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Autore: Haleey Gray    29/05/2012    8 recensioni
What if? che vede la cruda vittoria di Radish e la dura costrizione di Goku nel vivere sul pianeta Vegeta-sei.
Estratto:
In quelle quattro pareti grigie il suo vispo arancio era sfiorito. I suoi corvini capelli presto si erano increspati e i suoi occhi brillanti si erano colorati di un buio spettrale.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Goku, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Pubblico o non pubblico. Pubblico o non pubblico. Pubblico o non pubblico.
Ho praticamente sradicato tutte le margherite che potessi conoscere (si conoscono le margherite?).
Alla fine ho pubblicato, per vostra immensa sfortuna.
Non so con quale coraggio, non so perchè e non so come.
Fate finta di aver trovato questa storia qui per caso, io non esisto, sono un fantasmino che osserva da lontano e che sta morendo di vergogna. (e angoscia, ci aggiungerei)
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Allora, inizio subito con il dirvi che Curse è un titolo un po' particolare, come la storia (se mai avrò il coraggio di continuarla), e vuol dire maledizione. Questo però vi verrà tutto spiegato con tranquillità e calma nei due capitoli successivi. Sta di fatto che NON È NIENTE DI FANTASY O COSE SIMILI. Prendete il significato in senso figurato.
Ci troviamo comunque in un complicato What if? che vede la vittoria di Radish e la costrizione di Goku nel vivere sul pianeta Vegeta-sei.
Ah beh, ecco. Vegeta verrà presentato un po' più avanti, forse dopo il terzo o quarto capitolo. Prima è necessario entrare all'interno della storia.
La caratterizzazione di Kakaroth inoltre all'inizio può sembrarvi strana e subdola, essa cambierà una seconda volta, per poi tornare in fine alla sua solita indole spensierata. Quindi non preoccupatevi, NON È NULLA DI OOC. IO ODIO L'OOC.
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Non mi resta che augurarvi una buona lettura e avvisarvi che sono praticamente una insulsa novellina nel scrivere long. Non ne sono capace, e se qualcuno ha voglia e interesse nel darmi consigli, io sono qui. Onnipresente ad accettare critiche e commenti positivi. Ci tengo però a sapere il vostro parere, qualsiasi esso sia.
Stay tuned!


» Dragon Ball di Akira Toriyama ©
ps: le parti in corsivo sono brevi flash-back che vi spiegheranno, capitolo per capitolo, ciò che è accaduto precedentemente.

Curse
cap. primo

 


Come di consuetudine, da un mese a questa parte, si alzò trascinando i piedi sulla sporca pavimentazione in mattoni, aprì l’anta dell’armadio smussato, posto in un angolo buio della camera, e prese la tuta scura, che riponeva ogni notte con estrema cura piegandola con attenzione. Quasi insolito poteva sembrare quel gesto notturno, un apparente spreco di energia dato che disponeva di un solo ed unico indumento da portare ogni giorno senza eccezioni. Eppure lui continuava ogni sera a stenderla sul letto, piegarla pezzo per pezzo, a stirare con le mani rovinate i cumoli di stoffa e a grattare via i residui incrostati tra i filamenti saldamente intrecciati. Tutto quello che di umano e consenziente ancora possedeva, era rimasto intrappolato con coraggio tra quei brevi gesti che si dedicava periodicamente, come una sorta di rito sacro e immancabile.
Indossò velocemente i lunghi pantaloni e infilò le maniche per poi inserire agilmente il capo nell’ampio buco. Calzati i grigi stivali e la rovinata battle suit, si precipitò all’esterno varcando di mala voglia la soglia. L’ambiente che lo circondava era rigidamente bianco e ripetitivo, privo di vigoria. I corridoi erano strettamente collegati tra loro, ognuno indifferentemente uguale all’altro, simili ai viotti di Satan City dove periodicamente, ogni qual volta ci si recava sorreggendo una moltitudine di pacchetti colorati, si perdeva nella loro immensa somiglianza.
 
« Ma dove vai Goku?! Il negozio di scarpe è di là!! » Non aveva mai considerato l’idea di intraprendere una carriera estrema come giocoliere, né tanto meno di lottare con un esercito di esseri inanimati, dipinti e allegri.
« Ma si può essere più rimbambiti?! Veniamo praticamente qui ogni mese e ancora non hai imparato a conoscere la città?! » Probabilmente dei viscidi vermiciattoli sarebbero stati molto più maneggevoli e calmi di quei cosi che continuavano a muoversi a destra e a sinistra senza mantenere una solida struttura verticale. Beh, sicuramente sarebbe stato anche molto più soddisfacente portare in bocca uno di quei insetti piuttosto che una scatola insapore e priva di dolce consistenza.
« La bellezza di questa metropoli sta nei suoi negozi luminosi e nei suoi ristoranti di gran classe! » Nei ristoranti senza ombra di dubbio, in fondo - ma anche in netta superficie - il cibo è sempre così affascinante e carismatico, praticamente irresistibile! Peccato però non potesse gustare nulla al di là del suo naso, quegli inutili oggetti che Chichi con tanto furore aveva voluto comprare a prezzi esagerati, a mala pena gli permettevano il passo.
« Dovremmo tornarci più spesso qui, Goku! » Terrorizzato, atterrito e imprigionato, non trovò via di fuga che nella sua solita spensierata risata, con il braccio tremolante dietro la nuca. Peccato però che questa volta neanche esso si mostrò d’aiuto. In un attimo, la piccola armata lo sommerse sparpagliandosi poi in ritirata al terreno dopo aver accuratamente colpito almeno una volta in testa il povero eroe. Ora non aveva di certo dubbi, sicuramente dei viscidi vermiciattoli sarebbero stati la soluzione migliore.
Per lo meno molto più innocui.
 
Il palazzo si divideva principalmente in quattro settori: il primo piano in condizioni a dir poco pessime era rilasciato alle terze classi, l’ultimo organo della scala dei sottoposti Saiyan, l’ala destra era invece ceduta alle seconde classi, i nascenti vincitori, l’ala sinistra era dedicata alle prime classi e ai guerrieri elitè, il fior fiore dell’esercito, e l’ultimo piano, sulle sommità dell’edificio, risiedeva la nobiltà e la famiglia reale. Si era a conoscenza anche, seppur vagamente, di una misteriosa palestra, situata in una parte a sé stante del palazzo e interamente in possesso del Principe; ne sentiva discutere quotidianamente chiunque incrociasse, tutti ne erano ammaliati dal mistero che la avvolgeva, nessuno era mai riuscito a vederla.
Prese, immerso nei soliti vuoti pensieri, il passaggio più breve e desolato, pregò nel mentre ogni Supremo e Divinità di cui era a conoscenza chiedendo con foga e pietà di non incontrare nessuno sulla noiosa strada verso la mensa. Il suo stomaco aveva iniziato a brontolare già prima che le luci dell’alba lo svegliassero, poteva giurare di averlo sentito reclamare cibo anche durante il sonno. Non poteva di certo lasciarlo lì a struggersi per il suo dolore. Strano alzarsi però senza l’odore di frittelle al limone solleticargli il mento o senza l‘aroma di caffè impregnare lentamente le tende della camera; malinconico, ma aveva subito imparato a farci l’abitudine. D’altronde quando nulla più ti appartiene, neanche il profumo di pulito dopo una calda doccia, si fa presto a scordare le delizie di cui prima ne eri nettamente ghiotto.
Percorse a passo spedito i corridoi ramificati, con il capo chino e i pugni serrati tentando di raggiungere meta il prima possibile. Non alzò sguardo neanche per un battito di ciglia, conosceva il numero esatto di mattonelle da percorrere e si affidava così ciecamente ad esse. Schivò, nascondendosi in qualche oscuro ripostiglio, un paio di soldati dall’aria maligna e severa con estremo silenzio, fermando il cuore di qualche battito, quasi che anch‘esso potesse produrre rumore percettibile. Attese paziente che terminassero di ispezionare sospetti l’area, per poi gettarsi nella sua interminabile “fuga”. Si, fuga, perché per lui era sempre un costante fuggifuggi da qualsiasi cosa esterna al suo essere. Dopo qualche minuto arrivò in mensa, prendendo posto nell’unica panca disponibile in un angolo della sala affollata, tra brusii di voci allarmanti e arroganti, lontano da sguardi indiscreti. Il legno di cui la stanza disponeva puzzava di muffa e vecchio, le pareti erano completamente scrostate, piene di buchi e usure, si poteva notare in alcuni punti del tavolo addirittura bruciature da qualche probabile forte litigio o pezzi inumiditi da salsa rossastra accuratamente intinta nei legami di cellulosa. Afferrò una striminzita ciotola di brodo giallo, già servito nei posti precedentemente delineati, e ormai freddo, inzuppandoci dentro del pane raggrinzito e secco: oltre a riempire lo stretto necessario in stomaco, ne allentava la consistenza rigida e lo rendeva più accettabile al palato senza graffiarne la viva carne. Teneva costantemente il capo chino sul piatto di povera porcellana propriamente bianca, priva di qualsiasi decorazione o colore. Vuota, come il resto del palazzo. Manteneva le gambe rigide, strette l’un l’altra per occupare il meno, per rendersi piccolo e insignificante.
“Il disertore” lo chiamavano. E lui desiderava sparire, rendersi totalmente invisibile.
Non ricordava di preciso da quando avesse smesso di combattere per la sua libertà o per la sua famiglia, un giorno aveva aperto gli occhi con ancora il sangue amaranto ormai secco sul viso e con uno strano fetido odore di morte addosso. Per un breve periodo la sua tuta arancione mantenne il fresco profumo di terra, della Terra, e dello strano detersivo che Chichi usava esclusivamente per lui. Vaniglia, come il chiaro colore della pelle di sua moglie. Presto però anche essa aveva iniziato a puzzare di dolore, polvere, sconfitta. In quelle quattro pareti grigie il suo vispo arancio era sfiorito. I suoi corvini capelli presto si erano increspati e i suoi occhi brillanti si erano colorati di un buio spettrale.
Attendeva ora, passivo, mentre la sua autonomia sgusciava via fluida lasciando quasi indifferente che quegli esseri immondi si prendessero con tranquillità tutto ciò che gli era rimasto. Prima Gohan, poi Chichi, Crilin, il Genio, Bulma. E ancora Yamcha, Tenshinhan, Jiaozi. Tutti, uno dopo l’altro, con affanno e bramosia. Le montagne, la casa, il suo intero pianeta. Non aveva più nulla. Come poteva combattere ora che neanche sapeva per cosa, per cosa incassare colpi, inghiottire sangue, sforzare i muscoli pompati. Vincere. Morire.
«Ei tu, scarto umano. Levati. Questo è il mio posto non vedi?! » Goku alzò lentamente il capo, fissando un punto non ben preciso al di là del soldato retto innanzi a lui per non incrociare il suo sguardo minaccioso e incalzante. Indossava una tuta non molto diversa dalla sua, se non per uno stemma posto all’altezza della spalla destra. Quello era il simbolo con cui i soldati di stirpe Rhocrak si differenziavano: una strana Z avvolta da un serpente verde; erano individui da evitare assolutamente a causa della loro indole violenta e vendicativa. L’uomo si chinò verso di lui ringhiando irritato dalla lunga attesa, rovesciò la ciotola al terreno e sbatté violento un palmo sulla tavola. Goku si morse un labbro, avvolse la lingua sul palato e rispose mascherando lo spavento.
«Ma veramente…» Le parole gli morirono in bocca, spaesato si aggrappò con le mani al tavolo concentrando la sua vaga attenzione sulle gambe; non potevano tremare così, non in momenti simili. Il ferreo sapore di sangue si espanse svelto sulla lingua mentre i canini continuavano ad incidere solchi nervosi sulle labbra imporporate.
«Levati, ti ho detto» Serrò la mascella, socchiuse le palpebre e con tentata eleganza si alzò barcollante, doveva apparire un gesto di gentilezza, non di sottomissione. Sviò velocemente fuori, ansimante si diresse verso la sua camera attraversando viotti desolati e silenziosi. In preda a un attacco di panico, era giunto in prossimità della porta in poco meno di un minuto esatto.
«Fratellino, dove corri?» Bingo.
«H-ho lasciato una cosa nella…» - cella - pensò, non camera, non dormitorio, non casa. Cella. Recluso in una prigionia demolente, aspra e ingiusta, costretto a vivere in un luogo buio, stretto e utile solo per riposare lievemente la mente dopo uno dei tanti massacri su pianeti stranieri. Come uno sgabuzzino losco e mal tenuto, tana delle macchine assoggettate.
«Ho lasciato una cosa in camera.» Passò chino diminuendo immediatamente velocità attraverso i due colossi, senza urtare contro i loro poderosi arti e osservando di nascosto i loro movimenti pericolosi.
«E no. Di qui non si passa.» Il pelato sbarrò la strada con un braccio ghignando, l’altro sorrideva beffardo. Il loro stemma raffigurava una S nera e ben marcata, posta su uno sfondo amaranto. Loro erano le uniche terze classi minimamente rispettate dal resto della stirpe, erano coloro che si imbattevano in aspre battaglie, facevano scempio dei nemici, bevevano il sangue delle vittime.
Tanto di cui vergognarsi, poco di cui vantarsi.
«Allora fratellino, come te la passi nel covo?» Rideva lui, Radish, mentre osservava Goku incupirsi, spegnersi lentamente e accendere gli occhi di fuoco. Bruciava di rabbia dentro, tentennava di paura fuori. Passò una mano tra i capelli del giovane parente, il suo palmo freddo e ruvido accentuava i toni perfidi e ignobili. Goku lo scansò rapidamente con un colpo secco dell'avambraccio per poi posare gli occhi iniettati di odio verso il lungo corridoio. Si alzò in volo e, con estrema normalità, come se niente fosse accaduto, li sorpassò senza voltarsi. Si diresse poi dritto a passo lento finchè non uscì dal loro raggio di azione. Appena sentì il loro sguardo maligno affievolirsi sul peso del suo corpo, iniziò a correre, senza fermarsi, instancabile. Il cuore batteva privo di ritmo preciso, rapido e incessante. Il respiro si rendeva man mano più affannoso e doloroso. Il torace sanguinava, la fronte si bagnava di sudore, le gambe tremanti accompagnavano la corsa estrema senza cedere. Passò veloce davanti a una camera di allenamento, con la coda dell’occhio potette notare giovani guerrieri all’interno intenti a combattere, l’uno contro l’altro. Con astio. Si ricordò allora quando era lui ad allenarsi con Crilin, felice e appagato sotto la vista del fedele Muten, da sempre amico e maestro. Non così però. Non come loro. Non con il viso tracciato da una piega di odio e invidia, non con il loro stesso spregiudicato scopo di uccidere il compagno, ma bensì per qualcosa di più grande, per difendere ciò che da sempre aveva amato e ciò che da sempre si era preso con affetto cura di lui. Si fermò di scatto appoggiandosi a un muro bianco e inespressivo, vuoto come priva era la sua anima e sgombra la sua mente. Desolato e arido ora, come la sua vita.
 
 
« Papà.. Salvami ti prego, papà! »
Prese il piccolo mezzo-sangue per la testa ruggendo estasiato.
« Papà.. Non lasciarmi.. Aiutami, ti prego papà! »
Strinse forte la morsa attorno al suo piccolo capo. Lo portò affianco al corpo immobile e inerme del padre, steso al suolo. Si assicurò di avere tutta la sua necessaria attenzione e poi..
- Crack -
Strinse il pugno. E fu solo sangue sparso sul viso del “traditore” impossibilitato di qualsiasi movimento, atterrito e privato di ogni emozione. Serrò le palpebre umide, ficcò le dita tremanti nel suolo sabbioso.
Aveva perso, Goku.













 
   
 
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