Sono un'anima pirata dura a morire, lo so.
La dedico a chi, come me, non smette di emozionarsi per la loro storia.
Strip away the flesh and bone
Look beyond the lies
you’ve known
Everybody wants to talk
about a freak
no one wants to dig that
deep
let me take you
underneath
Dave
aveva davvero bisogno di Kurt, più che di chiunque altro.
Certo, era difficile
per lui sorvolare sui propri sentimenti, metterli a tacere e
dimenticare quanto
avesse sofferto in silenzio per mesi e mesi soltanto perché
l’aveva desiderato
-e lo desiderava- tanto da togliere il fiato. Era come doversi curare
da solo
una ferita purulenta e accorgersi di non avere possibilità
di guarigione: era
doloroso e deludente.
–Oggi
sono andato dalla psicologa, sai, quella dottoressa che
arrivò subito in
ospedale quando mi tenevano sotto controllo.
–E
com’è andata?
–L’ho
praticamente supplicata di darmi qualcosa…
–Aspetta.
Per qualcosa, intendi…?
–Psicofarmaci.
O che cazzo ne so,
quella roba.
–Dave!
Guarda, non sai nemmeno di cosa parli! Non
pensare mai più ad una cosa del genere! Promettimelo.
–Non
mi ha dato nulla, comunque. Ha detto che non ne ha le competenze
necessarie e
che non ce n’è bisogno.
–Esatto.
Non sei malato, ti fai condizionare da quello che pensa tua madre?
–Bè…
–DAVE.
Credevo avessi deciso
di fidarti di me. Eravamo d’accordo che ti avrei aiutato. E
guardami, ora sono
qui…
–Mi
sento… mi sento come se fossi un pazzo. Non
c’entra nulla la mia sessualità. È
che non so davvero cosa fare della mia vita, a questo punto.
–Intanto
sono fiero della tua scelta. Tornare al McKinley e prepararti agli
esami in
tempo per quest’anno.
–Tanto
non ce la farò.
–Hai
avuto già la forza di volerti rimettere subito in pista!
Perché ora non
dovresti farcela?
–Kurt…
–Dave.
Parla.
–Ci
sono cose che non ho detto a Mrs Lovell. Né che
dirò mai a Santana o a
nessun’altro. Allora sembrerei pazzo davvero. Sicuro di
volerle sentire tu,
adesso?
Kurt
gli prese immediatamente la mano, proprio come aveva fatto quel giorno
non
troppo lontano in ospedale, e la strinse. Non aveva paura di
quell’animo
tormentato, voleva solo accarezzarlo in profondità.
Già il fatto che Dave
stesse considerando l’idea di aver qualcosa da dire solo e
soltanto a lui, lo
riempiva di una calda sensazione simile all’orgoglio.
Annuì semplicemente.
–Non
voglio scocciarti.
–Di
solito sono io quello che scoccia le altre persone, sai? –
fece Kurt,
buttandola sullo spirito. Non gli piaceva quando negli occhi di Dave si
spegneva la luce, quando sembravano distanti migliaia di chilometri
dalla
stanza e lui tornava a pensare di non essere abbastanza importante.
–Mi
chiedevo come sarebbe stato il mondo senza di me, come sarebbe stato il
mio
stupido funerale. Ho provato a immaginare a chi sarebbe seriamente
dispiaciuto
se io fossi… morto. E ci penso ancora, ci penso ogni giorno.
Ora più che mai, sono solo Kurt.
Sono stato un bullo per anni, circondato da un gruppo di atleti a cui
non fregava
un cazzo di me e che probabilmente ora mi guarderà con
disgusto. E come posso
pretendere aiuto da chi ho maltrattato? Come posso pretendere
comprensione?
Sono stato un codardo per tutto quel tempo e ho danneggiato persone che
non
c’entravano nulla… ho danneggiato te. Capisci,
è come se tutto questo groviglio
di dolore in cui mi trovo sia la giusta punizione per me. E
dovrei rimanere qui a…
–David,
no! – lo interruppe Kurt, arrabbiato e scioccato –
Non sei solo né meriti di
esserlo. Hai me, Santana, Sue, Mrs Lovell, perfino Sebastian!
– no, non voleva
mostrarsi così, Dave andava trattato con delicatezza. Fece
smorzare
immediatamente i toni, sospirando – Ti prego, smettila di
incolparti per quello
che eri. Io SO che era solo una maschera e che il vero te è
quello che è qui
davanti a me.
–Cosa
vedi, Kurt? In me, intendo. Tolta la maschera… che cosa sono?
–Un
cucciolo di orso?
Dave
sorrise, arrossendo appena. Sentiva il cuore frizzare di gioia
ma “scendi dalle stelle” si disse, un attimo prima
che il cellulare di Kurt
squillasse.
–Oh…
ehm, scusami. – disse il sopranista, serrando per un istante
le dita intorno
alle sue, come a mostrargli quanto gli dispiacesse dover interrompere
la loro
intima conversazione. – Devo rispondere. –
aggiunse, lasciando la presa e
alzandosi in piedi. Portò il cellulare
all’orecchio. –Ehi, sì, sto arrivando.
Dave
sapeva, e ne era matematicamente sicuro, che fosse Blaine. Una scossa
di
rassegnazione attraversò il suo cuore e aspettò
in rispettoso silenzio
Aveva
dovuto mentire a Kurt, due settimane prima. Non voleva essere suo
amico, quella
era una bugia. Una bugia che avrebbe dovuto mandare avanti, non
importava
quanto fosse doloroso. Se era l’unico modo in cui poteva
averlo, avrebbe
imparato a farselo bastare.
Baby better watch your step
never mind
what’s on the left
You’re gonna
see things you might not wanna see
still not that easy for
me
Underneath
Blaine
lasciò andare la mano del fidanzato e rimase qualche passo
indietro, così Kurt
avrebbe potuto scortare Dave all’ingresso. Già nel
parcheggio qualche occhiata
fra il curioso e l’impietosito andò ad infrangersi
sulle spalle di David
“tentato suicida” Karofsky. Dopo lo sputtanamento
generale sul suo profilo
facebook, al McKinley sapevano praticamente già tutto.
Appena oltre le scale
dell’entrata, era appostato il preside Figgins che fece del
suo meglio
accogliendo Dave con una stretta di mano decisa.
–Siamo
tutti felici di averti qui, David.
“Certo,
come no” pensò l’ex-Titan, ingoiando la
consueta razione di rimorso e
inadeguatezza. Una volta varcata la soglia della scuola, lo strano
comitato di
accoglienza, formato da Sue, Mr Schue, Emma e la Beiste,
esordì con una
vagonata di sorrisi sinceri, accorati, disponibili. Tutti loro
abbracciarono
Dave uno alla volta, per fargli capire che era tornato a casa e che si
poteva
ricominciare tutto insieme in tempo per quel mese e mezzo che mancava
al grande
finale.
Dave
aveva esplicitamente dichiarato a Kurt il giorno prima di non voler
essere
accolto in pompa magna dal glee club, perché la cosa
l’avrebbe messo a disagio.
Non per il fatto che si vergognasse di farsi vedere con loro,
semplicemente
perché non voleva la scorta, non voleva far forzatamente
parte di qualcosa a
cui sentiva di avere diritto solo per pietà. Ci sarebbe
voluto del tempo, non
sopportava l’idea di dover essere guardato con commiserazione
e preso sotto
un’ala protettrice che non fosse quella esclusiva di Kurt. Il
sopranista gli
aveva ovviamente detto che Rachel ci sarebbe rimasta parecchio delusa,
dato gli
sforzi che aveva compiuto negli ultimi giorni per programmare una
performance
in onore di Dave, ma capì quello che provava il giocatore di
football e non
volle obbligarlo a far nulla per cui non si sentisse pronto.
–Blaine…
– sospirò Karofsky, girandosi verso di lui con
sguardo sofferente – Io... io… –
sembrava che le parole volessero proprio sfuggirgli, così si
limitò ai fatti.
Prese la mano del bruno per porla con delicatezza in quella di Kurt.
–Ecco.
Kurt
e Blaine guardarono le proprie dita intrecciate con un certo stupore, e
con
ancora più stupore videro Dave che camminava davanti a loro
tutto impettito.
Dalle spalle non potevano accorgersene, ma il ragazzo si era armato di
un’espressione torva, non minacciosa, ma che sperava aiutasse
a reprimere ogni
possibile approccio dei ficcanaso. Non voleva dare spiegazioni
imbarazzanti su
cose che già tutti conoscevano e su cui, molto probabile,
avevano
abbondantemente conversato. Voleva anche che smettessero di far finta
di non
guardarlo, che lo guardassero pure! Erano umani, nella loro natura era
insita
la curiosità famelica e la simil-pietà
silenziosa… Dave lo capiva, capiva molte
cose dopo aver quasi sfiorato la morte, e i loro giudizi avevano
improvvisamente perso importanza. Adesso era dichiaratamente gay e
appena scampato
da un suicidio. Non si sarebbe mai potuto bruciare più di
quanto lo era in quel
momento, tanto valeva prendere le cose di petto e cominciare a
percorrere
quella strada con coscienza. Un passo dopo l’altro, con Kurt
al suo fianco.
Niente l’avrebbe fatto vacillare, adesso.
Davanti
all’aula di storia si imbatté in Azimio. Quello
sì che era un problema, quello
sì che lo feriva profondamente, cazzo! A Dave tornavano in
mente di continuo
loro due da bambini, le feste di compleanno con l’aranciata e
i pop-corn, gli
scherzi bastardi fatti ai maestri di scuola elementare, poi i pomeriggi
di
cazzeggio davanti alla play station, la prima birretta e il primo
spinello
fumato con l’ansia di essere beccati, le ragazze, le mattine
in cui Az voleva
assolutamente copiare i compiti di Dave perché come al
solito aveva un culo
troppo pigro per sedersi e risolvere due equazioni. Ogni giornata con
lui era
stata semplice, allegra, fatta di mille piccole cose che gli mancavano
e
stazionavano nei suoi ricordi, conficcate nel suo cervello come spine.
Certo,
con lui Dave si era crogiolato a lungo nell’involucro di una
cattiveria futile
e facile che era venuta a crearsi per quella smania di dimostrare la
superiorità dei Titans al resto degli sfigati.
Quell’involucro era poi diventato
per Dave una scusa, un modo per sfogare la sua frustrazione, per
combattere la
paura di sé stesso e fingere di essere invece il tipico
adolescente americano
tutto football-figa-umorismo da sue soldi, senza scheletri
nell’armadio.
Sfortunatamente c’era lui stesso nell’armadio,
nessuno scheletro.
Per
quanto si rendesse conto che quell’atteggiamento che avevano
assunto per un po’
di tempo era stato solo un terribile sbaglio, Dave rivoleva comunque
indietro
il suo migliore amico. Non il bullo, semplicemente quel ragazzone
sboccato e
divertente con cui avrebbe voluto parlare delle stesse cose di sempre,
dei film
horror, del campionato, del campeggio, dei modellini d’aerei,
di quanto fosse
idiota Rick e di quanto fossero buoni i tacos del nuovo chiosco
messicano.
Az
finse di non vederlo, entrando velocemente in classe per non doverlo
salutare.
Dave piantò i piedi per terra, serrò i pugni
intorno alle bretelle dello zaino
e si sciolse in un sospiro pesante. Sentì il tocco leggero
di una mano sulla
spalla e, sapendo che era quella di Kurt, fu fuoco sulla sua pelle.
Deglutì, e
il sopranista gli fu accanto. –Dagli tempo… Se
è un vero amico, non ti lascerà
andare.
Dave
non si accorse nemmeno del debole sorriso che gli stava piegando le
labbra…
Quella fatina aveva lo straordinario potere di riuscire a sollevarlo
tanto
quanto di buttarlo giù. Ma quello accadeva di notte, fra le
pieghe del cuscino,
ed era un’altra storia.
Si
domandò cosa sarebbe accaduto se Kurt avesse saputo di
essere causa di così
tanto dolore per lui, di essere la ragione per cui aveva chiesto a Mrs
Lovell
qualche pastiglietta miracolosa… Sarebbe scappato dal tale
pazzo che era?
Kurt
continuava ad essere così dolce, costantemente pronto a
dargli forza, a
ricordargli le cose belle della vita, a portargli a casa biscotti e
dischi di
jazz. Quand’erano soli, Kurt gli prendeva spesso le mani e a
volte Dave voleva
davvero dirgli “Ti prego, sta’ attento a quello che
fai, ai passi che muovi,
perché cado in mille illusioni. Ti prego, non prendermi
più le mani, perché non
fai altro che spezzarmi il cuore”.
A red river of screams
underneath
tears in my eyes
underneath
stars in my black and
blue sky
and underneath
under my skin
underneath
the depths of my sin
Look at me
now do you see?
–David,
devo farti una domanda.
Il
ragazzo chiuse il libro, scendendo dal letto con passo trascinato.
Appoggiò
“Principi di Fisica” sulla scrivania e
sembrò valutare la possibilità di
rispondere o meno al padre. Paul Karofsky non aveva osato pronunciare
neanche
mezza parola che suonasse come un rimprovero dopo l’accaduto,
perché amava suo
figlio con ogni forza possibile e desiderava solo che fosse felice, che
gli
promettesse di non provare mai più a togliersi la vita.
Purtroppo, ogni volta
che gliel’aveva chiesto, Dave aveva sempre risposto con un
mugugno.
–Okay,
papà. Dimmi.
– gli uscì in un sospiro, mentre tornava a sedersi
sul letto.
Paul
oltrepassò la soglia della porta sulla quale si era fermato,
e si sedette
accanto al figlio. Si sfregò il pizzetto, ponderando
attentamente quali parole
dovesse usare.
–Kurt…
Kurt significa molto per te?
David
sentì il cuore accelerare all’improvviso e la
faccia andargli a fuoco. Le mani
congelarono per i sudori freddi e balbettò un
“sì”, sperando che la cosa si
concludesse lì.
–Pensi
di… non lo so… pensi che potrebbe diventare il
tuo fidanzato?
A
quelle parole, il ragazzo si irrigidì tutto nelle spalle,
aggrappandosi al
copriletto come se avesse avuto degli artigli. La mano di suo padre si
chiuse
sulla sua, e Paul si sporse in avanti con un sorriso imbarazzato ma
conciliante.
–Ehi, è tutto apposto. Non
c’è nessun problema, ho solo un po’ di
curiosità. Mi
piace Hummel, dico davvero.
–Papà…
– cominciò Dave, mordendosi le labbra
forsennatamente e fissando il poster dei Dallas
Cowboys – Piace anche a me. Mi piace molto. – nel
momento in cui lo disse fu
come se la rivelazione fosse evaporata dal suo corpo, lasciandogli
addosso una
specie di sollievo. Era bello parlarne con suo padre, era bello che a
lui
interessasse quello che provava suo figlio.
–Allora
c’è qualcos’altro che dovrei sapere?
– continuò Paul, divertito, stringendogli
più forte la mano.
A
Dave venne spontaneo sorridere perché il buonumore del padre
era la cosa
migliore del mondo. Lo adorava, adorava quella sconsiderata fiducia che
riponeva nei suoi confronti. Come se Dave fosse una specie di rubacuori
eccezionale
e non ci fosse alcun problema se gli piacevano i maschi.
–No.
Ha un fidanzato. – disse il ragazzo, sorridendo
disperatamente per non
abbandonarsi alle lacrime. Non che si dimenticasse mai di quel
particolare, ma
dirlo a voce alta era ancora più brutto. Gli
lasciò l’amaro in bocca, come
quell’antibiotico che prendeva da piccolo e che era
così disgustoso che il
cattivo sapore non passava nemmeno dopo aver mangiato una caramella.
Welcome to my world of truth
I don’t wanna
hide any part of me from you
I’m standing
here with no apologies
such a beautiful
release, you inside of me
–Sono
pronto per il test di biologia! Basta… non ne posso
più. Cosa mi fai ascoltare
oggi?
–Un
classico, anzi… IL classico. – Kurt era talmente
impaziente ed entusiasta che
sembrava star lì lì per fare le fusa.
La
mattina dopo il glee sarebbe dovuto partire per Chicago, alla volta
delle
Nazionali, quindi Kurt era già abbastanza elettrizzato. Non
faceva altro che
parlare a Dave di come stavano provando duramente e di come
l’aria che si
respirava nell’auditorium fosse strana, commossa e gioiosa al
tempo stesso perché
quella sarebbe stata la loro ultima gara tutti insieme.
Il
sopranista collegò il suo lettore mp3 allo stereo di Dave,
andando a
selezionare la traccia 24. Karofsky era curioso, perché ogni
volta Kurt gli
regalava nuova musica, facendogli scoprire meraviglie su meraviglie
provenienti
dai migliori musical.
Ma
appena partirono le note iniziali, inconfondibili, Dave sorrise con
briosa
soddisfazione perché sarebbe stato lui stavolta a
sorprenderlo. Kurt aveva già
socchiuso le labbra per accompagnare la voce di Liza Minnelli, ma si
ritrovò ad
ammutolire non appena fu Dave a cantare.
–Start
spreading the news, I'm leaving today
I
wanna be a part of it, New York, New York.
These
vagabond shoes are longing to stray
and
step around the heart of it, New York, New York…
Cantò
il
ragazzo, prima di buttare la testa sul cuscino e ridacchiare:
–Credevi davvero che non la
conoscessi?
Kurt
era più che sbigottito. David possedeva una voce calda
vagamente baritonale, un
vero massaggio per i sensi ma, soprattutto, una dolce intonazione che
non si
sarebbe mai aspettato. –Canta ancora! – lo
pregò, andando a mettere in pausa “New
York, New York”. –Era… era…
Puff. Accidenti, sono accaldato. – ammise, ridendo,
mentre si faceva aria con la mano.
Dave
incrociò le dita dietro la nuca, scuotendo la testa
divertito con aria di
sufficienza. –Scordatelo. Sono una frana, mi trema tutta la
voce. Fai finta che
non abbia aperto bocca, ok?
–David
Karofsky! – sentenziò il sopranista, alzando il
mento con cipiglio dittatore –
Io pretendo che tu canti con me, prima o poi. Anzi, molto presto. E non
voglio
sentire storie, sappilo. Posso obbligarti… con la forza!
Il
giocatore di football si lasciò andare ad una risata leggera
e si tirò su per
godersi l’espressione impuntata di Kurt. Era bellissimo, una
bambola di
porcellana con la determinazione di un leone.
–Con
la forza? Tu? Contro di me? – domandò David,
perplesso, prendendolo
in giro – Hai voglia di scherzare…
Si
alzò in piedi, incrociando le braccia con aria di sfida.
–Andiamo, fatina…
Fammi vedere, riesci a smuovermi?
Kurt
inarcò un sopracciglio, piegando le labbra in un sorrisetto
orgoglioso. –Ho
fatto esercizio fisico per tutto questo tempo… –
spiegò, spingendo il corpo di
Dave con tutte le sue forze. –Nghh.
Karofsky
si opponeva alla sua discreta forza con poca fatica, senza riuscire a
smettere
di ridere. –Che mosceria, fatina! La prossima volta non
provare nemmeno a
minacciarmi, se questi sono i risultati.
Lo
prese per le spalle, allontanandolo appena dal proprio petto ampio.
David non
avrebbe voluto toccarlo, perché anche solo quel semplice
contatto gli faceva
male, lo faceva sentire stupido e lontano anni luce dai propri
desideri. Il respiro
di Kurt si era fatto più appesantito per lo sforzo e per le
risate, e i suoi
occhi vispi brillavano nella resa allegra di quella lotta impari. Prima
che
potesse cominciare un film mentale, Dave vide sul prezioso viso di Kurt
un'espressione che gli si conficcò nel cuore come una scossa
elettrica. Kurt lo
stava guardando con… amore, come si guarda una persona
speciale, come si guarda
una persona che si vuole baciare.
David
era sicuro, anche se sembrava una cosa folle, di non stare usando
troppa
immaginazione, che quello che stava interpretando non era solo la sua
speranza.
La speranza l’aveva abbandonata da tempo, quindi quella
doveva essere la
realtà.
Chinò
appena la testa, cogliendo dalle labbra di Kurt un bacio delicato come
quelli
che molte volte avevano affollato i suoi sogni. In un fulmineo
frammento di
tempo pensò che Kurt l’avrebbe respinto,
pentendosi di avergli spianato la
strada. Ma non accadde, la bocca dell’altro fremette al suo
tocco,
dischiudendosi, e Dave allora si sentì in diritto di
stringerlo più forte fra
le braccia, di baciarlo con passione, di vivere quel momento con tutto
se
stesso per ricordarlo quando Kurt sarebbe dovuto andare via. La pelle
bianca
del sopranista profumava di talco e si mescolava all’odore
artificiale della
lacca, creando un contrasto che esplodeva nei polmoni di Dave. Sembrava
tutto
perfetto, sembrava che stesse andando proprio come doveva…
Dave amava la
sensazione di gioia e completezza che gli si ritorceva nelle viscere;
amava
sentirsi un po’ vincitore; amava Kurt così tanto
che si sentiva consumare pezzo
dopo pezzo ogni giorno. E Kurt amava il sapore di Dave; amava come Dave
gli
succhiava le labbra in quel momento e come lo stringeva a
sé; Kurt forse amava proprio
Dave e se n’era accorto da un po’ senza trovare il
coraggio di ammetterlo, perché
lui aveva già un fidanzato, un fidanzato premuroso e
affascinante, un fidanzato
che cantava splendidi duetti con lui, un fidanzato con cui aveva fatto
l’amore,
un fidanzato di nome Blaine Anderson. La verità era che Kurt
non capiva più
nulla nella propria testa, ed era arrivato a odiarsi per quello che
provava,
per il semplice fatto che i suoi capricci avrebbero ferito delle
persone.
Il
sopranista si staccò, sbattendo le palpebre e portandosi le
mani davanti alla
bocca. Dave ebbe una specie di deja-vù. Non lesse nello
sguardo del più piccolo
quello che avrebbe voluto, così disse, alzando le spalle:
–Non ti chiederò
scusa, Kurt. Potrei chiedere scusa a Blaine, se tu volessi fargli
sapere cos’è
successo, ma a te non chiedo scusa… perché
l’hai voluto, almeno un po’, l’hai
voluto.
Kurt
sospirò profondamente. Pareva tremasse, in realtà
stava solo combattendo contro
il suo corpo che spingeva in due direzioni opposte. Alla fine prevalse
quella
forza che gli suggeriva di gettarsi fra le braccia di Dave. Il ragazzo
lo
accolse senza dire una parola, andando subito ad accarezzargli la nuca,
mentre
Kurt chiudeva i suoi lucenti occhi azzurri per lasciar correre libere
le
lacrime. –Non mi sono mai sentito così. E fa
schifo, perché non dovrei sentirmi
così per te quando c’è Blaine nella mia
vita.
–Io
posso aspettarti una vita intera, Kurt. – mormorò
Dave, lasciandolo e
voltandogli le spalle –Va’ da lui, adesso. Guarda
dentro di te. Quando tornerai
da Chicago possiamo riparlarne… – aggiunse, col
fiato che gli moriva in gola
per il dispiacere.
Kurt,
mortificato, tentò di riavvicinarsi, per abbracciarlo tanto
forte da
stritolarlo. Si sentiva già una merda, perché gli
aveva fatto male e lo sapeva,
e non voleva vedere Dave così, che gli dava le spalle e lo
faceva sentire
dannatamente in colpa per quello che aveva fatto. Aveva ragione, del
resto.
Ma
Dave si scansò dalla sua morsa indecisa, di cui non aveva
bisogno o sarebbe
stato peggio, e si sforzò invece di regalargli un sorriso
tirato. Con i
polpastrelli ruvidi per le continue prese sulla palla da football,
solcò le
guance del sopranista, spazzando via le sue lacrime. –Buona
fortuna per le
Nazionali.
A
red river of screams
underneath
tears in my eyes
underneath
stars in my black and
blue sky
and underneath
under my skin
underneath
the depths of my sin
Look at me
now do you see?
Underneath underneath
underneath
Look at me, do you see?
Look at me, do you see?
Welcome to my world of
truth
I don’t wanna
hide any part of me from you
Dave
alzò il volume su quella canzone che parlava così
tanto
di loro.
Non osava
sperare in qualcosa.
Non osava
sperare.
Non osava.
Sperava.
Sperava con
l’anima a brandelli.
Sperava con
l’anima che grondava sangue.
Il bacio era
ancora appoggiato sulle sue labbra, poteva
sentirlo.
Era come se
stessero buttando sale sul suo cuore spaccato in
due.
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Se siete arrivati fin qui, vi ringrazio per il tempo che mi avete concesso.
Non mi andava di lasciare Dave nel dimenticatoio, non lo merita...
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