Tubbi thinks Pav is purrrrfect, and so do I.
"Lord Tubbington anche se stiamo facendo un'intervista, sappi che sono
ancora arrabbiata con te.. Lo so che hai ricominciato a fumare."
Come poteva essere arrabbiata con lui per una stupida sigaretta dopo
tutto quello che gli era successo?
Il gatto osservò a lungo quegli occhi azzurri che lo
scrutavano dal bordo del letto. Dopotutto sapeva che lei era solo preoccupata per la sua salute,
non poteva essere arrabbiato con Brittany solo perché non riusciva a capire quanto fosse grande
la sua sofferenza.
Lord Tubbington si scosse nel suo lungo pelo bruno tigrato.
No, non poteva certo darle colpa se si preoccupava tanto
per lui, e non poteva neanche darle torto se gli impediva di fumare, o se lo accusava di
leggere il suo diario segreto.
Ma d’altra parte nemmeno lui poteva darsi colpa di quello
che era successo. L'unica certezza era che lo amava.
E non lo avrebbe mai dimenticato.
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Il loro era stato amore a prima vista.
Dal primo cinguettio aveva capito che tra loro ci sarebbe stata molto di
più che una semplice attrazione fisica.
E lui era perfetto, in tutto e per tutto. Ogni singola piuma del suo
docile corpicino da pennuto, ogni colorazione di giallo e bianco era accostata alla
perfezione, il suo becco pareva scolpito da Michelangelo.
Pavarotti.
Sì, Lord Tubbington ne era sicuro, era più che un semplice pennuto da
compagnia. Il suo nome così azzeccato, il suo piumaggio. Lo amava, eccome se lo
amava.
Lo amava più del torrone e delle praline con cui era solito
addormentarsi, date le bizzarre superstizioni della padrona. Più dei grattini
sulla pancia, più di quelli sotto il mento, più del suo ego. Più di sé stesso.
Galeotto fu il giorno in cui Kurt fece visita alla bionda per chiederle
consigli sul tipo di qualità e sul colore della stoffa adatta per coprire la
gabbia del canarino. A quanto pare voleva fare colpo su un certo usignolo Blaine.
“Tu mi piaci” - gli aveva miagolato la palla di pelo.
“Anche tu mi
piaci. Ma ho sentito della tua dipendenza da ecstasy, devi smetterla se
vuoi che ti rivolga la parola.” – cinguettò lui.
“Ok.” – farfugliò il gatto, incurvando
leggermente le orecchie imbarazzato.
“Fantastico,
credo proprio che andremo d’accordo. Piacere, Pavarotti.”
“Lord Tubbington. Oh, adoro il tuo nome.
Pavarotti.. come il famoso tenore italiano.”
“Lord
Tubbington, continuo a credere che andremo sempre più d’accordo. E sì, esatto,
proprio lui.”
“Ho da sempre una passione per l’opera
lirica.” – ammise il gatto abbassando leggermente il capo, mentre il pelo
sulle sue guance si colorava di rosso.
Il becco del
pennuto si aprì in un risolino mentre osservava il gatto imbarazzarsi per una
cosa così sciocca.
E così, da
cosa nasce cosa…
Kurt e
Brittany si trovavano regolarmente ogni weekend da quando il ragazzo si era
trasferito alla Dalton. Si scambiavano segreti, si scambiano consigli e si
scambiavano vestiti.
E intanto i
due animali venivano lasciati liberi a giocherellare sul pavimento della camera
della bionda, chiacchieravano e spettegolavano sulle relazioni in corso dei
padroni. Il pennuto era riuscito perfino a convincere il felino sull’accettare
Santana, lo rassicurava sul fatto che avesse assistito parecchie volte ai
pianti della latina e agli sfoghi con Kurt in camera sua. E Kurt l’aveva
aiutata ad ammettere a sé stessa l’amore per la bionda.
L’aveva convinto che
quello della latina era amore vero e che mai le avrebbe fatto del male. E il gatto si decise a darle il via libera.
La
scintilla era scattata da subito, ma nessuno dei due sembrava volerlo
ammettere.
Pavarotti
cantava spesso per Lord Tubbington. Il gatto poteva ascoltarlo per ore e ore
senza mai stancarsi. Aveva smesso di fumare, il suo cinguettio era meglio di
qualsiasi sigaretta. Ora era lui la
sua nuova dipendenza.
E a nessuno
dei due sembrava importare se prima o poi avrebbero dovuto affrontare il fatto
che erano attratti l’uno dall’altro. Entrambi maschi, entrambi provenienti da
due mondi diversi..da due specie diverse.
D’altronde
come si suol dire... tali padroni, tali animali da compagnia.
Una piuma
giallo limone sfiorò la coda di Lord Tubbington finendo sul pavimento.
Il gatto fece
per afferrarla con una zampa nello stesso momento in cui quella del canarino si
era allungata per recuperarla. Le loro zampe si toccarono per un istante
spingendo entrambi ad assistere imbarazzati al calore del loro corpo che
entrava in contatto.
I loro
sguardi si incrociarono, incatenandosi l'uno all'altro.
“T-ti è caduta una piuma, Pav.” – riuscì a malapena a sussurare in un
miagolio la palla di pelo.
“Oh non ti
preoccupare, davvero, è solo il cambio del piumaggio Tubbi” – cinguettò sicuro di
sé il canarino.
“Oh..Capisco.”
E prima
ancora di accorgersene, quell’enorme palla di pelo aveva già iniziato a fare le
fusa rannicchiato tra le piume del pennuto, che gli cinguettava all’orecchio
parole dolci.
I due si
amavano. E anche parecchio. Più di qualsiasi altra cosa. E nessuna legge della
natura, no anzi, dell’universo, li avrebbe potuti separare.
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“Credo di amarti. -
Gli aveva
detto il canarino strofinando il becco contro il suo muso, prestando molta
attenzione a non graffiarlo.
..Ci vediamo
sabato prossimo.”
E lui ci
aveva sperato, ci aveva sperato fino all’ultimo.
L’aveva
aspettato sveglio tutto il giorno, ma lui non si era visto. Kurt non si era
visto. E Brittany non fiatava.
Perché il suo dolce pennuto non era lì
con lui?
Il gatto
passò la notte insonne accanto ai piedi della bionda addormentata, rimuginando
sulla giornata. Afflitto da mille pensieri che lo tormentavano e non gli
concedevano neanche un minuto di sonno.
Che cosa poteva essergli successo? Cosa
gli aveva fatto? Era colpa sua?
Che il suo canarino si fosse forse
stancato di lui e non volesse più vederlo? Che avesse smesso per sempre di
amarlo?
No. Lord
Tubbington sentiva il suo pelo rizzarsi, c’era qualcos’altro. Se lo sentiva dentro
che non poteva essere questa la ragione, anche se avrebbe tanto desiderato che
lo fosse dopo aver scoperto ciò che era accaduto.
Non mangiò
per giorni i suoi torroni, e non lasciò sfuggirsi neanche un miagolio di
sofferenza in presenza della bionda. Convinceva sé stesso che sarebbe tornato,
che il sabato successivo sarebbe stato lì a sussurrargli dolci parole e a
cantare per lui.
Ma non tornò.
Nè il sabato dopo nè quello ancora successivo.
Finché un
giorno gli cadde l’occhio sul diario della padrona, lasciato aperto sul letto
disfatto.
Scorse
senza dar troppa importanza le parole che riempivano ogni spazio bianco delle
pagine.
Santana. Glee Club. Nazionali. Santana.
New York. Lord
Tubbington. Santana. Ballo della scuola. Arcobaleni.
Santana. Unicorni. Santana.
Finché i suoi
occhi da felino non individuarono quei due nomi, accostati l’uno all’altro.
Kurt. Blaine.
E subito
accanto, il suo.
Pavarotti.
Si fermò a
scrutare a lungo quel nome, scritto con semplici pastelli colorati e a grandi
lettere in fondo alla pagina.
Pavarotti.
E non osava
andare avanti per paura di quello che avrebbe potuto leggere.
Ma in cuor
suo se lo sentiva, e sapeva che doveva andare avanti. Doveva accettare la
realtà. Per lui.
Pavarotti. Pavarotti è morto.
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Come poteva biasimarlo la
bionda se aveva ricominciato a fumare.
Vagava con la mente Lord
Tubbington, accendendo l’ennesima sigaretta, raggomitolato nell’angolo del
bagno di casa Pierce, gli occhi ancora lucidi per le lacrime versate e i
numerosi miagolii strazianti che uscivano incontrollati dalla sua bocca.
Non poteva. No, di certo.
Un cinguettio soave si
fece largo nella sua mente.
Lord Tubbington lo amava.
E non lo avrebbe mai dimenticato.