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Autore: m00nlight    03/06/2012    5 recensioni
Così era giunto il giorno.
Il giorno in cui avrebbe messo fine ai miei.
Un brivido mi attraversò la schiena, quando mi fu finalmente alle spalle.
La Bloody Rose, stretta nella mano destra, premette sulla mia schiena.
Il metallo freddo direttamente a contatto con la pelle che il mio elegante abito di seta bianca lasciava scoperta, all’altezza del cuore.
L’aveva promesso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Yuki Cross, Zero Kiryu
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Avevo atteso per tanto tempo quel momento. 
Io.            
Lui.
Nella stessa stanza.
 
Erano trascorsi due lunghi anni da quando avevo lasciato l’Accademia Cross al fianco di Kaname. 
Per due lunghi anni mi ero chiesta quale fosse stato il suo destino. 
Per due lunghi anni avevo riservato solo a lui l’ultimo pensiero del giorno e il primo della notte.
Lui con cui avevo condiviso il tempo del dolore.
Lui con cui avevo cercato di ricostruire il mio passato perduto. 
Lui con cui ci ero riuscita. 
 
Ora avevo un passato, un nome e una famiglia, ma non avevo lui. 
 
Lui. 
Quella sera. 
A pochi passi da me.
 
Solo giorni prima avevo maledetto il casato Kuran alla notizia dell’ennesimo ballo, al quale avrei dovuto presenziare in qualità di rappresentante della mia nobile famiglia. Odiavo quelli eventi mondani, in cui ero obbligata a sorridere a centinaia di volti sconosciuti, in nome della convivenza pacifica tra vampiri. Tuttavia, quella sera accettai di buon grado l’invito quando Kaname m’informò che vi avrebbe preso parte.
 
Non potevo sapere.
 
Il salone già riecheggiava del brusio della folla, quando varcai la soglia. 
In lontananza un pianoforte allietava gli invitati con le note di una melodia a me familiare. 
Riconobbi subito un sofisticato 'Chiaro di Luna'. 
Claude Debussy.
Davanti ai miei occhi una processione di volti a me ignoti, tanti sorrisi e cortesia gratuita, convenevoli di pura 'captatio benevolentia'. 
Se sei figlia della stirpe più potente tra i tuoi simili, è normale che ogni capo si chini al tuo passaggio, in segno di rispetto o, soltanto, un modo come un altro per arrogarsi il diritto a esistere. 
Semplice routine cui ero stata allenata e in cui mi muovevo con una certa disinvoltura, figlia dell’abitudine.  
Fino a quando quella sera non vidi lui.
 
Non potevo prevedere.
 
I capelli chiari a coprirgli gli occhi e la solita espressione imbronciata. 
Aveva indosso un classico smoking nero, ma nessuna formalità a stringergli il collo. 
Tipico di lui, pensai. Le regole avevano sempre avuto poco ascendente su di lui. 
La schiena appoggiata stancamente a una colonna della sala e le braccia incrociate sul petto, chiuso come sempre nel suo atteggiamento spavaldo. 
Un angelo maledetto, ipnotico nella sua fissità.
Dovetti reprimere più volte il desiderio di andargli incontro.
Mi accorsi di aver passato troppo tempo a contemplare quell’immagine familiare, quando, a bassa voce, Kaname mi riportò alla realtà, interrompendo il flusso dei miei pensieri: ”Yuuki, c’è qualcosa che non va?” mi richiamò. 
Gli bastò seguire il mio sguardo lungo la direzione in cui volgevano i miei occhi per capire.
“Stai bene?” mi disse, con un tono appena apprensivo.
“Sì, perdonami, Kaname. Ho bisogno solo di un momento” e con quelle parole mi congedai dalla moltitudine danzante.
 
Il mio cuore mancò un battito nell’attimo in cui sentii i suoi occhi posarsi su di me. 
Si era accorto della mia presenza. 
Tuttavia, fu solo un’impressione.
 
Non potevo aspettarmelo.
 
Fuggii verso i piani alti del palazzo, alla ricerca di una stanza solitaria dentro cui poter rimettere insieme i pezzi del mio cuore e recuperare il contegno. Mi rifugiai in una stanza buia e muovendomi nell'oscurità a passi veloci, mi avvicinai alla finestra che dava sul giardino. 
Nervosamente spalancai le imposte, quasi in preda al panico, annaspando in un'apnea senza senso. 
Avevo bisogno di aria.
La luce della luna suppliva perfettamente alla luce artificiale, tingendo tutti gli oggetti nella camera d’argento. 
Un paio di respiri profondi per riportare la calma nell’anima.
 
Non potevo indovinarlo.
 
L’eco timido di passi leggeri nel corridoio, oltre la porta lasciata socchiusa. 
Un attimo di esitazione. 
Poi la porta si aprì. 
Era lì. 
Era lui.
 
Guardavo fuori dalla finestra, quando varcò la soglia di quella stanza. 
Non potevo avere la certezza di chi fosse, ma l’avrei riconosciuto senza dubbio alcuno solo dal suono dei suoi passi. 
E il mio sangue, le mie vene mi diedero la risposta che cercavo.  
Dicono che una volta che si assaggi il sangue della persona amata s’inneschi una dipendenza. 
Un legame inscindibile. 
Per noi vampiri funziona così. 
Nell’istante in cui il suo sangue entra in circolo nel tuo corpo, la persona cui hai donato il cuore diventa l’unica persona in grado di saziare completamente la tua sete.
Un fil rouge eterno a unire due esistenze per sempre.    
 
Mi strinsi nelle spalle e portai le mani al petto, come a voler sedare i fremiti che provocava in me ogni suo movimento. 
Non proferì parola negli istanti che seguirono. 
Avanzò di poco e richiuse la porta alle sue spalle, con una lentezza quasi calcolata. 
Quando udì la chiave rigirare nella serratura capii perché era lì. 
Adempiva il suo dovere di hunter. 
Manteneva fede alla promessa vecchia di due anni.
 
”Noi non possiamo più vivere nello stesso mondo. Verrà il giorno in cui io deciderò di ucciderti” Disse.
“Ti aspetterò” Fu la mia risposta.
 
Così era giunto il giorno. Il giorno in cui avrebbe messo fine ai miei.
Nessuna tristezza al pensiero che avrei lasciato questo mondo portando con me l’immagine di lui ancora fissa negli occhi.
Un brivido mi attraversò la schiena, quando mi fu finalmente alle spalle. 
La Bloody Rose, stretta nella mano destra, premette sulla mia schiena. 
Il metallo freddo direttamente a contatto con la pelle che il mio elegante abito di seta bianca lasciava scoperta, all’altezza del cuore.
L’aveva promesso. 
Quando ci saremmo rincontrati, avrebbe premuto quel grilletto.
 
Osservai il suo riflesso sul vetro della finestra ancora semiaperta e v’incontrai il suo sguardo. 
”Sei qui?”
Lasciò trascorrere qualche secondo.
”Sono qui” quasi in un sussurro.
Il silenzio che riecheggiava nell’oscurità della stanza fu interrotto ancora dalle mie parole.
”Fa quello che devi” La mia voce arrivò perentoria. Sicura.
Non so spiegare il perché, ma fu in quel momento che avvertì sulla mia pelle il leggero tremito della mano che stringeva la pistola. 
Stava tremando. 
La sua vicinanza e il suo odore mi ricordavano a ogni respiro che io gli appartenevo. 
Le mie vene urlavano il bisogno del suo sangue, così come il mio cuore urlava il bisogno di lui.
Da quando le nostre strade si erano divise, tante volte, in molti modi avevo cercato quella completezza, che avevo sperimentato solo una volta nella mia giovane vita da vampiro. 
Grazie a lui. 
Poco prima di partire mi aveva chiesto di bere il suo sangue. 
Ricordo bene la sensazione, che la chimica di quel liquido cremisi avesse portato nel mio corpo la sua essenza. 
I suoi sentimenti, come se fossero i miei. 
I suoi pensieri, come se fossero stati partoriti dalla mia mente. 
In quel momento si era innescata la mia dipendenza.
Perfino il sangue puro di Kaname non era stato in grado di appagare il mio corpo e la mia anima come aveva fatto lui.
Non era difficile comprenderne il motivo.
Il nostro fil rouge stringeva stretto attorno alla mia caviglia, attorno alla sua. Rosso come il sangue. Resistente, forte.
La forza che mi attirava a lui non avrebbe potuto minimamente competere con la forza che teneva saldi i miei piedi al suolo. Oltre le leggi fisiche, oltre i limiti della scienza, oltre la comprensione umana. Io appartenevo a quest’uomo, per quanto il mio rango fosse superiore al suo e il mio sangue più puro.
 
“Coraggio, premi quel grilletto. Mantieni fede alla promessa.”
“Non aver paura” fu tutto quello che mi disse. 
Nel riflesso sul vetro i suoi occhi erano chiusi.
“Non ne ho” dissi senza traccia d’incertezza.
 
Ancora esitazione.
 
Fu la decisione di un attimo, mi voltai e gli fui di fronte. 
La pistola ora al centro esatto del mio petto. 
Nell’oscurità, i suoi occhi brillarono.
 
Ogni volta che in passato avevo incrociato quello sguardo, il primo istinto era sempre stato quello della fuga.
‘Non bisogna avvicinarsi a un vampiro, se lo fai, sarai catturata da quegli occhi’ ripetei scioccamente a me stessa. Reminescenze di bambina.
Sommessamente risi dell’ironia della sorte. 
Occhi di vampiro. 
Come i miei. 
Come i suoi. 
E quella sera mi catturò. 
Incatenai i miei occhi ai suoi e mi persi in quel mare d’inverno.
Lo stesso colore dell’oceano, quando il sole pallido di gennaio lo illumina all’alba.
“Zero…” pronunciai adagio il suo nome ”Sapevo che le nostre strade si sarebbero incrociate ancora. Sono due anni che ti aspetto”
“Due anni fa ti dissi che se il destino ci avesse fatto ritrovare, avrei posto per sempre fine alla tua esistenza. Sono qui per questo” disse spostando lo sguardo su un punto qualunque, sul pavimento, dove non c’era il rischio di incontrare il mio, di nuovo. 
L'atteggiamento tipico di chi sta per dirti addio, pensai.
“Allora fallo”dissi con fermezza.
Mi guardò ancora, come se non si aspettasse tanta decisione nelle mie parole.
Il ghiaccio dei suoi occhi mi parve sciogliersi e, oggi lo posso giurare, ciò che vidi sul loro fondo fu amarezza mista a disperazione. Mi piegai di fronte a quello  
sguardo. 
 
In questo gioco perverso, il cacciatore provava pietà per la sua preda.
 
“Yuuki…” e la sicurezza con cui andavo incontro al mio destino si sgretolò al suono della sua voce. 
Come se nell’istante in cui avevo smesso di voltargli le spalle, si fosse ricordato di me. 
Di noi.
“Accetterò il mio destino se verrà per mano tua, perché la mia vita ti appartiene”. 
Un respiro profondo, poi continuai.
” Preferirei morire qui adesso, che vivere ancora senza di te”.
 
Non una sua parola.
 
“Ho trascorso gli ultimi anni cercando qualcosa che potesse placare il mio tormento. Ho provato a saziare la mia sete invano così a lungo. Ho tentato troppe volte di riappropriarmi della mia umanità perduta senza riuscirci. E alla fine ho capito, Zero…” 
Pronunciai quelle parole senza averne il controllo, forse dettate dalla cortina di frustrazione che avvolgeva il mio cuore. “Ho capito che eri tu. Solo tu puoi porre fine al mio dolore, placare la mia sete, ridarmi l’umanità…”.
“Yuuki…”ancora una volta ma questa volta suonò con una dolcezza fuori dal comune. Quella dolcezza che Zero aveva sempre riservato solo a me.
”Yuuki, io… sono passati due anni da quel giorno” disse, faticando a trovare le parole.
“Non ho mai smesso di appartenerti da allora” La mia bocca fu più veloce della mente.
“Senti anche tu questa forza che ci attrae. La stessa che ti fa esitare dal premere quel grilletto. Mi appartieni nello stesso modo in cui io ti appartengo”.
 
I suoi occhi nei miei. 
Stupore, sorpresa, paura, speranza, desiderio e un numero indecifrato di altre emozioni si susseguirono sul suo volto. 
Un solo raggio di luna a illuminare il suo viso, in un sinistro gioco di luci e ombre. 
Lasciò cadere la Bloody Rose sul pavimento.
Il tempo di un respiro e furono le sue gambe a cedere, crollando miseramente con la sua corazza.
Le sue braccia a stringermi la vita. 
La sua fronte sul mio ventre. 
Lessi disperazione in quel suo gesto, quella di uomo che aveva passato troppo tempo lontano dalla sua ragione di vita.
Non so per quanto tempo rimanemmo così immobili, so solo che non volevo che si allontanasse dal mio corpo, ora che una strana elettricità lo percorreva. 
A occhi chiusi cercai il suo volto. 
Gettò il capo indietro, permettendomi di godere della perfezione del suo viso.
Lo accarezzai con una tenerezza di cui non mi credevo capace.
 
Un tintinnio metallico. 
Il suono del braccialetto che non aveva mai abbandonato il mio polso. 
Era il sigillo di un patto scritto con il sangue. Quando la minaccia portava il suo nome. 
Gli occhi sul suo collo. Due dita a sfiorare il suo tatuaggio. 
Zero chiuse gli occhi, sotto l’effetto delle reminescenze causate da quel suono o, forse, solo per sentire appieno il mio contatto.
Quando un luccichio si posò sulle sue labbra, mi accorsi di stare piangendo. 
Con un dito catturò una mia lacrima e se ne dissetò. 
Infine, si rimise in piedi. 
Raccolse il mio viso tra le mani, come se fosse la cosa più preziosa al mondo, e mise fine alla distanza fra le nostre labbra.
 
Comprendi il significato della parola “amore” solo nell’istante in cui tutte le altre parole perdono il proprio. 
Accadde così. 
Nell’istante in cui le mie labbra toccarono quelle di Zero, tutto il resto perse il proprio significato. 
Non credo esistano parole per descrivere questo tipo di emozioni, ma posso senz’altro affermare che in quel momento il mio essere fu completo e il mio tormento divenne solo un pallido ricordo.
Avevo fame di lui. 
Bramavo il suo cuore, non il suo sangue. 
Solo il tocco delle sue labbra bastava a placare la mia sete. 
Catturai quelle labbra, quasi con cattiveria, e, senza vergogna, lasciai che percepisse tutto il mio desiderio. 
Labbra che sarebbero dovuto essere considerate illegali. Su di me avevano lo stesso effetto di una sostanza stupefacente. Dopo un po’ ne fui assuefatta completamente.
Tutto il mio dolore, la mia gioia, la mia rabbia, la mia paura, tutto il mio amore. 
Tutto in un bacio.
 
I due mostri leggendari, i due vampiri, avevano ritrovato la loro umanità in un bacio, dimenticando i loro istinti primordiali e selvaggi di predatori. 
Non era bastato l’amore di Kaname a quietare quella sofferenza che portavo dentro da troppo ormai, quando avevo creduto di poter essere felice con lui. Ricordai le parole di Kaname poco prima della nostra partenza: “Sentiti libera di fare ciò che ritieni giusto” Ed io avevo scelto la strada sbagliata. 
Avevo scambiato ciecamente la gratitudine incondizionata, verso mio fratello, per amore. Solo il tempo mi aveva insegnato che quel sentimento che mi legava a Kaname aveva tanti altri sinonimi, tutti lontani dal significato della parola “amore”. 
E’ vero. Dovevo la vita a Kaname, ma, per quel che ne sapevo, la mia vita apparteneva irrimediabilmente a Zero.
Una rivelazione, la mia. Ne ebbi la certezza. 
 
In quella stanza buia le nostre anime si fusero in un bacio.
Lì a leccarci le ferite, in un angolo di mondo che non aveva nulla di reale.
Ricordo la corsa delle sue mani sulle mie spalle e quell’assurda frenesia che mi travolse, quando con movimento veloce fece scivolare sinuosa la seta del mio abito sul pavimento.
Spasmi lungo la mia colonna vertebrale. 
Fuoco nelle vene.
Dritta sul sentiero che mi avrebbe condotto fino alla follia per mano sua.
Ubriaca di lui, vittima dell’ebbrezza che mi provocava la sua vicinanza.
Le sue forti braccia mi strinsero ancora di più a lui, minando in quel momento la mia salute mentale. 
Sensuali le sue mani risalirono più volte la curva della mia schiena.
Ricordo il suo respiro accelerato sul mio collo.
Trasudava lussuria. Passione.
Timidamente le mie dita si posarono sulla sua camicia. Liberai i bottoni uno a uno, impaziente. La bramosia rese l’operazione meno semplice.
La fretta nelle mie mani. Fretta di esplorare il suo corpo.
Estasi a quella visione. 
Percorsi quasi con devozione religiosa il terreno sacro della sua pelle. 
Lo sentii gemere a quel contatto.
Fuori controllo. 
Il mostro era fuori controllo. Quello dentro di me e quello dentro lui.
Sentii che non avrei potuto arrestare quella folle corsa verso l’ignoto. Neanche lui avrebbe potuto.
 
Quella notte ci amammo così.
Sul pavimento di una stanza dei piani alti, in un palazzo antico.
Assecondando l’urgenza delle nostre pulsioni. Dei nostri sentimenti.
Io e lui. 
Diversamente uguali. 
Incompatibilmente compatibili.
Inevitabilmente uniti nella nostra maledizione. 
Figli dell’oscurità, celati agli occhi del mondo. 
Il buio, la nostra condanna. 
Quella notte scegliemmo la luna come unica testimone della nostra unione.
Non una goccia di sangue scorse, nessun rivolo di liquido scarlatto a macchiare le nostre labbra. Inaspettatamente la suadente voce della sete parve lontana, poi scomparve, portando con sé l’istinto della bestia.
All’improvviso fummo travolti da un’umana fame d’amore.      
 
The end.
  
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