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Autore: TheRipper    07/06/2012    1 recensioni
questa storia, racconta i 74esimi Hunger Games dal punto di vista di un nuovo personaggio: uno dei tributi del distretto 4.
Questo tributo, è particolarmente legato ad altri personaggi della saga, infatti, sono presenti personaggi di "mockingjay" e "catching fire"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Finnick Odair, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il rumore delle onde.
L’unica compagnia che mi concedo quando ho bisogno di pensare e di schiarirmi la mente.
Questa mattina sono sgattaiolata via dalla casa troppo lussuosa che non si addice al Distretto 4 per paura di incontrare i suoi occhi.
Amo perdermi in quegli occhi del colore del mare che a me non sono stati trasmessi, l’ho sempre amato, ma da quando il nome di Annie è stato pescato dalla giara, quegli occhi ogni anno, il giorno della mietitura, mi guardano supplichevoli, mi intrappolano come una rete intrappola il pesce, mi implorano muti di non andare.
Già gli Hunger Games che hanno visto Finnick vincitore sono stati una grande botta per lei, ma il colpo di grazia gliel’hanno dato i settantesimi Hunger Games.
Da quando è tornata a casa da quell’inferno non è più la stessa: dopo la morte prematura dei nostri genitori, Annie è sempre stata una sorella e una madre per me, mi ha sempre tenuta d’occhio, mi ha sempre consigliato e anche fatto delle lavate di testa quando ce n’è stato bisogno ma dopo quei giochi si sono invertiti i ruoli.
Sono io ad assicurarmi che finisca il cibo nel piatto, sono io ad andare a fare la spesa, sono io a stringerla forte quando di notte ha gli incubi –sempre che in casa non ci sia anche quel prezzemolo di Finnick, in quel caso calmarla la notte diventa compito suo, lo ottiene con la forza- e sono io a dovermi prendere cura di lei.
Un’onda si infrange sullo scoglio dove sono seduta e la maggior parte dell’acqua che portava con sé mi sbatte sul piede facendomi sussultare stupidamente.
“hai finalmente deciso di tuffarti, pesce fuor d’acqua?”
Sospiro e punto gli occhi al cielo, esasperata
“non mi dai pace nemmeno nel mio angolo di paradiso Finn?!” domando girandomi verso quella sottospecie di Dio del mare che fa girare la testa a Capital City da anni ormai.
Finnick mi rivolge un sorriso e non posso fare a meno di ricambiare.
Ci punzecchiamo sempre noi due, l’abbiamo sempre fatto, è il prezzo da pagare per contendersi Annie ma in fondo gli voglio bene e in un certo senso devo a lui la vita di mia sorella: è stato un ottimo mentore e un amico ancor più valido.
“non dovresti lasciare Annie da sola sai?” lo vedo avvicinarsi a me e prendere posto sullo scoglio affianco al mio
“non è sola” rispondo riportando lo sguardo sul mare “Mags si è offerta di stare con lei finché non torno a casa…”
“ e quando pensi di tornare a casa?”
“Finnick la pianti di massacrarmi di domande?!” sbotto alzandomi con talmente tanta foga che mi manca poco per scivolare a causa della scivolosità degli scogli
Il Dio del mare mi prende al volo stringendo le sue mani intorno alla mia vita e adagiandomi accanto a lui
“calmati testa calda” mi rimprovera soffocando un sorriso “non puoi scappare sempre dallo sguardo di Annie nel giorno della mietitura, lo sai.”
E così io mi ritrovo a pensare di nuovo ad Annie, a cosa farebbe se venissi scelta, a come le lacrime inonderebbero il mare nei suoi occhi, quel mare che nei miei non c’è, perché nei miei occhi c’è il colore intenso e forte delle foreste, un marrone talmente scuro che non potrebbe ricordare altro che gli occhi di un cerbiatto.
Ed è come un cerbiatto messo al muro dal cacciatore che mi sento quando Annie mi scruta con angoscia, con la remota speranza che la sua sorellina la scampi anche stavolta, perché so di non potermi rifiutare a Capital City e che il mio nome tra le mani del loro rappresentante spezzerebbe quel minimo di sanità mentale che le è rimasta.
“non scapperei per sempre…” ribatto senza avere il coraggio di guardarlo in faccia “ho diciassette anni e tra due anni quest’agonia finirà così anche Annie potrà stare più tranquilla”
“la cosa buffa è che a te non spaventa la morte nell’arena” sghignazza Finnick “tu sei terrorizzata dall’idea di lasciare Annie da sola!”
“certo che lo sono!” ribatto prontamente “Finn se dovessi essere sorteggiata non ci sarebbe nessuno a badare a lei! Tu verresti a Capital City con me come mio mentore e la gente di qui la tiene a debita distanza perché crede sia matta! Perché non lo sa cosa si passa là dentro, perché da dietro lo schermo di un televisore è sempre più facile veder morire la gente, perché non riesce a leggere nei suoi occhi quello che leggiamo noi!”
Finnick mi guarda con comprensione, poi si lascia scappare un sorriso ed è in quel momento che mi accorgo di aver fatto lo stesso discorso dell’anno scorso, e di quello prima ancora, e mi ritrovo a sorridere anche io e a scuotere la testa
“non cambierà mai vero?” chiedo ad occhi chiusi
“non è vero… hai diciassette anni e tra due anni quest’agonia finirà così anche Annie potrà stare più tranquilla” ripete come un pappagallo
Senza aver bisogno d’altro, mi congedo per tornare da Annie, Finnick capirà la mia partenza improvvisa.
L’ha sempre capita.
Percorro il pavimento di scogli fino ad affondare i piedi nella sabbia morbida e calda d’estate, avanzo lasciando che le mie orme mi seguano fino al portico della villa che Annie ha vinto insieme agli Hunger Games, prendo un sospiro e apro la porta ritrovandomi davanti la faccia rugosa di Mags
“Woah Maggie avverti!” la rimprovero per quell’apparizione del tutto inaspettata
Lei per tutta risposta scuote il capo rassegnata ed esce dalla nostra abitazione come farebbe una tata all’arrivo dei genitori del bimbo che accudisce.
Metto piede dentro casa e respiro a pieni polmoni: ogni volta che Mags entra qui si trascina dietro un profumo di lavanda che io e Annie adoriamo.
Non faccio in tempo a fare un passo che me la ritrovo davanti, bella come sempre, con i lunghi capelli scuri che le cadono morbidi lungo le braccia e quegli occhioni languidi puntati nei miei.
Credo che io e Finnick siamo le uniche persone di cui riesce a sostenere lo sguardo
“Annie scusami io…”
E come era prevedibile non mi lascia finire la frase e mi getta le braccia al collo.
È il suo modo per dirmi “mi sono svegliata e tu non eri con me”, è il suo modo per chiedermi “dove sei stata?”, è il suo modo per implorarmi “non farlo mai più”.
Ed io mi sento malissimo sapendo di averle fatto passare una pessima mattinata affacciata alla finestra ad aspettare il mio ritorno ma realizzo anche che sarei stata peggio se avessi dovuto incrociare il suo sguardo supplichevole ovunque mi girassi.
“che ne dici? Ci prepariamo per la grande giornata?” le chiedo con un sorriso.
Ma a lei questo genere di umorismo non piace, bofonchia qualcosa che dovrebbe essere il mio nome incurvando le sopracciglia in uno sguardo di dissenso e io mi ritrovo a ridere di lei, della mia sorellona di cui ora devo prendermi cura come ha sempre fatto con me.
Mi levo la camicia di lino rossa ed i calzoncini di jeans e rimango con il solo costume da bagno, Annie mi studia dalla testa ai piedi non capendo il perché del mio abbigliamento
“non so nuotare Annie ma non è detto che non mi piaccia starmene a mollo dove tocco” spiego intuendo le domande che le passano per la testa.
Annie mi rivolge un sorriso dolcissimo e corre in bagno a far scorrere l’acqua dalla doccia: deve essere tutto perfetto per noi oggi.
“andrà tutto bene Annie” la rassicuro mentre mi spinge sotto il getto d’acqua
Ma lei sembra non sentirmi, mi scompiglia i capelli sotto le gocce fredde e canticchia come se nella sua testa non ci siano altro che le note della canzone per cui andavo matta da bambina

E lì dove il sole muore
Un’altra luna nascerà
Se ti tengo stretta al cuore
La notte paura non farà”

Se non conoscessi le parole non riuscirei a decifrare nemmeno uno dei versi emessi dalla bocca perfetta di mia sorella, ma quel motivetto, quella strofa, sono ricordi indelebili e così mi ritrovo a cantarle con lei.
Uscita dalla doccia indosso un costume pulito e rimetto sopra i calzoncini e la camicetta.
Annie mi guarda arricciando il naso: non le piace che do poca importanza all’aspetto che hanno i papabili tributi.
“Non voglio sprecare tempo a scegliere vestiti più o meno buoni” mi giustifico “pensaci: se non mi scelgono possiamo sempre correre verso la spiaggia e passare lì tutto il giorno –e se corro in spiaggia con il vestito buono si rovina- mentre se mi scelgono…”
Se mi scelgono il vestito sarà l’ultima cosa a cui penserò e la prima che cambieranno di me, vorrei rispondere ma mi blocco davanti a quegli occhi tristi
“vedrai che non mi scelgono” le sorrido carezzandole il viso.
Quel gesto le dev’essere piaciuto particolarmente perché ora Annie ricambia il mio sorriso e mi sta abbracciando, un abbraccio che vale molto più delle mille parole non dette a causa del suo silenzio post-traumatico.
Passo tutto il tempo che mi separa dalla mietitura a preparare Annie, a vestirla e pettinarla come se fosse la mia bambolina.
Non mi sono mai piaciuti i giochi da bambina, o forse li rifiuto perché non ne ho mai avuto uno in infanzia: il mio divertimento primario erano i castelli di sabbia e la lotta sulla spiaggia con gli altri bambini… ero una sorta di maschiaccio indomabile.
Quando Annie tornò dagli Hunger Games, però, capii che aveva bisogno di svagarsi.
Così iniziai a giocare un po’ con lei, a cambiarne l’aspetto e lo stile e a vedere quali reazioni avesse davanti allo specchio, a divertirmi nel constatare che non vedeva l’ora di osservare il risultato dei miei esperimenti davanti allo specchio.
Tra un vestito e un altro optiamo per il vestitino indaco con il nastro infioccato dietro la schiena, capelli semi raccolti e viso pulito, senza ombra di trucchi o creme.
Quando arriviamo, la piazza è piena zeppa di gente, sul palco hanno già preso posto il sindaco, Finnick e Mags. Loro due sono i mentori dei tributi del distretto 4.
Tecnicamente anche ad Annie sarebbe spettato quel posto ma Capital City l’ha classificata come “mentalmente instabile per intraprendere un ruolo di cotanta importanza”.
Come al solito manca “l’inviato speciale” di Capital City, un uomo che somiglia ad un gamberone cotto alla griglia: sarà alto almeno un metro e novanta, è molto robusto e la sua carnagione rossastra fa credere che stia sempre sotto sforzo.
Ma eccolo lì, si sta affrettando sulla scalinata perché sa che aspettano solo lui per “dare inizio ai giochi” e così i suoi baffi stretti e lunghi si ritrovano a svolazzare seguendo il vento, cosa impossibile per i capelli neri dalle ciocche rosse tenuti saldamente indietro dai chili di gel.
Dionysios, il gamberone, fa il suo discorso in fretta e furia, con una o due pause qua e là dettate dal fiatone e poi lascia lo spazio al video del distretto tredici… sempre lo stesso video da che ne ho memoria; ogni tanto provano a cambiare qualcosa ma quello scenario di sfondo è inequivocabilmente identico.
Ora è il turno del discorso del sindaco e in un batter d’occhi ecco arrivare l’urna contenente i nomi delle fanciulle e dei fanciulli costretti a partecipare al divertimento di Capital City.
La mano rossa e sudata di Dionysios si aggira tra i pezzetti di carta creando una sorta di mulinello fino a che non ne sceglie uno.
Quel rettangolino bianco, così innocuo all’apparenza, può segnare la vita di uno di noi.
Precisamente di
“Jacob Avenue” grida giulivo Dionysios
Mi giro e vedo la folla maschile sospirare per il sollievo mentre quel povero ragazzino si avvicina spaesato e terrorizzato al gamberone e ai mentori. Avrà sì e no tredici anni, è minuto e tremante, non potrà mai vincere… e questo lui lo sa benissimo: raggiungendo il palco, raggiunge un posto vicino alla porte.
Nessuno però fa più caso al bambino quando il gamberone si avvicina alla seconda urna, quella delle ragazze.
L’atmosfera torna tesa, non vola una mosca, la mano di Dionysios stavolta sa benissimo quale cartellino prendere: con un colpo secco chiude la carta tra le mani per poi riaprirla e pronunciare il secondo nome
“Alike Cresta!”
In un attimo di vuoto totale dove riesco ad intravedere solo lo sguardo terrorizzato di Finnick, tutto quello che mi viene in mente è di correggere quella specie d’alieno rispondendo “si legge àliki”.
Ed è proprio mentre la mia testa fa mente locale di come si pronuncia il mio nome, che lo sento chiamare chiaramente da una voce che ormai faceva pochissime apparizioni nelle mie orecchie.
“Alike no!”
Ed è proprio la sua voce a riportarmi alla realtà, a smuovermi, a farmi vedere Annie tenuta ferma dai pacificatori che grida il mio nome in lacrime.
“Annie…”  sussurro quasi in trance
“Lasciatemi! Lasciatemi la mia bambina! È la mia bambina! Alike no! Vi prego lei no!” la vedo sgomitare tra quegli omoni troppo imponenti per lei e vorrei raggiungerla, dirle che andrà tutto bene, ma le mie gambe non rispondono ai comandi e me la stanno portando via, mi stanno portando via tutto.
 
  
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