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Autore: mikchan    06/06/2012    6 recensioni
Ciao a tutti! questa è la mia prima storia su EFP, spero che vi piaccia! (adesso ci sono tutti i dialoghi ;))
Bulma è una normalissima ragazza, con una vita normalissima e una famiglia normalissima. Questo fino a quando un tragico fatto fa crollare la tranquillità di casa Brief e porta la giovane Bulma a vivere in un collegio. Qui, la ragazza incontrerà tanti nuovi amici e, forse, riuscirà a dare un senso ai sogni che popolano la sua notte e al motivo che ha portato la sua vita a quel punto.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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1- NIGHTMARES

Ciao a tutti! In realtà avevo già pubblicato questa storia ma come molti mi hanno fatto notare, si erano cancellati tutti i dialoghi e ieri non ho avuto tempo per mettere a posto la storia.
Adesso dovrebbe andare bene (sono ancora un po' imbranata con l'HTML). Spero vi piaccia.

Guardai fuori dalla finestra per l'ennesima volta, nella speranza di trovare finalmente il sole. Con un sospiro, costatai che il temporale non accennava a smettere e che, alla pioggia, si erano aggiunti anche tuoni e fulmini.
Mi buttai sul letto, alzando il volume dello stereo.
Da quanto tempo ero rinchiusa in camera? Mezzora? Un'ora? Tutto il giorno? Non lo sapevo con esattezza, sapevo solo che, ormai, non ero più arrabbiata con i miei. Mi resi conto, anzi, che non mi ricordavo nemmeno il motivo della lite.
In ogni caso, doveva essere passato molto tempo, perché il mio stomaco aveva iniziato a brontolare da cinque minuti buoni, segno che era quasi arrivata l'ora di cena.
In quel momento, però, mi accorsi che c'era qualcosa che non andava. Conoscendo mia madre, sarebbe venuta a cercarmi subito per fare pace e, inoltre, nella casa c'era un silenzio sinistro. Spensi lo stereo e un lampo squarciò il cielo, facendomi rabbrividire.
Sì, c'era qualcosa che non andava.
Scesi dal letto e mi infilai le pantofole, cercando di sopprimere un senso di inquitudine che si era creato da quello stranissimo sienzio.
Mentre scendevo le scale, provai a trovare una spiegazione. Forse mia madre era andata a fare la spesa e mio padre era sicuramente in laboratorio. Tuttavia, sapevo che mia madre odiava fare la spesa e che, di sicuro, non ci metteva mai sei ore e mezza. L'orologio segnava infatti le diciannove e venti ed ero quasi sicura di essere corsa in camera subito dopo pranzo, quindi verso l'una. Inoltre dal laboratorio non veniva nessun suono di macchinari e anche la radio che mio padre usava tenere accesa, era silenziosa.
Arrivai alla fine del salone, dandomi della stupida. Cosa poteva mai essere successo, in fondo? Quel temporale mi aveva messo una strana sensazione addosso, ma il mio cervello da scienziata continuava a ripetermi che era solo una sensazione.
Provai a rilassarmi e voltai l'angolo, trovandomi in soggiorno.
Quello che vidi mi raggelò il sangue e gli occhi mi si inumidirono.
Cos'era successo? Perché il soggiorno era a soqquadro? Cosa ci facevano i miei genitori stesi a terra in una pozza di sangue? E, soprattutto, come avevo fatto a non sentire niente?
Non riuscivo a muovere un solo muscolo, neanche per avvicinarmi o per chiamare la polizia.
Un'altra strana sensazione si impadronì di me, facendomi scoppiare in lacrime.
Era il senso di colpa.
Mi inginocchiai a terra, singhiozzando, mentre cercavo di distogliere lo sguardo dai corpi dei miei genitori. Mentre mi guardavo intorno, un'ombra scura passò davanti alla finestra e due occhi di ghiaccio mi fissarono divertiti, per poi scappare.
All'improvviso il pavimento sotto di me scoparve e iniziai a cadere in un buco nero senza fine.
Incominciai ad urlare, fino a quando non sentii una voce dolce e calda chiamarmi. A quel punto urlai ancora di più.


"Bulma! Bulma! Svegliati!".
Aprii gli occhi e il buco nero era svanito. Mi trovavo in una stanza verde, con due letti e un grande armadio.
Davanti a me, una ragazza dai capelli corvini e gli occhi neri mi squoteva le spalle, guardandomi preoccupata.
"Bulma!", ripetè. E riconobbi quella voce che, nel buco nero, mi aveva spaventata.
Mi misi a sedere, rendendomi conto che avevo le guance bagnate e il respiro corto.
"Tutto bene?", mi chiese sedendosi accanto a me.
Annuii, ancora scossa.
"Un brutto sogno?".
A quelle parole riniziai a piangere, coprendomi gli occhi con le mani.
Chichi mi abbracciò e mi lasciò sfogare, accarezzandomi la schiena come faceva la mia mamma quando, da piccola, mi spaventavo per colpa dei tuoni.
"Va tutto bene", diceva ogni tanto, per riempire quel silenzio interrotto soltanto dai miei singhiozzi. "E' tutto finito".
Quando iniziai a calmarmi, Chichi mi prese la mano e mi sorrise, materna.
"Va meglio?".
Annuii di nuovo e le sorrisi.
Ero in quel posto da soltanto un giorno e potevo ritenermi fortunata ad avere trovato una compagna di stanza così gentile.
Quel pensiero mi rattristò e ripensai a quando, dopo il processo che aveva condannato a quindici anni il presunto uomo che, quel pomeriggio, si era introdotto nell'abitazione dei Brief e aveva ucciso i due coniugi, scappando con tutto ciò di costoso aveva trovato, tutti i miei parenti si erano rifiutati di prendemi con loro e gli assistenti sociali avevano dovuto mandarmi in uno stupido collegio.
Per due anni, mi ero ripetuta quel giorno. Due anni e sarei stata diciottenne. Tuttavia, essendo ancora minorenne, ero costretta a passare due anni in quel posto.
Rabbrividii all'idea.
"Non è così male, qui", mi disse Chichi intuendo i suoi pensieri.
Tirai su con il naso. "Posso farti una domanda", le chiesi, accorgendomi di come la mia voce suonasse strana dopo tutte quelle lacrime.
Chichi annuì.
"Perché sei qui?".
Il sorriso sul suo volto scomparve e divenne triste. Mi pentii subito di quella domanda.
"Se non vuoi rispondere non importa", mi affrettai ad aggiungere.
Lei scosse la testa e fece un sorriso triste. "La mia mamma è morta quando io avevo due anni. Quando ne avevo dieci, il castello del mio papà è andato a fuoco e lui è morto soffocato. Non avevo nè parenti nè amici e mi hanno mandata qui", concluse.
"Sei qui da sei anni?", le chiesi sorpresa.
Lei annuì. "Per questo ti dico che non è così male. Alla fine ci si abitua", disse arrossendo.
"C'è un ragazzo?", le chesi maliziosa, asciugandomi le lacrime.
Arrossì e mi fece un sorriso che interpretai come un assenso.
"Dovrai farmelo conoscere", aggiunsi.
"Domani", mi promise. "E domani conoscerai anche il tuo tutor. Tutti i nuovi arrivati ne hanno uno. È così che ho conosciuto il mio Goku".
"E sai già chi è il mio?", domandai curiosa.
Scosse la testa. "No, lo sapremo domani. Adesso andiamo a dormire".
Sbadigliai e annuii. "A che ora dobbiamo svegliarci?", le chiesi mentre si infilava sotto le coperte.
"Alle sette".
Mi sdraiai e chiusi gli occhi, cercando di riaddormentarmi. Ma quella sera i buio mi spaventava troppo e, dopo essermi rigirata in tutte le posizioni umanamente possibili, rinunciai a dormire e iniziai a pensare.
Ero arrivata quel pomeriggio nel collegio St James e lo avevo passato nella mia stanza a sistemare le valigie e a piangere.
A dire il vero, non era da me versare tutte quelle lacrime. Di solito odiavo piangere ma tutto quello che era succeso mi aveva colpito a tal punto da non riuscire a fare altro. Sapevo che le lacrime non avrebbero riportato indietro i miei genitori, ma era l'unica mia valvola di sfogo.
Non ero andata neanche a cena e quella sera conobbi Chichi, la mia compagna di stanza. Era stata subito dolce e comprensibile e aveva cercato di mettermi a mio agio il più possibile, spiegandomi come era organizzata la scuola. Tuttavia ero troppo stanca ed ero crollata dopo dieci minuti.
In quel momento, ringraziai di nuovo il cielo per avermi dato una compagna così carina e non una di quelle arrabbiate con il mondo che mi avrebbero fatta sentire ancora più triste.
Un paio di ore dopo la sveglia di Chichi suonò e, mentre ci preparavamo per andare a colazione, pensai che, in fondo, quei due anni non sarebbero stati così brutti. 
  
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