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Autore: Dada Baggins    15/12/2006    4 recensioni
La storia di un Colonizzatore e di un Colonizzato.
Di una Rivoluzione senza armi e senza forze.
Un gioco d'immedesimazione. Ciascun capitolo sara' incentrato sulla figura di uno dei personaggi, sulla sua emotivita' e sui suoi moti d'animo.
Se potete e volete, vi prego di recensire.
Genere: Science-fiction, Mistero, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una breve premessa.
Dedico questa intera storia, frutto del mio desiderio di immedesimazione, a Jewel e LAU, mie "colleghe" scrittrici, che, recensendomi, mi hanno infuso (forse a loro insaputa? :P) un enorme desiderio di scrivere e mettermi alla prova, e hanno guidato il mio intelletto verso porti inesplorati come un faro ignoto nella nebbia.

Questa FanFiction narrera' la storia di una rivoluzione. Questo nel mio disegno originario, che, volubile, come il mio animo, potra' volentieri mutare.

Se vi va, ditemi se la mia rotta porta a qualcosa, oppure se la mia bussola e' finita su un magnete. O magari, ho sbagliato nuovamente a tenere il compasso...
Aggiornamento: un ringraziamento enorme a Yami, che, commentando, ha permesso che io correggessi le mie deplorevoli sviste. Grazie! :D

Un'ultima nota, prima della fine. Cioe', dell'inizio.
Il titolo di questa FanFiction combacia con il titolo di un episodio della serie SciFi "Star Trek". Non ho alcun intento di plagio in questo, solamente, si adatta cosi' bene, che... non ho potuto fare a meno di utilizzarlo.
I nomi, anche, possono ricordare l'immenso Asimov. Li manterro' piu' dissimili possibile.

Detto cio', Buona Lettura!

Prologo
"... si tramanda che Annibale, colpito da tanto lutto del suo popolo e della sua stessa famiglia, disse di conoscere la sorte di Cartagine..."

Selmar De, il Gran Confidente, accarezzo' amorevolmente la parte superiore del visore, che si disattivo', lasciando sfumare le malinconiche parole che vi erano impresse.
Aveva sempre ritenuto la propria mente piu' semplice di ogni altra esistente. Creature straordinarie popolavano i Due Mondi, volti che avevano suscitato la meraviglia degli eccelsi luminari. Eppure lui, che era detto rientrare in tale schiera di pensatori, sentiva di percepire ogni cosa in modo assurdamente lineare.

Porto' una mano pallida e scarna a sfiorare la propria fronte, liscia ed alta. La sua figura aquilina si alzo', risaltando stagliata nella luce dell'illuminatore artificiale. Solamente un lato della stanza, quello piu' vicino allo scrittoio, era illuminato da una vivida luce al neon.
Il resto era immerso nella piu' completa ed irreale oscurita'.
Avverti' le ombre della propria fanciullezza emergere dal fiume dell'oblio sino ad insinuarsi nella memoria, inesorabili. L'esile corpo fu scosso da un impercettibile tremito, mentre si volgeva lievemente, e constatava che l'ora era ormai giunta.

Si eresse spavaldo a fianco della propria scrivania, immergendo una mano nella soffice tasca della tunica, sfiorando con un senso di orgoglio e tremante fierezza lo stemma ricamato su di essa. Il volto, liscio come una sfera, senza alcuna protuberanza laterale a turbarne la perfezione, conservava nei suoi lineamenti una calma che non esisteva nell'animo.

Estese, senza difficolta', le proprie percezioni all'interno della stanza, unendosi, come in simbiosi, ad ogni oggetto presente. Soffri' il freddo del duro metallo e fu quasi vinto dal calore bruciante del neon.
Abbandonando il contatto, piegato sullo scrittoio, ansimo' lievemente, storcendo quindi le labbra in una smorfia che avrebbe voluto essere un sorriso amaro.

Dopotutto, dov'era la differenza? Dove la diversita' sostanziale che produceva l'odio? Forse per l'invidia dell'aspetto, oppure delle potenzialita' mentali?
Ecco, la mia mente semplice e lineare non giunge a comprendere tali sfumature, ironizzo' Selmar, scrollando lieve le spalle mentre si rinchiudeva, come un bambino spaventato, nella propria integrita' corporea.
La domanda, come un algoritmo errato, si ripeteva, incessante, nella sua mente, prosciugandola da ogni energia.

Perche' ci odiano?
Perche', dopo la Colonizzazione, non si sono limitati a farci schiavi?
Quale aberrazione mentale li spinge a volere per loro le donne ed i bambini?


In uno scatto quasi convulso, fece per estrarre la mano destra, ancora nascosta nelle pieghe della veste. Con uno sforzo immane, lascio' che l'impulso nervoso si estinguesse senza essere tradotto in azione.
In cuor suo, il Gran Confidente sapeva di avere ogni risposta.
Narro' a se' stesso, ancora una volta, l'intera storia, nella speranza che questa volta il contraddittorio sarebbe stato meno aggressivo...

Una risata vibrante e silenziosa perturbo' la quiete cristallina dello Psicologo.
Si sono accorti che possiamo leggere i loro animi, scoprire i loro desideri piu' reconditi, estrapolare amori ed odii dalla debole loro psiche...
... e hanno deciso, infine, di porre termine alla nostra vita.

E li volevano tutti, nessuno escluso. I braccianti della terra, quelli potevano vivere. Essi non potevano rubare, strappare ai maledetti Uomini tale preziosa, stupida individualita' che era loro tanto cara.

Si impedi' di generalizzare, e guido' il proprio disprezzo circoscrivendolo all'attuale generazione di Umani.
Dopotutto, per anni, sin da fanciullo, aveva apprezzato gli scritti di Livio.
Frugo' nella propria memoria, constatando che nel periodo dei propri studi, proprio in quel periodo, ogni sua paura giovanile era emersa dal subconscio, e gli si era palesata.
Curioso...

Traendo un profondo respiro, lascio' che lo sguardo vagasse attraverso la stanza, sino a raggiungere la vetrata. Perse le iridi bianche nel buio della notte. Le palpebre calarono, mentre la figura si immobilizzava, rimanendo rigida, solida sulle due esili gambe.

Percepi' la disperazione, il lacerarsi degli animi nella morte.
Vide la propria terra, le case, ogni campo coltivato cosparso di sale e distrutto da spade.
"Conosco la sorte di Cartagine!..."
Come negli incubi piu' profondi, tremava.

La mano ricomparve, abbandonata la piccola tasca, e sollevo' una sottile provetta dall'aria fragile e precaria. Il liquido nerastro, all'interno, fremeva, ansioso di distruzione ed assetato di sangue. Il tappo cadde, mentre avvicinava l'orlo alle labbra sottili.

La porta dello studio si spalanco' all'improvviso.
"NO!..."

Troppo tardi, Jamal...
Un secondo tonfo scosse l'aria rarefatta, pacato e leggero. Il sottile corpo di Selmar De era caduto a terra, esanime.

  
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