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Autore: Morwen_Eledhwen    29/05/2012    4 recensioni
Momenti vissuti da Finrod durante la Dagor Bragollach.
Questa è la mia prima fanfic e ho solo cercato di raccontare a modo mio una situazione che il Professore non ci ha tramandato nel dettaglio. Tutti i diritti appartengono naturalmente a lui.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il terreno bruciato scricchiolava sotto i suoi piedi mentre, guidato da una furia insolita, si faceva strada nella mischia con i lunghi capelli biondi sporchi di fuliggine, scagliando fendenti a tutti gli Orchi che gli si paravano davanti. Non ne aveva mai visti così tanti in vita sua. Se alzava lo sguardo, poteva scorgere le pianure, i monti e le colline circostanti che brulicavano di questi esseri orrendi, i quali senza alcuna pietà versavano il sangue di Elfi e Uomini su quelle distese d’erba che Morgoth aveva ridotto in cenere.
Sentiva le urla, vedeva qualcuno fuggire in preda alla paura e gli si stringeva il cuore ogni volta che i servi di Morgoth rubavano la vita alla sua gente, ma soprattutto quando la rubavano agli Uomini. Sì, perchè non sapeva bene dove sarebbero andati. Certo, il dono di Eru era sicuramente un luogo migliore, ma sapeva che non avrebbero mai più messo piede in queste terre, né sarebbe stato permesso loro di camminare in Valinor.
Gli vennero in mente i lunghi discorsi tra lui e Andreth all’ombra degli alberi nelle limpide giornate di sole di alcuni anni prima. In quel momento avrebbe dato tutto ciò che possedeva per poter tornare indietro e discorrere sul destino dei figli di Ilùvatar, ascoltando i venti di Manwë, invece di essere costretto a infilzare Orchi e sopportare la visione di tutto quel dolore che lo circondava.
All’improvviso, pensando ad Andreth, gli venne in mente che nella furia della battaglia non aveva più visto né Aegnor né Angrod. Si rese conto di essere stato trascinato troppo a Ovest e subito scagliò in avanti la spada per uccidere un Orco pronto a balzargli addosso. Cercò di sovrastare la confusione e attirare l’attenzione dei suoi soldati urlando «Cerchiamo di spostarci verso Est! Unitevi!», ma subito notò con orrore di aver perso gran parte del suo esercito, perchè attorno a lui vi erano solamente una decina di Elfi, e vide alcuni di essi cadere a terra con uno squarcio nel petto.
Colto dalla disperazione, raccolse tutte le sue forze e cercò di annientare più nemici possibili, nel vano tentativo di salvare coloro che erano feriti ma ancora vivi. Ben presto, però, gli Orchi li circondarono e, essendo gli Elfi in pochi e senza aiuto, non vi era via di scampo.
Finrod cominciò a sudare più di quanto non stesse già facendo, impugnando la spada retta davanti al viso, e si preparò a incontrare la morte combattendo con coraggio. Forse qualcuno avrebbe cantato la sua ultima battaglia e avrebbe reso eterno il suo ricordo sulle note di un’arpa, intrecciando una melodia delicata e malinconica, come quelle che lui stesso aveva insegnato agli Uomini.
Sghignazzando, gli Orchi si prepararono a fare fuori in poche mosse questo esiguo numero di  Elfi.
Il re di Nargothrond si vide attaccato da tutti i fronti e cercò di dimenarsi scuotendo la spada in tutte le direzioni, ma all’improvviso sentì una lama trafiggergli un fianco e un bruciore inaudito lo costrinse ad accasciarsi a terra, mentre con la mano sinistra afferrava il pugnale lucente dal fodero e trafiggeva l’Orco che si chinava su di lui. Quest’ultimo, prima di cadere al suolo, cacciò un orribile urlo di dolore e sferrò un pugno in faccia a Finrod, che per poco non perse i sensi.
Il sangue gli colava dal naso mescolandosi al sudore e alla consapevolezza che la fine era vicina. Afferrò nuovamente la spada mentre un compagno gli piombava davanti e con la gola squarciata guardava il suo re per l’ultima volta.
Rialzandosi a fatica, Finrod si preparò ad un nuovo attacco, ma i nemici che si lanciavano contro di lui erano troppi e questa volta li attese rassegnato. Sperava solo che tutto finisse in fretta.
Improvvisamente alcuni di essi caddero a terra trafitti da frecce prima che potessero arrivare a lui, e, alzato lo sguardo, Felagund vide Barahir e i suoi compagni correre come belve inferocite, per poi circondarlo con le lance puntate verso i nemici.
«Seguimi!» lo esortò Barahir e, trascinandolo per il braccio, lo condusse lontano, mentre gli altri facevano loro scudo con le lance. La fuga era disperata e sembrò durare un’eternità, ma, perdendo molti uomini, il figlio di Bregor riuscì a portare in salvo Felagund, lontano dalla battaglia.
Da quel giorno il grande signore di Nargothrond  amò la razza degli Uomini ancora di più di quanto già l'amasse.
 
-------
 
Quando la battaglia era ormai finita, mentre i superstiti del suo schieramento e di quello di Barahir si riposavano in una radura per ritrovare la forza di tornare a casa, Finrod si mise alla ricerca dei suoi fratelli.
Alcuni dei loro uomini erano insieme ai suoi, ma loro non erano venuti.
Cercò di cacciare via gli orribili pensieri che lo assalivano e raccolse l’ultimo filo di speranza che gli era rimasto, mentre scavalcava i corpi dei morti sul campo di battaglia.
Vide alcuni Uomini ed Elfi aggirarsi tra i cadaveri per cercare superstiti o individuare i loro parenti abbattuti dalla violenza del nemico.
«Forse sono riusciti a fuggire e ora sono troppo lontani per potermi raggiungere» pensava tra sè, ma sapeva che non doveva illudersi. Le illusioni sono un’arma letale, perchè quando vengono soppiantate dalla verità ti si ritorcono contro e ti colpiscono come un coltello affilato.
 
E li vide.
 
Si fermò ad osservare da lontano quell’ammasso di corpi, tra i quali spiccavano i capelli biondi della sua stirpe. Biondi come l’oro più prezioso immerso in una pozza di sangue.
E stette lì immobile, in piedi su una roccia, con le braccia abbandonate lungo i fianchi. Guardava quei corpi come guardasse il vuoto, mentre il dolore riempiva il suo cuore, prevalendo sul bruciore delle ferite.
Poi vide che Aegnor muoveva la bocca, come se cercasse di respirare con tremenda fatica.
Subito si lanciò verso di lui e si inginocchiò al suo fianco.
«E così... ci hai trovato...».
Aegnor pronunciò queste parole lentamente, poichè ogni sillaba gli prosciugava tutte le forze.
Finrod sorrise, mentre una lacrima gli scendeva sulla guancia. Allora c’era ancora speranza.
«Tornerò a casa... e ti aspetterò», disse Aegnor.
Finrod non badava alle sue parole, intento com’era ad osservare le ferite che coprivano il corpo del fratello.
«E’ inutile».
«Non ti lascerò andare», rispose Felagund colto dalla disperazione.
Subito si voltò ad osservare Angrod, che giaceva inerte poco più in là, con gli occhi spalancati verso il cielo.
«Torneremo da nostro padre e ti aspetteremo».
Mentre pronunciava queste parole, sul viso di Aegnor c’era un lieve sorriso. Finrod era ancora girato verso Angrod.
«Anche Amarië ti aspetta».
Finrod si voltò e questa volta aveva il viso coperto di lacrime.
Aegnor voleva dire qualcos’altro per consolarlo, ma non riuscì a emettere alcun suono perchè il respiro lo stava abbandonando.
Finrod, senza asciugarsi il viso, prese la mano del fratello e la strinse, come facevano da bambini durante la notte, quando avevano paura del buio.
«Prometti che mi aspetterai», disse Finrod cercando di non far tremare la voce, ma il cuore di Aegnor aveva già smesso di battere.
  
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