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Autore: Fiordaliso90    03/06/2012    0 recensioni
A Torino Bianca ha sofferto, ha amato, è stata distrutta, ma ha saputo rialzarsi. Torino non è solo una città per lei. Torino è il suo cuore, la sua vita.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È così sbagliato il modo in cui ogni tanto ti penso.
Non sei un bel ricordo, non sai di salsedine sulla pelle, di mattinate assolate, non sai di buono.
Sei una notte di fulmini e grandine, un autobus che non passa, una canzone poco orecchiabile e priva di senso, sei odio puro e cattive abitudini.
È trascorso un bel po’ di tempo, eppure ho ancora due parole da dirti, qualcosa da farti presente per sentirmi più libera.
 
Accartocciai per la cinquecentesima volta quelle poche righe e provai, senza alcuna speranza, a centrare il cestino.
Come ero arivata a questo punto?
Mille parole, migliaia di lettere, miriadi di macchie blu che comparivano come funghi sulle mie mani … quaderni pieni zeppi di pensieri, penne scariche, mal di testa cronici.
Questi erano i risultati di una rottura che non avevo cercato, e che mi era piombata addosso senza nessun preavviso. Mi sarebbe bastatato uno schifoso segnale e forse sarei stata pronta per il disgregamento lento e doloroso del mio mondo perfetto.
Il metodo migliore per non soccombere ai ricordi e alle opportunità gettate via senza troppa coscienza era uscire. Uscire da quelle strette mura, davvero troppo strette.
Il principe sordomuto Emanuele Filiberto di Savoia-Carignano fece edificare quattro secoli fa Palazzo Carignano, da cui prese il nome la piazza che accolse i miei pensieri in quella caotica nottata.
Il ticchetio dei tacchi si confondeva con le voci dei giovani che sedevano sulle panchine ammassate intorno al monumento di Vincenzo Gioberti. In compagnia di coni gelato appena acquistati nella celebre gelateria Pepino i ragazzi stavano trascorrendo un tranquillo venerdì sera, chiacchierando e ascoltando a tratti i suonatori di chitarra poco distanti.
Rallentai solo quando giunsi di fronte al settecentesco ristorante “Del Cambio”. Lo stesso ristorante che aveva offerto i suoi servizi a Camillo Benso Conte di Cavour, Vittorio Emanuele II e Giacomo Casanova, in una sera d’estate aveva accolto anche noi.
Ricordai con una nota di malinconia la strana, quanto effimera, sensazione che provai l’attimo in cui varcai la soglia del ristorante. Specchi barocchi, broccati rossi e il famoso divanetto da cui Cavour osservava la piazza. Si poteva definire un vero e proprio viaggio nel tempo, l’atmosfera barocca curata nei minimi dettagli era in grado di portare i clienti a ritroso, fino ad arrivare in epoche mai vissute ma di cui tanto si è sentito parlare.
Con il volto illuminato dai lampioni a grappolo che facevano tanto Ottocento proseguii verso la parte opposta della piazza, mi ritrovai a un palmo dal naso alla facciata del Teatro Carignano, riaperto da un paio di anni. Sulla vetrata con inserti in alluminio, ampiamente contestata, campeggiavano le locandine dello spettacolo in corso, ma anche di quelli futuri.
Sorrisi all’idea che poco tempo prima obbligavo, puntualmente ogni sabato sera, Francesco a una rappresentazione. Sorrisi fatui.
Andai a prendere posto anche io su una delle panchine affastellate, gli occhi incollati alla facciata austera del palazzo e una ferita nel cuore che non aveva intenzione di chiudersi.
   
 
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