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Autore: Amy_Vampire    04/06/2012    2 recensioni
Eppure quella volta non riusciva a prendere una decisione. Ripensava ad ogni singolo istante, e si chiedeva quando tutto fosse cominciato, e il secondo esatto in cui si sarebbe ancora potuto fermare.
“Signore, c’è Steve Rogers al primo piano che chiede di essere ricevuto.”
La voce metallica di Jarvis lo fece scattare in piedi. Attese qualche secondo, muovendo le labbra mentre ripeteva quel nome tra sé e sé, poi rispose.
“Fallo salire.”
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera a tutti!
Finalmente, dopo mesi di assenza, riesco a pubblicare qualcosa.
La scuola è quasi finita e io sono riuscita a riprendere in mano qualche progetto iniziato e lasciato da parte.
Ho lavori in corso in circa dieci fandom diversi (Star Trek e Supernatural richiedono insistentemente la mia presenza), e prometto che prima o poi continuerò tutto!
Per ora, vi presento una sciocchezza che ho iniziato a scrivere quando sono andata a vedere The Avengers per la terza volta con la mia beta reader, Lilyan (che ovviamente sparisce sempre quando riesco finalmente a concludere qualcosa xD Povera, la stresso tutti i minuti, dovrei farle una statua).
Il titolo della fan fiction è una citazione di un sonetto di William Shakespeare.
Ringrazio in anticipo chi commenterà!
L’unica cosa che mi appartiene è la storia; i personaggi, la Marvel o qualsiasi altra cosa bella in questo mondo non è mia.
Ah! Ovviamente STony.
 
Buona lettura!
 
Amy

I am to wait, though waiting so be hell

 
 
Il proprietario della Stark Tower passeggiava apparentemente tranquillo nell’appartamento che aveva fatto allestire ai piani alti dell’enorme edificio, soffermandosi di tanto in tanto a leggere un paio di righe da questo o quell’altro monitor.
Il pomeriggio volgeva ormai al suo termine, e dalle enormi vetrate Tony poteva vedere il cielo tingersi d’arancio. Sembrava che nemmeno quello fosse il giorno che aspettava da tre mesi.
Buttò un’occhiata all’orologio digitale appeso alla parete: le sette e un quarto. Ovviamente poteva rilassarsi, spogliarsi e stendersi sul divano a pensare, come faceva ogni sera da tre mesi a quella parte, quando Pepper non era con lui.
In quei momenti di calma e malinconia, ripercorreva mentalmente tutto ciò che gli era capitato dal giorno in cui si era presentato proprio lì, in quella stessa stanza, l’agente Coulson, per parlargli del progetto Avengers. In quei pochi, assurdi giorni era accaduto l’inimmaginabile.
Ma era accaduto tutto così in fretta che le conseguenze non erano nemmeno state prese in considerazione. Le azioni di quegli intensi giorni erano state avventate, istintive, quasi animali.
E proprio per questo motivo, tutto d’un tratto, Tony Stark era diventato l’uomo più riflessivo dell’intero pianeta. Meglio escludere altri eventuali mondi, non si può mai sapere.
Solitamente agiva, nel momento stesso in cui gli veniva un’idea. Era stato sfiorato dalle affusolate e gelide dita della morte, e da quell’esperienza aveva imparato che non si è mai troppo al sicuro per non vivere la vita al massimo.
Eppure quella volta non riusciva a prendere una decisione. Ripensava ad ogni singolo istante, e si chiedeva quando tutto fosse cominciato, e il secondo esatto in cui si sarebbe ancora potuto fermare.
“Signore, c’è Steve Rogers al primo piano che chiede di essere ricevuto.”
La voce metallica di Jarvis lo fece scattare in piedi. Attese qualche secondo, muovendo le labbra mentre ripeteva quel nome tra sé e sé, poi rispose.
“Fallo salire.”
 
L’ascensore percorse in pochissimo tempo i piani che lo separavano da Tony. Steve ne fu sorpreso e anche un po’ amareggiato, dal momento che sperava di aver più tempo per prepararsi mentalmente a quell’incontro. Perché tre mesi non erano certamente abbastanza, e non lo sarebbero stati nemmeno altri settant’anni passati nel ghiaccio. Pensò semplicemente che doveva andare così, e sapeva che se non l’avesse affrontato quella sera non avrebbe più trovato il coraggio.
Non appena le porte dell’ascensore si aprirono, Steve vide Tony che, dandogli le spalle, armeggiava con qualche bottiglia al banco degli alcolici.
Raccimolando quel poco coraggio che gli era rimasto, fece qualche passo nella stanza, ma il rumore delle scarpe sul pavimento non fece voltare Tony. Steve si prese qualche istante per guardarsi intorno.
L’ambiente era enorme e luminoso, con un design semplice ma innovativo e una splendida vista della città. A pochi passi da lui si trovavano dei divani disposti a cerchio attorno ad un tavolo di vetro, e pochi altri elementi decoravano la stanza.
“Drink?”
L’improvvisa variazione di volume lo colse di sorpresa, facendolo voltare di scatto verso la sorgente del suono.
“No, ti ringrazio.”
Solo allora Tony si girò.
Per qualche secondo l’Universo per Steve Rogers rimase immobile nella contemplazione di quell’uomo.
Non aveva passato un solo momento della sua vita negli ultimi mesi senza pensare a quel volto, ma più cercava di raffigurarselo più quello sfuggiva, andando a svanire dalla sua mente.
Era arrivato al punto in cui aveva avuto bisogno di guardare i file che S.H.I.E.L.D. gli aveva fornito su Iron Man per ricordarsene.
“Non ti dispiace, vero, se…” buttò lì tranquillamente Tony, agitando il bicchiere che teneva già in mano.
Steve lo guardò per qualche istante di troppo, ancora perso nel suo mondo, prima di scuotere leggermente il capo.
Non gli sembrava vero, eppure era stato lui a sparire per tre mesi.
Tony chiuse la bottiglia di vetro e si incamminò verso i divani, facendo cenno a Steve di seguirlo.
Con movimenti che sperava non risultassero troppo meccanici, quest’ultimo si sistemò a debita distanza, cercando di non sembrare esageratamente freddo. Niente drink, niente contatto… Ci si sarebbe potuti chiedere perché fosse andato lì, in fondo.
“Allora, dove… dove sei finito?”
A Steve sfuggì una risatina nervosa. Iniziava a sembrargli tutto molto divertente.
“Be’, ho… avuto parecchio da… fare.”
Si rendeva conto che la sua risposta vaga e banale non avrebbe retto nemmeno con una mente come quella di Thor, figurarsi con un moderno Cicerone pieno di sarcasmo. Ma non era mai stato un bravo bugiardo.
“Ah sì? Interessante. E cosa hai avuto da fare di così importante da non riuscire a rispondere alle mie chiamate?”
Dritto al punto, come al solito.
Il tono pungente, sebbene fosse una prerogativa delle conversazione con Tony Stark, mise a disagio Steve.
“Sai, credo che questi non siano affari...”
Si bloccò a metà frase, rendendosi conto che la situazione gli stava scivolando di mano. Non aveva assolutamente nessun diritto di aggredirlo come stava facendo.
Senza mai alzare gli occhi dal tavolo di fronte a lui riprese a parlare, questa volta più calmo.
“Ho dovuto sistemare delle faccende.”
“Oh, capisco.”
Steve non provò nemmeno a costruire una conversazione, anche se in realtà era l’unica cosa che voleva in quel momento. Voleva parlargli, sentirlo parlare, chiedergli come si sentisse, se si fosse sentito solo senza la sua compagnia…
Ma tutte le parole che sentiva di voler urlare rimasero bloccate da un enorme peso che gravava alla bocca dello stomaco, lo stesso macigno che l’aveva portato a rispondergli con tanta rabbia.
Così rimase immobile, zitto, interiormente scosso, come un animale in gabbia, mente Tony si bagnava le labbra con il suo drink.
E un imbarazzante silenzio scese tra loro.
 
Per diverso tempo, Tony rimase assorto nei proprio pensieri, focalizzandosi sulle reazioni del biondo.
Il liquore pizzicava le sue labbra, mentre pensava a come fossero arrivati ad una situazione talmente assurda.
In quei pochi giorni che erano trascorsi da quando si erano visti per la prima volta a quando si erano separati, i loro mondi erano stati sconvolti. Sì, la Terra era uno di questi. Ma gli altri, quelli più privati, più intimi, erano stati completamente ribaltati, ognuno scaraventato fuori dalla propria orbita, da qualcosa che nessuno dei due comprendeva, ma che avevano imparato ad accettare.
Insieme, ci avevano convissuto, parlandosi, urlando, sfiorandosi, litigando, arrivando a colpire l’uno l’anima dell’altro.
Tony, forse per la prima volta nella sua vita, era certo di conoscere le emozioni di quell’uomo, e sapeva che si incastravano a perfezione con i suoi desideri.
Per questo non capiva le ragioni che avevano portato quel super soldato così lontano da lui per un periodo di tempo così lungo.
“Come sta la… signorina Potts?”
Finalmente un suono. E finalmente una domanda che potesse far riprendere a Tony il filo del discorso.
“Pepper non è qui ora, e non lo sarà per qualche giorno. Non c’è nessuno in quest’appartamento. Solo…” e con la mano sinistra fece un vago gesto indicando prima sé stesso e poi l’uomo seduto di fianco a lui “…tu e io.”
Posò il bicchiere sul tavolo di vetro, gesto che fu accompagnato da un lieve tintinnio che si sparse per la sala.
Poi si spostò tranquillamente vicino a Steve, facendo in modo che la sua gamba sinistra aderisse a quella destra del biondo, che avvertì una scossa propagarsi dalla nuca e scendere lungo tutta la schiena.
Erano mesi che non sentivano quel contatto, e sapevano benissimo quanto fosse mancato ad entrambi.
 
“Perché non mi hai risposto?”
“Ero…”
“Sì, certo, eri impegnato.”
Come poteva mentirgli se non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi?
“Steve, cos’hai?”
Quella semplice domanda posta con tono quasi implorante fece pizzicare gli occhi del biondo. Si sentiva considerato, amato, protetto, e questo lo rendeva ancora più triste.
Trattene le lacrime, conscio del fatto che Tony se n’era comunque accorto, e alzò la testa, senza però guardare il suo interlocutore.
“Allora, cosa dicevi a proposito di Pepper? L’hai mandata a incontrare la stampa al tuo posto un’altra volta?”
Steve cercò di sembrare disinvolto, ma la sua voce si era leggermente alterata.
Tony, dal canto suo, cercò di mantenere la calma. Odiava il modo in cui Steve tentava di evitare i discorsi scomodi.
Tuttavia non se la sentiva di cominciare ad urlargli contro. Dal primo istante in cui aveva posato il suo sguardo su di lui quella sera aveva capito che qualcosa al suo interno si era lacerato.
Sperava solo che il danno non fosse irreparabile.
Per questo aspettò qualche secondo prima di rispondere, scegliendo meticolosamente le parole da utilizzare, in modo che nulla potesse deviare la loro conversazione.
“Sai perfettamente che Pepper non ha niente a che vedere con noi in questo momento… Ti ho promesso che ne avremmo discusso, e ti prometto ancora che ne parleremo, ma solo quando entrambi saremo in pace con noi stessi. Pepper non c’è.”
Scandì attentamente le ultime parole.
“Parlami di te, Steve, voglio sapere cosa ti tiene lontano da me.”
 
Steve abbassò di nuovo la testa e scrollò il capo un paio di volte. Era impossibile scappare da quell’uomo.
Era andato in quell’appartamento per finirla una volta per tutte con quella storia che lo tormentava da mesi.
Aveva cercato di fare finta di niente per i primi giorni. Diceva a se stesso che tutti gli altri l’avrebbero fatto, che nessuno si era opposto, che aveva agito per il bene della Terra.
Ma ogni mattina il peso del rimorso era più grande della sera precedente, e a volte gli capitava di svegliarsi nel bel mezzo della notte urlando, e di sentirsi completamente solo.
A quel punto aveva provato a dimenticare tutto. Cancellava tutti i messaggi di Tony ancora prima di ascoltarli, cercava di stare fuori casa il più a lungo possibile, a volte partiva senza dir nulla a nessuno.
Ma nemmeno quello era parso funzionare. Più cercava di dimenticare e più intensamente i ricordi lo tormentavano.
L’unico tentativo rimasto era quello di parlarne con Tony.
E poi voleva vederlo. Più di ogni altra cosa al mondo.
“Tony, io…”
Si fermò per trovare le parole giuste, sempre che ce ne fossero.
Stava per riprendere a parlare, quando avvertì la mano calda di Tony tra i suoi capelli, che lo accarezzava gentilmente.
Godette di quel tocco per qualche secondo, mentre gli occhi si riempivano di lacrime che questa volta non riuscì a contenere.
 
Tony continuò ad accarezzarlo lentamente, resistendo all’impulso di abbracciarlo e calmarlo finché non si fosse addormentato.
Aveva bisogno di capire cosa non andasse prima di agire in qualsiasi modo.
Lo vide asciugarsi frettolosamente le lacrime con il dorso della mano e aspettò tranquillamente che riprendesse a parlare.
“Ho detto io di chiudere il portale.”
La voce ora era completamente rotta dal pianto e l’intensità oscillava ad ogni sillaba.
“E quando hai riaperto gli occhi… Da allora non riesco a guardarli.”
Tony rimase leggermente sorpreso da quell’affermazione. Aveva ovviamente considerato l’ipotesi che fosse quella l’origine del problema, ma certamente non aveva pensato che Steve fosse rimasto così sconvolto.
Avrebbe potuto alzargli il volto e obbligarlo a guardare i suoi occhi, ma non lo fece. Non poteva rischiare nulla con Steve, quindi decise di spostarsi su un terreno più sicuro.
“Me l’hai detto tu, no? I soldati sono sacrificabili.”
La sua mano continuava a muoversi tra i capelli di Steve, ma il tono della voce era più deciso di prima.
“Ma tu non sei un soldato! Tu sei…”
Tony aspettò pazientemente che Steve terminasse la frase, dopo essersi asciugato le lacrime che avevano percorso nuovamente il suo volto.
“Tu sei importante, Tony. Eppure ti avrei lasciato andare.”
Il biondo cercò di ritrovare un minimo di stabilità nella voce, ma il solo pensiero di quello che stava per dire gli chiudeva la gola. Risolse di parlare sussurrando, per far sentire il meno possibile quanto tutto quello lo stesse distruggendo.
“Lei non l’avrebbe fatto.”
 
Tony smise di accarezzare l’uomo di fronte a sé, si risistemò sul divano e prese nuovamente in mano il suo drink.
“No, ovviamente no.”
Agitò il bicchiere con movimenti circolari e il ghiaccio produsse un suono cristallino. Teneva gli occhi fissi sul liquido che si muoveva armoniosamente aderendo alla superficie liscia del vetro.
Poi sospirò profondamente e bevve un sorso.
“Lei non potrebbe mai capire. Ci chiamano supereroi, siamo quelli che salvano il mondo. Ma non sanno cosa significhi prendere una decisione tra ciò che è giusto per l’umanità e ciò che è giusto per se stessi.”
Alzò la testa e fissò di nuovo il volto di Steve.
“Io non posso dirti quale fosse la giusta scelta per te. Però posso dirti che quella che hai preso mi è piaciuta abbastanza.”
Lasciò di nuovo da parte il bicchiere, per posare la mano sulla guancia del biondo e fargli incontrare il suo sguardo.
Finalmente vide quegli occhi azzurri per la prima volta dopo mesi. E, sebbene fossero velati dal dolore, gli piacquero come se fosse stata la prima volta.
Gli sorrise dolcemente, cercando di fargli capire che non era successo niente, che lui stava bene e che avrebbero dovuto lasciarsi quella storia alle spalle.
Nel frattempo fece scivolare la mano dietro al suo collo, per poi avvicinare il viso e baciarlo.
Decisamente non era il primo bacio che si scambiavano, ma questa volta nessuno dei due aveva interesse ad approfondirlo.
Rimase un semplice contatto, per affermare che, spesso come una catena o leggero come un filo di seta, tra loro c’era qualcosa che li teneva uniti.
Tony si allontanò di qualche centimetro, lasciando comunque le fronti a contatto.
“E sono orgoglioso di te, Capitano.”
Steve lo guardò con profonda gratitudine, ma per Tony non era ancora abbastanza.
“Ehi, ora puoi tornare ad arrabbiarti con me come fai di solito!”
E, con enorme sollievo di Tony, il biondo sorrise.
 
Rimasero diverse ore sdraiati sul divano, nella penombra, la testa di Steve appoggiata al petto di Tony, i suoi occhi che guardavano la luce soffusa emessa dal dispositivo che teneva in vita il compagno.
Tony aveva una mano sulla sua spalla, e la muoveva lentamente su e giù. Cercava di respirare regolarmente per non disturbare Steve, che con una mano stringeva la sua maglietta.
Non si addormentarono subito.
Erano fermi, a contatto, a cercare di recuperare tutto ciò che avevano perduto.
Ma c’era una vita davanti, per combattere, litigare, riappacificarsi, ridere, fare l’amore.
E per guardarsi negli occhi, senza rimpianti o sensi di colpa.
 



Tony si svegliò nel mezzo della notte. Non aprì gli occhi, ma godette per qualche istante del calore che il corpo di Steve emanava e del formicolio che tormentava la gamba rimasta schiacciata dal peso di quel gigante.
“Non lo fare mai più.”
Non sapeva se Steve stesse dormendo o meno, ma lo disse lo stesso.
“Non scappare mai più da me.”
E gli posò un bacio tra i capelli, per poi scivolare nuovamente nel sonno.
   
 
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