6
Yugi si sentiva in testa una tremenda
confusione.
Era molto strano; sentiva come se ci fossero
delle cose che doveva per forza riuscire a ricordare, ma che per qualche
misterioso motivo aveva finito per dimenticare.
Poi, però, pensò che era normale sentirsi così
al primo risveglio, soprattutto dopo che si era fatto un sogno molto spaventoso
o molto strano come quello dal quale sentiva di essersi appena svegliato, e quando
il mal di testa cominciò ad attenuarsi rapidamente prese a non pensarci più.
Sceso giù dal letto e vestitosi per la scuola,
scese al piano di sotto già pronto ad uscire.
«Nonno?» disse entrando in cucina.
La colazione era già pronta e preparata sul tavolo,
ma suo nonno non c’era; o era già in negozio, oppure era uscito per qualcuna
delle sue commissioni.
Con poca voglia Yugi
mangiò qualcosa, ma visto che era tardi dovette andare via quasi subito senza
neanche il tempo di cercare suo nonno per augurargli la buona giornata, che
tuttavia riuscì ad intravedere al bancone del negozio intento a leggere il
giornale.
Un attimo prima di uscire, però, ebbe una
strana sensazione, come se gli mancasse qualcosa, qualcosa di importante che
aveva sempre tenuto con sé. Senza sapere perché, si portò una mano sul collo,
quasi avesse la certezza di trovarvi qualcosa, forse un pendente, o una specie
di collana.
Eppure, non ricordava di aver mai posseduto
niente del genere; a ragione di ciò, decise di non pensarci e si rimise a
correre, anche perché il tempo il tempo correva inesorabile.
Domino City sembrava stranamente calma, quasi
irreale.
Né rumori inconsulti, né fracasso né altro;
semplicemente, la quiete della solita routine quotidiana, fatta di gente che
andava al lavoro, casalinghe che rassettavano e ragazzi che andavano a scuola,
proprio come lui.
Giusto per il rotto della cuffia, per evitare
di essere lasciato fuori, Yugi riuscì ad arrivare al
suo liceo un attimo prima che chiudessero il cancello, raggiungendo velocemente
la sua classe.
«Buongiorno a tutti!» disse entrando.
Nessuno dei suoi compagni rispose, ma d’altra
parte non è che fosse una novità; da che aveva incominciato il liceo non era
mai riuscito a legare con nessuno, e il massimo che riusciva ad ottenere era un
saluto distratto quando incrociava qualcuno.
Brutta cosa la solitudine, soprattutto alle
superiori; lui col tempo ci aveva fatto l’abitudine, ma era comunque una
situazione molto triste, che lo turbava e lo incupiva.
Yugi si
sedette giusto un attimo prima che arrivasse il professore, ma solo dopo
l’inizio della lezione si accorse del fatto che c’erano tre banchi vuoti, cosa
della quale nessuno sembrava essersi accorto, neanche il docente al momento di
fare l’appello.
Non sapeva perché, ma Yugi
sentiva che quelli non erano banchi senza padrone pronti ad accogliere un
eventuale nuovo alunno, ma per quanto si sforzasse non riusciva proprio a
ricordare se fossero mai appartenuti a qualcuno, ed eventualmente a chi.
Ma qualcuno, a quei banchi, vi era davvero
seduto, qualcuno che lui non poteva vedere, e che a sua volta non poteva vedere
né lui né gli altri, in uno strano e inquietante gioco di equivoci ai limiti
del razionale.
Anche durante la pausa pranzo, fu la solita
storia; Yugi mangiava da solo, seduto al suo banco,
mentre tutto intorno i suoi compagni conversavano e stavano insieme.
Nel mentre, sul tetto, anche una ragazza
pranzava in solitudine, con la sola compagnia del suo cestino e della musica
del suo lettore.
Si chiamava Anzu,
viveva da sola perché i suoi genitori lavoravano fuori città, e come Yugi non ricordava l’ultima volta che aveva avuto un amico,
o che qualcuno si era avvicinato a lei.
Con sguardo perso, la ragazza osservò accanto
a sé; non sapeva perché, ma oltre al suo la sera prima aveva preparato, e
finito per portare inconsapevolmente con sé, altri tre cestini.
Per chi potevano mai essere? Per lei no di
sicuro, visto che mangiare non era la sua passione. Volendo evitare che
andassero sprecati provò ad offrirli ad un trio di ragazze intente a conversare
appoggiate alla rete, ma di tutta risposta venne bellamente ignorata, come non
fosse neanche esistita.
L’oggetto della discussione delle due ragazze
erano, ovviamente, i compagni più attraenti, alcuni dei quali erano in quel
momento in cortile intenti a giocare a calcio.
Tra loro un ragazzo biondo, Jounouchi, che però se ne stava in disparte, appoggiato al
tronco di un ciliegio in fiore che gli faceva ombra con lo sguardo crucciato e
l’espressione insoddisfatta.
Jounouchi non era
mai stato un campione di buone maniere, così, per quanto carino e attraente
potesse essere, si era sempre ritrovato solo come un cane, anche e soprattutto
per via del suo carattere bellicoso che lo portava spesso a menare le mani, e
che più di qualche vota lo aveva messo persino nei guai con la polizia.
Del resto la sua non era mai stata una vita
facile; con genitori separati, aveva un padre alcolizzato, una madre che
preferiva la carriera alla famiglia e una sorella minore che non aveva mai
conosciuto, tanto erano separati.
Tutte quelle sofferenze avevano finito per
renderlo insensibile al mondo esterno, spingendolo a rifuggire qualunque tipo
di contatto umano e a preoccuparsi solo di sé stesso.
Eppure, sentiva che una parte di lui non era
d’accordo, e che forse non era sempre stato così.
Forse c’era stato un tempo in cui aveva avuto
degli amici, dei veri amici, dei quali potersi fidare e su cui poter sempre
contare. Ma pensandoci gli venne quasi da ridere, visto il suo carattere, e
rapidamente se ne dimenticò.
Nel suo starsene in disparte senza far niente,
Jounouchi era osservato di sottecchi da Hiroto Honda, autoproclamato presidente del Club per
l’Abbellimento, del quale era unico iscritto, intento in quel momento a pulire
il corridoio all’aperto che conduceva in palestra.
Anche Honda, essendo sempre stato solo, poteva
capire cosa stesse provando Jounouchi, ma per lo
stesso motivo sentiva di non poterlo avvicinare, perché proprio come lui aveva
paura di qualsivoglia contatto umano. Il suo aspetto leggermente da teppista
gli aveva sempre creato problema nelle relazioni interpersonali, ma già alle
scuole medie aveva deciso di non pensarci più e di continuare con la sua vita
come più gli aggradava.
Al
termine delle lezioni, come al solito, Yugi si rimise
subito in marcia per fare ritorno a casa.
A differenza della maggior parte degli altri
studenti non faceva parte di un club, né di una squadra sportiva o
intellettuale; non aveva nessun talento particolare, quindi niente da poter
sfruttare in qualcuna di quelle attività.
L’unica cosa in cui era bravo erano i giochi,
ma purtroppo non c’era un club di giochi, ed era certo che neanche provando a
fondarne uno avrebbe ottenuto qualcosa.
E poi, il tempo dei giochi come li intendeva
lui ormai era finito.
Ormai videogames,
giochi interattivi e altre cose simili la facevano da padroni; persino il
nonno, nonostante tutta la sua avversione a questo genere di cose, si era visto
costretto ad allestire nel suo negozio un reparto videogames
per poter tirare al domani.
Mentre percorreva il viale principale, lungo
la strada passò una lussuosa limousine nera con il finestrino abbassato,
cosicché Yugi, che in quel momento si stava
concedendo il piccolo piacere di un gelato, poté scorgere chi vi era dentro.
Quasi non ci volle credere quando vide che si
trattava di Seto Kaiba, il
padrone di Domino.
Non lo aveva mai visto di persona né
conosciuto, ma non c’era persona che non lo conoscesse in città; Domino City
era praticamente sua e della sua multinazionale, la Kaiba
Corporation, attiva soprattutto in ambito militare.
Yugi avvertì
un certo senso di inquietudine quando Seto, mentre la
sua macchina era ferma ad un semaforo, gli rivolse un breve sguardo,
accompagnato da un senso come di malessere, un peso al cuore che il ragazzino
non riuscì a spiegarsi.
Per un istante, ebbe quasi l’impressione che Seto Kaiba non fosse del tutto un
estraneo per lui; anzi, una parte di lui era sicura di conoscerlo, e molto bene
anche.
All’improvviso Yugi
si sentì pervadere la mente di strani ricordi, immagini insulse ed impossibili
di battaglie, sfide, duelli ad un qualche gioco sconosciuto e misterioso; e poi
avventure, viaggi, ma soprattutto persone. Vedeva tre volti, tre immagini
indistinte che non gli riusciva di identificare, e più ci pensava più la testa
gli faceva male, producendo un fischio che minacciava di spaccargli i timpani.
«Che cos’è?» disse cadendo in ginocchio, senza
che nessuno muovesse un dito per aiutarlo «Basta!»
Contemporaneamente, da tutt’altra parte, anche
Anzu stava tornando a casa dopo la scuola, quando le
capitò di assistere casualmente ad una esibizione di strada di alcuni ballerini
di hip-hop che stavano dando spettacolo richiamando attorno a sé una piccola
folla.
Vedendola, si sentì strana, provando un senso
come di nostalgia, e istintivamente si portò una mano sul cuore e chiuse gli
occhi; non aveva mai provato interesse per questo genere di cose, eppure in
quel momento se ne sentiva attratta, come se i suoi pensieri la stessero
tradendo.
Perché provava una cosa del genere?
Anche lei, d’improvviso, si sentì la testa
scoppiare, dilaniata da un fischio insopportabile. Cosa erano quelle immagini
che le sembrava di scorgere chiudendo gli occhi per il dolore?
A scuola intanto, Jounouchi,
che si era fatto pizzicare per l’ennesima volta a ronfare a lezione, per
punizione era stato costretto a ripulire la piscina, e armato di retino stava
recuperando di malavoglia i petali e le foglie che galleggiavano sulla
superficie.
Era così poco interessato a quello che stava
facendo che, messo un piede in fallo, scivolò e precipitò in acqua.
«Ma bene!» sbraitò riemergendo «Peggio di così
non può andare».
Nel tornare alla scaletta, i suoi occhi si
posarono casualmente sulla finestra della loro aula, che si affacciava proprio
sulla piscina, e di colpo un lampo gli si accese nella mente.
Gli parve di ricordare qualcosa, e per un
attimo gli parve di vedere sé stesso lanciare qualcosa, una specie di sasso
luminoso, dritto in piscina, e subito dopo di ritrovarsi in quella stessa
situazione, vestito ed immerso nell’acqua.
Ma di cosa poteva trattarsi?
Non ricordava che gli fosse mai capitato
niente del genere.
Di colpo, un attimo dopo essere tornato
all’asciutto, avvertì un tremendo dolore in tutto il corpo, mentre altre
immagini, ancor più sfocate e indistinguibili, facevano a botte con la sua
mente per riuscire ad emergere; stavolta gli pareva di vedersi seduto in terra,
pieno di lividi come dopo una delle sue risse, con un grosso bestione che lo
sovrastava.
Non era solo. C’erano altre due persone, una
seduta accanto a lui ed un piccoletto coi capelli a punta frapposto tra loro e
quella specie di gorilla, ma per quanto si sforzasse non riusciva a
distinguerne i volti.
«Basta, non ce la faccio più!» urlò Jounouchi tenendosi la testa «Non ne posso più di questo
fischio! Qualcuno lo faccia smettere!».
Infine, in un altro punto della scuola, Honda
si era intrattenuto come suo solito a sbrigare delle pulizie e a rimettere
apposto. Per quanto venisse criticato fin quasi alla presa in giro per quello
che faceva amava molto il suo incarico di membro del comitato di abbellimento,
considerandola forse l’unica cosa buona che avesse mai realizzato in tutta la
sua vita.
Così come Yugi e gli
altri, anche lui ebbe un sussulto improvviso quando un trio di ragazze di
ritorno dalle attività del proprio club gli passò accanto senza degnarlo di uno
sguardo. Tra di loro c’era Nohsaka Miho, che lui ben conosceva; aveva sempre sognato di farle
la corte, ma poi non aveva mai trovato il coraggio anche solo di rivolgerle la
parola.
Ma se era così, cos’erano tutti quei flash che
avevano preso di colpo a farsi strada nella sua mente?
Forse Miho non era
poi così estranea per lui. E come lei, anche altri tre ragazzi, compagni di
vita e di avventure, che non riusciva a vedere, indistinti e intangibili in
quei sedicenti ricordi dei quali non restavano che pochi e confusi flash.
«La testa.» disse cadendo in ginocchio «Che
male!».
Senza
sapere perché, come attratto da una voce misteriosa che gli diceva per farlo, Yugi corse come un forsennato alla piazza dell’orologio, trovandola
insolitamente poco frequentata.
Aveva visto quel posto tante volte, ci si era
fermato spesso, ma non gli aveva mai dato granché importanza, anche perché si
trattava del luogo notoriamente più utilizzato per darsi appuntamenti o
incontrarsi con gli amici, tutte cose che lui non aveva mai potuto fare.
Eppure, una forza invisibile sembrava averlo
spinto fin lì, come se quello fosse stato il teatro di un evento importante,
forse legato a quei frammenti di memoria che non gli riusciva di recuperare.
Di nuovo, quel fischio alla testa minacciò di
assordarlo, ma per fortuna stavolta risultò più breve, anche se molto più
intenso e doloroso; era come se ogni attacco risvegliasse una parte di ricordi
perduti, e senza sapere perché Yugi si portò proprio
sotto l’orologio.
Improvvisamente, come se avesse percepito una
minaccia, guardò verso l’alto, immaginandosi di vedere qualcosa sospeso sopra
la piazza, come una specie di enorme sfera che pulsava e si agitava come un
ammasso di carne viva.
Non ci stava capendo più niente. Avvertiva
paura, dubbio, incertezza, per cose che non riusciva a ricordare, e che
andavano ben oltre i limiti del possibile, se quei frammenti, che intanto si
stavano trasformando in una specie di brevi allucinazioni, fossero stati reali.
I mal di testa intanto continuavano senza
sosta, e ad ogni nuovo capogiro qualcosa diventava un po’ più chiaro.
Strani flash presero a farsi strada nella sua
mente. Ricordi forse, di avventure, battaglie; ma soprattutto, di amici. La
consapevolezza di avere qualcuno accanto.
Di colpo, Yugi
avvertì una sensazione stranissima, e mentre tutto attorno a lui diventava più
distante e intangibile di quanto non fosse mai stato, avvertì per la prima
volta da che aveva memoria di non essere solo.
E non era solo in senso metaforico.
Aveva la sensazione vera, tangibile, che ci
fosse qualcuno accanto a lui, presenze eteree che non gli riusciva di vedere,
ma non per questo meno reali.
Erano tre. O forse quattro. No, sicuramente
erano tre.
«Noi…» disse
parlando al vuoto «Noi ci conosciamo?».
Seguì un lungo silenzio, come ci si
aspetterebbe da chi sta parlando da solo; ma poi, dopo essersi sforzato di
credere che potesse accadere, il ragazzino credette
di sentire una risposta, viva e tangibile come se chi parlava fosse stato
proprio di fronte a lui.
«Credo di sì.» disse una voce femminile.
Anzu, Honda e Jounouchi infatti erano lì, proprio accanto a lui, ma anche
se nessuno di loro vedeva l’altro o ne riconosceva la voce, sapevano di non
essere da soli, né di stare parlando con l’aria. Glielo diceva l’animo, lo
stesso che li aveva condotti lì contro la loro volontà, e che ora sembrava fare
di tutto per spingerli a ricordare.
Jounouchi si
sentiva un po’ stupido, e continuava a ripetersi che era tutto nella sua testa,
che in quel posto era da solo e che stava parlando col muro come uno svitato di
prim’ordine.
Honda invece, da inguaribile romantico,
cercava di pensare che era tutto vero, e che quelli che si agitavano nella sua
testa erano veri ricordi, che dovevano solo essere rimessi apposto.
«Ma voi…» disse Yugi «Voi chi siete?»
«Questa è una bella domanda.» rispose un’altra
voce, quella di Jounouchi «Al momento, l’unica cosa
che credo di essere è un completo pazzo. Non solo sento le voci nella mia
testa, ma ci parlo pure.»
«Questa voce io la conosco.» disse una terza
voce «Mi ricorda quella di un tonto, qualcuno che sa solo mettersi nei guai.»
«A chi hai detto tonto, specie di scimmia di
montagna?».
Yugi rise, e
anche Anzu; una risata molto famigliare, che sembrava
risvegliare tante cose, tante altre risate simili dimenticate.
Lentamente, i pezzi sembrarono andare al loro
posto.
Yugi cominciò
a ricordare qualcosa, mentre quei tre volti così sfocati sembravano farsi un
po’ più nitidi; ricordi di avventure, di viaggi, di tanti momenti difficili,
tutti superati da una forza che non si poteva vedere né mostrare, ma che
nonostante ciò aveva sempre dimostrato tutto il suo potere.
Di colpo, il ragazzino sentì il richiamo
irrinunciabile di fare qualcosa, e alzata la mano destra la mise davanti a sé;
un gesto semplice, all’apparenza senza senso, ma che invece rivelò subito il
potere di smuovergli l’animo.
«Era un patto.» disse.
Poi, come per magia, un’altra mano comparve
accanto alla sua, diventando sempre più nitida e tangibile.
«Una forza capace di superare ogni cosa.»
disse Anzu.
Non passò molto, prima che altre due mani si
materializzassero a completare il simbolo.
«Una forza che sfida il tempo e lo spazio.»
disse Jounouchi
«Che ci tiene uniti in ogni situazione.» disse
Honda
«Che sfida e vince ogni cosa.» disse Anzu.
Yugi alzò gli
occhi, incrociando quelli dei suoi amici ritrovati, che a loro volta lo
guardarono.
«Che vince la morte stessa».
I quattro amici sorrisero, mentre quel legame
tornava ad unirli, rinsaldando un’amicizia che qualcuno aveva mettere alla
prova, al fine di dimostrare che essa era davvero qualcosa di speciale,
impossibile da distruggere, e con un potere tale da compiere un miracolo: il
miracolo.
All’improvviso, l’atmosfera si fece un po’ più
tetra, ed i ragazzi, alzato lo sguardo verso un’unica direzione, videro
comparire di fronte a loro le copie di loro stessi, quei fantocci fasulli ai
quali avevano finito per dare retta, finendo per mettere a rischio quel legame
che era la loro forza, ma che alla fine si era rivelato più forte di quanto
forse gli stessi artefici di quel gioco crudele avrebbero potuto immaginare.
«Il nostro legame non è così facile da
spezzare!» gridò Yugi.
Le quattro figure parvero tramutarsi in fango,
e mentre tutte le altre persone scomparivano, ed il cielo si tingeva di nero,
si amalgamarono tra di loro in una sorta di enorme vortice, fino a produrre le
fattezze mostruose e gigantesco Ammit.
«Guarda chi si rivede.» disse Jounouchi «È proprio vero, le cattive compagnie sono come
gli scarafaggi. Non te ne liberi mai».
Il Dia Dhank a quel
punto ricomparve al suo polso, così come a quello di tutti gli altri, cosicché
i ragazzi poterono nuovamente evocare i rispettivi ka.
«E ora, mandiamo al tappeto questo mezzo
ippopotamo!» disse Honda.
Ammit sputò contro
i ragazzi una fanghiglia marrone ardente come il magma, ma l’Angel Joan
protesse energicamente tutti con uno scudo e subito dopo iniziò il
contrattacco.
Nonostante la sua forza e le sue molte
abilità, tra le quali spiccavano le capacità di sprigionare tentacoli carnosi
da ogni parte del suo corpo e generare altri mostri più piccoli e insidiosi dai
pezzi di carne che venivano fatti volare via, Ammit
aveva delle forme imponenti, quasi mastodontiche, ed era perciò molto facile da
colpire, nonostante la sua agilità piuttosto considerevole.
I ka dei ragazzi
prima lo circondarono, poi presero ad attaccarlo contemporaneamente da ogni
direzione, fornendosi aiuto reciproco nel caso in cui uno di loro si trovava in
difficoltà o veniva raggiunto ed avvinghiato da uno di quei tentacoli.
«È questa la nostra forza!» disse Yugi.
Come ultimo atto, e quando ormai Ammit era stato quasi completamente piegato, Angel Joan, lo
Spadaccino e il Soldato Gadget si tramutarono in sfere di luce, che confluirono
tutte verso lo scettro del Mago Silente, mutandolo in una sorta di
avveniristica lancia-fucile che il mago puntò contro il mostro agonizzante.
Dall’arma si produsse una scarica luminosa
tanto potente da sventrare il terreno al suo passaggio, e colpito in pieno Ammit esplose quasi subito, tramutandosi in cenere e
scomparendo dopo aver lanciato un assordante ruggito di dolore.
«Ce l’abbiamo fatta!» disse Anzu.
I quattro amici a quel punto si guardarono
nuovamente tra di loro, sorridendosi.
«Vi chiedo scusa.» disse Yugi
«Scusate se per un momento ho dubitato di voi.»
«Vale anche per me.» disse Jounouchi
«Anche per me.» disse Honda
«E anche per me.» disse Anzu
«Ma dopotutto, anche in questo sta la forza del nostro legame. Anche se hanno
cercato prima di dividerci, e poi di spingerci a dimenticare, il filo che ci
tiene uniti nonostante tutto non si è spezzato.»
«Parole sante.» disse Jounouchi
«Una prova in più che neppure la morte, o i giochi subdoli degli amici del
faraone, sono stati capaci di dividerci.»
«Avevi ragione tu, Anzu.»
disse Yugi «Il nostro è davvero un legame
indissolubile. E lo sarà per sempre.»
«Toki no Owari Made.» disse Honda
rievocando la frase con cui avevano iniziato la loro avventura «Fino alla Fine
del Tempo».
In quella la città sembrò sgretolarsi di
colpo, come una sfera di vetro che viene distrutta dall’interno, e sotto di
essa, mentre i pezzi svanivano, comparve una nuova Domino City, quella vera, avvolta
nella luce del tramonto.
«E adesso che succede?» chiese Honda.
Erano ancora nella piazza, stavolta animata
della sua solita vita. E di colpo, tra le gente che l’affollava, Yugi vide suo nonno, seduto ad una panchina proprio sotto l’orologio
che guardava il pavimento.
«Nonno!».
Yugi sentiva
che stavolta non si trattava di una visione o un’allucinazione; quello era
davvero suo nonno, e quella era davvero la piazza di Domino.
«Attento Yugi.»
disse Jounouchi vedendo l’amico che si avvicinava
«Potrebbe essere un’altra illusione.»
«No, non è un’illusione. Quello è davvero il
nonno».
Yugi gli si
avvicinò, chiamandolo, ma l’anziano non diede segno di aver sentito, seguitando
ad osservare i colombi che beccavano i resti del popcorn che aveva con sé.
«Nonno, sono qui. Mi senti? Nonno!»
«È inutile, Yugi.»
disse Anzu «Se questa è davvero Domino, lui non può né
vederci né sentirci.»
«Ha ragione.» disse Jounouchi
«Noi qui siamo solo dei fantasmi».
Passarono alcuni minuti, durante i quali Yugi continuò a guardare suo nonno, mentre una forza
misteriosa, come un ordine sovrannaturale, gli impediva di provare a toccarlo,
forse perché sapeva che sarebbe stato inutile.
«Signor Muto!» si sentì dire all’improvviso.
Sugoroku alzò gli
occhi, e così anche i ragazzi, e colui che rimase più colpito di tutti fu Jounouchi.
«Shizuka!?» disse
vedendo la sua adorata sorellina sopraggiungere nella piazza
«Oh, Shizuka.» disse
il nonno alzandosi dalla panchina «Che piacere vederti.»
«Anche per me è un piacere. Che cosa ci fa
qui, signor Muto?»
«Non saprei. D’un tratto, ho come sentito il
bisogno di venire qui.»
«Incredibile. È la stessa cosa che è accaduta
a me. Di colpo, ho avuto come la sensazione che qualcuno mi stesse chiamando».
Yugi e gli
altri erano molto confusi, e non capivano bene cosa stesse succedendo.
Ma le sorprese, erano solo all’inizio.
Dopo poco, alla spicciolata, e mentre la
piazza si svuotava, arrivarono anche altre persone. Prima Miho,
che fece sobbalzare Honda; poi Mai Kujaku, colpendo
sia Jounouchi che Anzu, e
infine, incredibile a dirsi, anche Seto e Mokuba.
Una forza sconosciuta, come un richiamo
irresistibile, li aveva condotti lì, facendoli rincontrare dopo tanto tempo
dall’ultima volta.
«E voi che cosa ci fate qui?» chiese Mai all’indirizzo
di Seto e Mokuba
«Potremmo chiederti la stessa cosa.» rispose Seto alla sua solita maniera
«Era da molto tempo che non ci ritrovavamo.»
disse Sugoroku «Tu in particolare, Seto. Non ti vedo dal giorno del funerale».
A quel punto i ragazzi capirono che il tempo
era davvero un concetto relativo. Se, ai loro occhi, l’avventura che avevano
appena vissuto poteva essere durata al massimo uno due giorni, era evidente,
anche a giudicare dall’aspetto di Shizuka e Mokuba, che sulla Terra doveva essere passato almeno un
anno dal giorno dello scontro con Seth.
Nel vedere comparire dinnanzi a sé le persone
che più avevano contato nell’arco della loro vita, i ragazzi furono presi da un
misto di amarezza, conforto e tristezza; forse, chi li aveva messi alla prova
aveva voluto ricompensarli per averla superata facendo incontrare loro, per l’ultima
volta, i loro affetti più cari.
Yugi e i suoi
compagni capirono che probabilmente non avrebbero avuto molto tempo a
disposizione, quindi dovevano sfruttarlo al meglio, e mentre Sugoroku e gli altri, quasi si fossero accorti della loro
presenza, volgevano tutti lo sguardo in una sola direzione, si avvicinarono.
«Miho-chan.» disse
Honda guardandola in volto.
Quasi subito però, come era già accaduto tante
altre volte, non riuscì a trovare il coraggio di parlare.
«Accidenti, che imbarazzo. Lo sai. Avrei voluto
dirti tutte quelle cose che alla fine non sono mai riuscito a dirti. A dire il
vero, avrei voluto anche un appuntamento, e una cena insieme, e una serata al
cinema, e…» disse passandosi una mano dietro alla
nuca, per poi però farsi un po’ più serio «Comunque, non sia mai che un giorno
ci rivedremo. E se dovesse accadere, allora cercherò di essere un po’ meno
imbranato.
Fino ad allora, a presto».
Jounouchi si
avvicinò a Shizuka, e per lungo tempo tutto quello
che riuscì a fare fu guardarla negl’occhi; anche lei sembrava guardarlo coi
suoi occhi speranzosi, pieni di innocenza e determinazione insieme.
«Chissà. Forse non sono stato un buon
fratello. Ci sono tante cose nella mia vita delle quali adesso mi pento. Una di
queste, è il non aver fatto di più per te. Perché potessimo stare insieme.
Ho cercato con tutte le mie forze di proteggerti,
di starti vicino, e di fare in modo che avessi la migliore esistenza possibile.
Se dicessi che sono pronto a separarmi da te,
mentirei. Ma se sono davvero diventato una persona matura, come qualcuno
ritiene, riconosco che ora sei abbastanza grande e indipendente. da poter
andare per la tua strada. E forse, a ben pensarci, avrei dovuto deciderlo
prima, invece che continuare a riempirti di attenzioni come se fossi stata
ancora una bambina.
Spero perdonerai questo tuo fratello troppo
oppressivo, e ti prometto che, in un modo o nell’altro, noi due prima o poi ci
ritroveremo. Forse non mi riconoscerai, né ti riconoscerò io, ma in qualche
modo saremo sempre fratello e sorella. Questo lo spero con tutto me stesso.»
«Onii-sama…» disse Shizuka parlando al vuoto davanti a sé.
Jounouchi a quel
punto le passò gentilmente una mano sul volto, e lei parve quasi sentirla,
avvertendo un senso di tepore alla guancia che la fece sussultare.
Anzu andò da
Mai; dopotutto le doveva molto, e in quel momento non c’era persona con la
quale maggiormente desiderasse parlare.
«Nonostante tutto, penso che dovrei
ringraziarti. Mi hai insegnato molto su come andare avanti nella vita, ed
essere una buona compagna per il mio gruppo. Le tue lezioni mi sono state d’aiuto,
e anche se ci sarebbe da discutere su alcuni tuoi atteggiamenti, non si può
negare quello che hai fatto per me, e soprattutto per Yugi.
Spero solo che un giorno ci rincontreremo, e se
accadrà, lo faremo da eguali».
Infine, Yugi si
avvicinò a suo nonno, con gli occhi lucidi e cercando di essere il più forte
possibile.
«Grazie per tutto quello che hai fatto per me,
nonno.» disse sforzandosi di sorridere «Questo è tutto quello che riesco a
dirti. Non ti dimenticherò mai, non importa cosa accadrà. E anche tu, mi
raccomando, non dimenticarti di me. Sei stato il nonno migliore del mondo».
Yugi poi
guardò Seto, che abbasso gli occhi come se lo stesse
vedendo, anche se in realtà vedeva solo il vuoto.
«So che per te, cinico e razionale come sei,
sia difficile accettare l’idea che io possa essere qui. Ma una parte di te sa
bene che queste cose sono vere. Hai attraversato lo spazio ed il tempo per
aiutare Atem a riscoprire il suo passato.
E come hai aiutato lui, così hai aiutato anche
a me; grazie a te, a tutte le prove che abbiamo affrontato, e a tutte le battaglie
in cui ci siamo confrontati, sono cresciuto, diventando più forte e sicuro di
me, come non avrei mai pensato di poter essere un giorno.
Se questa cosa mi fosse accaduta quando ero il
vecchio me stesso, non credo che sarei stato capace di affrontarla. Ma grazie
all’aiuto che tu mi hai dato spronandomi continuamente, ho trovato quella forza
dentro di me. Quindi, in un certo senso, senza di te non sarei mai arrivato fin
qui.
Ti ringrazio, Seto. E
spero che un giorno, anche lontano, ci rivedremo».
In quella, una luce si accese alle spalle dei
ragazzi, tramutandosi in una sorta di portale che li avrebbe condotti al luogo
dove si sarebbe deciso il loro destino.
Jounouchi e Honda
quasi risero, ironizzando sul fatto che era proprio come lo si vedeva nei film,
poi però venne il momento di farsi seri.
Cercando di trattenere le lacrime, Yugi e tutti gli altri rivolsero un ultimo sguardo ai loro
cari, che a loro volta guardarono tutti nuovamente in una sola direzione, e ai
quali sembrava quasi di avvertire il tepore emesso da quel bagliore.
«Addio.» disse Yugi
per tutti «Staremo bene. Non state in pena per poi».
A quel punto, venne il momento di andare, ed i
ragazzi, giratisi, sparirono dentro la luce, che rapidamente si spense, mentre Sugoroku e gli altri furono pervasa da una irrefrenabile
voglia di piangere.
Yugi, Anzu, Jounouchi e Honda camminarono per un po’ immersi nella
luce, sereni e fiduciosi come sentivano di non essere mai stati.
Avevano messo alla prova il loro legame nel
modo più doloroso e risoluto possibile e avevano vinto, e questo bastava. Ora sapevano
bene cosa dovevano fare, ed erano più risoluti che mai.
D’un tratto, si ritrovarono magicamente
immersi nel nulla, con quattro gigantesche, enormi porte chiuse dinnanzi a
loro, come a volergli sbarrare la strada.
Tutto era bianco, un bianco splendente, e
nonostante non vedessero nessuno sentivano svariate presenze tutto intorno a
loro; una di queste prese corpo, rivelando le fattezze di Atem,
che si avvicinò ai ragazzi sorridendo di soddisfazione.
«Ben fatto, amici miei. Avete superato tutte
le prove che vi sono state messe davanti.»
«E che ti aspettavi?» disse Jounouchi «Questo e altro, è quello che possiamo fare.»
«Avete dimostrato una forza che noi stessi non
ci aspettavamo. Una dimostrazione ulteriore che i sentimenti umani e le
emozioni che possono generare vanno bene al di là di qualunque altra cosa,
incluso il potere di un dio.
Ora, è giusto il momento di ottenere ciò per
cui avete affrontato tutte queste insidie.» poi, inevitabilmente, il faraone si
incupì «Tuttavia, è anche il momento in cui dovrete fare la vostra scelta
finale. Come vi ho già spiegato all’inizio, solo tre di voi potranno rinascere
contemporaneamente.
Allora? Qual è la vostra decisione?».
Di nuovo, Yugi e gli
altri si guardarono tra di loro, scambiandosi degli sguardi di complicità ed un
cenno di assenso.
«Nessuno di noi.» rispose Yugi
«Come!?» ribatté Atem
confuso
«Lo hai sentito bene.» disse Jounouchi
«Rinunciamo alla possibilità di rinascere
insieme.» disse Anzu
«Non ha senso, se uno di noi sarà escluso.»
disse Honda «Quindi, tanto vale rinunciarci tutti.»
«Vi rendete conto di quello che dite? Potreste
perdervi per sempre.»
«Questo è impossibile, faraone.» rispose Yugi «E tu lo sai.»
«Fate di noi quello che volete.» disse Jounouchi «Fate nascere uno quando l’altro avrà cent’anni o
più, spediteci agli angoli opposti del creato, a milionardi
di milioni di dimensioni di distanza l’uno dall’altro.
Non farà alcuna differenza.
Il filo che ci lega non sarà mai spezzato. Lo avete
visto coi vostri occhi.»
«Il nostro legame è molto più importante del
semplice stare insieme.» disse Anzu «Le nostre anime
sono diventate una cosa sola. Non importa quanto lontani saremo. Questo legame
non si spezzerà mai.»
«Ben detto.» disse Honda «Noi ormai abbiamo
deciso».
Atem restò un
momento basito, poi chiuse gli occhi e guardò in basso.
«Molto bene».
I ragazzi si scambiarono un ultimo sguardo,
promettendosi col pensiero ancora una volta di restare uniti anche quando il
destino avesse scelto di dividerli, e augurandosi rispettivamente buona fortuna
per quello che sarebbe accaduto da lì in avanti.
Poi, il faraone sorrise, ed ecco che,
magicamente, le quattro porte si unirono tra di loro, trasformandosi in un
unico portone ancora più grande ed imponente, che sovrastava ogni cosa. I ragazzi
lo guardarono attoniti.
«Che significa questo?» chiese Yugi
«Era questa l’ultima prova che dovevate
superare.»
«Che cosa!?» disse Anzu
«Se voi aveste accettato la condizione che vi
avevo imposto nel momento di iniziare quest’avventura, avreste fallito
miseramente.
Ma voi non ci siete cascati. Non solo vi siete
offerti di essere separati pur di evitare che questa sorte toccasse ad uno solo
di voi, ma eravate pronti a farlo con il cuore sereno.
Eravate sicuri che il vostro legame sarebbe
andato ben oltre la semplice possibilità del rinascere insieme, che avrebbe
attraversato il tempo e lo spazio tenendovi uniti in ogni circostanza.
Ed era questa, e solo questa, la vera prova
che dovevate superare. Dimostrare una volta di più quanto quel legame fosse
forte.
E l’avete fatto. Vi siete conquistati il
vostro ben meritato premio».
A quel punto la porta, lentamente, si
spalancò, rivelando al suo interno un nuovo mare di luce, una luce ancor più
calda e piacevole di quella che i ragazzi avevano visto poco prima.
«Atem…» disse Yugi a bocca aperta
«Andate, ora. La vostra nuova vita vi
attende».
Yugi e gli
altri ancora non riuscivano a crederci. Jounouchi e
Honda, passato lo stupore, presero a saltare di gioia come due ebeti cantando
canzoni e facendo la samba abbracciati l’uno all’altro, Anzu
piangeva di meraviglia e di gioia e Yugi sorrideva
come non aveva mai fatto.
Di certo, come avevano detto e credevano
sinceramente, il loro legame andava ben oltre il semplice vivere e rinascere
insieme, ma certo era che questa prospettiva li faceva comunque sentire molto
più sollevati e speranzosi per il futuro.
«Addio, Yugi. Jounouchi. Anzu. Honda.» disse
sorridendo il faraone
«No, Atem.» rispose Yugi «Non addio. Arrivederci».
I quattro ragazzi allora si avvicinarono alla
porta, fermandosi sulla soglia come timorosi, un timore del tutto legittimo
considerato quello che stava per accadere.
Anzu porse la
mano a Yugi, che la raccolse, e che la sua volta la
offrì a Jounouchi, che la offrì a Honda.
«Beh, ragazzi.» disse Yugi
con la voce che tremava un po’ «Allora… ci vediamo
presto.»
«Ci puoi contare.» disse Jounouchi
facendogli l’occhiolino «Goditi pure l’infanzia, perché stai certo che tornerò
a romperti le scatole molto presto».
A quel punto, Yugi e
i suoi compagni mossero un passo oltre la porta, che subito dopo si richiuse
alle loro spalle mentre Atem la osservava.
Mentre camminavano all’interno della luce, i
ragazzi sentirono la loro essenza farsi sempre più esile, fino a che non ebbero
la sensazione di stare come galleggiando nel nulla, trasportati da corrente
invisibile ma ancora, saldamente, stretti per mano.
«Chissà dove finiremo.» chiese Honda mentre
tutti assaporavano quelle sensazioni bellissime
«E chi può dirlo? Però non mi dispiacerebbe
rinascere in un mondo in stile fantascienza. Ci sarebbe da divertirsi.»
«Per carità. Molto meglio qualcosa del tipo
Periodo Edo.»
«Sarà quello che sarà.» disse Anzu
«Hai ragione.» disse Yugi,
mentre ognuno di loro cominciava a sentire, ma senza ansia o timore, di
rimanere da solo, a compiere la parte finale del proprio viaggio «A presto,
amici!».
Nota dell’autore
Eccomi qua!^_^
Bene o male, siamo
arrivati alla fine di questa breve storia.
Ora manca solo l’epilogo,
che pubblicherò probabilmente già domani, poi per qualche giorno dovrò tornare
a concentrarmi unicamente sull’università, ma confido di poter riprendere la
mia solita routine già da dopo il 5 giugno (giorno dell’esame di Retorica).
Prima che me lo
chiediate, sì, per questo capitolo, e soprattutto per la parte finale, sono
andato a rivedermi l’ultima sequenza di Ghost; ero a corto di idee, così sono
voluto andare a colpo sicuro per trovare l’ispirazione.
E allora? In che mondo
finiranno ora Yugi e il suo gruppo?
Vi sfido a
indovinarlo.
Se indovina Otaku, poi, per lui ci sarà una gradita sorpresa
riguardante “l’altra”fiction!
A presto!^_^
Carlos Olivera