Ci sono i pugni del vento contro il vetro ed il roboante scalpitio del tuo cuore, a musicare quelli che non sai se saranno o meno i tuoi ultimi istanti. Immoto in un cerchio di sale, ti senti prigioniero dei tuoi errori – errori che vanno al di là dell’uccisione di Amy o dell’averci provato con quella tipa del bar, errori che corrodono quella tua stessa, sporca anima che il destino ha delegato qualcun altro per strapparti via. Qualcuno che ne ha molto più diritto di te, che sei così meschino da fingere d’avere anche tu la grande muraglia di Dean ad occultare le tue colpe dalla memoria. Qualcuno che la propria vita l’ha azzittita per te, qualcuno che, per quanto ne sai, te l’avrebbe data in mano, quella stessa vita.
L’hai già vista qualche ora prima, incorporea e bianca, ma l’esplosione di Carthage è ancora lì, nella tua testa, a tacere qualsivoglia tentativo di distrazione. Senti sulle labbra il sapore del vostro addio, un po’ di zolfo, un po’ di lei, e in quella sensazione cerchi di comprendere se davvero vuoi che Sam si sbrighi a fare il suo lavoro. Hai bisogno di ripulirti il cuore e chiederle scusa – per quanto ciò possa comportare un insperato commiato a questo mondo – e guardarla, ricordarla, crogiolarti nella sua vendetta lenitiva per non avvertire più l’odore acre del rimorso su ogni nuova camicia che indossi.

Ed ecco: le tende si gonfiano di vento, le luci tremano, il respiro si condensa.
Jo Harvelle sta per arrivare.