“Questa
sera assisteremo
al triste destino che il mondo ha
donato ad alcuni
ai bambini che Dio ha abbandonato,
che provocano brividi senza sosta.
Bambini che non riescono nemmeno a
trascinarsi sulle loro membra storpie…”
“Venite
avanti, rispettabili signori e leggiadre signore! Il Circo
dell’Arca di Noé è
giunto in città, ed è pronto a deliziarvi con la
sua compagnia di acrobati,
domatori, giocolieri, animali e molto altro ancora! Non abbiate paura,
unitevi
a noi e al nostro fantastico spettacolo, non ve ne
pentirete…”
Deformità!
Venite avanti a
vedere
Venite avanti a
vedere!
La
bambina se n’è andata, ma qualcosa di lei
è rimasto nella donna fiera, che
gioca con la tigre come farebbe chiunque con un gattino: una gamba
finta, così
candida e levigata da sembrare vera, inquietante e rigida, in
sostituzione alla
sua che nessun miracolo potrebbe restituirle.
Vieni avanti a
vedere!
Vieni avanti a
vedere!
Sullo spiazzo
di segatura, solo un anello delimita lo spazio tra noi e il mondo. Un
confine
minimo, l’ultimo avamposto che ci divide dal bel mondo che
ogni sera accorre a
riempirsi gli occhi di quanto può essere considerato
terribile, deforme,
spaventoso. La
nostra unica difesa di
fronte a quanto ciò che c’è di
sconosciuto, pronto a ferirci se solo abbassiamo
la guardia.
Chi ha
paura di noi?
Siamo
spettri che vagano affamati in un territorio che non conoscete, anime
dannate,
bambini abbandonati che desideravano solo vivere come i loro coetanei,
tra
giochi e piccoli crucci quotidiani, e che invece sono costretti ad
allestire
ogni sera questo spettacolo per saziarvi, per campare.
Perché voi (noi) esseri
umani siete così strani, difficili da capire… un
momento prima correte
entusiasti e vi radunate sotto il tendone, quello dopo sul vostro viso
si
dipingono espressioni interdette, turbate. Forse non siete pienamente
consci di
ciò che desideriate veramente, o forse è solo una
serie di capricci a muovere
ogni vostra azione.
Ma bando
alle ciance: il pubblico applaude, la musica continua a suonare, la
serata va
portata avanti comunque; il circo segue l’andirivieni del
giorno e della notte,
delle giornate che si susseguono come i fogli di un libro, veloci,
inesorabili.
Scorrono, scorrono, scorrono.
Due lacrime mi solcano il viso, di
matita o d’acqua, non importa, il pubblico non se ne
accorgerà. Chi sono
veramente, ora che devo divertire gli altri, anche se sono io il primo
a
soffrire?
La mia mano
è quella di uno
scheletro, come la tua gamba, e la sua gamba. Anche il cuore non sembra
essere
umano: batte, è vero, ma resta immobile, come se fosse di
piombo. Come si può
considerare altrimenti un cuore che non palpita minimamente alla vista
dei
bambini che ogni giorno vengono rapiti e portati via, con la minaccia
che
sarebbero altri a soffrire al posto loro se qualcuno osasse ribellarsi?
Siamo la ladruncola che piange
all’angolo della strada, senza più un occhio e
senza una casa dove tornare, la
giovane donna zoppa che maledice il suo destino, i due bambini dal
fisico
debilitato, il gigante buono, il ragazzino che si guadagna la vita con
gli
espedienti. Una mano si è tesa per noi, abbiamo ricevuto una
speranza e dei
nuovi arti, ma il prezzo da pagare è stato alto, forse
troppo, ma nulla è
troppo per chi deve contare solo su se stesso ogni giorno.
Camminiamo sulla fune, ci lanciami
dal trapezio, insegniamo ad una tigre ad inchinarsi al pubblico:
intorno a noi
le grida attutiscono l’accartocciarsi dei pensieri, la loro
foga nel
sovrapporsi e nello sgretolarsi, come foglie d’autunno.
Perché se la vita,
ormai, si è ridotta ad un palcoscenico, tutto ciò
che possiamo fare è recitare
al meglio la nostra parte, completamente immedesimati in ciò
che siamo
diventati, perduti in noi stessi. Abbiamo sacrificato tutto, ma
dobbiamo
pensare a noi stessi, e l’ancora di salvezza che ci viene
porta, seppure da un
demone travestito da benefattore, è l’unica che ci
resta.
Lo
spettacolo è finito, tutti se ne vanno: la scena chiude le
porte di fronte al
suo pubblico, ma dietro le quinte il lavoro continua, la troupe si
muove. Domani
si apriranno ai nostri occhi nuovi scenari, nuovi orizzonti, altri
spettatori
da deliziare e meravigliare si faranno avanti e vorranno prendere parte
allo
spettacolo di delizie e spaventosi segreti, che dietro la maschera di
bellezza
nasconde un cuore nero, corroso, ma allo stesso tempo
ammaliante… ogni giorno,
ogni mese, ogni anno, fino a che questo carillon sgangherato
avrà la forza di
girare, di tenersi in piedi per suonare la sua melodia.
E poi,
silenzio.
Un
silenzio che ferisce i timpani.
Note
dell’autrice
Finalmente,
dopo un periodo di indecisione e cincischiamenti vari, sono riuscita a
pubblicare questa fanfiction, che vuole essere una sorta di tributo al
Noah’s
Ark Circus di Kuroshitsuji, uno degli arc narrativi che più
mi ha ispirata e colpita.
Ho amato Joker, Dagger, Beast e tutti gli altri, e vederli sparire
dalla scena
in così pochi numeri è stato davvero un peccato.
Spero di essere riuscita a
rendere con le parole le emozioni che mi ha trasmesso la lettura di
quei
volumi!
Parte
della mia ispirazione – e dei ringraziamenti – sono
dovuti anche al libro Il circo maledetto
di Ann Featherstone
(che leggevo al momento della stesura) e alla canzone sulla quale
l’ho basata,
Dark Wood Circus dei Vocaloid (Miku, Rin e Len). Se vi capita
approfonditeli
entrambi, meritano davvero!