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Autore: Pharmakon    03/06/2012    0 recensioni
Sia lodato l'empirismo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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credo che per la decodificazione (simpatica, eh?) di questo scempio dobbiate cliccare qui.
Tengo anche a precisare che gli intermezzi - concedetemi di chiamarli così! - non li ho scritti io (magari!), ma provengono da una canzone: Dream on dei Depeche Mode.
Ultima precisazione da fare: Sherlock e John non mi appartengono (ahimè!) ed io non ci guadagno nulla a scrivere tutto questo, Moffat non mi paga, non mi tiene in considerazione e, beh, Doyle non ne avrebbe nemmeno l'opportunità. E comunque non lo farebbe.

Non ho scelto una puntata in particolare delle due serie; è un momento che si può collocare ovunque, prima dell'ultima puntata della seconda serie, ovviamente. A dire il vero non avevo scelto nulla, nemmeno di scriverla; è un piccolo pensiero per un amico (Buon compleanno, Cla!) che sostiene fermamente questa coppia, l'ho scritta senza troppe pretese.
E credo anche che sia l'ultima (?) Sherlock/John che non preveda del semplice, puro e bellissimo bromance che scriverò (e che forse invece di essere completa, avrà qualche altro capitolo, solo per non lasciare la canzone sospesa a metà). Quest'anno. Sempre se non lo corromperò ad apprezzare anche altro, ovvio.
Insomma, non siate (non essere) troppo crudeli(e).











I paradossi dei sensi.
Compasso + retorica.







Le dita di Sherlock sono pallide; come tutto il resto della mano, delle mani, del viso e del corpo che sotto i vestiti non può che suggerire un velo d'indifferenza e noia. Lo stesso colore si ritrova sui marciapiedi di Londra, alba e tramonti non vi riflettono nulla. Ossa di luna, senni restituiti, nessun Orlando furioso.








As your bony fingers close around me,
long and spindly.









È un paradosso. Un paradosso retorico, secondo una classificazione logica che porterebbe il soggetto a riflettere – tutte le parole che Sherlock libera dalla prigionia dei suoi denti, rompono il suono, la luce, cadono nella relatività di una sensazione mai esistita e portano chiunque – chiunque è John, lui è proprio un Chiunque – a dilungarsi, percorrendo tutta Londra dalla scena di un omicidio a casa a piedi, faticando per seguire la curva di un indice che accusa.








Death becomes me.
Heaven, can you see what I see?









Che candidamente accusa.
Candida mente. Un altro paradosso, retorico, nullo, d'importanza marginale – le dita, le mani, aghi dritti. Mai, mai, mai, mai?, candidi. Sono immagini infantili che riempiono la mente di John; fantasie nobili che riconducono aggettivi ad esperienze vissute, a desideri più concreti delle stelle o dei fucili o dei combattimenti; se deve associare qualcosa, logicamente parlando, al candore... Lui pensa alla neve. Avrebbe pensato alla neve. Forse non gli riesce più nemmeno quello.








Hey you pale and sickly child,
you're death and living reconciled,
been walking home a crooked mile.









Aghi, aghi che bucano i gonfi dirigibili dell'espressione umana, dell'immaginario collettivo e selettivo e non sa più cosa pensare per farlo sembrare un ragionamento intelligente. All'altezza. Circa un metro e settantacinque, andrebbe bene. Andrebbe bene così.
Invece, non trova un punto d'accordo; lui, osservatore (a suo modo, Chiunque può farlo), e l'altro, osservatore, non hanno una sola parola da condividere sulla simultaneità di quelle due dita.
Se il filo di Arianna dei pensieri di John Hamish Watson ha impiegato 276 parole per registrare, accettare, spiegare l'essere steso sul divano, la schiena nuda ed il coinquilino malamente seduto sul suo posteriore in vestaglia, il filo logico (paradosso, paradosso, paradosso!) di Sherlock ha una sola parola giustificatrice ed esaustiva: esperimento.








Paying debt to karma,
you party for a living.









Sia lodato l'empirismo, allora, se l'amante spinge due dita sulla pelle rosea e morbida del dottore, come prima faceva sul suo palmo – uno a caso, uno a caso.
Chiunque non potrebbe mai sopportare un paradosso del genere, ma John sì. È forse un progresso, questo? Un sillogismo. Uno solo.
Non riesce nulla, in quella stanza; John pensa a quelle due ossa, ricoperte di muscoli, di carne, pelle, umane (basta dire umane, si dilunga sempre troppo) e sì: immagina indice ed anulare come aghi, ma non riesce il paradosso dei sensi – non v'è logica, non v'è logica. Sia sul palmo della sua mano che sulla schiena, il dottore non viene punto – è forse proprio questo, quel punto.
Retorica, retorica, retorica – la stessa dei sentimenti; nel 221b di Baker Street, però, non è chiunque a pensarlo.








What you take won't kill you
but careful what you're giving.













Beh, che dire: se siete arrivati fin qui, siete pazienti.
Dunque ringrazio voi e la vostra pazienza.
Alla prossima!
  
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