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Autore: Ningyoplug    04/06/2012    3 recensioni
"Le fronde avevano ricominciato a suonare la loro musica dai toni calmi e ripetitivi; un concerto di foglie che si sfiorano, un concerto che ignora le parole inutili lasciate al vento. Un concerto che conserva solo quelle importanti. Harada abbandonò la frase a metà, ascoltando il rumore delle fronde degli alberi, tornato sovrano nel silenzio che si era venuto a creare. Un silenzio un po’ diverso, tuttavia, da quello di poco prima.
Mancava qualcosa."

Harada/Shiranui, oneshot.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kyou Shiranui, Sanosuke Harada
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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~Dynamics~




Era pomeriggio inoltrato quando un grido disperato si levò dal quartier generale della Shinsengumi, disturbando la quiete tipica della zona.
«PRENDETE QUEL GATTO! QUALCUNO PRENDA QUELLO STUPIDO GATTO!»
La piccola Chizuru dovette farsi frettolosamente da parte quando Nagakura Shinpachi si lanciò letteralmente fuori dalla porta della cucina all’inseguimento di un gatto nero in fuga con un grosso pesce in bocca, tagliandole la strada. «Ah, scusa, Chizuru! TOSHIZOU! Torna subito qui! »
«T-Toshizou…?» La ragazza lo seguì con lo sguardo, divertita da quella scenetta a dir poco comica.
Okita uscì anch’egli dalla cucina, con passo decisamente più svogliato, e prese anche lui la direzione del gatto, non senza prima sorridere alla fanciulla. «Mochiron! È il nome che gli ho dato. Non c'è nome più perfetto di Toshizou per quella peste.»
Nel frattempo, le grida lontane del compagno non cessavano: «Non bastava quell’altro gatto, ora ci si mette pure Toshizou! Okita-san, per l’amor del cielo! Dammi una mano!»
Chizuru ridacchiò portandosi una mano a coprire la bocca mentre il ragazzo scimmiottava la voce di Shinpachi, facendo per raggiungerlo lentamente. Quando entrò in cucina, la giovane trovò Heisuke appoggiato ad un bancone con le dita fra i capelli che si grattava la testa impensierito. Poi sbottò e si rimise al lavoro: «Vabbè, vorrà dire che cominceremo dal riso. Almeno finché non ci riportano il pesce. »
«Ho paura che non ci sarà pesce stasera per cena. » asserì Harada, a pochi metri dall’altro, mentre si sciacquava le mani in una tinozza piena d’acqua più o meno pulita.
«Niente sushi? Ma l’abbiamo promesso a Toshizou, se non lo trova ci stacca i mignoli dei piedi! »
«Per oggi Toshizou è più che a posto con il pesce, Heisuke. E poi perché proprio i mignoli dei piedi? »
«Intendevo L’ALTRO Toshizou, quello uman- oh, ma che ti parlo a fare! » il ragazzino smise di gesticolare ed afferrò una grossa ciotola di riso. «Passami dell’acqua, piuttosto: devo lavare il riso. Possibilmente non quella sporca in cui, fra l’altro, ti sei pure lavato le mani. Maiale. »
Chizuru scoppiò a ridere e appoggiò sul bancone un fagotto di verdure appena raccolte. Con le mani ancora gocciolanti, il rosso indietreggiò di alcuni passi per controllare quanti secchi d’acqua erano rimasti nell’angolo apposito. Nemmeno uno. Si asciugò le mani frettolosamente per poi dirigersi sulla soglia del giardino. «Manca di nuovo l’acqua. Vado a prenderne un po’ al pozzo e torno. »
Heisuke lo seguì con lo sguardo. «Vedi di non metterci delle ore come l’ultima volta! » gli urlò dal fondo della cucina.
Il rosso sorrise al giovane e gli strizzò un occhiolino prima di mettersi in cammino verso il bosco con due grossi secchi di ferro.




Giunto nei pressi di una radura, a circa mezz’ora dal quartier generale, Harada lasciò cadere i secchi accanto al piccolo pozzo situato al centro e si stirò pigramente i muscoli delle braccia e delle spalle, preparandosi allo sforzo che era prossimo a compiere, ignaro di essere osservato da occhi nemici. Raccolse un secchio e lo agganciò alla corda penzolante del pozzo, lasciandolo scivolare lentamente nelle profondità di questo e aspettando che si fosse riempito. Poi fece forza sulla corda e, strattone dopo strattone, lo riportò in superficie colmo d’acqua fresca.
La stessa cosa si accinse a fare con il secondo secchio. Nel risollevarlo, tuttavia, udì un leggero schiocco arrivare dagli alberi alle sue spalle. Riconobbe quel rumore e sorrise fra sé. Finì di sollevare il secondo secchio e lo appoggiò delicatamente a terra, prendendo un respiro profondo; poi si voltò di scatto e sollevò una mano in segno di saluto. «Yo! »
Ancor prima del rumore dello sparo, Harada sentì il fulmineo spostamento d’aria sulla parte sinistra del suo volto. Alcuni capelli tranciati di netto fluttuavano intorno alle sue spalle. «…Oh. » Sollevò la testa per scorgere, ritta in piedi sul ramo di un albero, la figura familiare dell’uomo che sapeva avrebbe incontrato lì anche quel giorno.
Lunghi capelli blu scuro raccolti in una coda, occhi di falco e un inconfondibile ghigno arrogante stampato in viso. L’uomo dalla pelle bruna scese a terra con un balzo all’apparenza fin troppo leggero.
L’espressione di Harada non mutò mentre lo osservava avvicinarsi a testa alta con fare giocondo. «È già la terza volta che me lo fai, Shiranui. Prima o poi mi staccherai un orecchio, sai?» Voltandosi nuovamente, raccolse i due secchi pieni d’acqua – non senza un certo sforzo – e fece per incamminarsi nuovamente verso il fitto della foresta, nella direzione da cui era venuto.
«Stai dicendo che potrei sbagliare la mira? » domandò Shiranui sventolandogli la pistola davanti agli occhi. «Con questa? » Ridacchiò divertito e, senza preavviso, gli strappò di mano un secchio e iniziò a camminare al suo fianco. «Ascoltami bene. La vedi questa? Ce l’ho da quand’ero così piccolo» disse alzando lentamente il secchio per attirarvi la sua attenzione «…da starci in un secchio come questo. È più facile che io sbagli a dire il mio nome piuttosto che io sbagli la mira con questa. »
Harada scosse la testa alzando un sopracciglio. «Modesto come sempre, vedo. »
«È la verità. Geloso? » Shiranui lo adocchiò di sottecchi in tono di sfida.
Il rosso fece spallucce. «No, grazie, le armi da fuoco - o come le chiamate - non sono decisamente il mio campo. »
L’altro sghignazzò, distogliendo lo sguardo. «Oh, giusto. Voialtri utilizzate ancora le care e vetuste spade. »
«Mai usato spade in vita mia! » Harada gonfiò il petto orgogliosamente, sfoggiando un sorriso fiero. «Il mio unico amore è questa lancia, se permetti. Tu, piuttosto… come puoi avere una pistola da quand’eri bambino se quelle diavolerie infernali vengono dal continente? »

Si fermarono a fissarsi negli occhi per alcuni istanti, prima che Shiranui rompesse nuovamente il silenzio.
«Ehi, pidocchio. Guardami bene. »
Il demone gli si avvicinò lentamente, fissandolo intensamente negli occhi. «Da dove vengono le pistole? »
«Dal continente. » Ovvio, pensò l’altro.
«E dove siamo qui? »
«Nel glorioso Giappone, mi sembra chiaro. »
Il moro gli riservò un sorrisetto di beffa, ormai a pochi centimetri dal suo viso. «Ed io ti sembro giapponese? »
Si fissarono in silenzio ancora per alcuni istanti, ad un soffio dai rispettivi volti; potevano sentire il profumo dell’altro, o per meglio dire, l’odore, vicini com’erano. Shiranui sapeva di alberi e sudore, come le bestie della foresta, ma anche di spezie di paesi lontani e… libertà, se possibile, osservò mentalmente il giovane Shinsengumi. A Shiranui, invece, Harada sembrava profumare di pane, farina e cose buone. Panni appena lavati. Il legno ben cerato di un dojo. Carta da lettere. O forse era solo tutto nella sua testa.
Il rosso fu il primo a risvegliarsi da quel breve momento di trance e, tornando alla conversazione, cercò di rompere quell’atmosfera scomoda. «...Touché! »
Il moro riprese a sua volta coscienza della situazione e indietreggiò di un passo con nonchalance. «Heh. Mochiron. »
Ripresero a camminare, chiudendosi entrambi in un silenzio di riflessione.




«Nee, Heisuke-kun. Harada-san è partito con due secchi vuoti. Erano molto grandi. Ne porta sempre due alla volta da solo? »
Heisuke le sorrise sicuro. «Il nostro Sano-san ha più risorse di quante tu non creda! » Aggrottando le sopracciglia, fissò sovrappensiero la tinozza d’acqua sporca a pochi metri di distanza. «Ora che mi ci fai pensare, ultimamente manca l’acqua molto spesso. E va sempre a prenderla lui. Che sia un nuovo tipo di allenamento? »
Perplessa, Chizuru aprì lentamente il fagotto di verdure. «Non è troppo faticoso? Non sarebbe affatto utile se si facesse male, e voi avete bisogno dei suoi muscoli.»
Mentre Heisuke rispondeva con una scrollata di spalle, la ragazza afferrò una carota e la tagliò in piccoli pezzi. «Spero non si affatichi troppo. »




Senza rendersene conto arrivarono ben presto ai limiti del bosco, ritrovandosi nel giardino del quartier generale. Shiranui lasciò cadere poco cerimoniosamente il suo secchio e si voltò dalla parte opposta, pronto a scomparire nuovamente fra gli alberi. Ma non lo fece. Esitò per alcuni istanti, poi disse: «Dovresti farti un po’ di muscoli, o altrimenti mi toccherà portarti l’acqua per sempre. »
«Nessuno ti ha mai chiesto niente. E poi, più muscoli di così? Maji ka?» Alzò un braccio e tese i muscoli come prova del suo allenamento giornaliero. Shiranui voltò appena la testa per osservare con la coda dell’occhio quei muscoli definiti e, senza alcun dubbio, tutt’altro che bisognosi d’esser tonificati. Deglutì senza accorgersene e distolse lo sguardo.
«…Ci si becca in giro, Hararin. »
Il rosso sgranò gli occhi. «Come mi hai chiamato? »
Ma il demone era già scomparso, come i soffi d’aria fresca in piena estate.
«Ehi! Se era un modo per farmi incazzare, guarda che... e poi come fai a non essere giapponese se sei un demone della...»
Le fronde avevano ricominciato a suonare la loro musica dai toni calmi e ripetitivi; un concerto di foglie che si sfiorano, un concerto che ignora le parole inutili lasciate al vento.
Un concerto che conserva solo quelle importanti.
Harada abbandonò la frase a metà, ascoltando il rumore delle fronde degli alberi, tornato sovrano nel silenzio che si era venuto a creare. Un silenzio un po’ diverso, tuttavia, da quello di poco prima.
Mancava qualcosa.
Forse era l’odore delle spezie.
Forse erano i respiri irregolari di quella creatura.
Forse erano solo paranoie.
Afferrò il secchio di Shiranui e si diresse verso l’entrata della cucina, che dava dritto sul cortile.
«Sai, Shiranui» sussurrò a mezzavoce al vento che ora gli dava contro, quasi a volerlo trasportare nella direzione opposta. «Il mio Maestro diceva che il rumore delle foglie degli alberi non è un semplice fruscio: è l’insieme confuso delle voci di tante persone. Sono le parole che le persone sole offrono al vento, perché non hanno nessun altro a cui dedicarle. Io non ci ho mai creduto.» Sorrise, con un pizzico di emozione nel cuore. «E continuo a non crederci. Mi hai capito? »
«Oi, obaka-san, con chi diavolo staresti parlando?» Il viso Heisuke comparve all’improvviso dall’ingresso, con un’espressione fra il confuso ed il preoccupato.
Harada scoppiò a ridere senza riuscire a trattenersi, e mentre Heisuke pianificava di rovesciargli in testa uno dei secchi d’acqua per farlo tornare in sé, la sua risata si perse frantumandosi in mille suoni confusi nel vento della sera.

Non molto lontano, Shiranui, sdraiato su un alto ramo, ascoltava il tranquillo concerto delle piante.
Agitato, allegro, agitato. Pianissimo, forte, adagio.
Poi, per un motivo sconosciuto, prese a ridere fra sé e sé. Un riso sincero, senza ombre d’arroganza o di scherno. Una di quelle risate spontanee e dolci, come quelle dei bambini che giocano in riva ad un fiume.

Si dice che il riso sia contagioso.
Ma forse non credi neppure a questo, non è così…

Hararin?





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Eccomi qui, di nuovo nella sezione di Hakuouki. Con una storia scritta di gettissimo su una scena che ho in mente più o meno da sempre: Shiranui e Harada che camminano insieme nel bosco, portando dei secchi d'acqua (?). Sì, sono malata.
Li immagino ad imparare a conoscersi sempre meglio, giorno dopo giorno, durante quelle passeggiate, e ogni tanto a perdersi a parlare di cose profonde per poi rendersi conto di star filosofeggiando con un nemico e non sapere se ridere o sentirsi imbarazzati. E poi mi piace pensare ai momenti di vita quotidiana di Chizuru e gli altri, quelli dei vecchi tempi, quando tutti erano ancora vivi e allegri. Sono i momenti più preziosi.

Comunque la storia del gatto nero di nome Toshizou non me la sono inventata, Souji ha davvero chiamato un gatto nero Toshizou! Lo dicono in una sound novel. XD Boh, amo Souji.
Scusate gli sprazzi di giapponese qui e là. E scusate se la fanfiction vi sembra insensata. X°° E scusate anche se i personaggi si rivolgono l'uno verso l'altro nel modo sbagliato (esempio: Heisuke-san anziché Heisuke-kun, ecc) ma Hakuouki l'ho guardato parecchio tempo fa e non ricordo come si chiamavano l'un l'altro i vari personaggi. ^A^"
Ah, e Hararin è solo un soprannome, un nomignolo. Solo che è molto confidenziale. :3
Uhm~~ vabbè. Vi lascio e spero abbiate apprezzato almeno un pochino -giusto un pochino ;;- questa fanfic. E, ecco, alla prossima. Forse. Ja ne!
   
 
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