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Autore: Kim NaNa    27/05/2012    7 recensioni
Chiunque fossero quelle ragazzine, sentii di averle amate. Facevano parte di me, della mia vita, del mio passato.
Il mio passato.
Quella fetta di vita che mi è sempre apparsa sbiadita, soffusa… dimenticata.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Mamoru/Rei
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda serie
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I ricordi sono piccoli frammenti del proprio cuore,
polvere di vita assopita nei meandri della mente,
dolci amare sensazioni in grado di donare
una fugace lacrima.
Che sia di gioia o di dolore essa risplenderà nell’eternità di un battito dal sapore salmastro.

 
 
After time… with Love.

 
Era la mattina del 20 di Ottobre, un giovedì mattina come tanti altri, eppure quel giorno, aprii i miei occhi violacei velati da una leggera malinconia.
Il vento sferzava impetuoso tra i cipressi e i pioppi del mio giardino e sentivo, in lontananza, un gradevole profumo di pioggia.
Mi alzai, lentamente, dal letto, strofinando la mia morbida pelle sulle immacolate lenzuola di seta che caddero sulla moquette, irrompendo il silenzio di quella camera con un leggiadro fruscio.
Dischiusi la finestra respirando a fondo l’aria del buon mattino, lasciando che i miei pensieri danzassero in compagnia di quella leggera brezza.
Era quieto il cielo di quell’alba d’autunno, ma io lo sentii.
Il temporale era vicino e non avrebbe tardato a tingere di nero quel cielo ancora troppo rosa – blu.
Con calma e meticolosità, mi preparai ad affrontare quella nuova giornata, non prima di aver acceso qualche incenso all’altare buddista in memoria del mio adorato nonno, del quale avvertivo, ancora troppo, la mancanza.
“Guidami sempre Ojiisan (*)!“
Avevo raccolto i miei lunghi capelli corvini in una morbida treccia che mi scendeva sul petto e sulle labbra increspai un tenace sorriso.
“Al lavoro Rei! Devi liberarti di un sacco di vecchie scartoffie… la tua stanza sembra un campo di battaglia!“
Campo di battaglia. Mi parve familiare quella frase, come se, in un tempo ormai troppo lontano, lo avessi visto da vicino un campo di battaglia… così vicino da averlo vissuto, combattuto.
Cacciai via quell’assurdo pensiero, cercando di separare i libri da riporre in libreria, dalle riviste di gossip vecchie di mesi.
Canticchiavo, di tanto in tanto, una mia vecchia canzone e, aggrappata ad una scala di legno chiaro, riponevo al proprio posto i miei libri e i miei oggetti sparsi ovunque.
 “Accidenti! Ma perché mai questo libro non vuole entrare sullo scaffale!“
Cercai di spingere quel grosso manuale di architettura più che potei, ma il libro mi scivolò dalle mani facendo vacillare, pericolosamente, la scala.
Mi tenni ad un cassetto aperto dell’armadio posto accanto alla libreria, ma venne via anche quello, facendomi cadere rovinosamente sulla moquette, sotto una pioggia di vecchie foto e pezzi di carte conservati con cura.
“Ahiaiai! Che male!“
Mi massaggiai con delicatezza un fianco, recuperando i fogli sparsi sul pavimento.
Una vecchia foto catturò la mia attenzione.
Ritraeva una Rei quattordicenne abbracciata a quattro ragazze che non ricordavo di aver mai conosciuto. Una Rei troppo sorridente, troppo felice.
Stentai a riconoscermi.
La girai cercando di scoprirne qualcosa di più, ma vi trovai solo una piccola didascalia.
Forever Inner Senshi.
Usagi, Ami, Rei, Makoto e Minako.
La osservai di nuovo quella pellicola e qualcosa si mosse in fondo al mio cuore.
Non avevo memoria di quelle fanciulle, eppure quella ero proprio io, con la mia divisa della scuola femminile privata T.A
Chiunque fossero quelle ragazzine, sentii di averle amate. Facevano parte di me, della mia vita, del mio passato.
Il mio passato.
Quella fetta di vita che mi è sempre apparsa sbiadita, soffusa… dimenticata.
Riposi la foto insieme ai biglietti che avevo raccolto e un nome balenò ai miei occhi, come un’esplosione improvvisa di colori.
Mamoru Chiba.
Su quel piccolo foglio ingiallito dal tempo, era riportato un numero di telefono ed una postilla, scritti da una calligrafia leggera e pulita.
Ci vediamo alle 17 al Crown.
“Mamoru Chiba, Mamoru Chiba…“ ripetei il nome più volte cercando di scovare, tra i miei ricordi, qualcosa che mi parlasse di lui.
Sentii il cuore martellarmi nel petto, come il grido disperato di qualcuno che si dimenava dentro di me.
Cercavo di evocare immagini, suoni, profumi, emozioni.
Nulla. La mia mente pareva aver rimosso quella che sentivo essere la parte più significativa della mia vita.
Sentii la rabbia crescere dentro di me. Io, Rei Hino, mi trovavo dinanzi a quella che pareva la più assurda delle situazioni.
Come potevo non ricordare quei nomi, quei volti?
Cercai di razionalizzare e riflettei con calma.
Afferrai il telefono, composi il numero e attesi.
Squillava.
Uno, due, tre…
“Rispondi… rispondi, rispondi!“
Con le dita torturavo una ciocca di capelli sfuggita alla lunga treccia, mentre ripetevo, silenziosamente, la
mia preghiera.
“Pronto?“
Per poco non mi cadde il telefono dalle mani,
Quella voce. Quella voce così profonda io l’avevo già udita. Ma dove? Quando?
Chi è questo Mamoru Chiba e perché sento il fuoco ardere nel petto?
Riagganciai senza proferir parola.
Mi tremavano le mani. L’impassibile ed inscrutabile miko Rei Hino era stata appena turbata e sconvolta da una penetrante voce maschile.
Qualcosa mi tornò alla mente. Come il ricordo confuso di un vecchio sogno… io, in barca al lago, con un ragazzo dagli occhi blu come l’oceano.
“No, no, no! Rei… quello era solo un sogno che ti ha perseguitato per anni!“ mi dissi scuotendo il capo.
Era, davvero, stato solo un sogno o era un ricordo che cercava di tornare alla memoria?
Lo scoppio improvviso di un tuono mi distolse da quel turbine di pensieri nel quale ero caduta e la luce di un lampo accecante mi rammentò che, il temporale che avevo predetto, era appena arrivato.
Accompagnata dal picchiettio della pioggia contro i vetri della mia finestra, feci ordine nella mia stanza nel più assoluto silenzio. Persino i miei pensieri avevano smesso di rumoreggiare.
Scesi giù al tempio e decisi di consultare il Sacro Fuoco. Confidavo di trovare in Lui le mie risposte.
“Sacro Fuoco dammi la divinazione!“
Passai delle ore in quella stanza. Inginocchiata, con la fronte imperlata di sudore, le mani rese nere dalla cenere, incuranti delle scottature, la mente tesa alla Divinità interpellata.
Non ebbi risposta. Non ebbi conforto.
All’imbrunire decisi di mangiare qualcosa e ripensai a quel biglietto: Ci vediamo alle 17 al Crown.
Il Crown. Dovevo tornarci; avrei mangiato qualcosa lì.
Fuori la pioggia scendeva copiosa ed incessante, neanche il cielo pareva avere clemenza per me, ma il fuoco che ardeva nelle mie vene mi avrebbe donato la giusta tenacia per portare a termine la mia ricerca.
Il tizio del “Crown”, anche lui, mi era familiare.
Scoppiai a ridere da sola, lieta della scarsa clientela del momento.
“Rei! Tu sei tutta matta. Oggi conosci tutti ma non ricordi nessuno!“ mi dissi continuando a sghignazzare.
Toast e succo d’arancia piombarono sotto al mio naso, accompagnati dal tizio biondo, a me non sconosciuto, che portava sulla divisa il nome di: Motoki Furuhata.
Mi venne ancora da ridere, ma mi limitai a ricambiare il sorriso e a sussurrare solo un semplice “Grazie.”
Consumai il mio tardo pranzo lentamente, osservando la pioggia scendere senza sosta e sempre più battente.
“Sarà meglio che vada.“ mi dissi.
Pagai il conto e lasciai il Crown, ma quel dannato ombrello si ruppe proprio nello stesso momento in cui lo aprii.
 “Per tutti i Pianeti! Dovevi romperti proprio adesso, stupido ombrello? Sta diluviando… arriverò fradicia al tempio… Accidenti!“
Continuai ad armeggiare con quel diabolico e traditore arnese cercando di renderlo utilizzabile.
Poi, inaspettatamente, qualcuno mi riparò con un ombrello nero.
“È rotto, signorina. Non perda tempo.“
Quella voce. Era tornata.
Mi sembrò d’impazzire. Era come essere nello stesso posto dove si è cresciuti e non conoscerlo affatto.
Tutto mi era familiare e al tempo stesso mi era sconosciuto.
Sollevai il capo piano, con discrezione, quasi timorosa e incontrai quegli occhi blu che per ripetute notti avevo sognato.
Una folta capigliatura bruna, lineamenti mascolini ed eleganti, un corpo alto e muscoloso, mi offriva riparo donandomi il più rassicurante dei sorrisi.
Arrossii vistosamente, balbettando un imbarazzato “grazie.“
L’uomo sorrise ancora.
“Credo sia meglio entrare e sperare che il cielo le conceda una tregua signorina…“
“Ecco… vede, io stavo andando via…“
L’uomo tornò a sorridermi infiammando le mie gote.
“Le offro una tazza di tè e attendiamo insieme che la pioggia, quantomeno, diminuisca.“
Quegli occhi così profondamente blu parvero risucchiarmi in un vortice fatto di ricordi… ricordi che il mio cervello aveva cancellato ma che il cuore ancora custodiva.
“D’accordo… un buon tè caldo è un toccasana in giornate uggiose come questa…“
Ricambiai il sorriso e tornai al Crown con un’inspiegabile tepore nel cuore.
Eravamo lì, l’uno di fronte all’altro. Il cuore mi batteva così forte che temevo potesse sentirlo anche lui, il misterioso Rain Man.
Feci un bel respiro e tornai a guardarlo.
Era bello, ma non di una semplice bellezza oggettiva. Aveva una strana aura attorno a sé, potevo percepirla.
La pelle luminosa, il volto gentile, lo sguardo fiero e i lineamenti eleganti.
Lo immaginai nelle vesti di principe e arrossii.
“Rei, smettila di pensare simili idiozie! Cerca di scoprire almeno chi è questo tipo… sarà pure stato gentile, ma per te resta sempre uno sconosciuto.“
Parlai tra me e me e senza abbandonare il sorriso dissi:
“ Io mi chiamo Rei Hino. “
Lui mi guardò. I suoi occhi mi scrutarono con cura e scavarono nella profondità delle mie iridi violacee… temevo mi leggesse l’anima.
“ Il mio nome è Mamoru Chiba, lieto di conoscerti Rei. “
E di nuovo mi sorrise, con quegli occhi troppo blu che profumavano di sale.
Mamoru Chiba.
Il destino aveva posto sulla mia strada l’uomo che, per tutta la mattina, avevo cercato di ricordare.
Era lì, dinanzi a me, avrei potuto toccarlo se solo avessi voluto, ma rimasi inerme. Ammutolita. Affascinata da quegli occhi blu cobalto che stavano mettendo in subbuglio i miei pensieri.
Lo sentivo.
Il mio passato ruggiva. Piangeva disperato, m’implorava d’essere ricordato.
Qualcosa mi pizzicò gli occhi.
Una lacrima.
No. Rei Hino non piange mai. Lei è figlia del Fuoco, sovrana della Divinazione, Sacerdotessa del Tempio Hikawa.
Non potevo lasciarmi andare a quell’insolita sensazione.
Non potevo permettere al mio passato di influenzare il mio presente.
Mi alzai di scatto, attirando quello sguardo penetrante su di me.
“Mi dispiace… Io non posso… devo andare.“
Stavo scappando.
Non lo avevo mai fatto, ma sentivo il bisogno di andare via, di allontanarmi da quell’uomo che scuoteva i ricordi più reconditi del mio inconscio.
Una mano, calda e gentile, afferrò il mio polso arrestando la mia corsa.
L’ardore del fuoco incendiò il mio sangue al solo contatto.
Il mio cuore parve essere avvolto in un manto di fiamme incandescenti. Lambiva il mio petto con prepotenza mentre la scia di un ricordo balenava ai miei occhi.
Una rosa rossa.
Delle intrepide combattenti.
Un regno perduto.
Scossi il capo ripetutamente, scacciando via quello stupido pensiero.
“ Rei… qualcosa non va? ”
Mamoru mi fissava con i suoi grandi occhi blu e qualcosa in me si dibatteva con tutte le sue forze.
Era la Rei del passato.
Quella Rei sorridente che avevo visto in quella dimenticata fotografia, al fianco di quelle quattro adolescenti.
Aveva amato, un tempo, quella Rei.
Aveva amato Lui.
In quel frangente capii che era Amore ciò che sentivo bruciare in fondo al cuore.
Non importava quanto tempo fosse trascorso, quanta vita fosse stata vissuta, non importava quanta vita fosse stata dimenticata, il suo Amore era rimasto lì, assopito in quella piccola culla che tutti chiamano cuore.
Liberai, con forza, il mio braccio dalla sua presa e corsi a perdifiato sotto la pioggia battente.
“Perché? Perché?“ mi dissi.
“Perché doveva accadermi tutto questo? Perché adesso?“
Mi tornarono alla mente le parole del mio caro vecchio nonno:
“Bambina mia… nulla si dimentica se il fuoco del proprio cuore non lo permette.“
“Ojiisan! (*)“
Una lacrima mi rigò il volto.
Mai come in quel momento desiderai avere mio nonno al mio fianco. Lui sì che avrebbe trovato le giuste parole per placare il tormento del mio cuore.
La pioggia scendeva incessante. Gocce di acqua cadevano copiose dai miei lunghi capelli, rigando il mio volto turbato.
Dinanzi a me si ergeva la lunga scalinata che conduceva al Santuario e, accompagnata dal ripetuto echeggiare dei minacciosi tuoni, salii i gradini con un nodo alla gola.
Pensieri e domande m’infiammavano il cuore.
Arrivai al Tempio senza neanche accorgermene. Il cielo era sconquassato dai fulmini e quello stesso cielo plumbeo sembrava accompagnare lo stato inquieto del mio animo.
Mi sedetti lì, su quell’ultimo scalino. Raccolsi le gambe al petto e riflettei.
Non aveva senso quello che mi stava accadendo.
Non potevo star male per qualcosa che non ricordavo, non potevo avvertire la mancanza di qualcosa che non avevo mai avuto.
Era come aver strappato Mamoru dai miei ricordi e averlo dipinto nella mia realtà.
“Sei solo una sciocca Rei! Da quando ti perdi in simili sentimentalismi?“ pensai lasciandomi sfuggire un sorriso beffardo.
Rivolsi lo sguardo al cielo e lasciai che la pioggia mi inondasse il viso; fu come permettere all’acqua di spegnere l’incendio divampato nel mio cuore.
Chiusi gli occhi respirando a fondo quell’odore di pioggia che si confondeva agli intesi profumi d’incenso, provenienti dal Tempio.
D’un tratto la pioggia smise di bagnare il mio viso e un leggero fruscio mi costrinse ad aprire gli occhi.
Un ombrello nero mi riparava nuovamente dalla pioggia.
E fu così che lo vidi.
Mamoru era lì, ad un passo da me. Con un’espressione seria e fiera sul volto e una strana luce negli occhi. Profumava di terra e mi guardava in silenzio.
Mi alzai con lentezza e solo allora lui mi parlò.
“Ti ho seguita fin qui per comprendere cosa ti ha spinto a scappare via da me… Quando ti ho contrato ho visto la luce del fuoco ardere nei tuoi occhi e, in quello stesso momento, mi è sembrato di conoscerti da sempre… di averti incontrato tanto tempo fa, un tempo che però non riesco a rammentare.“
Parlava con voce ferma e decisa, Mamoru. La voce di chi ha sempre cercato di dare conforto e speranza.
“Anche tu hai avuto la stessa impressione, non è vero Rei?“
Annuii con un cenno del capo, rapita dal magnetismo di quello sguardo profondo.
“Io ti conosco Rei… Non so dove, quando, ma sento di aver già visto il tuo sguardo fiero ed altezzoso. Guardare nei tuoi occhi mi spinge a credere di aver infranto qualcosa dentro di te, un sogno forse, un’illusione…“
Interruppi quella disperata ricerca negli oscuri meandri dei propri ricordi sfiorando appena la sua mano.
La luce fugace di un flashback catturò la mia attenzione.
Cinque guerriere vestite alla marinara e un uomo mascherato con in mano una rosa rossa.
Dallo stupore dipinto sul volto di Mamoru capii che anche lui aveva visto ciò che mi era appena apparso.
“Io e te siamo legati Rei. Non importa quel che è stato del nostro passato dimenticato, quel che conta è l’essersi ritrovati. L’aver avuto una seconda chance…“
Quelle parole riecheggiarono nella mia mente, facendo risuonare le parole di mio nonno: nulla si dimentica se il fuoco del proprio cuore non lo permette.
Io, Mamoru, non avevo voluto dimenticarlo. Non l’avevo lasciato andare e, in qualche modo, anche lui non mi aveva dimenticata.
Questo incontro profuma di speranza.
In me sento zampillare il fuoco della passione. Sento il mio corpo beneficiare di un piacevole tepore che mi inonda mente e cuore.
Sì. Il fato ha voluto donarmi una seconda possibilità. Posso riscattare quell’amore che sento di aver soffocato tempo addietro e, anche se la felicità non è stata creata per durare a lungo, lascerò che il mio presente risplenda del colore che ha sempre caratterizzato la mia vita.
Rosso.
Rosso come il Fuoco. Rosso come l’Amore. Rosso come la Passione. Rosso come il sangue che sento scorrere nelle mie vene.
“Il passato non ritornerà mai più Mamoru, il presente ci ha permesso di ritrovarci, ma il futuro… il futuro Mamoru, quello potremo scriverlo solo noi, insieme… Se tu lo vorrai.“
La pioggia era cessata e le nubi scomparivano lente all’orizzonte, rischiarando il paesaggio con i tenui colori di quel silenzioso tramonto.
“Insieme Rei. Affrontiamo questo nuovo cammino insieme e scriviamolo in questo rosso cielo come il fuoco che vedo brillare nei tuoi occhi.“
E finalmente sorrisi.
Sorrisi come la Rei quattordicenne ritratta in quella dimenticata fotografia e accolsi quella nuova avventura con l’uomo che profumava di Terra al mio fianco.
Ero felice.
Gli sbiaditi ricordi smisero di tormentarmi.
Il passato lo avevo lasciato andare, ma quello che custodivo nel cuore ancora no. Quel sentimento era ancora lì, custodito nel mio cuore, pronto per essere donato e forse, chissà, anche ricambiato.
 
Non lo spegni il fuoco quando arde nella culla del proprio cuore.
 
 
Note: (*) Ojiisan in giapponese significa nonno.


NdA: vecchia one-shot su Rei e Mamoru. Nonostante sia una coppia "indesiderata" spero vi piaccia questa mia fanfiction che ho scritto sulla mia guerriera preferita. ^^ La storia è ambientata tra la fine della prima serie e l'inizio della seconda, periodo in cui i personaggi hanno perso la memoria inseguito alla battaglia contro Queen Metaria e il Regno delle Tenebre.
Se volete lasciarmi un parere, ne sarei davvero felice.


Kim Na Nà
   
 
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