La nostra vita con Zoe
2. Gli amici di Léon
Léon aveva gli occhi verdi quella mattina, e una fidanzata da accompagnare a scuola per la prima volta.
L’aveva conosciuta un mese prima di Natale, ma era riuscito a strapparle un bacio e un assenso solo durante le vacanze.
Si chiamava Giulia, aveva quindici anni come lui, come lui andava al Liceo Classico e ascoltava il rock e il metal.
Abitava fuori città, ma quella mattina si era fatta portare presto dai suoi a casa di Léon per andare a scuola assieme. Fortunatamente non era in classe con lui, altrimenti il ragazzo sapeva che sarebbe stato vittima delle prese in giro di ben ventidue persone. E gli bastavano quelle di due sole persone.
Erano arrivati davanti a scuola già da un po’, e se ne stavano in disparte per avere un po’ di privacy.
«Queste due persone che devi presentarmi quando arrivano?» gli chiese lei, incuriosita.
«Credimi, quando li avrai conosciuti non ti affascineranno più così tanto...»
«Ma sono i tuoi migliori amici! Voglio conoscerli!»
Com’era ingenua, poverina. Stava per abbracciarla, ma il telefono gli vibrò in tasca. La pace era finita.
«Put your hands up in the air, se sei quello con il giubbotto azzurro e lo zaino verde in compagnia di quella un po’ bassa col berretto rosso! Come se potesse esserci un’altra anima con uno zaino come il tuo. Z.»
Con un sorrisetto Léon si rinfilò il cellulare in tasca e si guardò attorno. Individuati i due amici alzò le braccia appena sopra la testa, scatenando le loro risa e la perplessità della fidanzata.
«Preparati perché stanno arrivando.»
Giulia alzò lo sguardo e si vide venire incontro la coppia più strana che avesse mai visto.
Un ragazzo e una ragazza, entrambi vestiti di nero, lei con un cappotto nonostante fosse il 9 di gennaio, lui con un normale piumino. Lei camminava in bilico sul muretto e quando perdeva l’equilibrio si appoggiava a lui, che doveva essere alto più o meno come lei camminando pari.
Lui teneva le mani nelle tasche del piumino e ogni tanto si spostava la tracolla della borsa verde acqua che sbatteva contro quella con la Union Jack di lei, lei gesticolava vistosamente diminuendo così ancora di più lo scarso equilibrio che aveva.
Quando arrivarono alla fine del muretto lui lasciò che lei usasse la sua spalla per aiutarsi a scendere, poi finalmente arrivarono davanti a loro.
La prima cosa che Giulia notò fu la profonda differenza tra i due visi. Lei era una bella ragazza, la pelle bianca e intonsa come porcellana, gli occhi castani leggermente allungati e i capelli castani raccolti in una treccia a spina di pesce.
La pelle del viso del ragazzo invece era arrossata e screpolata dal vento invernale, e rovinata dall’acne. Probabilmente aveva i capelli corti, la berretta li nascondeva, ma che aveva gli occhi verdi si vedeva bene. Quelli di Léon erano molto più belli.
«Allora è lei quella con cui ci sfinisci da novembre! Alleluia!» esordì la ragazza, sorridendo.
Quelli erano i momenti in cui Léon detestava i suoi migliori amici.
«Esatto. Allora ragazzi, lei è Giulia, la mia ragazza. Giulia, loro sono Marco e Zoe, i miei migliori amici. Purtroppo.»
«Purtroppo?! Dovresti solo ringraziarci, siamo gli unici disposti a sopportarti! Piuttosto, non è un po’ troppo bella per te?» chiese Marco.
Giulia arrossì, Léon provò l’ardente desiderio e Zoe spezzò la tensione cominciando a ridere.
«Senti da che pulpito vien la predica! Ti sei mai guardato allo specchio? Secondo la tua logica, chi ti prenderebbe mai?»
Lui le passò un braccio attorno alle spalle con un sorriso strafottente sul viso «Mia cara, per me solo il meglio!» esclamò.
Giulia sorrise «Ma come siete carini!» si lasciò scappare.
Zoe, Marco e Léon si guardarono con aria dubbiosa, poi i primi due scoppiarono a ridere fragorosamente, tanto che Giulia si ritrovò a pensare che i migliori amici del suo ragazzo facessero uso (anzi, abuso) di sostanza stupefacenti.
«Oh, hai proprio ragione mia cara, siamo adorabili!»
«Siamo proprio meravigliosi!» risposero, continuando a ridere e arrotando le r come due cretini.
Zoe fu la prima a notare i lampi d’odio che stavano lanciando gli occhi di Léon. Cercò di riprendere un certo contegno e diede una gomitata nelle costole a Marco perché facesse lo stesso.
«Bene, noi vi lasciamo qui a pomiciare liberamente e entriamo. Anche perché devo copiare latino prima che lo faccia lui.»
«Eh no, mia cara! Questa volta copio prima io!»
«Guarda che ti lascerei anche copiare per primo, se solo non avessi l’assurdo terrore di essere scoperto e non scrivessi per questo una frase ogni dieci minuti. E se riuscissi a interpretare correttamente un’altra calligrafia oltre alla tua e alla mia!»
«Questo perché tu scrivi male quanto me!»
E così se ne andarono, insultandosi e ridendo, lasciando a Giulia il tempo di chiedere spiegazioni.
«Allora sono questi i famosi migliori amici! Mi piacciono, devono essere molto simpatici. Potevi dirmelo però, che sono...»
«Pazzi? Io te l’avevo detto! Ma tranquilla, di solito lo sono un po’ di meno, ma non ci vedevamo da un sacco quindi...»
«Ma no, non pazzi! Che stanno insieme! Perché non me l’hai detto?»
Léon sorrise «Perché non stanno insieme. Ma molti lo pensano, ecco perché si sono messi a fare gli stupidi in quel modo quando hai detto che sono carini. Sono solo migliori amici, ed è un bene per il mondo che non stiano assieme: sarebbero a dir poco esplosivi assieme.»
«Sono solo amici? Davvero? Non si direbbe, io non li conosco ma mi sembrava che ci fosse una chimica pazzesca tra quei due. Da quanto si conoscono?»
«Si conoscono da settembre della prima superiore, ma sono così amici solo da febbraio dell’anno scorso. Anzi, noi tre siamo così amici solo da allora. Ma questa è una storia lunga e te la racconterò un’altra volta, perché si sta facendo tardi e quei due mi hanno fatto venire in mente che anch’io devo copiare latino. Ti accompagno in classe, prima.»
Tornata a casa da scuola, dopo un pranzo in compagnia della madre Federica, Zoe si sciolse la complicata treccia, si infilò dei vestiti più comodi e si immerse nella lettura di Dickens, promettendo alla madre che avrebbe studiato in sua assenza.
Quando, tre ore e innumerevoli capitoli dopo, si sentì piena fino all’orlo di orfani, carbone e maltrattamenti vari, decise che era finalmente il momento di leggere un po’ gli appunti di geometria.
Si sedette a gambe incrociate alla scrivania, ma proprio mentre si accingeva ad aprire l’ordinatissimo quaderno il cellulare appoggiato lì accanto vibrò.
Zoe si sporse un poco a vedere chi le aveva mandato il messaggio che oscurava la foto con i suoi migliori amici che aveva come sfondo. Era proprio Marco, che proponeva un aperitivo al solito bar. Zoe decise che il teorema dell’angolo esterno poteva aspettare; dopotutto erano appena tornati dalle vacanze di Natale, e la suddivisione dell’anno scolastico in trimestre e pentamestre permetteva agli alunni di riposare un’altra settimana prima di ripartire con le spiegazioni e le interrogazioni.
Mancava mezz’ora all’appuntamento, prendendo la bici ci avrebbe messo non più di cinque minuti.
Poteva prendersela comoda.
Si rivestì come quella mattina, assicurandosi che le pieghe del kilt scozzese cadessero perfettamente dritte, che le calze fossero intatte e che non ci fossero macchie di cibo sulla camicia nera. Si infilò il cappotto nero, avvolse attorno al collo la sciarpa beige e con i guanti rossi in una mano e le chiavi di casa nell’altra uscì dalla porta e si diresse in giardino. Solo quando le cadde l’occhio sul suo riflesso in una delle vetrate della serra si accorse di avere ancora i capelli sciolti «Merde!» esclamò, appoggiando guanti e chiavi sul muretto e cercando precipitosamente di riparare al danno.
Purtroppo però mancavano cinque minuti all’appuntamento, così riuscì a farsi solo una misera treccia semplice.
Prese la sua vecchia bici rossa e uscì in strada, pensando che tanto quei due non si sarebbero mai accorti del cambiamento della sua pettinatura.