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Autore: Phoenixstein    06/06/2012    4 recensioni
Aveva dovuto mentire a Kurt, due settimane prima. Non voleva essere suo amico, quella era una bugia. Una bugia che avrebbe dovuto mandare avanti, non importava quanto fosse doloroso. Se era l’unico modo in cui poteva averlo, avrebbe imparato a farselo bastare.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Song fic Kurtofsky, la cui ispirazione mi è arrivata dalla meravigliosa "Underneath" di Adam Lambert.
Sono un'anima pirata dura a morire, lo so.
La dedico a chi, come me, non smette di emozionarsi per la loro storia.






Strip away the flesh and bone
Look beyond the lies you’ve known
Everybody wants to talk about a freak
no one wants to dig that deep
let me take you underneath

 

Dave aveva davvero bisogno di Kurt, più che di chiunque altro. Certo, era difficile per lui sorvolare sui propri sentimenti, metterli a tacere e dimenticare quanto avesse sofferto in silenzio per mesi e mesi soltanto perché l’aveva desiderato -e lo desiderava- tanto da togliere il fiato. Era come doversi curare da solo una ferita purulenta e accorgersi di non avere possibilità di guarigione: era doloroso e deludente.

–Oggi sono andato dalla psicologa, sai, quella dottoressa che arrivò subito in ospedale quando mi tenevano sotto controllo.

–E com’è andata?

–L’ho praticamente supplicata di darmi qualcosa…

–Aspetta. Per qualcosa, intendi…?

–Psicofarmaci. O che cazzo ne so, quella roba.

–Dave! Guarda, non sai nemmeno di cosa parli! Non pensare mai più ad una cosa del genere! Promettimelo.

–Non mi ha dato nulla, comunque. Ha detto che non ne ha le competenze necessarie e che non ce n’è bisogno.

–Esatto. Non sei malato, ti fai condizionare da quello che pensa tua madre?

–Bè…

–DAVE. Credevo avessi deciso di fidarti di me. Eravamo d’accordo che ti avrei aiutato. E guardami, ora sono qui…

–Mi sento… mi sento come se fossi un pazzo. Non c’entra nulla la mia sessualità. È che non so davvero cosa fare della mia vita, a questo punto.

–Intanto sono fiero della tua scelta. Tornare al McKinley e prepararti agli esami in tempo per quest’anno.

–Tanto non ce la farò.

–Hai avuto già la forza di volerti rimettere subito in pista! Perché ora non dovresti farcela?

–Kurt…

–Dave. Parla.

–Ci sono cose che non ho detto a Mrs Lovell. Né che dirò mai a Santana o a nessun’altro. Allora sembrerei pazzo davvero. Sicuro di volerle sentire tu, adesso?

Kurt gli prese immediatamente la mano, proprio come aveva fatto quel giorno non troppo lontano in ospedale, e la strinse. Non aveva paura di quell’animo tormentato, voleva solo accarezzarlo in profondità. Già il fatto che Dave stesse considerando l’idea di aver qualcosa da dire solo e soltanto a lui, lo riempiva di una calda sensazione simile all’orgoglio. Annuì semplicemente.

–Non voglio scocciarti.

–Di solito sono io quello che scoccia le altre persone, sai? – fece Kurt, buttandola sullo spirito. Non gli piaceva quando negli occhi di Dave si spegneva la luce, quando sembravano distanti migliaia di chilometri dalla stanza e lui tornava a pensare di non essere abbastanza importante.

–Mi chiedevo come sarebbe stato il mondo senza di me, come sarebbe stato il mio stupido funerale. Ho provato a immaginare a chi sarebbe seriamente dispiaciuto se io fossi… morto. E ci penso ancora, ci penso ogni giorno. Ora più che mai, sono solo Kurt. Sono stato un bullo per anni, circondato da un gruppo di atleti a cui non fregava un cazzo di me e che probabilmente ora mi guarderà con disgusto. E come posso pretendere aiuto da chi ho maltrattato? Come posso pretendere comprensione? Sono stato un codardo per tutto quel tempo e ho danneggiato persone che non c’entravano nulla… ho danneggiato te. Capisci, è come se tutto questo groviglio di dolore in cui mi trovo sia la giusta punizione per me. E dovrei rimanere qui a…

–David, no! – lo interruppe Kurt, arrabbiato e scioccato – Non sei solo né meriti di esserlo. Hai me, Santana, Sue, Mrs Lovell, perfino Sebastian! – no, non voleva mostrarsi così, Dave andava trattato con delicatezza. Fece smorzare immediatamente i toni, sospirando – Ti prego, smettila di incolparti per quello che eri. Io SO che era solo una maschera e che il vero te è quello che è qui davanti a me.

–Cosa vedi, Kurt? In me, intendo. Tolta la maschera… che cosa sono?

–Un cucciolo di orso?

Dave sorrise, arrossendo appena. Sentiva il cuore frizzare di gioia ma “scendi dalle stelle” si disse, un attimo prima che il cellulare di Kurt squillasse.

–Oh… ehm, scusami. – disse il sopranista, serrando per un istante le dita intorno alle sue, come a mostrargli quanto gli dispiacesse dover interrompere la loro intima conversazione. – Devo rispondere. – aggiunse, lasciando la presa e alzandosi in piedi. Portò il cellulare all’orecchio. –Ehi, sì, sto arrivando.

Dave sapeva, e ne era matematicamente sicuro, che fosse Blaine. Una scossa di rassegnazione attraversò il suo cuore e aspettò in rispettoso silenzio

Aveva dovuto mentire a Kurt, due settimane prima. Non voleva essere suo amico, quella era una bugia. Una bugia che avrebbe dovuto mandare avanti, non importava quanto fosse doloroso. Se era l’unico modo in cui poteva averlo, avrebbe imparato a farselo bastare.

 

 

 

 

Baby better watch your step
never mind what’s on the left
You’re gonna see things you might not wanna see
still not that easy for me
Underneath

 

Blaine lasciò andare la mano del fidanzato e rimase qualche passo indietro, così Kurt avrebbe potuto scortare Dave all’ingresso. Già nel parcheggio qualche occhiata fra il curioso e l’impietosito andò ad infrangersi sulle spalle di David “tentato suicida” Karofsky. Dopo lo sputtanamento generale sul suo profilo facebook, al McKinley sapevano praticamente già tutto. Appena oltre le scale dell’entrata, era appostato il preside Figgins che fece del suo meglio accogliendo Dave con una stretta di mano decisa.

–Siamo tutti felici di averti qui, David.

“Certo, come no” pensò l’ex-Titan, ingoiando la consueta razione di rimorso e inadeguatezza. Una volta varcata la soglia della scuola, lo strano comitato di accoglienza, formato da Sue, Mr Schue, Emma e la Beiste, esordì con una vagonata di sorrisi sinceri, accorati, disponibili. Tutti loro abbracciarono Dave uno alla volta, per fargli capire che era tornato a casa e che si poteva ricominciare tutto insieme in tempo per quel mese e mezzo che mancava al grande finale.

Dave aveva esplicitamente dichiarato a Kurt il giorno prima di non voler essere accolto in pompa magna dal glee club, perché la cosa l’avrebbe messo a disagio. Non per il fatto che si vergognasse di farsi vedere con loro, semplicemente perché non voleva la scorta, non voleva far forzatamente parte di qualcosa a cui sentiva di avere diritto solo per pietà. Ci sarebbe voluto del tempo, non sopportava l’idea di dover essere guardato con commiserazione e preso sotto un’ala protettrice che non fosse quella esclusiva di Kurt. Il sopranista gli aveva ovviamente detto che Rachel ci sarebbe rimasta parecchio delusa, dato gli sforzi che aveva compiuto negli ultimi giorni per programmare una performance in onore di Dave, ma capì quello che provava il giocatore di football e non volle obbligarlo a far nulla per cui non si sentisse pronto.

–Blaine… – sospirò Karofsky, girandosi verso di lui con sguardo sofferente – Io... io… – sembrava che le parole volessero proprio sfuggirgli, così si limitò ai fatti. Prese la mano del bruno per porla con delicatezza in quella di Kurt. –Ecco.

Kurt e Blaine guardarono le proprie dita intrecciate con un certo stupore, e con ancora più stupore videro Dave che camminava davanti a loro tutto impettito. Dalle spalle non potevano accorgersene, ma il ragazzo si era armato di un’espressione torva, non minacciosa, ma che sperava aiutasse a reprimere ogni possibile approccio dei ficcanaso. Non voleva dare spiegazioni imbarazzanti su cose che già tutti conoscevano e su cui, molto probabile, avevano abbondantemente conversato. Voleva anche che smettessero di far finta di non guardarlo, che lo guardassero pure! Erano umani, nella loro natura era insita la curiosità famelica e la simil-pietà silenziosa… Dave lo capiva, capiva molte cose dopo aver quasi sfiorato la morte, e i loro giudizi avevano improvvisamente perso importanza. Adesso era dichiaratamente gay e appena scampato da un suicidio. Non si sarebbe mai potuto bruciare più di quanto lo era in quel momento, tanto valeva prendere le cose di petto e cominciare a percorrere quella strada con coscienza. Un passo dopo l’altro, con Kurt al suo fianco. Niente l’avrebbe fatto vacillare, adesso.

Davanti all’aula di storia si imbatté in Azimio. Quello sì che era un problema, quello sì che lo feriva profondamente, cazzo! A Dave tornavano in mente di continuo loro due da bambini, le feste di compleanno con l’aranciata e i pop-corn, gli scherzi bastardi fatti ai maestri di scuola elementare, poi i pomeriggi di cazzeggio davanti alla play station, la prima birretta e il primo spinello fumato con l’ansia di essere beccati, le ragazze, le mattine in cui Az voleva assolutamente copiare i compiti di Dave perché come al solito aveva un culo troppo pigro per sedersi e risolvere due equazioni. Ogni giornata con lui era stata semplice, allegra, fatta di mille piccole cose che gli mancavano e stazionavano nei suoi ricordi, conficcate nel suo cervello come spine. Certo, con lui Dave si era crogiolato a lungo nell’involucro di una cattiveria futile e facile che era venuta a crearsi per quella smania di dimostrare la superiorità dei Titans al resto degli sfigati. Quell’involucro era poi diventato per Dave una scusa, un modo per sfogare la sua frustrazione, per combattere la paura di sé stesso e fingere di essere invece il tipico adolescente americano tutto football-figa-umorismo da sue soldi, senza scheletri nell’armadio. Sfortunatamente c’era lui stesso nell’armadio, nessuno scheletro.

Per quanto si rendesse conto che quell’atteggiamento che avevano assunto per un po’ di tempo era stato solo un terribile sbaglio, Dave rivoleva comunque indietro il suo migliore amico. Non il bullo, semplicemente quel ragazzone sboccato e divertente con cui avrebbe voluto parlare delle stesse cose di sempre, dei film horror, del campionato, del campeggio, dei modellini d’aerei, di quanto fosse idiota Rick e di quanto fossero buoni i tacos del nuovo chiosco messicano.

Az finse di non vederlo, entrando velocemente in classe per non doverlo salutare. Dave piantò i piedi per terra, serrò i pugni intorno alle bretelle dello zaino e si sciolse in un sospiro pesante. Sentì il tocco leggero di una mano sulla spalla e, sapendo che era quella di Kurt, fu fuoco sulla sua pelle. Deglutì, e il sopranista gli fu accanto. –Dagli tempo… Se è un vero amico, non ti lascerà andare.

Dave non si accorse nemmeno del debole sorriso che gli stava piegando le labbra… Quella fatina aveva lo straordinario potere di riuscire a sollevarlo tanto quanto di buttarlo giù. Ma quello accadeva di notte, fra le pieghe del cuscino, ed era un’altra storia.

Si domandò cosa sarebbe accaduto se Kurt avesse saputo di essere causa di così tanto dolore per lui, di essere la ragione per cui aveva chiesto a Mrs Lovell qualche pastiglietta miracolosa… Sarebbe scappato dal tale pazzo che era?

Kurt continuava ad essere così dolce, costantemente pronto a dargli forza, a ricordargli le cose belle della vita, a portargli a casa biscotti e dischi di jazz. Quand’erano soli, Kurt gli prendeva spesso le mani e a volte Dave voleva davvero dirgli “Ti prego, sta’ attento a quello che fai, ai passi che muovi, perché cado in mille illusioni. Ti prego, non prendermi più le mani, perché non fai altro che spezzarmi il cuore”.

 

 

 

 

A red river of screams
underneath
tears in my eyes
underneath
stars in my black and blue sky
and underneath
under my skin
underneath
the depths of my sin
Look at me
now do you see?

 

–David, devo farti una domanda.

Il ragazzo chiuse il libro, scendendo dal letto con passo trascinato. Appoggiò “Principi di Fisica” sulla scrivania e sembrò valutare la possibilità di rispondere o meno al padre. Paul Karofsky non aveva osato pronunciare neanche mezza parola che suonasse come un rimprovero dopo l’accaduto, perché amava suo figlio con ogni forza possibile e desiderava solo che fosse felice, che gli promettesse di non provare mai più a togliersi la vita. Purtroppo, ogni volta che gliel’aveva chiesto, Dave aveva sempre risposto con un mugugno.

–Okay, papà. Dimmi. – gli uscì in un sospiro, mentre tornava a sedersi sul letto.

Paul oltrepassò la soglia della porta sulla quale si era fermato, e si sedette accanto al figlio. Si sfregò il pizzetto, ponderando attentamente quali parole dovesse usare.

–Kurt… Kurt significa molto per te?

David sentì il cuore accelerare all’improvviso e la faccia andargli a fuoco. Le mani congelarono per i sudori freddi e balbettò un “sì”, sperando che la cosa si concludesse lì.

–Pensi di… non lo so… pensi che potrebbe diventare il tuo fidanzato?

A quelle parole, il ragazzo si irrigidì tutto nelle spalle, aggrappandosi al copriletto come se avesse avuto degli artigli. La mano di suo padre si chiuse sulla sua, e Paul si sporse in avanti con un sorriso imbarazzato ma conciliante. –Ehi, è tutto apposto. Non c’è nessun problema, ho solo un po’ di curiosità. Mi piace Hummel, dico davvero.

–Papà… – cominciò Dave, mordendosi le labbra forsennatamente e fissando il poster dei Dallas Cowboys – Piace anche a me. Mi piace molto. – nel momento in cui lo disse fu come se la rivelazione fosse evaporata dal suo corpo, lasciandogli addosso una specie di sollievo. Era bello parlarne con suo padre, era bello che a lui interessasse quello che provava suo figlio.

–Allora c’è qualcos’altro che dovrei sapere? – continuò Paul, divertito, stringendogli più forte la mano.

A Dave venne spontaneo sorridere perché il buonumore del padre era la cosa migliore del mondo. Lo adorava, adorava quella sconsiderata fiducia che riponeva nei suoi confronti. Come se Dave fosse una specie di rubacuori eccezionale e non ci fosse alcun problema se gli piacevano i maschi.

–No. Ha un fidanzato. – disse il ragazzo, sorridendo disperatamente per non abbandonarsi alle lacrime. Non che si dimenticasse mai di quel particolare, ma dirlo a voce alta era ancora più brutto. Gli lasciò l’amaro in bocca, come quell’antibiotico che prendeva da piccolo e che era così disgustoso che il cattivo sapore non passava nemmeno dopo aver mangiato una caramella.

 

 

 

 

 

Welcome to my world of truth
I don’t wanna hide any part of me from you
I’m standing here with no apologies
such a beautiful release, you inside of me

 

–Sono pronto per il test di biologia! Basta… non ne posso più. Cosa mi fai ascoltare oggi?

–Un classico, anzi… IL classico. – Kurt era talmente impaziente ed entusiasta che sembrava star lì lì per fare le fusa.

La mattina dopo il glee sarebbe dovuto partire per Chicago, alla volta delle Nazionali, quindi Kurt era già abbastanza elettrizzato. Non faceva altro che parlare a Dave di come stavano provando duramente e di come l’aria che si respirava nell’auditorium fosse strana, commossa e gioiosa al tempo stesso perché quella sarebbe stata la loro ultima gara tutti insieme.

Il sopranista collegò il suo lettore mp3 allo stereo di Dave, andando a selezionare la traccia 24. Karofsky era curioso, perché ogni volta Kurt gli regalava nuova musica, facendogli scoprire meraviglie su meraviglie provenienti dai migliori musical.

Ma appena partirono le note iniziali, inconfondibili, Dave sorrise con briosa soddisfazione perché sarebbe stato lui stavolta a sorprenderlo. Kurt aveva già socchiuso le labbra per accompagnare la voce di Liza Minnelli, ma si ritrovò ad ammutolire non appena fu Dave a cantare.

–Start spreading the news, I'm leaving today

I wanna be a part of it, New York, New York.

These vagabond shoes are longing to stray

and step around the heart of it, New York, New York…

Cantò il ragazzo, prima di buttare la testa sul cuscino e ridacchiare: –Credevi davvero che non la conoscessi?

Kurt era più che sbigottito. David possedeva una voce calda vagamente baritonale, un vero massaggio per i sensi ma, soprattutto, una dolce intonazione che non si sarebbe mai aspettato. –Canta ancora! – lo pregò, andando a mettere in pausa “New York, New York”. –Era… era… Puff. Accidenti, sono accaldato. – ammise, ridendo, mentre si faceva aria con la mano.

Dave incrociò le dita dietro la nuca, scuotendo la testa divertito con aria di sufficienza. –Scordatelo. Sono una frana, mi trema tutta la voce. Fai finta che non abbia aperto bocca, ok?

–David Karofsky! – sentenziò il sopranista, alzando il mento con cipiglio dittatore – Io pretendo che tu canti con me, prima o poi. Anzi, molto presto. E non voglio sentire storie, sappilo. Posso obbligarti… con la forza!

Il giocatore di football si lasciò andare ad una risata leggera e si tirò su per godersi l’espressione impuntata di Kurt. Era bellissimo, una bambola di porcellana con la determinazione di un leone.

–Con la forza? Tu? Contro di me? – domandò David, perplesso, prendendolo in giro – Hai voglia di scherzare…

Si alzò in piedi, incrociando le braccia con aria di sfida. –Andiamo, fatina… Fammi vedere, riesci a smuovermi?

Kurt inarcò un sopracciglio, piegando le labbra in un sorrisetto orgoglioso. –Ho fatto esercizio fisico per tutto questo tempo… – spiegò, spingendo il corpo di Dave con tutte le sue forze. –Nghh.

Karofsky si opponeva alla sua discreta forza con poca fatica, senza riuscire a smettere di ridere. –Che mosceria, fatina! La prossima volta non provare nemmeno a minacciarmi, se questi sono i risultati.

Lo prese per le spalle, allontanandolo appena dal proprio petto ampio. David non avrebbe voluto toccarlo, perché anche solo quel semplice contatto gli faceva male, lo faceva sentire stupido e lontano anni luce dai propri desideri. Il respiro di Kurt si era fatto più appesantito per lo sforzo e per le risate, e i suoi occhi vispi brillavano nella resa allegra di quella lotta impari. Prima che potesse cominciare un film mentale, Dave vide sul prezioso viso di Kurt un'espressione che gli si conficcò nel cuore come una scossa elettrica. Kurt lo stava guardando con… amore, come si guarda una persona speciale, come si guarda una persona che si vuole baciare.

David era sicuro, anche se sembrava una cosa folle, di non stare usando troppa immaginazione, che quello che stava interpretando non era solo la sua speranza. La speranza l’aveva abbandonata da tempo, quindi quella doveva essere la realtà.

Chinò appena la testa, cogliendo dalle labbra di Kurt un bacio delicato come quelli che molte volte avevano affollato i suoi sogni. In un fulmineo frammento di tempo pensò che Kurt l’avrebbe respinto, pentendosi di avergli spianato la strada. Ma non accadde, la bocca dell’altro fremette al suo tocco, dischiudendosi, e Dave allora si sentì in diritto di stringerlo più forte fra le braccia, di baciarlo con passione, di vivere quel momento con tutto se stesso per ricordarlo quando Kurt sarebbe dovuto andare via. La pelle bianca del sopranista profumava di talco e si mescolava all’odore artificiale della lacca, creando un contrasto che esplodeva nei polmoni di Dave. Sembrava tutto perfetto, sembrava che stesse andando proprio come doveva… Dave amava la sensazione di gioia e completezza che gli si ritorceva nelle viscere; amava sentirsi un po’ vincitore; amava Kurt così tanto che si sentiva consumare pezzo dopo pezzo ogni giorno. E Kurt amava il sapore di Dave; amava come Dave gli succhiava le labbra in quel momento e come lo stringeva a sé; Kurt forse amava proprio Dave e se n’era accorto da un po’ senza trovare il coraggio di ammetterlo, perché lui aveva già un fidanzato, un fidanzato premuroso e affascinante, un fidanzato che cantava splendidi duetti con lui, un fidanzato con cui aveva fatto l’amore, un fidanzato di nome Blaine Anderson. La verità era che Kurt non capiva più nulla nella propria testa, ed era arrivato a odiarsi per quello che provava, per il semplice fatto che i suoi capricci avrebbero ferito delle persone.

Il sopranista si staccò, sbattendo le palpebre e portandosi le mani davanti alla bocca. Dave ebbe una specie di deja-vù. Non lesse nello sguardo del più piccolo quello che avrebbe voluto, così disse, alzando le spalle: –Non ti chiederò scusa, Kurt. Potrei chiedere scusa a Blaine, se tu volessi fargli sapere cos’è successo, ma a te non chiedo scusa… perché l’hai voluto, almeno un po’, l’hai voluto.

Kurt sospirò profondamente. Pareva tremasse, in realtà stava solo combattendo contro il suo corpo che spingeva in due direzioni opposte. Alla fine prevalse quella forza che gli suggeriva di gettarsi fra le braccia di Dave. Il ragazzo lo accolse senza dire una parola, andando subito ad accarezzargli la nuca, mentre Kurt chiudeva i suoi lucenti occhi azzurri per lasciar correre libere le lacrime. –Non mi sono mai sentito così. E fa schifo, perché non dovrei sentirmi così per te quando c’è Blaine nella mia vita.

–Io posso aspettarti una vita intera, Kurt. – mormorò Dave, lasciandolo e voltandogli le spalle –Va’ da lui, adesso. Guarda dentro di te. Quando tornerai da Chicago possiamo riparlarne… – aggiunse, col fiato che gli moriva in gola per il dispiacere.

Kurt, mortificato, tentò di riavvicinarsi, per abbracciarlo tanto forte da stritolarlo. Si sentiva già una merda, perché gli aveva fatto male e lo sapeva, e non voleva vedere Dave così, che gli dava le spalle e lo faceva sentire dannatamente in colpa per quello che aveva fatto. Aveva ragione, del resto.

Ma Dave si scansò dalla sua morsa indecisa, di cui non aveva bisogno o sarebbe stato peggio, e si sforzò invece di regalargli un sorriso tirato. Con i polpastrelli ruvidi per le continue prese sulla palla da football, solcò le guance del sopranista, spazzando via le sue lacrime. –Buona fortuna per le Nazionali.

 

 

 

 

A red river of screams
underneath
tears in m
y eyes
underneath
stars in my black and blue sky
and underneath
under my skin
underneath
the depths of my sin
Look at me
now do you see?

Underneath underneath underneath
Look at me, do you see?
Look at me, do you see?

Welcome to my world of truth
I don’t wanna hide any part of me from you

Dave alzò il volume su quella canzone che parlava così tanto di loro.

Non osava sperare in qualcosa.

Non osava sperare.

Non osava.

Sperava.

Sperava con l’anima a brandelli.

Sperava con l’anima che grondava sangue.

Il bacio era ancora appoggiato sulle sue labbra, poteva sentirlo.

Era come se stessero buttando sale sul suo cuore spaccato in due.




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Se siete arrivati fin qui, vi ringrazio per il tempo che mi avete concesso.
Non mi andava di lasciare Dave nel dimenticatoio, non lo merita...



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