The Bride
by
Mac
Non era una
giornata come tutte le
altre, quel sabato mattina, quantomeno non era destinata ad esserlo:
sarebbe
stata la giornata in cui mi sarei innamorato di una donna bellissima e
non ne
avrei mai conosciuto il nome.
Era stato un
periodo molto brutto
per me, a seguito di una lunga malattia mia madre, una donna forte e
combattiva, aveva dovuto cedere le armi e se ne era andata serenamente
e in
pace proprio la settimana prima.
E così al mondo
non mi restava più
nessuno, tranne la mia gatta e l'appartamento di mia madre da
risistemare e
vendere.
Quel sabato
mattina, non so perché,
decisi di entrare nella chiesa che si trovava vicino a casa mia. Non
che
sentissi il bisogno di conforto spirituale, né tantomeno volevo
inginocchiarmi
e pregare Dio che il dolore per la scomparsa di Beatrice si attenuasse.
Non
avevo bisogno di questi schermi spirituali, sapevo che il dolore non si
sarebbe
calmato nell'immediato, e che solo il tempo avrebbe potuto renderlo
sopportabile fino a trasformarlo in una dolce malinconia.
Comunque vidi la
chiesa aperta ed
entrai.
Mi sedetti sulle
ultime panche
della navata centrale, e ammirai l'abside completamente inondata dal
sole della
tarda mattinata. Non era una chiesa molto grande, probabilmente neanche
era
aperta tutti i giorni. Certo, io con il mio noto agnosticismo non me ne ero mai accorto:
passavo davanti a
quella chiesa ogni santo giorno che Nostro Signore mandava in terra per
andare
al lavoro e non l'avevo mai notata prima. Come dicevo, mi sedetti sul
fondo
della navata e per un po' di tempo stetti in ammirazione dell'altar
maggiore
dove alcuni chierichetti andavano avanti e indietro affaccendati.
Probabilmente
di lì a poco si sarebbe celebrata la funzione del
Nel frattempo, i
pensieri si
accavallavano nella mia mente: ricordi dell'ultimo periodo di vita di
mia madre
accanto a quelli, più sereni, dell'infanzia. Mio padre non l'avevo mai
conosciuto, ci aveva abbandonato subito dopo la mia nascita. Un giorno
Beatrice
mi disse che, se avessi voluto cercarlo, lei non avrebbe opposto
resistenza. Le
risposi che non m'importava nulla di lui, se ne andasse pure al
diavolo! Mia
madre mi rimproverò aspramente, mi disse che non dovevo pensare così di
mio
padre e comunque di ogni persona in generale, prima di giudicare dovevo
conoscere i motivi che l'avevano spinto a quel gesto.
Ma a me non
importava: lui se ne
era andato e io non l'avrei mai perdonato per questo.
Seduto in quella
chiesa in un
soleggiato sabato mattina di Maggio, e perso nei miei pensieri e nei
miei
ricordi, non mi accorsi che pian piano la navata si stava riempiendo di
persone
vestite come se dovessero assistere ad una cerimonia. Lì per lì pensai
alla
funzione del
Mi voltai e la
vidi: stava
avanzando al braccio di un uomo molto alto in uniforme, sulla
sessantina,
sembrava che tutto intorno a lei risplendesse di luce e di gioia. Non
vidi il
suo volto perché coperto dal candido velo dell'abito da sposa, ma potei
intuire
il suo sorriso da dietro quel velo: radioso e luminoso come un sole di
Luglio.
Camminò pian
piano, sulle note
della marcia nuziale fino all'altare, dove nel frattempo, si era
materializzato
un altro uomo, anch'egli in uniforme ma più giovane dell'accompagnatore.
Non appena lei
si avvicinò al
promesso sposo, il suo accompagnatore le lasciò il braccio, così
idealmente
consegnandola all'uomo che sarebbe divenuto suo marito.
Quest'ultimo le
sollevò il velo e
solo allora scoprii, pur se da lontano, tutta la radiosità e la
bellezza di
lei.
Un viso bruno
dall'ovale perfetto,
incorniciato da una cascata di capelli scuri al momento raccolti
nell'elaborata
acconciatura che aveva scelto per quel giorno speciale. Il giorno più
bello
della sua vita.
Si vedeva che
era felice di essere
arrivata fin davanti a quell'altare, guardava il suo sposo con aria
rapita e
sognante riservandogli il più dolce dei sorrisi.
Avrei voluto
essere io al posto di
quell'aitante ufficiale che rispondeva ai sorrisi della futura moglie
con il
medesimo trasporto, trattenendosi a stento dal baciarla prima ancora
che
l'anziano reverendo di colore avesse pronunciato le parole che li
avrebbero
legati per sempre, nel bene e nel male.
Si strinsero
solo le mani, ma quel
gesto parve sprigionare una scarica elettrica nell'aria. Anche gli
invitati se
ne accorsero e più di uno di loro si guardò scambiandosi occhiate
d'intesa.
Mi sembrava di
essere capitato nel
capitolo finale di una storia d'amore durata troppo a lungo e che aveva
vissuto
parecchi alti e bassi.
Il reverendo di
colore cominciò a
recitare il suo sermone, mentre gli sposi si sedettero sulle due sedie
di
velluto proprio davanti al pulpito del prete, che evidentemente li
conosceva
bene perché quel discorso era indirizzato proprio a loro e a loro
soltanto.
Io continuavo a
fissarla, anche se
ne potevo vedere solo la schiena, ma mi immaginavo ogni singolo
particolare di
quel volto meraviglioso e di quel sorriso che mi aveva sciolto il
cuore.
Sembrava che avesse avuto il potere di lenire il dolore della mia
recente
perdita, ed esso era divenuto all'improvviso più sopportabile.
L'intera
congregazione scomparve
dalla mia vista, esistevamo solo io e lei. Ma ancora non sapevo come si
chiamasse.
Attesi dunque
con trepidazione il
momento in cui il reverendo avrebbe pronunciato la formula di rito.
Gli sposi si
alzarono, sempre
tenendosi per mano e molte delle signore presenti, intuendo che il
fatidico
momento era giunto, estrassero i fazzoletti dalle borsette, mentre gli
occhi si
riempivano di lacrime di gioia. Anche l'anziano ufficiale che l'aveva
accompagnata all'altare mostrò qualche segno di cedimento…
Il reverendo
cominciò a pronunciare
le parole che li avrebbero resi marito e moglie.
"Sì" rispose lui
con voce
profonda anche se rotta un po' dall'emozione. Dopotutto, pensai un po'
cinicamente, con quel "sì" rinunciava di fatto alla sua libertà da
scapolo, promettendo amore e fedeltà ad una sola donna… ma del resto
QUELLA
donna in particolare valeva tutte le promesse di questo mondo.
Tutti gli
invitati furono scossi da
un brivido d'emozione al sentirlo pronunciare la risposta alla domanda
del
reverendo: "vuoi tu prendere in moglie?".
E poi, poi fu la
volta di LEI.
Volse lo
sguardo, ma solo per un
attimo, agli amici che le stavano alle spalle, e per una frazione di
secondo
incrociò anche i miei occhi. E io fui perso.
Poi tornò a
rivolgere la sua
attenzione al padre, concentrandosi sulle sue parole, quasi
immagazzinandole in
sé per non lasciarsele più sfuggire, per vivere quel momento in tutta
la sua
pienezza.
Immaginai che
dovesse aver
combattuto a lungo per arrivare fino a lì, che avesse sofferto
moltissimo prima
di accaparrarsi l'amore dell'uomo che le stava accanto.
Quel brevissimo
istante in cui i
nostri occhi si erano incrociati mi avevano rivelato moltissimo di lei
e mi
avevano fatto perdutamente innamorare di una bellissima donna che stava
per
diventare la moglie di un altro.
O forse era il
mio bisogno di
ancorarmi a qualcosa a farmi pensare così?
Non lo sapevo,
sapevo solo che il
mio cuore batteva all'impazzata e che avrei dato il mio braccio destro
per
essere all'altare accanto a lei. Avrebbe saputo come consolarmi,
avrebbe avuto
le parole giuste per aiutarmi a superare il dolore per la morte di
Beatrice,
avrebbe reso la mia vita piena e degna di essere vissuta.
Il reverendo le
chiese: "vuoi
tu prendere come marito?" e lei, angelica e radiosa come solo una sposa
può esserlo, rispose "sì".
A quel punto il reverendo li
dichiarò marito e moglie e fu allora che tutti i presenti esplosero,
impedendomi di sapere il nome della donna il cui ricordo mi avrebbe
accompagnato
per sempre.