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Autore: Stratovella    02/06/2012    4 recensioni
"Alla fine, Pride si era immedesimato così bene nel personaggio di Selim, che quasi sperava di diventarlo davvero.
E quando si rende conto di questa verità, scuote la testa e stringe la penna che ha in mano [...]
Non vuole. Non vuole che quel pezzo di carta senza valore diventi un nemico più forte di lui.
Deve resistere; Pride non deve lasciarsi schiacciare dalle sue stesse parole, non deve autodistruggersi.
L’autodistruzione è da deboli, è da umani.
E lui non è un umano, ma qualcosa di superiore; un essere il cui orgoglio e l’onore sono unici e insuperabili."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Pride, Wrath
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il tema

Gli umani sono creature così deboli, piccole, insignificanti.

 

Pensava questo di loro, Pride.

L’incarnazione della Superbia, colui che tutto può e a niente rinuncia.

Lo pensava in ogni istante delle sue giornate, ed era sempre più convinto che fosse indubbiamente così.

Gli umani sono creature fragili, impotenti, che si attaccano a cose effimere come i sentimenti, venendone schiacciati come formiche.

Sono la distruzione di loro stessi, e convivono con questo handicap per tutta la vita, finché la morte non li raggiunge, eliminando dal mondo ogni traccia di loro.

La loro esistenza ha breve durata, eppure, sembra che abbiano così tante cose da dire, e da raccontare.

In quel momento, mentre Pride pensa alla loro fragilità, quegli esseri se ne stanno tutti ricurvi sui loro banchi, a scrivere fiumi e fiumi di parole, consumando litri di inchiostro, e fogli.

Pride guarda la superficie del tavolo su cui poggia le braccia, e la sua mano impugna una penna la cui punta è ormai secca.

Non ha scritto niente. Il foglio davanti a lui è bianco, ma vuole essere sporcato.

Deve essere sporcato. O lui non sarà più il bravo bambino che i piani gli imponevano di essere; non sarà più Selim Bradley, l’unico figlio del Comandante Supremo, l’uomo più potente del paese.

Pride guarda davanti a sé, e i suoi occhi fissano la frase scritta alla lavagna:

 

“Parla di tuo padre.”

 

E’ questo che dice. Ma Pride non ha un padre; o meglio: Selim non lo ha.

Selim non ha un vero padre, perché colui dal quale è nato veramente non è il padre che tutti sanno essere il suo.

Agli occhi del mondo, suo padre è King Bradley. Ma agli occhi di Pride, King Bradley è Wrath, il minore dei suoi fratelli.

Gli umani sono proprio creature deboli e insignificanti, già. Ma di fronte a quel tema, di fronte a quella semplice, piccola frase, colui che tutto può e a niente rinuncia non sa cosa dire.

Per la prima volta nell’arco della sua lunga esistenza, Pride non sa come agire.

Ci sono tante cose che potrebbe scrivere sul suo vero padre, ma non può farlo. Quello di cui deve parlare è King Bradley.

E Pride non vuole farlo.

Non vuole, perché ha paura.

Paura di credere davvero in ciò che scriverà; paura di provare sentimenti e di venirne schiacciato.

Paura, di somigliare a un umano.

 

“Non ti senti bene, Selim?”

 

La maestra ha un’espressione preoccupata in volto. Le sembra strano che proprio lui, l’alunno più bravo della classe, non abbia ancora posato la penna sul foglio.

Pride la guarda, con gli occhi di Selim, e le rivolge un sorriso.

 

“No maestra. E’ che non so da dove cominciare.”

 

La donna gli sorride a sua volta, e si sente rincuorata.

 

“Certo, capisco. Avrai talmente tante cose da dire su tuo padre, che sceglierne una da cui partire risulta difficile. Non preoccuparti, prenditi tutto il tempo che vuoi.”

 

E così dicendo, gli dà una carezza sulla schiena e riprende a girare fra i banchi.

Selim le sorride ancora. Poi, i suoi occhi si posano nuovamente su quel foglio bianco.

Deve scrivere qualcosa, ora.

Deve sporcare di parole quella candida superficie, senza dare troppa importanza ai pensieri, ma badando soltanto a mentire come è sempre stato abituato a fare.

Emette un profondo sospiro, e comincia a farsi domande su chi sia King Bradley, giudicandolo con la mentalità di un cittadino qualunque.

 

“Mio padre è il Comandante Supremo di Amestris.”

 

Scrive così, e subito stacca la penna dal foglio, rileggendo la frase ancora una volta, con la scusa di verificare che non ci fossero errori.

 

“Mio padre è un Homunculus.”

 

Questo, avrebbe dovuto scrivere un bambino sincero. Questo avrebbe scritto Selim se non fosse stato Pride.

Ma Selim era Pride. E quindi, doveva mentire.

Sospira, e butta giù altre parole, proseguendo su quella stessa linea.

 

“Lavora molto e fa del suo meglio per questo paese.”

 

La sua mano si ferma e la penna preme con forza sul punto che segna la fine della frase.

Pride aggrotta le sopracciglia, e scuote leggermente la testa.

 

“Lavora molto e fa del suo meglio per obbedire agli ordine del Padre.”

 

Il Padre, colui dal quale lui e tutti i suoi fratelli erano nati, era l’unico motivo per cui King Bradley lavorava.

Non c’era alcun popolo, né alcun paese da difendere; l’unica cosa che importava era soddisfare le esigenze di colui che li aveva creati.

 

“Il popolo di questo paese è sempre nel cuore di mio padre.”

 

Continua a scrivere e, questa volta, un ghigno ironico gli sorge inevitabile sul volto.

 

“Mio padre non ha un cuore, né per il suo popolo, né per il suo paese.”

 

La sconvolgente verità che questo suo pensiero avrebbe rivelato se impresso su carta, sarebbe stato l’errore più imperdonabile della sua vita, marchiabile col tradimento, e punibile con la morte.

Ma Pride non era quel bambino sincero che tutti conoscevano; non era Selim Bradley.

E dunque, poteva mentire. Anzi, doveva farlo, perché questo era il compito che Il Padre gli aveva assegnato.

E perché mai bisognerebbe disobbedire agli ordini di un padre?

 

“Deve affrontare molti problemi diversi, affinché tutti possano vivere in pace.”

 

Certo, è vero. Un Comandante Supremo deve senza dubbio fronteggiare le difficoltà e garantire l’ordine di un paese.

Ma non King Bradley.

King Bradley è solo una pedina; il frutto di un esperimento ben riuscito, in grado di ingannare un’intera nazione per quasi quarant’anni.

 

“Deve affrontare molti problemi diversi, affinché nessuno scopra chi sia veramente.”

 

Se qualcuno se ne fosse accorto, se qualcuno avesse scoperto che, in realtà, colui che guidò l’esercito durante la battaglia di Ishbar fosse in realtà un Homunculus, tutti i loro piani di conquista sarebbero usciti allo scoperto, portando panico e caos nella nazione.

E al Padre non piaceva agire nel disordine. Ogni cosa doveva essere organizzata con estrema precisione. Dopotutto, era per questo motivo se aveva deciso di dare ai suoi figli un’esistenza propria, staccandoli dal proprio corpo e gettandoli nel mondo sotto sembianze umane.

Pride sospirò. Era un po’ che la sua penna era staccata dal foglio. I pensieri che lo avevano avvolto negli ultimi istanti avevano bloccato la sua determinazione.

Si era imposto di scrivere, e lo aveva fatto. Ma qualcosa nella sua mente lo spinse a riflettere sul fatto che un uomo, nel mondo in cui viveva, non aveva solo una vita pubblica e dei doveri da compiere.

Quello che mancava nel suo tema era forse la parte più importante: la famiglia.

Proprio perché esseri artificiali che non hanno origine da un grembo materno, gli Homunculus non possono avere figli, né dunque una famiglia.

Ma King Bradley ce l’aveva. O almeno, si pensava che ne avesse una.

Quello che adesso Pride doveva fare era scrivere di lui, e di come, al di là del lavoro, fosse anche un buon marito e un ottimo padre.

 

“Ma per quanto occupato sia, mio padre non dimentica mai la famiglia.”

 

Rilegge la frase che ha appena scritto, e i suoi occhi rimangono fissi sulla superficie del foglio.

E’ in uno stato di trance. Per un attimo, la sua mente si distacca da quel mondo, e Pride può quasi sentire la sua mano stretta a quella della signora Bradley, la madre di Selim, colei che sposò Wrath, e si occupò di lui come vero figlio del suo grembo.

Pride riflette, e pensa che, dopotutto, quell’ultima affermazione non è poi una bugia così grande.

E’ vero, un Homunculus non deve avere una famiglia, non può. Tuttavia, era sbagliato affermare che quelli come loro non avessero sentimenti. Infatti, proprio perché incarnazione di sette diverse emozioni umane, sia Pride che i suoi fratelli potevano percepire chiaramente quelle sensazioni di cui gli umani amavano nutrirsi.

Ed era proprio questo il punto debole di ognuno di loro.

Non importava quanta superbia, avidità o lussuria ci fosse nelle loro anime, poiché nessuna di queste emozioni avrebbe invaso completamente il loro istinto.

C’era uno spazio anche per il resto. Ed era proprio da questo resto, che loro dovevano difendersi.

L’amicizia, l’amore, la pietà, l’altruismo… erano tutti nemici da evitare, e ai quali era meglio avvicinarsi il meno possibile.

Pride non voleva essere debole, piccolo e insignificante; non voleva essere come un umano.

Ed era proprio per questa ragione che odiava il suo involucro.

Le sembianze che il Padre gli aveva donato servivano a contenere la sua instancabile superbia, e ad evitare che potesse ribellarsi a lui, fonte originaria della sua esistenza.

Quel corpo, immagine di innocenza e purezza, non corrispondeva affatto a ciò che vi era contenuto dentro. Il suo vero aspetto, la vera natura del suo spirito si manifestava ovunque ci fosse anche un solo, debole raggio di luce.

Di tutti i suoi fratelli, Pride era il più potente, perché vantava una dote unica e inimitabile: poteva essere dappertutto. Nell’ombra di un uomo, di un edificio, o anche in quella di un semplice, banalissimo sasso. Ovunque il suo involucro si trovasse, la molteplicità dei suoi bulbi oculari poteva infiltrasi in ogni dove, passando inosservata anche di fronte al più attento degli sguardi.

Il Padre diceva sempre che finché il sole sarebbe esistito, Pride non sarebbe mai morto. Ma questo, non lo rendeva forse limitato alla stregua di un umano?

Togli il sole a un umano, e quello muore.

Togli il sole a Pride, e anch’egli cessa d’esistere.

A meno che, non ci sia un rifugio adeguato in cui infilarsi, un’ancora di salvezza che, seppur scomoda da afferrare, pareva essere il posto più sicuro del mondo.

E quel rifugio, quell’ancora, quel posto così indispensabile alla sopravvivenza, non era altri che Selim Bradley. Un riflesso, l’imitazione di un semplice umano che, nonostante quelle apparenze così inutili, si rivelava essere l’unica cosa veramente utile che Pride possedesse, e forse… l’unica cosa che amasse veramente di sé.

Sì, Pride nutriva uno strano sentimento nei confronti di Selim Bradley. Lo odiava perché lo faceva somigliare ad un essere limitato. Ma, al contempo, era in grado di rendersi conto di quanto, in realtà, il più limitato fra i due non fosse altro che lui: l’ombra che muore al calar della notte.

La mente dell’Homunculus è ancora rivolta altrove, mentre la sua mano inizia a tremare.

Deglutisce. Non sa perché si senta così strano, o meglio, lo sa, ma non vuole accettarlo.

In quel momento che lo vede costretto a riflettere così a lungo su di sé e sul suo compito, Pride non vuole ammettere a se stesso che ciò che scriverà a breve non avrà bisogno di alcuna correzione mentale, e si fa forza, incidendo parole che scorrono sotto ai suoi occhi come la più temibile delle minacce.

 

“Il mio papà vuole molto bene a me e a mia madre…

 

S’interrompe. E si accorge, che quanto ha scritto è ciò che vorrebbe.

Non era tanto la veridicità di ciò che scriveva a spaventarlo, quanto la dura consapevolezza che quello era ciò che avrebbe desiderato. Una famiglia. Ma una vera, dove nessuno recitava e dove tutti fossero sinceri gli uni con gli altri.

Alla fine, Pride si era immedesimato così bene nel personaggio di Selim, che quasi sperava di diventarlo davvero. E quando si rende conto di questa verità, scuote la testa e stringe la penna che ha in mano, talmente forte quasi da provocarne la rottura.

Non vuole. Non vuole che quel pezzo di carta senza valore diventi un nemico più forte di lui.

Deve resistere; Pride non deve lasciarsi schiacciare dalle sue stesse parole, non deve autodistruggersi.

L’autodistruzione è da deboli, è da umani.

E lui non è un umano, ma qualcosa di superiore; un essere il cui orgoglio e l’onore sono unici e insuperabili.

Sospira, e si concentra ancora una volta sull’immagine di King Bradley, sorridendo al pensiero di come tutti fossero convinti del suo immenso potere.

Per il popolo, non vi era uomo più potente di lui.

Ma si sbagliavano. Eccome, se si sbagliavano. Perché di fronte al Padre e allo stesso Pride, King Bradley non era assolutamente nessuno.

 

“Mio padre mi ascolta sempre quando parlo, e accontenta sempre le mie richieste…

 

Certo. Certo che lo accontenta. Se così non facesse, Il Padre non mediterebbe un istante sull’idea di gettarlo in quel pozzo di lava incandescente che aveva divorato anche Greed.

King Bradley doveva obbedire. E, in quanto minore dei sette fratelli, doveva più di tutti assecondare gli ordini dei suoi superiori.

Erano come uno schiavo e il suo padrone, Wrath e suo fratello maggiore. Il primo non doveva mai contraddire il secondo, e doveva annuire alle sue direttive come se si trovasse in presenza dello stesso Padre.

Tuttavia, mentre Pride si prepara a concludere il tema con la frase finale, qualcosa dentro di lui sembra trascinarlo con forza verso il lato più debole del suo cuore; il lato umano, quello che Pride cerca di reprimere e che Selim vuole far emergere.

L’Homunculus trema. La sua mano umida poggia ancora una volta la penna sul foglio e libera le ultime linee d’inchiostro.

 

“Per tutte queste ragioni, io voglio molto bene a mio padre.”

 

***

 

E’ sera.

La famiglia Bradley ha da poco cenato, e per Selim è quasi ora di andare a dormire.

Durante il pasto, il figlio del Comandante Supremo ha letto il suo tema ai suoi genitori, che ne sono subito rimasti entusiasti.

 

“La maestra ha detto che è stato il tema più bello di tutti.”

 

Aveva affermato la signora Bradley, orgogliosa di suo figlio come nessun’altra mamma.

A quelle parole, King Bradley aveva sorriso, senza aggiungere nient’altro.

Poche ore dopo, Pride entra nella sua camera da letto, e vi trova Wrath.

 

“Cosa ci fai nella mia stanza, Wrath?”

 

Il tono con cui l’Homunculus rimprovera il suo fratellino è duro e imperativo.

Wrath sussulta per un attimo, e si gira verso di lui con la fronte lievemente sudata.

Si guardano, e per un po’, non dicono niente.

Poi, Wrath abbassa il capo e confessa il motivo della sua intrusione.

 

“Cercavo il tema.”

 

Per un attimo, negli occhi di Pride si può intravedere un lieve spiraglio di luce. La sua espressione non cambia, ma dentro di sé, l’Homunculus sa che sta solo trattenendo le sue emozioni.

 

“A che ti serve?”

 

Le sue domande sono fredde e taglienti. Tutta l’atmosfera, in realtà, è in quel momento la più gelida che ci sia mai stata attorno a loro.

Wrath deglutisce, ma la sua rigida figura non si scompone. Ormai, è abituato a conservare un certo rigore.

 

“Mia moglie vuole leggerlo ancora.”

 

A quelle parole, Pride chiude gli occhi e sospira. Sa di per certo che quella è solo una scusa.

Lo sa, perché ormai lo conosce, e ha capito che quello che vorrebbe è la stessa cosa da cui lui ha sempre cercato di scappare.

 

“Stai attento, Wrath.”

 

L’Homunculus lo mette ancora una volta in guardia, perché sa cosa succede a chi si lascia persuadere dagli umani e dalle loro emozioni: finisce bruciato, sciolto in un pozzo di lava dal quale è impossibile fuggire.

 

“Finora ho sempre chiuso un occhio con te. Ma non significa che sia disposto a farlo per ogni palpebra che possiedo.”

 

Così dice, e poi, lo congeda senza aggiungere altro.

 

***

 

Angolo dell’autrice

 

Ciao a tutti. Questa piccola One Shot è la mia terza fan fiction su Fullmetal Alchemist. E’ ispirata all’episodio 24 di Brotherhood, dove Selim legge il suo tema ai genitori. Non ricordo se la scena fosse presente o no anche nel manga, così ho ritenuto giusto farvelo sapere!

Amo il personaggio di Pride e, in particolare, lo strano rapporto che lo lega a Wrath. Credo che per una buona parte della sua vita, Pride ignorasse completamente l’idea di poter provare dei sentimenti nei confronti degli umani. Ma da quando il suo ruolo è diventato quello di Selim Bradley, penso che abbia cominciato pian piano a riflettere su di sé e sul significato della sua esistenza. Lo trovo un personaggio molto profondo, che ha molto da dire e da raccontare. Spero di scrivere presto qualcos’altro su di lui, e magari anche su Wrath!

Intanto, spero che abbiate apprezzato questo mio piccolo omaggio nei suoi confronti. Di solito non scrivo mai storie narrate al tempo presente, quindi spero di non aver fatto confusione con i tempi (anche se alcune frasi sono appositamente narrate al passato).

 

Alla prossima!

 

Strato.

  
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