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Autore: None to Blame    29/05/2012    6 recensioni
« Come ti sentiresti se ti dicessero che sei quasi morto per colpa di una melanzana? »
« Per colpa di un coinquilino.. »
« Oh, lui lo ammazzo. Appena torno a casa, Sarah. Giuro che stavolta lo ammazzo. »
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sarah Sawyer, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’erano tre cose che Sherlock Holmes non riusciva a sopportare: l’inattività cerebrale, gli stupidi e i supermercati.

Per questo, chiunque conoscesse il geniale consulente investigativo sarebbe rimasto sbigottito nel vederlo sfilare con un carrello ricolmo di prodotti davanti al bancone dei salumi all’interno di un Tesco insopportabilmente affollato.

« Come posso aiutarla, signore? »

Il corpulento macellaio col grembiule schizzato di sangue gli rivolgeva occhiate speranzose. Non ricevette, però, alcuna considerazione dall’alto uomo col cappotto scuro, il quale decise che era giunto il momento di uscire da quell’incubatrice di abitudinaria idiozia. Andò a pagare.

« Signore, quella busta. »

La cassiera indicò un sacchetto di plastica verde appoggiato nel carrello.
Sherlock le rispose con un tono spiccio.

« Ho preso quella roba altrove. »

Le porse i soldi – 24 sterline – e raggiunse l’uscita.

Respirò a pieni polmoni l’uggiosa e densa atmosfera di Londra.


 
 

 



« Sherlock, sei tu? »

John era seduto sul letto, nella sua camera, intento a sfilarsi i calzini.
Aveva sentito il familiare rumore della porta che si chiudeva, seguito da bizzarri fruscii di plastica – buste? – e svariati suoni provenienti dalla cucina.
Si alzò, scalciando via una scarpa che gli ostruiva la strada, e si chiuse in bagno. Non diede molto peso al mistero di ciò che stava accadendo al piano sottostante e dedicò tutta la sua attenzione allo stritolamento del flacone di shampoo, mentre l’acqua gli lavava via la città dalla pelle.
 
 






Sherlock non aveva molta dimestichezza con l’ordine. Per questo, aveva messo il sacchetto del supermercato dentro al frigorifero senza estrarvi nulla – dimentico del pane e altri alimenti la cui appropriata collocazione non era quella di un posto con una temperatura così bassa.

Si focalizzò completamente, invece, sulla busta verde.
Sciolse il nodo che la chiudeva e ne sparse il contenuto sul tavolo. Si aggirò, quindi, per la cucina alla ricerca di qualcosa, trovandolo dietro una delle ante degli armadietti – il frullatore.
Posizionò il marchingegno accanto ad una presa e collegò la spina.
Afferrò ciò che aveva estratto dalla busta – qualcosa che assomigliava ad una melenzana acerba – ed iniziò a tagliuzzarlo sul ripiano apposito, gettando i vari pezzetti nel frullatore.
Sul tavolo c’era l’equivalente di quattro chili – o forse più – di quegli strani frutti.
Acqua, tanto zucchero ed accese il frullatore.
Dovette ripetere queste manovre decine di volte – fino a esaurimento scorte.
Man mano, versava quel bizzarro liquido biancastro in una vecchia bottiglia di latte.

« Stasera ho un appuntamento con Sarah. »

La voce del coinquilino lo raggiunse dal salotto, insieme ad un pesante odore di sapone – aveva usato il sapone di Marsiglia per la doccia, evidentemente lo shampoo era finito.

« Ti consiglio di usare un dopobarba efficace. »

Mentre un accappatoio riempito da John entrava in cucina, Sherlock occultava il suo esperimento nel frigorifero, lasciando che gli strumenti utilizzati si mondassero nel lavello.
Da freezer, poi, afferrò un sacchetto contenente quel che pareva un mucchietto di lingue mozzate e li ripose accanto ai fornelli.

« Sherlock, niente lingue in cucina. »

« Devono scongelarsi. »

« Hai fatto la spesa? »

Il dottore, che aveva ficcato la testa nel refrigeratore, guardò sbalordito la busta del Tesco.

« Hai preso latte, pane, patate, ceci, i biscotti al limone che piacciono a me.. Non ci posso credere! »

La sua incredulità fu interrotta dal trillo del cellulare dell’amico.
Non aspettandosi che Sherlock rispondesse, gli sfilò il telefono dalla tasca della giacca – “Lestrade” gridava il display – predisponendo la chiamata in vivavoce – non gli andava di ripetere quello che diceva l’ispettore.

« Lestrade, sono John. »

« Ho bisogno d’aiuto. »

« Qual è il caso? »

« Donna uccisa in casa. Uxoricidio. »

« Quindi sapete già che è il marito. »

« Lui ha confessato, ma quello che ha detto non coincide coi fatti. »

« Sta coprendo qualcuno? »

« Probabile. »

« Un figlio? »

« Non hanno nessuno al mondo. »

Sherlock annuì in direzione di John, con quell’espressione esaltata di un bambino a Natale.

« Accetto il caso. »

« Rushworth Street, 341.  »

L’investigatore uscì dalla cucina, infilandosi il soprabito.

« Vieni, John? »

« Ho un appuntamento. »

« Ma questo è più eccitante. »

John, come al solito, si lasciò convincere – Sherlock non aveva da faticare molto, a dir la verità – e si ripromise, mentre indossava un maglione, di controllare attentamente la definizione di “eccitante” sul vocabolario.
 
 
Destinatario: Sarah
Ho avuto un imprevisto, scusami.
Vediamoci comunque. Alle 10 pm da Orlando’s?
JW


 
 
 
 




John Hamish Watson non ricordava di aver mai provato una spossatezza maggiore. Scaraventò la sveglia a terra con un pugno involontario.
Si mise in piedi, maledicendo i due – o tre? –  Daiquiri che aveva mandato giù la sera precedente.

Barcollò verso il gabinetto. Fissò la tazza bianca, ma ne vide due. Fece centro in quella sbagliata, ma non se ne accorse.

Rischiando di caracollare giù per le scale, si ritrovò in cucina, a mettere in vendita il proprio fegato per un caffè già pronto nella tazzina.
Non c’erano acquirenti disponibili.
In effetti, non c’era proprio nessuno. John se ne sorprese, ma si convinse a non elucubrare su dove si fosse recato Sherlock. L’amico, quando aveva un caso interessante tra le dita, difficilmente avrebbe agito come un essere umano prevedibile.

Svitò il tappo del barattolo del caffè e guaì quando lo trovò vuoto. Sapeva che non erano rimaste più nemmeno bustine di tè – a parte un diabetico tè aromatizzato alla fragola che non aveva intenzione di provare.

Si rassegnò ad un sobrio bicchiere di latte.

Ce n’erano due bottiglie e John fu fiero della propria sobrietà quando capì quale delle due fosse quella già aperta. Sospirò di disperazione quando constatò che non c’era nemmeno un bicchiere pulito. Si rassegnò a bere il liquido dalla bottiglia – tanto nessuno poteva vederlo.
Mentre tracannava il latte – che trovò stranamente dolciastro – fece l’errore di guardare l’orologio.

08:42.

Quasi si affogò.

Ingollò l’ultimo sorso, scagliando la bottiglia vuota da qualche parte nella stanza.
Si vestì in 37 secondi netti e fu fuori casa prima che la lancetta sfiorasse l’ultimo quarto.
 
 
 








« John! »

« Sarah! Siamo in ritardo. Ci siamo presi una piccola sbronza, ieri. »

La dottoressa guardò stranita il collega, tutto trafelato, davanti all’entrata dell’ambulatorio.

« Ritardo? Sono appena le 8.15! »

« Cosa? Ma che.. »

Sarah gli porse il proprio polso, sul quale l’orologio riportava in verde i numeri “otto” e “quindici”. John si passò una mano sul volto.

« Accidenti. Devo essere proprio.. Ho sbagliato a leggere l’orario. »

La donna si mise a ridere, prendendo il dottore per il braccio.

« Bene, signore. Il suo medico ritiene che lei abbia davvero bisogno di un caffè. E di qualcosa da mangiare. »

John si lasciò trascinare nel bar della clinica.
Ricordandosi della brutta esperienza col caffè – una poltiglia stomachevole – ordinò un cappuccino, cercando di iniziare una conversazione con la collega.

« La serata di ieri è stata.. »

« Un vero disastro, lo so. Bleah, questo cappuccino è un po’ acido.. »

« No, no, affatto. Mi sono divertito! »

« Eri distrutto già all’antipasto! »

« Solo perché.. »

Si scolò il cappuccino – un po' acido, vero, ma decisamente ottimo, rispetto all’obbrobrioso caffè – concedendosi un po’ di tempo.

« Il caso di cui ci siamo occupati mi intrigava. »

« Sherlock monopolizza la tua attenzione. Sempre. »

« Sarah, lascia che.. »

« John, ma me sta bene. Solo.. La prossima volta, cancellalo, l’appuntamento. Non voglio passare la serata con qualcuno con la mente altrove, che è troppo stanco perfino per andare fino in fondo. »

« Quello è stato colpa dei cocktail. »

Ridacchiarono al ricordo di un avvenimento della sera – John che canticchiava con accento scozzese, tenendo l’ombrellino del Daiquiri fra i denti.

Il dottore scosse la testa, facendo qualche battuta autoironica, e si portò la tazza alle labbra.

La realtà intorno a lui iniziò ad oscillare, facendogli venire le vertigini.

« Sarah »

Deglutì, chiudendo gli occhi. La sbronza doveva ancora passargli.

« Devo sedermi. »

« Tutto bene? »

« Quei maledetti cocktail. »

Con passo malfermo, raggiunse una sedia. Vi si accasciò, con le tempie fra le mani.
Sarah frugava nella borsa.

« Dovrei avere un’aspirina, da qualche parte.. »

« Non preoccuparti, fra poco mi.. »

Concluse la frase rigettando sulla scarpe della collega.
Sarah si allontanò istintivamente, per poi afferrare il dottore per le spalle.

« John! Altro che sbornia.. Merda, tu scotti! Patty! »

Si girò verso una delle cameriere, incitandola a chiamare qualcuno dell’ospedale.

John cadde a terra, tremando vibratamente, quasi in preda alle convulsioni.

Poi il suo mondo si fece buio, mentre qualcuno urlava il suo nome.
E svenne.
 


 
 
 




L’oscurità della sera non aveva permesso a Sherlock di notare alcuni dettagli. Ecco perché, quella mattina, s’era recato di buon ora sul luogo dell’omicidio, permettendo ai propri occhi di svolgere il loro mestiere col favore della luce.
La ghiaia scricchiolava sotto i suoi passi. Si trovava sul retro di quella casa in stile vittoriano che era stata teatro di un inspiegabile assassinio.
Camminò fino a trovarsi davanti a un cespuglio di arbusti secchi, proprio sotto un’ampia finestra. Si chinò su quegli sterpi, toccandone alcuni con le dita, annusando e osservando. Si spostò verso la vetrata, notando impronte di fango dove non avrebbero avuto ragione d’essere.

Ghignò nella sciarpa, indeciso sul da farsi. Avrebbe regalato il colpevole agli agenti o si sarebbe divertito nell’ombra a guardarli brancolare tra le loro limitate deduzioni?

Ridacchiò, mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca ed indirizzò la risoluzione del caso all’ispettore Lestrade.

Mentre lo riponeva, quello squillò.
Contemplò l’idea di lasciarlo strillare fino a che John non avesse risposto, ma poi ricordò che John non era lì e che non avrebbe interrotto quell’indisponente rumore.

« Pronto. »

« Sherlock, sono Sarah. »

« E allora? »

« John è ricoverato in ospedale. »

Un opprimente e subitaneo tremore si diffuse sulla pelle di Sherlock.
Quello doveva essere un brivido.

« Una grave intossicazione alimentare. Forse è il cappuccino che ha preso a colazione.. »

« Quanto grave? »

« Non ha ancora ripreso conoscenza. »

L’investigatore premette il tasto rosso e chiuse la chiamata.

La ghiaia continuò a scricchiolare sotto i suoi passi veloci.
Alzò il braccio, si impose sulla strada, bloccò un taxi.

« 221b Baker Street. »

 
 




Con le gambe, mangiò i gradini dell’appartamento, fermandosi nella cucina.

Ansimando, aprì il frigorifero.

Una smorfia distrusse la sua espressione.
Lo sguardo saettò dal posto – ora vuoto – in cui aveva riposto il frullato preparato, fino al pavimento, sul quale giaceva la bottiglia – ora vuota.

Sbatté l’anta del frigo, indietreggiando.
Cercò un sostegno per la testa, abbandonò la fronte sul tavolo, sul quale si piegò, ancora ansante.

Riprendendosi, telefonò a Sarah.

« Intossicazione da solanina. »

« Che? Com’è possibile? C’entri qualcosa tu? »

« Stavo studiando le reazioni della solanina col glucosio e le.. »

« Hai avvelenato John! »

« Invece di perdere tempo ad accusarmi, di’ ai medici della solanina. Sanno cosa fare. »

« Sherlock, quella sostanza può essere pericolosa! Quanta ne ha ingerita? »

L’investigatore non riuscì a rispondere.

« Sherlock! »

« Troppa. Sbrigati a informarli. »

Riagganciò, incapace di continuare la conversazione.

Non sarebbe andato in ospedale. Gli riusciva immensamente facile immaginare le assillanti lamentele di Sarah, che non avrebbe saputo gestire.

Si liberò della giacca, facendo poi scivolare la sciarpa sulla scrivania del salotto.

Carezzò lo Stradivari, prendendolo fra le mani. Adagiò l’archetto sulle corde, ma la brama di suonare si allontanò da lui.

Posò lo strumento, si gettò sulla poltrona, reclinando il capo all’indietro.

Il suo cervello era un caotico gomitolo di indecifrabili borbottii, che si accavallavano davanti alla sua vista, facendogli desiderare, per la prima volta, solo una silenziosa stasi.

Scivolò in un sonno fatto d’oblio e alienazione.
 
 
 







Sarah era accovacciata nella sala d’aspetto dell’ospedale, su una di quelle sedie che fanno sudare il sedere. Fra le mani, reggeva un bicchiere di carta ricolmo di liquido grigiastro – pareva una spremuta di polvere, ma forse era solo il tè di una macchinetta automatica.

« Signorina Sawyer »

La nominata sussultò, facendo esondare la bevanda, che le finì sulla camicetta. Tuttavia, quell’evento finì alla fine della lista delle sue priorità.
Focalizzò tutta la propria attenzione sul medico che le stava di fronte.

« Si è svegliato. Sta bene – sano come un pesce, direi. Può entrare, se lo desidera. »

Non aspettava altro.
Si liberò del bicchiere ed entrò nella stanza.

John l’accolse con un’espressione perplessa, rivolgendole poi un largo sorriso.

« Mi avevano detto che c’era qualcuno in ansia per me, lì fuori. Credevo.. »

Lei si avvicinò al letto, poggiando la mano sulla gamba.

« Sherlock non c’è. Tu come ti senti? »

Il dottore distolse lo sguardo.

« Come ti sentiresti se ti dicessero che sei quasi morto per colpa di una melanzana? »

« Per colpa di un coinquilino.. »

« Oh, lui lo ammazzo. Appena torno a casa, Sarah. Giuro che stavolta lo ammazzo. »
 
 
 





« Pronto, Sherlock »

« Come sta? »

« Lo dimettono domani mattina. Ehi, Sherlock.. »

« Mmh? »

« Io inizio a preparare il mio divano. »

« Precauzione inutile, Sarah. »
 
 
 






John aveva l’insolita capacità di risultare simpatico a chiunque – forse per l’aspetto amabile e docile, forse il suo humor.
Fu approfittando di un’amicizia nata in ospedale – nel giro di una notte – che tornò a casa. Addirittura, Peter Rooney aveva insistito per accompagnarlo fino al portone, dopo aver parcheggiato la BMW davanti al 221b di Baker Street.

« Stammi bene, Watson! »

« Ci si vede! Grazie mille, Rooney! »

Ogni venerdì mattina, la signora Hudson andava a far visita ad una sua amica a Waterloo. John sapeva, quindi, che non l’avrebbe incrociata.
Tuttavia, calcò gli scalini con grande cautela, per non far rumore – non si sa mai. Avrebbe rimandato tutti i “Bentornato” e “Ci hai fatti stare in pensiero” ad un’altra volta.

Al momento, c’era una questione più importante da risolvere.
Era l’ora della discussione casalinga.
Si era preparato un soddisfacente discorsetto, ovviamente inefficace, dato l’avversario, ma che gli avrebbe comunque permesso di lasciare l’appartamento con un po’ di dignità e rifugiarsi da Sarah senza sentirsi moralmente calpestato.

Un odore di fritto lo colpì mentre apriva la porta dell’appartamento, entrando nel salone.

Girò l’angolo e vide Sherlock affaccendarsi ai fornelli. Quella visione lo spiazzò.

« Stai.. cucinando? »

L’amico gli rivolse il sorriso più caldo che avesse mai visto sul suo volto.

« Per farmi perdonare. »

E la mente del dottore si svuotò.
La rabbia – che era, in fondo, pura apparenza scenica – si dissolse in quel profumo succulento.

« Bene. Muoio di fame. »

« Non ho apparecchiato. Ci pensi tu? »

Per una volta, John l’aveva anticipato.
Messi piatti e posate a tavola, si era già seduto, aspettando che il coinquilino andasse fino in fondo e servisse le porzioni.

« Cos’hai preparato? »

« Melanzane fritte. »

« COSA!? »

« E’ tutto sotto controllo. Questo non è un esperimento. »

« Ma se.. »

Sherlock gli piantò lo sguardo sul viso e la protesta gli morì sulle labbra.
Osservò il cibo scoppiettare nella padella e percepì un piacevole calore, consapevole del fatto che il proprio cuore gli si era palesato sul volto in un sincero sorriso.

« Assaggerò le tue scuse, Sherlock. »

E il divano di Sarah rimase vuoto.













NdA

Da stamattina sto in fissa con le melanzane. Non potevo non scriverci qualcosa.
Perdonatemi per eventuali errori, non l'ho riletta con attenzione.
Comunque, mi ha un po' scioccata scoprire che le solinacee (melanzane, pomodori, peperoni & Co.) contengono questa sostanza tossica, un alcaloide che provoca quanto ho detto. Certo, ne servirebbero grandi quantità e quel particolare cibo non dev'essere trattato in alcun modo.. Le melanzane sono tossiche se mangiate crude, acerbe e senza sale. Per le patate vale lo stesso, quando sono verdi. La buccia fa male..
Beh, internet ha tutte queste info. Vai a vedere cosa è vero e cosa no, poi.
Sto delirando, a quest'ora. Meglio che la smetta subito.

Ah, non affannatevi a cercare il senso di questa cosa. Non ne ha uno. D'altronde, l'ho scritta alle 2 di notte, perché dovrebbe essere sensata?

Lascio a voi i commenti su tutto ciò. :D
   
 
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