Il tema
Gli umani sono creature così deboli, piccole, insignificanti.
Pensava questo di loro, Pride.
L’incarnazione della Superbia, colui che tutto
può e a niente rinuncia.
Lo pensava in ogni istante delle sue giornate,
ed era sempre più convinto che fosse indubbiamente così.
Gli umani sono creature fragili, impotenti,
che si attaccano a cose effimere come i sentimenti, venendone schiacciati come
formiche.
Sono la distruzione di loro stessi, e
convivono con questo handicap per tutta la vita, finché la morte non li
raggiunge, eliminando dal mondo ogni traccia di loro.
La loro esistenza ha breve durata, eppure,
sembra che abbiano così tante cose da dire, e da raccontare.
In quel momento, mentre Pride
pensa alla loro fragilità, quegli esseri se ne stanno tutti ricurvi sui loro
banchi, a scrivere fiumi e fiumi di parole, consumando litri di inchiostro, e
fogli.
Pride
guarda la superficie del tavolo su cui poggia le braccia, e la sua mano impugna
una penna la cui punta è ormai secca.
Non ha scritto niente. Il foglio davanti a lui
è bianco, ma vuole essere sporcato.
Deve
essere sporcato. O lui non sarà più il bravo bambino che i piani gli imponevano
di essere; non sarà più Selim Bradley, l’unico figlio
del Comandante Supremo, l’uomo più potente del paese.
Pride
guarda davanti a sé, e i suoi occhi fissano la frase scritta alla lavagna:
“Parla
di tuo padre.”
E’ questo che dice. Ma Pride
non ha un padre; o meglio: Selim non lo ha.
Selim
non ha un vero padre, perché colui dal quale è nato veramente non è il padre
che tutti sanno essere il suo.
Agli occhi del mondo, suo padre è King
Bradley. Ma agli occhi di Pride, King Bradley è Wrath, il minore dei suoi fratelli.
Gli umani sono proprio creature deboli e
insignificanti, già. Ma di fronte a quel tema, di fronte a quella semplice,
piccola frase, colui che tutto può e a niente rinuncia non sa cosa dire.
Per la prima volta nell’arco della sua lunga
esistenza, Pride non sa come agire.
Ci sono tante cose che potrebbe scrivere sul
suo vero padre, ma non può farlo. Quello di cui deve parlare è King Bradley.
E Pride non vuole
farlo.
Non vuole, perché ha paura.
Paura di credere davvero in ciò che scriverà;
paura di provare sentimenti e di venirne schiacciato.
Paura, di somigliare a un umano.
“Non ti senti bene, Selim?”
La maestra ha un’espressione preoccupata in
volto. Le sembra strano che proprio lui, l’alunno più bravo della classe, non
abbia ancora posato la penna sul foglio.
Pride
la guarda, con gli occhi di Selim, e le rivolge un
sorriso.
“No maestra. E’ che non so da dove
cominciare.”
La donna gli sorride a sua volta, e si sente
rincuorata.
“Certo, capisco. Avrai talmente tante cose da
dire su tuo padre, che sceglierne una da cui partire risulta difficile. Non
preoccuparti, prenditi tutto il tempo che vuoi.”
E così dicendo, gli dà una carezza sulla
schiena e riprende a girare fra i banchi.
Selim
le sorride ancora. Poi, i suoi occhi si posano nuovamente su quel foglio
bianco.
Deve scrivere qualcosa, ora.
Deve sporcare di parole quella candida
superficie, senza dare troppa importanza ai pensieri, ma badando soltanto a
mentire come è sempre stato abituato a fare.
Emette un profondo sospiro, e comincia a farsi
domande su chi sia King Bradley, giudicandolo con la mentalità di un cittadino
qualunque.
“Mio padre è il Comandante Supremo di Amestris.”
Scrive così, e subito stacca la penna dal
foglio, rileggendo la frase ancora una volta, con la scusa di verificare che
non ci fossero errori.
“Mio
padre è un Homunculus.”
Questo, avrebbe dovuto scrivere un bambino
sincero. Questo avrebbe scritto Selim se non fosse
stato Pride.
Ma Selim era Pride. E quindi, doveva mentire.
Sospira, e butta giù altre parole, proseguendo
su quella stessa linea.
“Lavora molto e fa del suo meglio per questo
paese.”
La sua mano si ferma e la penna preme con
forza sul punto che segna la fine della frase.
Pride
aggrotta le sopracciglia, e scuote leggermente la testa.
“Lavora
molto e fa del suo meglio per obbedire agli ordine del Padre.”
Il Padre, colui dal quale lui e tutti i suoi
fratelli erano nati, era l’unico motivo per cui King Bradley lavorava.
Non c’era alcun popolo, né alcun paese da
difendere; l’unica cosa che importava era soddisfare le esigenze di colui che
li aveva creati.
“Il popolo di questo paese è sempre nel cuore
di mio padre.”
Continua a scrivere e, questa volta, un ghigno
ironico gli sorge inevitabile sul volto.
“Mio
padre non ha un cuore, né per il suo popolo, né per il suo paese.”
La sconvolgente verità che questo suo pensiero
avrebbe rivelato se impresso su carta, sarebbe stato l’errore più imperdonabile
della sua vita, marchiabile col tradimento, e punibile con la morte.
Ma Pride non era
quel bambino sincero che tutti conoscevano; non era Selim
Bradley.
E dunque, poteva mentire. Anzi, doveva farlo, perché questo era il
compito che Il Padre gli aveva assegnato.
E perché mai bisognerebbe disobbedire agli
ordini di un padre?
“Deve affrontare molti problemi diversi,
affinché tutti possano vivere in pace.”
Certo, è vero. Un Comandante Supremo deve
senza dubbio fronteggiare le difficoltà e garantire l’ordine di un paese.
Ma non King Bradley.
King Bradley è solo una pedina; il frutto di
un esperimento ben riuscito, in grado di ingannare un’intera nazione per quasi
quarant’anni.
“Deve
affrontare molti problemi diversi, affinché nessuno scopra chi sia veramente.”
Se qualcuno se ne fosse accorto, se qualcuno
avesse scoperto che, in realtà, colui che guidò l’esercito durante la battaglia
di Ishbar fosse in realtà un Homunculus, tutti i loro
piani di conquista sarebbero usciti allo scoperto, portando panico e caos nella
nazione.
E al Padre non piaceva agire nel disordine.
Ogni cosa doveva essere organizzata con estrema precisione. Dopotutto, era per
questo motivo se aveva deciso di dare ai suoi figli un’esistenza propria,
staccandoli dal proprio corpo e gettandoli nel mondo sotto sembianze umane.
Pride
sospirò. Era un po’ che la sua penna era staccata dal foglio. I pensieri che lo
avevano avvolto negli ultimi istanti avevano bloccato la sua determinazione.
Si era imposto di scrivere, e lo aveva fatto.
Ma qualcosa nella sua mente lo spinse a riflettere sul fatto che un uomo, nel
mondo in cui viveva, non aveva solo una vita pubblica e dei doveri da compiere.
Quello che mancava nel suo tema era forse la
parte più importante: la famiglia.
Proprio perché esseri artificiali che non
hanno origine da un grembo materno, gli Homunculus non possono avere figli, né
dunque una famiglia.
Ma King
Bradley ce l’aveva. O
almeno, si pensava che ne avesse una.
Quello che adesso Pride
doveva fare era scrivere di lui, e di come, al di là del lavoro, fosse anche un
buon marito e un ottimo padre.
“Ma per quanto occupato sia, mio padre non
dimentica mai la famiglia.”
Rilegge la frase che ha appena scritto, e i
suoi occhi rimangono fissi sulla superficie del foglio.
E’ in uno stato di trance. Per un attimo, la
sua mente si distacca da quel mondo, e Pride può quasi
sentire la sua mano stretta a quella della signora Bradley, la madre di Selim,
colei che sposò Wrath, e si occupò di lui come vero figlio
del suo grembo.
Pride
riflette, e pensa che, dopotutto, quell’ultima affermazione non è poi una bugia
così grande.
E’ vero, un Homunculus non deve avere una
famiglia, non può. Tuttavia, era sbagliato affermare che quelli come loro non
avessero sentimenti. Infatti, proprio perché incarnazione di sette diverse
emozioni umane, sia Pride che i suoi fratelli
potevano percepire chiaramente quelle sensazioni di cui gli umani amavano
nutrirsi.
Ed era proprio questo il punto debole di
ognuno di loro.
Non importava quanta superbia, avidità o lussuria
ci fosse nelle loro anime, poiché nessuna di queste emozioni avrebbe invaso
completamente il loro istinto.
C’era uno spazio anche per il resto. Ed era
proprio da questo resto, che loro
dovevano difendersi.
L’amicizia, l’amore, la pietà, l’altruismo… erano tutti nemici da evitare, e ai quali era
meglio avvicinarsi il meno possibile.
Pride
non voleva essere debole, piccolo e insignificante; non voleva essere come un
umano.
Ed era proprio per questa ragione che odiava
il suo involucro.
Le sembianze che il Padre gli aveva donato
servivano a contenere la sua instancabile superbia, e ad evitare che potesse
ribellarsi a lui, fonte originaria della sua esistenza.
Quel corpo, immagine di innocenza e purezza,
non corrispondeva affatto a ciò che vi era contenuto dentro. Il suo vero
aspetto, la vera natura del suo spirito si manifestava ovunque ci fosse anche
un solo, debole raggio di luce.
Di tutti i suoi fratelli, Pride
era il più potente, perché vantava una dote unica e inimitabile: poteva essere dappertutto. Nell’ombra di un uomo, di
un edificio, o anche in quella di un semplice, banalissimo sasso. Ovunque il
suo involucro si trovasse, la molteplicità dei suoi bulbi oculari poteva
infiltrasi in ogni dove, passando inosservata anche di fronte al più attento
degli sguardi.
Il Padre diceva sempre che finché il sole
sarebbe esistito, Pride non sarebbe mai morto. Ma
questo, non lo rendeva forse limitato alla stregua di un umano?
Togli il sole a un umano, e quello muore.
Togli il sole a Pride,
e anch’egli cessa d’esistere.
A meno che, non ci sia un rifugio adeguato in cui infilarsi, un’ancora di salvezza che,
seppur scomoda da afferrare, pareva essere il posto più sicuro del mondo.
E quel rifugio, quell’ancora, quel posto così
indispensabile alla sopravvivenza, non era altri che Selim
Bradley. Un riflesso, l’imitazione di
un semplice umano che, nonostante quelle apparenze così inutili, si rivelava
essere l’unica cosa veramente utile che Pride
possedesse, e forse… l’unica cosa che amasse
veramente di sé.
Sì, Pride nutriva
uno strano sentimento nei confronti di Selim Bradley.
Lo odiava perché lo faceva somigliare ad un essere limitato. Ma, al contempo, era
in grado di rendersi conto di quanto, in realtà, il più limitato fra i due non
fosse altro che lui: l’ombra che muore al calar della notte.
La mente dell’Homunculus è ancora rivolta
altrove, mentre la sua mano inizia a tremare.
Deglutisce. Non sa perché si senta così
strano, o meglio, lo sa, ma non vuole accettarlo.
In quel momento che lo vede costretto a
riflettere così a lungo su di sé e sul suo compito, Pride
non vuole ammettere a se stesso che ciò che scriverà a breve non avrà bisogno
di alcuna correzione mentale, e si fa forza, incidendo parole che scorrono
sotto ai suoi occhi come la più temibile delle minacce.
“Il mio papà vuole molto bene a me e a mia madre…”
S’interrompe. E si accorge, che quanto ha
scritto è ciò che vorrebbe.
Non era tanto la veridicità di ciò che
scriveva a spaventarlo, quanto la dura consapevolezza che quello era ciò che
avrebbe desiderato. Una famiglia. Ma una vera, dove nessuno recitava e dove
tutti fossero sinceri gli uni con gli altri.
Alla fine, Pride si
era immedesimato così bene nel personaggio di Selim,
che quasi sperava di diventarlo davvero. E quando si rende conto di questa
verità, scuote la testa e stringe la penna che ha in mano, talmente forte quasi
da provocarne la rottura.
Non
vuole. Non vuole che quel pezzo di carta senza
valore diventi un nemico più forte di lui.
Deve resistere; Pride
non deve lasciarsi schiacciare dalle sue stesse parole, non deve autodistruggersi.
L’autodistruzione è da deboli, è da umani.
E lui non è un umano, ma qualcosa di superiore; un essere il cui orgoglio e
l’onore sono unici e insuperabili.
Sospira, e si concentra ancora una volta sull’immagine
di King Bradley, sorridendo al pensiero di come tutti fossero convinti del suo
immenso potere.
Per il popolo, non vi era uomo più potente di
lui.
Ma si sbagliavano. Eccome, se si sbagliavano.
Perché di fronte al Padre e allo stesso Pride, King
Bradley non era assolutamente nessuno.
“Mio padre mi ascolta sempre quando parlo, e
accontenta sempre le mie richieste…”
Certo. Certo che lo accontenta. Se così non
facesse, Il Padre non mediterebbe un istante sull’idea di gettarlo in quel
pozzo di lava incandescente che aveva divorato anche Greed.
King Bradley doveva obbedire. E, in quanto
minore dei sette fratelli, doveva più di tutti assecondare gli ordini dei suoi
superiori.
Erano come uno schiavo e il suo padrone, Wrath e suo fratello maggiore. Il primo non doveva mai
contraddire il secondo, e doveva annuire alle sue direttive come se si trovasse
in presenza dello stesso Padre.
Tuttavia, mentre Pride
si prepara a concludere il tema con la frase finale, qualcosa dentro di lui
sembra trascinarlo con forza verso il lato più debole del suo cuore; il lato umano, quello che Pride
cerca di reprimere e che Selim vuole far emergere.
L’Homunculus trema. La sua mano umida poggia
ancora una volta la penna sul foglio e libera le ultime linee d’inchiostro.
“Per tutte queste ragioni, io voglio molto
bene a mio padre.”
***
E’ sera.
La famiglia Bradley ha da poco cenato, e per Selim è quasi ora di andare a dormire.
Durante il pasto, il figlio del Comandante
Supremo ha letto il suo tema ai suoi genitori, che ne sono subito rimasti
entusiasti.
“La maestra ha detto che è stato il tema più
bello di tutti.”
Aveva affermato la signora Bradley, orgogliosa
di suo figlio come nessun’altra mamma.
A quelle parole, King Bradley aveva sorriso,
senza aggiungere nient’altro.
Poche ore dopo, Pride
entra nella sua camera da letto, e vi trova Wrath.
“Cosa ci fai nella mia stanza, Wrath?”
Il tono con cui l’Homunculus rimprovera il suo
fratellino è duro e imperativo.
Wrath
sussulta per un attimo, e si gira verso di lui con la fronte lievemente sudata.
Si guardano, e per un po’, non dicono niente.
Poi, Wrath abbassa
il capo e confessa il motivo della sua intrusione.
“Cercavo il tema.”
Per un attimo, negli occhi di Pride si può intravedere un lieve spiraglio di luce. La sua
espressione non cambia, ma dentro di sé, l’Homunculus sa che sta solo
trattenendo le sue emozioni.
“A che ti serve?”
Le sue domande sono fredde e taglienti. Tutta
l’atmosfera, in realtà, è in quel momento la più gelida che ci sia mai stata
attorno a loro.
Wrath
deglutisce, ma la sua rigida figura non si scompone. Ormai, è abituato a
conservare un certo rigore.
“Mia moglie vuole leggerlo ancora.”
A quelle parole, Pride
chiude gli occhi e sospira. Sa di per certo che quella è solo una scusa.
Lo sa, perché ormai lo conosce, e ha capito
che quello che vorrebbe è la stessa cosa da cui lui ha sempre cercato di
scappare.
“Stai attento, Wrath.”
L’Homunculus lo mette ancora una volta in
guardia, perché sa cosa succede a chi si lascia persuadere dagli umani e dalle
loro emozioni: finisce bruciato, sciolto in un pozzo di lava dal quale è
impossibile fuggire.
“Finora ho sempre chiuso un occhio con te. Ma
non significa che sia disposto a farlo per ogni palpebra che possiedo.”
Così dice, e poi, lo congeda senza aggiungere
altro.
***
Angolo dell’autrice
Ciao a tutti. Questa piccola One Shot è la mia terza fan
fiction su Fullmetal Alchemist.
E’ ispirata all’episodio 24 di Brotherhood, dove Selim legge il suo tema ai genitori. Non ricordo se la
scena fosse presente o no anche nel manga, così ho ritenuto giusto farvelo
sapere!
Amo il personaggio di Pride
e, in particolare, lo strano rapporto che lo lega a Wrath.
Credo che per una buona parte della sua vita, Pride
ignorasse completamente l’idea di poter provare dei sentimenti nei confronti
degli umani. Ma da quando il suo ruolo è diventato quello di Selim Bradley, penso che abbia cominciato pian piano a
riflettere su di sé e sul significato della sua esistenza. Lo trovo un
personaggio molto profondo, che ha molto da dire e da raccontare. Spero di
scrivere presto qualcos’altro su di lui, e magari anche su Wrath!
Intanto, spero che abbiate apprezzato questo
mio piccolo omaggio nei suoi confronti. Di solito non scrivo mai storie narrate
al tempo presente, quindi spero di non aver fatto confusione con i tempi (anche
se alcune frasi sono appositamente narrate al passato).
Alla prossima!
Strato.