla vista prima. Tu non mi hai creduto, e mi hai costretto ad andare dallo psicologo come se fossi un pazzo. E comunque non ti devo dire anche quante volte vado in bagno. -
Rispose invece, con la voce astiosa.
- Non è questo il discorso. Dov'è che l'hai incontrata? Potrebbe essere pericolosa! -
- E' in pericolo lei e sta male, dobbiamo aiutarla. -
- Possono aiutarla le autorità. Consegniamola alla polizia, portiamola in ospedale e lasciamola lì. Le darebbero tutte le cure di cui ha bisogno! Quanto pensi di poterla nascondere, eh? Prima che qualcuno venga a cercarla? E se domani la sua faccia è su tutti i notiziari? Che faremo? -
- Se dovesse succedere decideremo il da farsi. Adesso dobbiamo solo pensare a farla guarire e aiutarla nel miglior modo possibile. -
I due fratelli rimasero a fissarsi, occhi negli occhi.
Poi Bill scosse la testa e allontanò lo sguardo da quello di Tom.
- Fa' come meglio credi. -
E se ne andò, dandogli le spalle.
Tom riuscì a tirare un sospiro di sollievo. Aveva solo voglia di stare con quella ragazza.
Si infilò piano piano nella stanza dove riposava. Era ancora immobile, nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata, respirava ancora forte, pesantemente, sembrava non bastarle tutta l'aria del mondo. Per un momento Tom credette che l'avrebbe vista morire, e il pensiero rischiò di uccidere anche lui.
Si sedette sulla sponda del letto. Abbastanza vicino a lei per vederla in viso. Sembrava soffrire molto anche adesso.
Di colpo spalancò gli occhi, lasciando Tom basito: quegli occhi erano lucidi, grandi, bellissimi, profondi come l'oceano, non aveva mai visto niente del genere prima d'ora.
- Scusami...ti ho svegliato. -
Sussurrò, cercando di non farle capire quanto fosse sconvolto. Lei batté le lunghe ciglia un paio di volte, a come a voler mettere a fuoco il mondo che la circondava, poi cercò di mettersi a sedere. Tom l'aiutò e lei gli afferrò forte la mano.
Respirava tanto male da non riuscire a dire neanche una parola. Maryll non avrebbe saputo dire quanto tempo le rimaneva, ma ormai non aveva importanza, non più.
Poggiò la mano di lui sul suo viso, per sentire la freschezza della sua pelle sul suo volto arroventato.
Lui riuscì solo a pensare confusamente che lei doveva avere la febbre, perché scottava tremendamente.
- Vuoi...che ti lascio da sola? -
- No...ti prego. -
Bisbigliò Maryll in risposta, con un filo di voce, uno spaventato filo di voce, e strinse ancor di più la sua mano. Tom, benché si trattasse di un'estranea, non si sentì a disagio a starle così vicino, anzi, il suo contatto gli dava uno strano conforto.
- Posso...portarti qualcosa da bere...ti va? Qualcosa di caldo. - E le sorrise dolcemente. Maryll annuì con forza e si costrinse a lasciargli la mano. - Torno subito. -
Lei non gli rispose. Non aveva la forza per farlo. Lo guardò allontanarsi e per un attimo pesò sulla sua bilancia interiore la decisione di alzarsi e uscire da quella casa, il più in fretta e silenziosamente possibile. Poi si rese conto che non riusciva neanche a tenersi in piedi, che il dolore era accecante, che la bloccava a letto, e capì che sarebbe morta lì, forse tra le braccia di Tom, forse da sola durante la notte. Non aveva comunque senso cercare di salvarsi. Una vita senza di lui non era una vita che voleva vivere, e scappare continuamente per cercare di poterlo vedere solo qualche minuto era peggio che sapere di non poter più stare insieme a lui. Tanto valeva lasciarsi andare. Aveva fatto quel che poteva, ma non era forte e non credeva di poterlo diventare. Aveva pensato, stupidamente, che sarebbe riuscita a sopportare tutto quello, ma non aveva ancora fatto i conti con la sua reale debolezza.
Le scivolò qualche lacrima dagli occhi. Riuscì ad asciugarla prima che Tom rientrasse nella stanza. Teneva in bilico su un vassoio una tazza con dell'acqua scura che fumava; era tè, ma Maryll non ne aveva idea.
- Bill ne prepara sempre tantissimo ultimamente, a me non piace ma lui si ostina a farmelo bere. Dice che calma i nervi. -
Disse Tom, sedendosi lentamente sul letto e tenendo fissi gli occhi sulla tazza. Quando capì che aveva scampato il pericolo le avvicinò il vassoio.
Maryll non aveva idea di quello che doveva fare, si limitò a prendere la tazza e a tenerla tra le mani doloranti. Era calda, le dava una sensazione piacevole di sicurezza.
- E' alla cannella. Mela e cannella. È una buona accoppiata. -
Continuò Tom. Il profumo dolce del tè spinse Maryll e immergervi le labbra secche. Il liquido caldo le scese giù per la gola e le riscaldò lo stomaco, facendola sentire per un attimo in paradiso. Ma solo per un attimo, poi l'inferno tornò alla sua porta.
- E' buonissimo. -
Tom le sorrise.
- Per essere acqua sporca. -
- Acqua Sporca? È questo il suo nome? -
- Ma no. - ridacchiò lui - E' tè, tè alla mela e alla cannella. Non ce l'hanno da dove vieni tu? - la ragazza scosse il capo - Davvero? Non avete un po' d'acqua da far riscaldare per metterci delle erbe in effusione? -
- Di acqua ce n'è moltissima, solo che non possiamo riscaldarla, anche se ogni anno la temperatura aumenta un po'. -
Tom pensò che forse quella ragazza veniva da qualche famiglia disagiata, magari degli immigrati clandestini o roba del genere. Per non conoscere l'acqua calda... Eppure lei era pulita, i capelli ordinati, la pelle liscia, non aveva l'aspetto trasandato di un senzatetto o di un immigrato o di qualunque altra cosa fosse. In più, i suoi lineamenti non avevano niente a che vedere con nessuna etnia con cui Tom fosse mai venuto a contatto. Non sembrava asiatica, eppure i suoi occhi avevano un taglio un po' sottile, come quelli di un gatto; non era palesemente africana, anche se aveva labbra carnose e morbide; non era austriaca, o russa, o svedese, i suoi capelli biondi avevano troppe sfumature diverse, dal caramello intenso al grano maturo; non era una caucasica tradizionale, né aveva lineamenti argentini o brasiliani, sembrava non appartenere a nessuna razza e contemporaneamente apparteneva a tutte, perché di tutte aveva qualcosa.
- L'ultima volta non ho ben capito il nome del posto da dove vieni. -
- E' perché non te l'ho detto. -
Ribatté lei con un mezzo sorrisetto sulle labbra.
- E allora perché non me lo dici? -
Maryll sorseggiò ancora un po' della calda bevanda. Pensava che se avesse mai dovuto dare un sapore a Tom, probabilmente sarebbe stato quello. Avrebbe voluto dirgli “sai, sai di mela e di cannella”. Chissà cosa le avrebbe risposto. Bevve tutto il tè, la tazza si stava raffreddando, e anche le sue mani tremanti.
- Posso averne ancora? -
- Certo. -
Sospirò Tom, era chiaro che non gli avrebbe detto nulla. Si riprese la tazza e tornò in cucina dove aveva lasciato il bollitore ancora pieno.
Era felice quanto meno che quella ragazza fosse vera e non un parto della sua fantasia.
Bill l'aveva vista, il dottore l'aveva vista, adesso era più che sicuro che lei esisteva e che non doveva temere che scomparisse da un momento all'altro.
Quando rientrò nella stanza lei stava dormendo. Accoccolata sul cuscino e sepolta sotto le coperte sembrava un cucciolo piccolo e spaventato.
A Tom venne spontaneo sorriderle. Poggiò la tazza sul comodino e spense la luce, lasciando la stanza in penombra.
Stava per andarsene quando si sentì tirare. Era lei, lo teneva per la maglia. Però aveva gli occhi chiusi.
- Rimani. -
Bisbigliò Maryll con un filo di voce. In quell'unica parola Tom riuscì a cogliere una paura e una sofferenza fuori dal comune, enormi, che lo sovrastavano e lo schiacciavano con la violenza di uno tsunami.
Non se lo fece ripetere, almeno, il suo cuore non se lo fece ripetere. Si sdraiò accanto a lei che subito si appoggiò a lui.
Tom sentì ronzare la testa. Era tutto troppo normale per sembrargli assurdo, eppure quella ragazza era una sconosciuta che si stava prendendo troppa confidenza.
Da qualche parte dentro di lui sapeva di aver già vissuto quel momento, di aver provato quella sensazione, ma per quanto ci provasse trovava solo nebbia nella sua memoria, e dolore, e un fastidio pungente dietro gli occhi che bruciavano.
- Una volta mi hai detto...che non avresti mai potuto dimenticarmi. - cominciò lei con la voce che le tremava - Adesso invece mi guardi negli occhi e non mi vedi... - Tom schiuse le labbra per dire qualcosa, lei vi poggiò sopra due dita - Non importa. Sei vivo, è questo che conta. E sono immensamente felice di essere qui, ora. - “Anche se tu non hai idea di chi io sia”, aggiunse la mente stanca e triste della ragazza. Si accoccolò meglio sulla sua spalla e provò a dormire.
Tom non riuscì a spiegarsi quel senso di tenerezza strisciante che gli stava prendendo il petto. Quella ragazza sembrava un uccellino ferito, e lui la teneva stretta al suo grembo come se fosse stato l'unico a poterla curare. Ma la verità era che non aveva la minima idea di chi lei fosse, non voleva essere frainteso, né fraintendere. Quindi perché non si alzava semplicemente togliendosi dall'imbarazzo di stare nello stesso letto con una sconosciuta?
La ragione combatteva contro se stessa e non gli dava libertà di pensiero, si sentiva prigioniero della sua mente, imbrigliato in pensieri che non riusciva a formulare. Il mal di testa peggiorò insieme al ronzio. Chiuse gli occhi anche lui e ben presto, praticamente senza accorgersene, crollò addormentato.

Tom si svegliò nel bel mezzo della notte, forse da un brutto sogno. Sobbalzò appena e spalancò gli occhi nel buio. Non sapeva né dove si trovasse né perché né niente del genere.
Aveva anche ben poca consapevolezza del suo corpo. Non sapeva dove cominciavano e finivano le sue braccia; aveva un peso sul petto a cui non sapeva dare un nome.
Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco il luogo in cui si trovava (la stanza degli ospiti!), capì anche che aveva due braccia in più, una testa in più, due gambe in più, perché c'era qualcuno aggrappato con forza a lui, e lui ricambiava la stretta con altrettanta forza, neanche ne valesse della propria vita.
Era sdraiato sotto le coperte, abbracciato con Maryll.
Sciolse lentamente l'abbraccio, cercando di non svegliarla. Nell'oscurità che andava schiarendosi (man mano che i suoi occhi si abituavano al buio) riuscì a distinguere il suo viso addormentato. Aveva le sopracciglia aggrottate e le labbra tese all'ingiù. Tom non avrebbe potuto né avrebbe voluto giurarlo, ma c'era del sale incrostato agli angoli dei suoi occhi.
Le sfiorò la fronte, era ancora calda; sospirò e sgattaiolò fuori dalla stanza.
Aveva bisogno di pensare, con lucidità, lontano da quella ragazza che profumava di mare e sofferenza.
Erano le 3 notte, concluse dopo aver lanciato uno sguardo all'orologio appeso in soggiorno.
Si stiracchiò e sbadigliò, mentre il suo stomaco lo avvertiva pacatamente che era meglio che mangiasse qualcosa, prima che fosse stato lui a mangiare se stesso.
Passò in cucina, diretto al frigo, doveva esserci ancora qualcosa; aveva poca voglia di prendere la macchina e uscire per andare al supermercato.
Spalancò il frigo; una serie di bottiglie d'acqua, qualcuna di birra, un barattolo di maionese, due pomodori immobili sul fondo del primo ripiano, mezzo limone rinseccolito. Quand'era stata l'ultima volta che avevano fatto la spesa? Molto tempo prima, evidentemente.
Scoraggiato richiuse l'anta e valutò l'idea di uscire. Lo stomaco rinforzò la sua richiesta e alla fine si convinse.
All'ingresso afferrò una giacca di Bill (che gli andava un po' stretta di torace, ma poteva andare bene lo stesso), le chiavi della macchina e uscì.
C'era un bel venticello fresco che non lasciava intravedere la calura appiccicaticcia del giorno.
Forse non avrebbe preso la macchina, si sarebbe fatto due passi a piedi per schiarirsi le idee, non aveva più neanche tanta fame.
Si infilò le mani in tasca e cominciò a camminare, gli occhi fissi sui suoi passi, sull'alternanza del piede destro e quello sinistro. Il rumore che facevano sul selciato era l'unica cosa che si poteva sentire in quella città addormentata, tanto frenetica di giorno quanto tranquilla e oziosa di notte.
Un gufo o chissà quale altro uccello notturno bubbolava solitario. Era un canto tremendamente deprimente, straziante; sembrava piangere nel chiamare un compagno che non c'era.
Tom scosse la testa, si stava facendo condizionare, anche se non poteva negare a se stesso di provare una sensazione di oppressione al petto.
Guardò a destra e sinistra prima di attraversare la strada, non che si aspettasse che qualche macchina sbucasse fuori dal nulla, ma solo per abitudine, e percorse quei pochi metri che lo separavano dal lungo mare, dalla pista ciclabile e dalla spiaggia.
Di notte il mare se possibile era ancora più misterioso e terribile, sembrava poter inghiottire qualunque cosa da un momento all'altro. Era come un animale accucciato pronto a balzare addosso alla preda che stoltamente si fosse avvicinata troppo. Poteva sommergere l'intero pianeta senza scomporsi troppo, e gli Uomini facevano ancora finta di conoscerlo e saperlo domare. Nessuno avrebbe potuto mettergli il guinzaglio, e un giorno forse si sarebbe preso la sua giusta vendetta su tutti gli esseri che l'avevano distrutto e degradato.
Come a voler dimostrare che neanche la calma della notte poteva quietare la sua rabbia, onde e cavalloni si abbattevano sulla sabbia schiumando e tuonando, in tempesta.
L'acqua aveva raggiunto parti della spiaggia che di solito erano costellate di ombrelloni, addirittura era arrivata a dove era montata la rete per il beach volley, e non pareva volersi fermare.
Chissà forse avrebbe raggiunto la strada, avrebbe sommerso le prime case; forse era arrivato il momento della sua rivincita.
Tom rimase immobile a fissare il suo turbinio. Distrattamente si chiese cosa potesse farlo soffrire così, cosa lo rendesse tanto triste e tanto arrabbiato. Doveva essere qualcosa di terribile.
Si sedette su una panchina al limitare della spiaggia e rimase lì a fissare lo schiumare delle onde.
Se fosse andato verso l'acqua, se si fosse tuffato, se avesse sentito il suo corpo sbattuto sul fondo, l'aria mancargli nei polmoni, il mondo sparire alla sua vista, che cosa avrebbero pensato tutti? Che cosa avrebbe pensato Bill? E lui stesso che cosa pensava di questo suo incalzante bisogno di sentire l'abbraccio dell'Oceano?
Si passò una mano sul volto, sudato e bagnato dalle gocce d'acqua che il vento gli soffiava con forza sugli occhi.
Stava impazzendo, non c'era altra spiegazione. Tutto quello che stava vivendo era solo il sintomo primario della sua pazzia.
Si alzò, voltando le spalle a quel mare, lo stesso che sentiva di avere dentro, al posto dell'anima, e tornò verso casa, prima che il suo istinto e la sua voglia di autodistruzione avessero la meglio su di lui.

Tom non cercò neanche di forzarsi di andarsene nella sua stanza. Non era lì che voleva andare.
Aprì gentilmente la porta della stanza degli ospiti e si infilò dentro.
Maryll era ancora lì, addormentata e apparentemente tranquilla; ma qualcosa gli diceva che lei era come lui, come l'Oceano: c'era qualcosa dentro entrambi che ribolliva, si agitava, si attorcigliava costantemente, senza tregua.
Chiuse la porta dietro di sé, lo scatto della serratura fu come un campanello d'allarme per Maryll, che subito alzò la testa. Quando vide che era lui le venne automatico sorridergli. Quello in cui era piombata non era sonno, ma non aveva la forza per tenere gli occhi aperti e per poter fare altro che lasciarsi abbandonata su quel letto.
Lui non disse nulla, si avvicinò al letto e l'abbracciò.
Tom decise, in quel momento. Non gli importava quanto avventato potesse sembrare, adesso era nel posto giusto al momento giusto, con la persona giusta, e anche se non sapeva da dove quella consapevolezza gli venisse, voleva assecondarla.
Maryll si appoggiò a lui, mogia, le palpebre pesanti, le corde vocali che non vibravano più.
E piangeva, perché non poteva dirgli che lo amava, che il dolore che provava non le permetteva di sentire il contatto delle sua braccia contro il suo corpo, che sarebbe morta senza che lui sapesse mai quanto il suo cuore desiderasse amarlo, che era ingiusto che non potesse farlo, che era la cosa peggiore del mondo essere lì, insieme, e non amarsi.
Ma non poteva dirgli niente, e anche se piangeva i suoi occhi erano aridi.
Se solo Tom avesse potuto sentire le urla della sua anima, se solo un vago sentore del suo dolore gli fosse arrivato, forse avrebbe capito, forse avrebbe ricordato, forse l'avrebbe amata di nuovo, come la prima volta.
Maryll chiuse gli occhi. Il dolore era troppo forte, la spingeva nel baratro e lei non aveva la forza di opporsi. Le stava scivolando la vita tra le dita, e non poteva farci niente. Avrebbe voluto aggrapparsi con forza all'ancora di salvezza che era Tom, ma anche se aveva due mani non era più in grado di utilizzarle.
Si stava spegnendo nella notte, in silenzio, come l'ultima stella oscurata dal sole dell'alba.

*

Il mattino dopo c'era tanto, troppo sole nella stanza. Le feriva gli occhi e la costrinse a svegliarsi.
Se tutto quello che aveva davanti fosse stato vero, avrebbe immaginato così la sua vita con lui.
Maryll era in piedi, accanto al letto, e poteva vedere se stessa abbracciata a Tom, entrambi teneramente addormentati.
Non le provocò dolore sapere che lei, la lei sdraiata stretta con lui, non respirava, il suo cuore non batteva: era morta.
Non le provocò dolore neanche quella parola: morta.
Non le faceva male più niente.
Aveva perso la sensibilità, aveva perso la consapevolezza di se stessa.
Ma lo amava ancora. Non aveva mentivo quando aveva detto che l'avrebbe amato per sempre. Non sarebbe bastata una cosa come la morte a cancellare il suo amore.
Quindi anche adesso lo amava. Anche adesso che non poteva amarlo più veramente.
Era contenta che non fosse successo a lui. Era contenta di aver fatto il sacrificio che lui prima di lei aveva provato a fare; si sentì finalmente alla sua altezza.
Le provocò dolore sapere che quando Tom si sarebbe svegliato non avrebbe pianto per lei. Si sarebbe dispiaciuto forse, ma non avrebbe pianto. La sua morte sarebbe stata solo una tra le tante. Non avrebbe mai saputo a cosa lei aveva rinunciato per essere lì con lui, tra le sua braccia, in quel letto. Semplicemente non avrebbe pianto.
Sì, quello le provocò molto dolore.
- Ti fa così male perché lo ami. - Maryll si voltò piano verso la voce. Veniva da una ragazzina, non doveva avere più di quindici, sedici anni; il suo viso era dolcissimo, i suoi occhi grandi e azzurri come un lago profondo, i suoi capelli fili d'oro puro che le ricadevano sulle piccole spalle, la pelle era chiara e delicata come un petalo di rosa; sembrava avvolta in una luce soffusa, bianca e pallida. Maryll riuscì a realizzare che era quella luce ad averla svegliata, quella che veniva dal corpo della ragazza, non la luce del mattino. - Ti fa così male perché era l'ultima notte in cui hai potuto amarlo. - continuò la ragazza rivolgendole un sorriso triste; le sue labbra erano rosse come rubini - Nessuno dovrebbe morire quando ama così tanto. -
Maryll non rispose.
Nessuno dovrebbe morire quando ama così tanto. Eppure sia lei che Tom erano morti per quell'amore. Forse non c'era niente di giusto. Forse non potevano esistere entrambi nello stesso mondo, nello stesso istante, insieme.
Tornò a guardare i due corpi abbandonati ognuno al proprio sonno: il sonno da cui ci si risveglia, e il sonno eterno.
- Vorresti poter ancora stare con lui? -
Continuò la ragazza con voce velata.
Maryll non esitò un attimo a rispondere:
- Sì, lo vorrei. -
La ragazza le si avvicinò, accarezzandole il volto. Le sue mani erano fredde, eppure non era un gelo di cui rabbrividire, ma un gelo confortante che rinfrancava l'anima, come un impacco freddo sulla fronte bollente di febbre.
- E allora torna da lui, sdraiati e abbraccialo. -
Le sussurrò nell'orecchio, sfiorandole appena la pelle con le labbra.
- Ormai è troppo tardi. Io sono morta. -
- No, no, non è troppo tardi. Va'. -
Maryll sospirò. Cosa aveva ancora da perdere? Cos'altro le poteva venire tolto?
Niente ormai poteva più farle del male.
Anche se perplessa si sdraiò sul letto, prendendo il posto della sé priva di vita accanto a Tom. Lo abbracciò, lo strinse forte, sentì il ritmo lento del suo cuore, il sollevarsi ritmico del suo torace. Già le bastò per rinfrancarla. Sapere che lui c'era ancora, che era tangibile e non solo un'illusione, quasi poteva bastarle.
- E adesso? -
Sussurrò, convinta che sarebbe stata strappata anche da quel sogno.
La ragazza continuò a sorriderle, stavolta era un sorriso dolce.
- E adesso vivi. -

*

Maryll spalancò gli occhi, non per la luce del sole che le infastidiva gli occhi, ma per il tumulto del cuore che le batteva in petto. Batteva tanto forte da farle male. Avrebbe voluto massaggiarsi il petto, far smettere quel dolore.
Il suo sguardo si bloccò quando incontrò quello di lui. I suoi occhi scuri la fissavano, sulle labbra gli ondeggiava un sorriso.
- Ciao. -
Le disse, sottovoce, quasi avesse paura di svegliare qualcuno.
Quell'unica parola ebbe il potere di sconvolgerla. In una frazione di secondo mille pensieri le percorsero la mente.
Si chiese se fosse un sogno, se fosse un incubo, se fosse un perverso gioco della sua fantasia per distoglierla dalla crudele realtà, se fosse morta e quello fosse il Paradiso, o se invece fosse il mondo reale e la sua sofferenza fosse davvero finita.
- Ciao. - riuscì solo a rispondergli, confusa, con lo stesso tono di voce sussurrato, in bilico tra la speranza e la disperazione - Ti ho svegliato io? -
Tom scosse piano la testa.
- No. Aspettavo che ti svegliassi. -
Poi si avvicinò piano a lei e fece qualcosa che non avrebbe mai sperato che accadesse: poggiò le labbra sulle sue e le diede un candido bacio.
Di colpo, senza che potesse farci niente, due lacrime le caddero dagli occhi, e i singhiozzi presero a scuoterle il petto.
Non era un sogno, non era un incubo, non era niente di folle partorito dalla sua mente, non era morta: era la realtà, il calore delle labbra di Tom leggermente umide, la sicurezza del suo tocco, era tutto vero.
- Ti amo! - trillò - Ti amo, ti amo, ti amo! -
E lo strinse, lo strinse forte tra le braccia; lo baciò, lo baciò ovunque riuscissero ad arrivare le sue labbra, e le lacrime resero tutto salato mentre il suo sapore di mela e cannella lo rendeva dolce.
Non le sembrò che potesse esserci niente altro in quel mondo di migliore, né in quel mondo né nel prossimo, né in qualsiasi altro mondo immaginabile: Tom, lei, insieme.
- Ti amo anch'io. - le disse confusamente Tom, preso alla sprovvista dal suo entusiasmo - Ehi, ehi - le fermò il viso con le mani, asciugandole le lacrime con i pollici, finalmente la guardava, la guardava negli occhi, e poteva vederla - Ti amo anch'io. -
Maryll non riuscì a fermare la lacrime, si nascose sul suo petto e ricominciò a singhiozzare, i singulti liberarono il suo dolore, la sua sofferenza, tutto ciò che aveva patito fino a quel momento, e si trasformarono lentamente in felicità, una felicità che non credeva avrebbe mai più provato.
- Che cosa è successo? Tu...tu ricordi...ti ricordi di me... -
Riuscì a balbettare tra le lacrime.
Tom si strinse nelle spalle, per poi sorriderle.
- Sì, ricordo, mi ricordo tutto. Credo che qualcuno abbia voluto che ci fosse qualcos'altro per noi. -
Maryll ricordò la ragazzina bionda del suo...cos'era stato? Un sogno? Una premonizione?
- Ho...sognato...credo...una ragazza...lei mi ha detto...è stata lei...? -
Lui annuì, sorridendo.
- E' apparsa anche a me. Penso che fosse la Sirenetta. -
- Quella della tua favola...? -
- Sì. - Tom strinse Maryll tra le braccia - Nella favola è una ragazza di appena quindici anni, con occhi azzurri, biondi capelli, e pelle candida e chiara. Credo che...abbia voluto darci la felicità che lei non ha avuto. -  
Nel suo sogno, la ragazza aveva restituito tutti i ricordi a Tom. Era consapevole di ogni cosa dal momento in cui aveva incontrato la Sirena legata sullo scoglio fino a quando aveva chiuso gli occhi accanto a lei quella notte.
Tutto ciò che era successo era tornato con vivida certezza nella sua memoria, e con esso anche il ricordo del suo sacrificio.
Forse nessuno dei due si rendeva conto dell'amore che provavano per l'altro, forse non capivano che avevano sfidato la Morte stessa per poterlo vivere.
Rimasero immobili, in silenzio, stretti nelle braccia l'uno dell'altro, davanti all'enormità del miracolo che era stato loro concesso e alla sconvolgente profondità del loro sentimento.
Potevano amarsi ancora, di nuovo, finché nei loro petti ci sarebbe stato un cuore palpitante, o forse anche oltre.

The End

25/05/2012
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: ChiiCat92