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Autore: SofiaAmundsen    26/05/2012    6 recensioni
«domani andiamo a fare shopping»
«non credo proprio, dr Watson»
... «wow!» fu il commento della ragazza e John la fulminò con uno sguardo che, se si fossero trovati in un cartone animato, l' avrebbe fatta esplodere, con immensa soddisfazione del dottore.
Sicuramente nessuno dei due si sarebbe aspettato una reazione del genere alla gelosia, da parte di John, altrimenti Sherlock si sarebbe volentieri fatto beccare tra le braccia di qualche fan isterica.
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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John adorava quel momento in cui il getto caldo dell' acqua sotto la doccia sembrava lavar via, insieme alle malattie e ai germi con cui era venuto a contatto in ambulatorio, anche la stanchezza.
Si insaponò per bene poi allungò una mano per prendere lo shampoo, ma solo quando ne versò un po' si accorse che non era il suo, ma quello di Sherlock.
Sorrise, mentre insaponava i capelli corti, pensando all' assurda fissa del suo coinquilino di dover acquistare solo shampoo prodotti naturalmente, per paura che le sostanze nocive contenute interferissero con le sue capacità cognitive. E poi faceva esperimenti sul tavolo della cucina. Quell' uomo era un controseno.
Riaprì il getto dell' acqua su di se e si sciacquò velocemente: aveva ancora quella fastidiosa abitudine dell' esercito di fare la doccia in tre minuti e non oltre.
Uscì dalla nuvola di vapore che gli si era creata intorno e rabbrividì in cerca dell' asciugamano.
John si guardò intorno e iniziò a pensare seriamente di aver bisogno di una donna delle pulizie: c'erano asciugamani buttati a terra, flaconi di prodoti da bagno gocciolanti sul lavandino, vestiti sporchi che traboccavano dal cesto. Ma non poteva permettersela, pensò, e Sherlock non avrebbe certo sprecato le sue preziose mani per pulire il bagno, quindi dopo si sarebbe dovuto armare di guanti e pazienza e mettere in ordine.
Cercò i suoi vestiti puliti in mezzo a quel caos, quando si ricordò di non averli presi.
Con l' asciugamano intorno alla vita salì le le scale ma, una volta entrato in camera sua e aperto l' armadio, rimase deluso: c' era solo un vecchio maglione che non metteva più da anni ma che si ostinava a tenere e i suoi pantaloncini corti da spiaggia. Con Sarah in ferie e i doppi turni all' ambulatorio non aveva avuto tempo di andare in lavanderia, ed ecco il risultato.
Chiuse le ante con un sospiro ed afferrò un paio di slip, prima di riscendere le scale sulle punte dei piedi.
Entrò in camera di Sherlock, consapevole che Lestrade lo avrebbe trattenuto ancora qualche ora, non senza imbarazzo. Perchè, poi, non lo sapeva: ci entrava tutte le notti e faceva cose di cui, stranamente, non si sentiva affatto in imbarazzo. Ma vederla così, senza di lui, con il letto ancora sfatto, era...strano.
Per un attimo le lenzuola lasciate come quando si erano alzati, quella mattina, gli fecero esplodere ricordi vivi e movimentati nella testa, ricchi di suoni tutt' altro che casti, poi torno al perchè era entrato li.
Si posizionò davanti all' armadio e, curioso neanche stesse aprendo quello di Narnia, spalancò le ante.
Ma all' interno non c' erano ne fauni ne leoni, ma un' infinita serie di camicie scure e pantaloni neri, tutto con la sua piega perfetta riposto nelle stampelle. Scorse un po' con le mani tra gli abiti ma la canzone era sempre la stessa: camicia viola, pantalone nero, giacca blu.
Dio mio, ma qui non c'è neanche un accenno di colore!, pensò, e subito un sorrisino spuntò sul suo volto a testimoniare l' idea curiosa che aveva avuto. Quando Sherlock tornò a casa, terribilmente annoiato, si stupì di non trovare John seduto al tavolo della cucina ad aggiornare il blog. Si accasciò comunque sulla poltrona, pensando che fosse andato a comprare il latte o simili.
Quando entrò nella propria camera per prendere il libro di psicologia criminale che aveva lasciato sul comodino, sussultò spaventato vedendo John seduto sul suo letto.
«John! Che ci fai qui?»
Si piegò su di lui e gli posò un lieve bacio sulle labbra, ancora un po' goffo.
«volevo prendere in prestito qualcosa dai tuoi vestiti»
«oh, fai pure»
Dileguò il discorso con un gesto della mano e si tuffo sul letto, prendendo il libro
«qualcosa che non mi faccia sembrare un becchino»
Sherlcok spostò il libro dal viso e guardò John interroagativo, con un sopracciglio alzato.
«domani andiamo a fare shopping»
«non credo proprio, dr Watson»
«e perchè no?»
«perchè ho cose molto più importanti in cui investire il mio tempo e il mio denaro
Se ti piacevano questo tipo di cose potevi continuare ad uscire con le infermiere oche dell' ambulatorio, invece di intrattenere una relazione con il sottoscritto»
«non è che mi piaccia, ma tu ne hai veramente bisogno!»
«che cos' ha che non va, il mio guardaroba?» il detective sembrava offeso
«sembra quello di un defunto!»
Sherlock guardò il dottore con una punta si sorpresa e risentimento, poi tornò all' attacco
«la maggior parte di quel' abiti me li invia Mycroft e provengono dalla sartoria personale della regina. Probabilmente vale più il mio guardaroba che tutto l' appartamento di mrs Huddson, cuscino con la bandiera compreso»
John pensò che a tratti Sherlock sapeva essere snob quanto il fratello
«Non lo metto in dubbio, Sherlock, ma uno nell' armadio dovrebbe avere anche qualcosa di colorato, leggero, sportivo»
Sherlock rifilò il suo più capace sguardo di disprezzo al maglione consumato di John il quale capì subito la critica
«si, lo so che non sono esattamente la persona adatta per dare consigli di stile, ma...facciamo così: domani andiamo per negozi e ci rifacciamo il guardaroba entrambi, che ne pensi?»
In realtà Sherlock pensava che ne avrebe fatto volentieri a meno di mischiarsi con gente terribilmente inferiore intenta a spendere soldi che non aveva per cose che non gli seriviano, ma acconsentì lo stesso, dopo tutto il tempo che passava con il suo dottore gli piaceva comunque.
«D' accordo, John».

E infatti il pomeriggio dopo uscirono dal 221b di baker street sorridenti -per lo meno John- e salirono sul taxi comunicando Oxford Street come destinazione.

Quando scesero dal taxi, proprio all' inizio della famosa via di negozi, furono subito investiti dal mare di persone che marciava con buste di vari colori e dimenzioni al braccio.
Sherlock pensò che era già stufo di stare li, e che la ragazza con il foulair rosa avrebbe dovuto mettere un cerotto su quei segni di denti sulla sua mano, se voleva continuare a nascondere la sua bulimia al fidanzato.
Anche John si sentì spaesato per un attimo: pensò che quella -andare a fare Shopping insieme- era decisamente una cosa da coppia e loro, dopo tutto, erano una coppia a tutti gli effetti ormai. Una coppia fuori da tutti gli schemi, ma pur sempre una coppia.
Il dottore cominciò a camminare in direzione di un negozio con la scritta " 30% di sconto sulla nuova collezione!" sulla vetrina, ma qualche passo dopo si accorse che Sherlock non era dietro di lui come pensava.
Cercò di trovarlo fra la gente -non fu difficile, i suoi riccioli neri spuntavano sopra alla maggior parte delle teste- e quando lo vide proprio mentre stava per entrare in un particolare negozio che vendeva esclusivamente tabacco e cioccolato, ripercorse i passi fatti per tirarlo per un braccio verso la direzione opposta.
Sherlock lo guardò deluso, quasi con il labbro inferiore sporto e gli occhi da cervo.
«Quando abbiamo finito ci passiamo, promesso» lo accontentò John, pensando che a volte gli sembrava di essere più suo padre che il suo amante.
Entrarono nel negozio e cominciarono a guardare un po' tra gli scaffali e i capi appesi.
Il dottore, più che per se, era concentrato a trovare qualcosa per il detective, così continuava a proporgli t- shirt, jeans o anche solo camice azzurre, con lo sguardo speranzoso. Le risposte erano sempre le solite: faccia schifata, sguardo snob e gesto della mano alla "toglilo dalla mia vista".
Dopo che ebbe tirato fuori tutta la sezione maschile del negozio si avvcinò a lui sbuffando:
«Sherlock, possibile che non ti piaccia niente? Provati almeno qualcosa!»
«Non è colpa mia se è pieno di abiti decisamente sciatti e di bassa qualità che la proprietaria vuole far passare per pregiati solo per ricavarne un guadagno tale da permetterle di portare avanti l' attività per la quale si è indebitata, con un marito che non contribusice al bilancio familiare neanche nei rari momenti in cui è sobrio e non la picchia.»
Non si sarebbe neanche stupito o allarmato, John, per quelle ,affermazioni -era tipico di Sherlock uscirsene con quei commenti, in ogni situazione- se non li avesse detti abbastanza forte da essere sentito dalla diretta interessata.
Lo sguardo della donna con i capelli scuri detro il bancone era furibondo e non ci vollero le doti di un consultive detective per capire che li stava invitando poco gentilmente ad uscire, con il braccio e l' indice tesi verso la porta.

Provarono un secondo negozio, e poi un terzo, un quarto, un quinto, ma la storia era sempre la stessa: a Sherlock non piaceva niente.
Solo di fornte alla vetrina con la scritta sopra "Armani suite" si era fermato ad osservare, ma quando John aveva notato la giacca da 820 sterline e la camicia da 900, lo aveva trascinato via.

Esausto l' uno, terribilmente annoiato l' altro, dopo due ore di shopping inproduttivo, arrivarono davanti all' ultimo negozio che il dottore si sarebbe concesso.
«Ascoltami bene, Sherlock, questo è l' ultimo in cui entreremo quindi vedi di farti piacere qualcosa, perchè non ho intenzione di tornare a casa a mani vuote»
Sherlock stava per replicare, ma quando aprì la bocca John lo bloccò con uno sguardo estremamente contrariato con tanto si sopracciglia innalzate. Sherlock sapeva cosa voleva dire:
"di un' altra parola e sta sera ti scordi quella cosetta che ti piace tanto"
Quando entrarono John notò la commessa, una ragazza alta e magra con dei lunghi capelli neri, guardare Sherlock attentamente, con un sorrisino malizioso, poi bisbigliare qualcosa all' orecchio della collega. Si chiese il perchè, ma poi pensò che il detective provocava sempre reazioni strane nelle persone, era inutile starci a pensare.
Fortunatamente il negozio era abbastanza grande e offriva una vasta scelta di stili.
John, a suo rischio e pericolo, decise di farsi aiutare dalla commessa, visto che aveva implicitamente intimato al detective di stare zitto.
«Salve, posso aiutarvi?»
«si, ehm, noi volevamo qualcosa per cambiare un po'»
«benissimo! Posso proporvi la nuova linea che è arrivata proprio sta mattina!»
Cominciò a tirare fuori jeans, malgliette e golf che al dottore piacevano molto e che, effettivamente, avrebbero migliorato il suo look.
Sherlock si limitava a rivolgere il suo suardo sprezzante ai vestiti sul tavolo di vetro.
La commessa stava elencando tutti i minimi dettagli di ogni capo che proponeva, ma dovette accorgersi che nessuno dei due la ascoltava, perchè si interruppe:
«ma perchè non provate qualcosa intanto?»
Porse un paio di jeans a John, quasi tirandoglieli, e senza nemmeno guardarlo in faccia, poi andò subito vicino a Sherlock. Troppo vicino, avrebbe detto John.
«Per te dovrebbe andare bene una 42, giusto?» disse con una voce decisamente troppo suadente, sfiorando un po' i fianchi di Sherlock
«si, grazie» intervenne John, visibilmente infastidito.
La ragazza prese il giusto paio di pantaloni dallo scaffale e li portò a Sherlock, sorridendo e sbattendo le ciglia in modo davvero patetico.
I due andarono verso i camerini e il dottore non si stupì di essere il primo ad uscirne (Sherlock aveva l'insopportabile vizio di metterci una vita spogliarsi, anche nei momenti meno opportuni).
Si guardò nel lungo specchio di fronte a se e pensò che se solo fosse stato un po' più alto e un po' più magro i pantaloni non avrebbero avuto quelle brutte pieghe sulle caviglie ne sulla cinta.
Quando fu Sherlock ad uscire dal camerino si chiese se stessero davvero indossando lo stesso modello, perchè addosso a lui sembravano i più bei pantaloni mai cuciti nella storia.
Non facevano nessuna piega, erano perfetti per la sua altezza, e sembrava gli fossero stati cuciti addosso.
«Non mi piacciono. Sono decisamente di poco gusto.»
«Invece ti stanno benissimo!» intervenne di nuovo la commessa «sono perfetti per il tuo corpo slanciato»
Chissà perchè aveva sottolineato con una particolare enfasi la penultima parola.
«Comunque, se questi non vanno, te ne porto un altro paio!»
Uscì dalla zona camerini quasi saltellando, dimenticandosi completamente di John, che andò a prendersi da solo qualcos' altro da provare, con ancora indosso i pantaloni con il cartellino.
Tornò con un nuovo paio di jeans, questa volta stretti e di quel motivo scolorito che andava di moda.
Rimase ad aspettare davanti alle tende (a quella di Sherlock, precisamente) mentre i due entravano di nuovo.
Qualche minuto dopo, vedendo che il bel ragazzo con gl' occhi azzurri non usciva, si mise in punta di piedi nel tentativo di sporgersi sopra l' asta della tenda
«tutto bene? Se ti serve una mano, dimmi pure che entro»
John si sentì avvampare ed effettivamente divenne rosso dalla rabbia
«no fa da solo, grazie. »
La ragazza intuì l' intimidazione nella voce del soldato, ma la ignorò completamente.
Quando Sherlock scostò la tenda e uscì, John pensò che non si era mai sentito attratto da qualcuno come in quel momento. I pantaloni gli aderivano perfettamente per tutta la lughezza delle gambe e... non solo. Si era tolto la camicia, forse per giudicarli meglio, e il suo fisico magro sembrava ancora più definito sopra a quei pantaloni. L' allacciatura a vita bassa lasciava intravedere due lunghe ossa che formavano una V incredibilmente sexy.
«Dovresti vestirti così più spesso, Sherlock» gli sorrise il dottore
Anche Sherlock sorrise, rimproverandosi mentalmente per essersi sentito gratificato da un complimento così stupido.
«wow!» fu il commento della ragazza, e solo allora il dottore notò che stava palesemente fissando il sedere del suo compagno con gli occhi di chi avrebbe voluto morderlo.
D' accordo, effettivamente Sherlock aveva un culo da brivido con quei jeans aderenti, ma solo lui poteva pensarlo. John la fulminò con uno sguardo che, se si fossero trovati in un cartone animato, l' avrebbe fatta esplodere, con immensa soddisfazione del dottore.
«Non mi piaccionò» ripetè il detective e tornò in camerino per rimettersi i suoi vestiti, lasciando spazio a un intensa aria di sfida tra i due.
«Sai che possiamo fare?» ricominciò la commessa, appoggiando una mano sulla spalla di Sherlock uscito dal camerino «tra domani e dopodomani dovrebbe arrivare una nuova linea che ti starebbe benissimo, se mi lasci il tuo numero ti chiamo appena ce l' ho e tu vieni a provarla. Così magari ne approfitto per prendere una pausa e ci andiamo a bere un caffè...»
È no, quando è troppo è troppo
«Sherlock, andiamo a casa, dai»
«Ma, John, non avevi detto che...»
«ho detto andiamo, non discutere.»
Sherlock si azzitò, con un sorriso curioso sul viso: non l'avrebbe mai ammesso, ma gli piaceva quel John che si imponeva e prendeva posizione.
Uscirono dal negozio senza salutare la commessa e si diressero a grandi passi verso la strada.

In taxi John non disse una sola parola e non cambiò l' espressione furiosa che aveva in volto, ma Sherlock era troppo preso a risolvere un' enigma che lui stesso aveva creato per accorgersene.
Quando arrivarono a casa e salirono le scale Sherlock entrò in camera sua senza neanche togliersi cappotto e sciarpa, John lo seguì con passi pesanti.
Aspettò che il detective smettesse di cercare chissà che nel comodino e si girasse, vedendolo. Poi con una spinta portentosa lo fece cadere sdraiato sul letto continuando a guardarlo con un' espressione durissima.
Sherlock lo guardò interrogativo -ma che diavolo stava facendo?- e quasi spaventato, ma poi John si lasciò sfuggire un sorriso, sdraiandosi su di lui.
Avvicinò la bocca al suo orecchio e sfoggiò la sua voce più possesiva:
«Tu sei solo mio»
Sherlock lesse nei suoi occhi quello che voleva fare e ne fu terribilmente compiaciuto.

Per una volta, fu John a imporsi, afferrare, possedere Sherlock e non il contrario ed entrambi lo trovarono incredibilmente stimolante .
Quando furono entrambi esausti si fermarono a respirare guardando il soffitto, l' uno accanto a l' altro.
Sicuramente nessuno dei due si sarebbe aspettato una reazione del genere alla gelosia, da parte di John, altrimenti Sherlock si sarebbe volentieri fatto beccare tra le braccia di qualche fan isterica.
Non si sarebbero neanche aspettati la capacità di John di prevalere su Sherlock in quella situazione, dove era sempre quello che si adattava alle preferenze del compagno a seconda della serata.
Sherlock pensò, a discapito del suo orgoglio, che quella era stata probabilmente la notte più bella della sua vita.
E, per una volta, il dottore e il detective ebbero lo stesso pensiero.

Quando la mattina dopo John si svegliò constatò, con suo grande dispiacere, che Sherlock non era accanto a lui.
Sbuffó.
Dopo una nottata magnifica come quella voleva un risveglio che ne fosse all' altezza.
«Sherlock! Vieni qui per favore!»
In un primo momento Sherlock lo ignorò, ma quando lo chiamò per la seconda volta lasciò le provette sul tavolo e raggiunse il compagno in camera.
Quando aprì la porta John scoppiò in una fragorosa e duratura risata. Sherlock ci mise un po' a capire che stava ridendo della sua maglietta.
«E quella quando l' hai comprata?» chiese, ancora ridendo
«ieri, mentre tu guardavi la vetrina di quel terribile negozio di articoli sportivi. Credevo fosse...divertente»
John sorrise e pensò che non sarebbe mai riuscito a cambiarlo, ma, dopo tutto, non voleva assolutamente farlo.
Gli fece cenno di raggiungerlo sul letto e quando lo fece gli bisbigliò nell'orecchio
«sono daccordo con te»
«riguardo a cosa?»
«a quello che hai detto sta notte: ti preferisco decisamente senza vestiti»
Sorrisero e John pensò che quelo era decisamente un bel risveglio, mentre sfilava a Sherlock la maglietta con scritto
I <3 Doctor.


D'accordo, lo ammetto, è una cavolata, ma sono a casa con la febbre e qualcosa da fare dovevo pur trovarlo, no?
Spero solo che vi abbia fatto sorridere un po' leggendola!
Fatemi sapere che ne pensate!
un bacio,
Sofia
   
 
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