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Autore: Aya_Brea    06/06/2012    5 recensioni
"La figura alta ed imponente di Gin era ferma affianco al letto della piccola scienziata, teneva le mani infilate nelle tasche dell’impermeabile ed i suoi lunghi capelli d’oro seguivano la direzione del vento. Dal suo viso imperturbabile non trapelava alcuna emozione, ombreggiato com’era, dall’argentea luce lunare. I suoi occhi verdi brillavano come quelli di un felino."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"See these tears so blue
An ageless heart 
that can never mend
These tears can never dry
A judgement made
can never bend
See these eyes so green
I can stare for a thousand years
Just be still with me
You wouldn't believe what I've been thru"

 

"Guarda queste lacrime così tristi
Un cuore senza età 
che non potrà mai guarire
Queste lacrime non si asciugheranno mai
Un giuramento fatto 
non si potrà mai spezzare
Guarda questi occhi così verdi
Posso fissarli ancora per un migliaio di anni
Stai ancora con me
Non crederesti a quel che ho passato"


 

(David Bowie - Cat People)


Una tiepida brezza si faceva largo fra le ante della finestra, il sole era calato oramai da qualche ora e i suoi raggi assopitisi avevano lasciato spazio al pallore di uno spento crepuscolo. Nella stanza di Shinichi c'era soltanto un gran silenzio, inframmezzato a tratti dal vento che gli arruffava i capelli castani; egli ne era però, totalmente insensibile. Si spingeva i palmi delle mani contro la fronte e vi aveva immerso il viso: si vergognava per quel che era successo e non riusciva a capacitarsene. Vermouth era morta. E forse era morta proprio a causa della sua negligenza, a causa della scarsa fiducia che le aveva riservato sin dall'inizio. Sul luogo del delitto, sul muro di fianco alla sua figura, troneggiava un'inquietante scritta che si era impressa indelebile nella mente del Detective:
'Nix.'
Quelle tre lettere sembravano non avere alcun significato, probabilmente perché ella non aveva avuto il tempo per completare la parola. Più si arrovellava il cervello, più qualsiasi collegamento gli sfuggiva di mano, come se una cappa di fumo nero gli avesse oscurato la mente. Non si era neanche accorto che qualcuno stava salendo le scale.
"Shinichi, ti disturbo, posso entrare?" Era Ran. Egli si volse e le fece un lieve cenno.
"Ran. Si, certo." Il suo tono abbattuto non presagiva nulla di buono e alla ragazza parve ancora molto scosso e provato da quel che era successo.
"Ti ho portato dei biscotti, pensavo che tu avessi fame." Ran si avvicinò alla scrivania  e vi posò un vassoio, poi cercò di sorridergli affettuosamente, anche se lui si sforzò palesemente per poterla ricambiare.
"Grazie, li assaggerò dopo."
"Mi spiace per quello che è successo, Shinichi." La voce della ragazza era seriamente addolorata, ma  non per questo compassionevole. Si sedette sul letto e trasse un lieve sospiro, guardando poi nella stessa direzione del ragazzo, i cui occhioni azzurri dispiegavano lo sguardo oltre i grattacieli che si scorgevano nel piccolo riquadro della finestra.
Shinichi lasciò trascorrere qualche secondo, poi dischiuse le labbra. "Ran, posso farti una domanda?"
Ella trasalì, ma come il ragazzo, non distolse lo sguardo. "Certo, dimmi pure."
"Perché una donna si innamora di un altro uomo?"
Inizialmente lei fu percorsa da un insolito tremore e quelle parole le giunsero inaspettate e apparentemente prive di senso. "Che vuoi dire?"
"Perché ci si innamora, qual è la molla che ci spinge verso l'altro?"
"Che razza di domanda. Non c'è un motivo, non ci sono perché. Succede e basta. Un bel giorno ti svegli e guardi quella persona con occhi diversi, cominciano a tremarti le gambe in sua presenza, hai la sudarella, le palpitazioni, le farfalle nello stomaco."
"Ed è tutto qui?"
"No. Certo che no. Cominci a desiderare di stargli affianco in maniera diversa, lo pensi spesso, diventa per te una specie di chiodo fisso." Rise nervosa. "Ma perché me lo chiedi?"
Shinichi rimase imperscrutabile e serio, alla stregua di un blocco di marmo. "Pensi che un sentimento del genere possa essere estirpato? Ti interesserebbe del giudizio altrui?"
Ran si morse il labbro: le sue domande si susseguivano rapide, senza che la stesse ad ascoltare, senza che le desse spiegazioni. Sospirò. "No, certo che no. L'amore è cieco, e quando si tramuta in ossessione diventa totalizzante, il giudizio degli altri è soltanto un impedimento, ma superfluo."
"L'amore che diventa ossessione non è amore, sei d'accordo?"
"In un certo senso, si."
"E cosa diventa?" A quel punto Shinichi si voltò verso di lei e negli occhi di Ran scorse soltanto tanta confusione. L'aveva spiazzata, tanto che si ritrovò a stringere convulsamente il lenzuolo con le dita. "Allora? Cosa diventa?"
In quel preciso istante il trillo del campanello si diffuse in tutta la stanza, distruggendo per sempre l’atmosfera di tensione appena creatasi. La domanda di Shinichi rimase sospesa come su di una nuvola di fumo.
 
 
 
 
Era tardi, i lampioni diffondevano degli aloni soffusi dal colore giallastro e la luce si rifrangeva fra le pozzanghere sporche: Shiho procedeva spedita passo dopo passo, tenendosi ben stretta nel suo impermeabile rosso. La notte aveva sempre paura che qualcuno potesse farle del male e l’esperienza con l’Organizzazione non aveva fatto altro che accrescere il timore che nutriva per quelle strade buie e desolate. Percorrerle da sola, poi, era ancor più pericoloso.
I pensieri erano nella sua mente, come i molteplici fili di un tessuto, ben organizzati e non più distinguibili, tanto ingarbugliati ed inestricabili che quando si ritrovava sola, il suo cervello era completamente vuoto, i suoi occhi spenti: non più occhi vitali, ma occhi ricolmi di terrore.
Le gambette sottili di Shiho si muovevano agilmente e con velocità, fin quando la ragazza non dovette svoltare l’angolo: d’improvviso ella cozzò contro una figura prominente e non appena sollevò il capo, incrociò lo sguardo glaciale di Gin, che nel frattempo l’aveva afferrata per le braccia. Non sembrava minimamente colpito dall’incontro.
Ella sgranò gli occhi visibilmente e prese a tremolare. “Oddio, Gin.”
“Sherry, perché te ne vai gironzolando da sola a quest’ora della notte?” Il suo tono era tremendamente sadico, la sua presa ben salda attorno alle sue braccia morbide.
“Non mi stringere.” Sussurrò lei. Mandò giù la saliva e faticò qualche istante prima di potersi riprendere. “Segreti di donna.”
Il biondo le si avvicinò ancora. “Mi tradisci? Non ti basto io?”
Dio, la teneva così stretta a sé che poteva sentire il profumo dei suoi capelli di platino inebriarla. “Non stiamo mica insieme. E anche se fosse non sarebbero affari tuoi.” Gli riservò un sorrisino di sfida. Doveva tenergli testa, o sarebbe nuovamente sprofondata nell’oblio.
Gin si soffermò a scrutare nei suoi occhi azzurri, pareva che con il solo sguardo potesse leggere in profondità, nella sua anima. “Non mi riferivo alla nostra relazione, dolcezza. Ma al tuo comportamento sospetto.”
Shiho si dimenò e con uno spintone finalmente riuscì a scrollarselo di dosso. “Lasciami, dannazione. Non stavo facendo nulla di male, sei tu che giochi a fare il mastino.”
Il biondo strinse i denti, ma preferì non replicare, poiché se disgraziatamente l’avesse fatto, l’avrebbe presa a calci nello stomaco. Il gesto di stizza si tradusse in quello meccanico di sfilarsi la sigaretta dal pacchetto e di portarsela fra le labbra: la mordicchiò lievemente e dopodiché l’accese.
“Andiamocene a casa. E non fiatare.”
La ragazzetta prese a camminargli di fianco, di tanto in tanto lo guardava mentre camminava spedito, con le mani infilate nelle tasche, il cappello calato sulla fronte e l’espressione contrita. Per tutto il tragitto che li separava da casa non volò neanche una mosca.
 
 
Erano trascorse due ore, le finestre erano completamente aperte sulla loro stanza e da esse proveniva un venticello fresco e piacevole. La notte, Gin preferiva lasciare le persiane spalancate, e poi quel periodo faceva stranamente caldo per la stagione.
Assicuratasi che il suo “compagno” dormisse, Shiho prese a sfilarsi la gonna, poi in un rapido gesto si tolse anche il golfino nero. In breve fu in intimo, il suo corpicino riluceva di una luce pallida. Si sbrigò ad indossare la sua vestaglietta in raso, e in un tempo ancor più breve si infilò sotto alle coperte. Ne prese i lembi e si coprì quasi fino al mento. Era tutto così strano, tutto così inusuale. Non appena volse il capo vide che al suo fianco vi era l’uomo che tanto aveva detestato, ma che ora le offriva un riparo, che ora la faceva rabbrividire soltanto con uno sguardo. Si fermò ad osservarlo, percorse lentamente i suoi lineamenti duri ma al contempo sottili, sfuggenti, la fitta trama dei suoi capelli biondi. Le sue labbra erano momentaneamente dischiuse, ma in quello stato, Gin sembrava essere un comune mortale, un essere indifeso. Ma non lo era. Affatto.
Le due figure erano vicine, l’una al fianco dell’altra: lui probabilmente dormiva, lei era oramai persa nei propri pensieri. Pensieri sbagliati, sospesi in una notte fin troppo calda per essere una notte di Marzo.
Allungò silenziosamente una mano e le dita di lei sfiorarono la guancia di Gin, così stranamente tiepida. Se ripensava soltanto per pochi istanti alla notte precedente sentiva un lungo brivido correrle lungo la schiena, le viscere contorcersi, le membra impazzite, palpitanti. Se chiudeva gli occhi, sentiva ancora il respiro affannato di lui che le riscaldava la nuca, bollente di baci; sentiva ancora i denti nella carne, il dolore tramutatosi in piacere. Sentiva il profumo del peccato.
Immediatamente ritrasse la mano e si strinse, si rannicchiò e divenne piccola piccola. Era orribile. Altri minuti di sofferenza le fecero compagnia, fino a quando non si alzò in piedi e con passo felpato raggiunse il telefono sulla scrivania. Gin dormiva. Doveva fare in fretta.
Alzò la cornetta e compose il numero con mani tremanti. Squillava.
“Pronto?” Dopo qualche trillo, finalmente ricevette conferma.
“Shinichi, sono Shiho. Ho poco tempo.” Le mancava l’aria, le sembrava di parlare in una camera piena di gas denso e rarefatto, la sua voce era un soffio impercettibile.
“Ai?!”
“Non posso spiegarti ora, ti spiegherò tutto a tempo debito. Ho saputo che l’Organizzazione ha in mente di far fuori …”
“Ai? Rispondi, Ai?! Cosa ti succede? Chi vuole far fuori?! Ai, mi senti? Pronto?” La voce di Shinichi riecheggiava vigorosa nella stanza, la cornetta era crollata giù a terra e oscillava penzoloni dal bordo della scrivania.
“Sherry, sei proprio una ragazza cattivella.” La sua voce fu come una lama affilata, un sogghigno gli illuminava il volto. Il biondo l’aveva colta in flagrante e con decisione l’aveva afferrata alle spalle, cingendole il collo con l’avambraccio. La presa divenne più stretta.
“G-Gin. Ti prego, non uccidermi.” Shiho cercò di allentare quella morsa mortale, eppure le sue dita sembravano lottare per spostare un blocco di marmo. Fu inutile, fu tutto inutile. “Ti prego, GIN!” Spalancò gli occhi come per cercare un appiglio, ma oramai boccheggiava, l’aria le mancava, la vista le si appannava sempre di più e l’energia l’abbandonava. Stava morendo?
“Ci vediamo all’Inferno.”
 
 
Shiho aprì le labbra ma da esse non fuoriuscì alcun suono. Il baratro scuro in cui era scivolata divenne bianco, cominciò a riacquisire contorni definiti e nitidi. Finalmente le sue urla si tramutarono in dei gridolini. Scattò seduta e si svegliò di soprassalto ed istintivamente si portò le mani al volto, tastandolo, sperimentando di essere materialmente viva.
Aveva la fronte madida di sudore e alcuni ciuffetti di capelli nei pressi della nuca erano bagnati. Il suo corpo fu scosso da innumerevoli sussulti, il confine fra la vita e la morte, il sogno e la realtà, era diventato troppo labile perché non ne uscisse distrutta e provata.
“O mio Dio.” Il cuore batteva a mille.
Gin si volse verso di lei, svegliato dalla situazione e dal rumore che nel frattempo aveva prodotto. “Che diavolo ti succede, devi vomitare?”
Lei non rispose, si limitò ad osservarlo.
“Se devi farlo, sei pregata di andare al bagno.”
“Non devo vomitare.” La voce di lei fu una sentenza piena d’odio e rancore, sputata fuori dalle labbra con aridità.
“Allora stai buona. E in silenzio. Sto cercando di dormire.”
“Anche io.” Si sdraiò e gli diede le spalle, per non sentire ancora quelle idiozie. “Anche io.”
 
 
 
 
 
Era ora di pranzo, Shinichi aveva fatto un salto a casa di Ran ed ora aveva lasciato casa da un bel pezzo. Il sole batteva forte ed era decisamente una bella giornata: persino il canto degli uccelli pareva più “estivo” e melodioso.
Ran era in cucina e sui fornelli bollivano due grandi pentolone ricolme d’acqua scoppiettante, poi una padella dove si stava riscaldando dell’olio.
“Papà, sbrigati, è quasi pronto!” La ragazza rimestò il riso più volte e sbuffò. “Papà! Quante volte devo chiamarti?”
“Arrivo Ran, arrivo, un attimo, sono in bagno!”
Kogoro era sempre il solito. Doveva vedersi con Sonoko, per cui avrebbe dovuto ingozzarsi per poter sperare di arrivare in orario. Finalmente poco dopo, sentì i passi alle sue spalle, stava per voltarsi a guardare il padre, quando improvvisamente si sentì sollevata dalla cintola; un paio di braccia robuste la agguantarono e un'altra mano le impedì di gridare. Qualcuno le premette un fazzoletto sulle labbra e nonostante i suoi mugolii la alzarono da terra, di peso. Erano due, forse tre. Non seppe giudicare in quanti la stessero tenendo. Di sicuro non aveva le capacità per poter comprendere che diavole volessero e cosa diavolo stesse succedendo. Sentì soltanto le palpebre divenire improvvisamente pesanti, le sentì richiudersi sulle sue iridi celesti, senza avere la possibilità di controllarle. Poi divenne tutto nero, come nel peggiore dei suoi incubi.
 
 
 
 
 
Shiho corse al telefono: era un topo in gabbia, questo si, ma di sicuro quella condizione non le impediva di far qualcosa, anche se a distanza. Stavolta nessuno l’avrebbe interrotta, stavolta Gin era uscito di casa e lei era completamente sola. Afferrò la cornetta e dopo aver combattuto con la saliva che le ostruiva la gola, deglutì e compose il numero.
“Ran! Presto, devi correre da Ran! E’ in pericolo!”
Shinichi fu colto alla sprovvista. L’aveva vista un attimo fa!
“Ma che dici, Ai?”
Le dava ai nervi la sua miscredenza. “Non chiedermi il motivo, lo so e basta. Fidati di me, fallo, Shinichi.” Cercò di racimolare altre parole per poterlo convincere. “Lo so che ho sbagliato e so di averti mentito più volte. Ma ora devi credermi.”
Il Detective non seppe cosa fare, oltre a guardarsi intorno, rammaricato. “Ai, mi dispiace per tutto. Ti ringrazio.”
Attaccarono entrambi.
 
 
 
 
 
Shinichi si fiondò fuori di casa e cominciò a correre disperatamente verso l’abitazione di Ran. Il sole giocava in suo sfavore e batteva come un dannato sul selciato, creando una spessa coltre di umidità. Percorse un lungo tratto di strada e il sudore iniziò subito a grondargli lungo la fronte, misto alla paura e all’adrenalina. Proprio all’incrocio con la settima strada, scorse chiaramente una Porsche Nera scintillante, in sosta al fianco del semaforo. Rosso.
Scattò come un ossesso nella direzione di quell’automobile e compì un agile balzo per scavalcare il guardrail che separava l’asfalto dal marciapiede.
“Fermi! Dannazione! Fermatevi!” Si fece largo fra le auto, gli mancarono pochi metri prima di raggiungerli ma il semaforo era scattato. Un tripudio di clacson impazziti lo costrinse a ritirarsi dalla strada e si vide sfrecciare un paio di vetture a pochissimi centimetri da lui. Era stanco morto, stremato.
La Porsche si dirigeva verso il ponte, probabilmente volevano attraversare il fiume e chissà  dov’erano diretti.
D’un tratto il Detective si ritrovò in uno stato di isolamento mentale per cui tutto il mondo intorno sembrava essere sparito magicamente.
Nix. Nixon. Il famoso presidente degli Stati Uniti d’America. Il presidente.
“Ci sono! Il Presidente! Perché non ci ho pensato prima.” Forse aveva compreso. Aveva compreso il motivo per cui avevano rapito Ran. In un baleno, Shinichi aveva sviscerato in tanti microscopici pezzettini, il piano diabolico e la perfidia psicologica che stava alla base dell’Organizzazione.
Era vero, quei bastardi adoravano le situazioni di stallo.




 






Eccoci, non vorrei darvi brutte notizie, ma questo è il capitolo prima dell'ultimo. Ovvero, ahimè, è il penultimo. Infatti è stato decisamente corto, proprio perché il prossimo sarà bello lungo, impegnativo e pieno di sorprese!!!!
Mi scuso con tutti per i tempi da bradipo che sto avendo ultimamente, ma sapete, l'esame di maturità.. è DOMANI! XD per cui... purtroppo tutto procede a rilento. Anche il mio cervello, si. Anzitutto vi ringrazio anticipatamente tutti quanti, tutti coloro che mi hanno seguita in questo piccolo delirio, in questo piccolo percorso. Spero che abbiate visto il capitolo 820 di Conan. Beh, emblematico, non trovate? Bando alle cianceeeeee comunque, non sono una tipa troppo melodrammatica, percui vi lascio. Spero di aggiornare presto e prometto di impegnarmi solennemente nella stesura dell'ultimo capitolo di questa lunghissiiiiiiiima storiella. Vi voglio tanto bene :) Saluto tutti e ringrazio come al solito 

Coloro che hanno la storia fra le preferite: 

A_M_B, chyo, Evelyn13, Imangaka, ismile, I_Am_She, Lady Night, Queenala, Silver spring, trunks94_cs, Violetta_, Yume98, _Flami_; Xx_PansyRomance_xX; suici007, Nikao

E ancora coloro che la hanno fra le seguite!!! 

Anemone san, Bankotsu90, Caroline Granger, Chicc, Evelyn13, I_Am_She, Kuroshiro, Layla Serizawa, Nezu, Red Fox, Sherry Myano, sosia, tigre, trunks94_cs, Violetta_, _Flami_, Shinku Rozen Maiden, sarelf.

Vi lascio qui due disegni che ha realizzato una mia carissima amica, e che ringrazio dal profondo del cuore. E' veramente un'artista. Ti adoro, Iman, grazie di tutto *____________* 
P.S: i disegni sono ispirati ai capitoli della mia storia :) Sono magnifici. Non ho parole, grazie.

  
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