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Autore: Aliens    08/06/2012    3 recensioni
Isabel non fa più caso a come la chiamano o a come la insultano, è cattiva, è sbagliata e non se ne fa una colpa.
Quando suo fratello riceva l'opportunità di una vita, però, per lei si apre una porta diversa, una porta che nemmeno lei sa di voler aprire.
La testa le faceva un male cane e ogni passo che faceva le sembrava di percorrere un chilometro.
Stava male, forse un po’ troppo.
Perché beveva tanto? Perché si comportava così?
Perché indossava quella maschera di menefreghismo nonostante soffrisse dentro?
Entrambi i fratelli erano bravi a mascherare, a dissimulare, a non piangere su quello che la loro vita stava riservando per loro. Perché nonostante la stima, il timore, la repulsione che la gente provava per loro, nessuno sapeva cosa provassero davvero.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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I.

Isabel, la Stronza

 

 

 

 

 

 

E tu…

ti scansi quando passano quelli che mordono

che non piangono ma soffrono

e non lo dimostrano

 

[Come un Pitbull – Emis Killa]

 

 

 

 

 

Stronza. Puttana. Troia. Nei migliori dei casi strega.

Isabel non faceva più caso a come veniva nominata. Erano solo lettere buttate fuori dall’invidia di alcuni, sparate senza sapere davvero a cosa fossero riferite.

Conviveva con quegli epiteti così gentili e ne traeva il giusto vantaggio. Lei sapeva perfettamente di essere una gran figlia di puttana, come amavano dire i suoi così detti amici.

Lo era davvero, sua madre per campare di prostituiva mentre il padre era in chissà quale fabbrica a spaccarsi la schiena senza mai farsi vedere. L’unico segno che indicava la sua presenza era il misero assegno di mantenimento che mandava per far andare avanti i suoi figli. Assegno che era drasticamente diminuito da quando Sebastian aveva compiuto diciotto anni, circa cinque anni prima e sarebbe sparito in tre mesi visti i suoi prossimi diciotto anni.

Si portò la sigaretta alle labbra mentre incrociava i piedi posando una mano sulle ginocchia piegate. Il marciapiede era troppo freddo, sentiva il cemento grezzo sulle cosce scoperte dagli short di jeans.

Buttò fuori il fumo e guardò la strada trafficata della città aspettando che suo fratello la venisse a prendere.

Non sapeva come Sebastian riuscisse a sopportare quella situazione con quel suo sorriso tanto contagioso. Sua madre si imbottiva di tranquillanti traumatizzata dal lavoro che aveva preso, lei si drogava senza ritegno e finiva nei letti di sconosciuti fin troppo poco raccomandabili e lui, che aveva smesso per sempre con erba e pillole da tempo, doveva raccogliere i cocci di due vite portate all’autodistruzione.

Quelli erano i suoi pensieri da ubriaca, la sbornia triste era una cosa penosa.

Una macchina nera parcheggiò a qualche centimetro da lei. Alzò la testa quel poco che i giramenti di testa le permettevano e notò una lussuosa Mercedes accostare davanti a lei. La vernice era fin troppo lucida per essere la macchina di uno della zona. Il finestrino si abbassò con un leggero fruscio e il viso rubicondo di un uomo, dall’aria quasi maniaca, fece la sua comparsa.

Si sporse dal buco e la guardò «Ehi, piccola, quanto ti prendi?» domandò con un aria tremendamente maliziosa.

Isabel lo guardò, si portò la sigaretta alle labbra e, barcollando, si alzò dal marciapiede. Con un gesto goffo e squilibrato si appoggiò al finestrino di quell’uomo. Erano in due, quello alla guida, se era possibile, aveva l’aria più perversa.

Sorrise mentre buttava fuori il fumo «Dipende dal servizio».

L’uomo sorrise e guardò l’amico. Isabel, annebbiata, li osservava con divertimento. Erano degli allocchi, avrebbe spillato loro un mucchio di soldi, e chi se ne fregava se avrebbe dovuto fare un pompino a dei cessi, era anche ubriaca.

«Un doppio servizio completo quanto dovrebbe venire a costare?» domandò.

«Insieme o separati?» chiese lei, esperta.

Si guardarono ancora e, senza che lei capisse, iniziarono a confabulare. Erano italiani. Si appoggiò alla macchina e buttò a terra la cicca ormai arrivata al filtro e la spense definitivamente con l’anfibio che indossava.

«Se decidessimo insieme cosa ci lasceresti fare?» domandò di nuovo l’uomo «E ci converrebbe?».

«Vi lascerei entrare entrambi, è abbastanza per voi?» si sporse verso di loro «Amo la doppia penetrazione».

Li sentì sussultare appena a quelle parole, eccitati dall’immagine.

«Quanto?» arrivò al punto il guidatore.

Isabel lo guardò e si eccitò nel guardarlo. Era bello il guidatore, non l’aveva guardato bene.

Si sarebbe divertita, quello era certo. Se si guadagnava, poi, che male c’era?

«Duecento a ciascuno» disse semplicemente.

«Cento» contrattò.

«Scordatelo» rispose secca Isabel «Io non vi faccio nemmeno un pompino per cento euro, figuriamoci farsi fare tutto per cento» li guardò indignati.

«Non sappiamo se vali duecento euro, piccola, sei solo una ragazzina» riprese il guidatore.

«Facciamo così, adesso te lo prendo in bocca, se valgo beh, mi dai duecentocinquanta e il tuo amico dieci in più se si masturba ok?».

«Affare fatto» esclamò quello «Vieni dietro…».

Isabel sorrise ancora e, con passo barcollante, si avviò verso il sedile posteriore dell’auto.

Non capiva molto di quello che stesse facendo, era l’alcool a guidarla.

Posò la mano smaltata di nero sulla maniglia quando sentì una voce fin troppo famigliare rimbombare per la strada.

«ISABEL!» urlò la voce maschile.

La sua cadenza e la sua tonalità erano ben note alla ragazza.

Voltò la testa e lo vide subito, Sebastian, correre verso di lei, il viso sformato dalla rabbia. La camicia a quadri scozzesi blu, rossa e bianca svolazzava per la velocità con cui aveva preso a correre.

Dietro di lui c’era Evan, uno della sua “banda”, che se la rideva sotto i baffi. per lui era esilarante il modo in cui Seb si arrabbiava per lei quando avrebbe dovuto mettersi l’anima in pace.

Isabel sbuffò e tirò la maniglia. Non aveva voglia di seguire il fratello, ancora. Fece per entrare ma quella dannata mano che l’aveva salvata troppe volte.

Sebastian la spinse via da quell’auto e, con ira indicibile, si avvicinò al finestrino «Andate via, prima che vi spacchi il culo a tutti e due».

Isabel, barcollando, guardò il fratello tirare un calcio alla fiammante Mercedes che, dopo una bestemmia lanciata in italiano dai passeggeri, partì sgommando.

Sebastian si girò con lentezza e, abbassandosi appena il cappello rosso, si avvicinò a lei «Cosa avevi in testa?»

«Mi avevano offerto i soldi» si giustificò lei.

Sebastian sospirò ancora e, con un gesto teatrale si portò la mano tatuata sul viso «Quanto hai bevuto, Isabel»

«Un po’» rispose lei, sghignazzando subito dopo.

Si portò una mano sulle labbra iniziando a ridere sotto i baffi.

Il moro scambiò uno sguardo con l’amico che se la rideva sotto i baffi e sospirò ancora.

Sebastian Wren non avrebbe mai augurato alla sorella quello che stava passando e nemmeno a lui quello che subiva.

Quella sera si era ripromesso di passare una serata tranquilla, aveva chiesto alla signora Schneider del quinto piano di sorvegliare la mamma e aveva fatto promettere alla sorella di non fare casini. Si era messo d’accordo con Evan e Johamm per passare una serata al pub e rimorchiare qualcuna dopo la batosta che aveva preso da Karoline. Gli sembrava un piano ben congegnato che era stato prontamente distrutto dalla chiamata di un tipo che non conosceva che gli diceva di venir a riprendere la sorella davanti a una discoteca visto che aveva collassato sulle sue scarpe. Sebastian, nonostante non lo dimostrasse spesso, era un tipo paziente. La sua aria da rapper non aveva mai influito sulla pazienza zen, restava calmo anche durante le battaglie di freestyle. Eppure sua sorella minava l’equilibro tantrico del ragazzo.

La guardò barcollare e fu grato ad Evan quando la resse.

«Mi sta venendo da vomitare» esclamò Isabel tossicchiando.

Sebastian roteò gli occhi e, con tutta la calma che aveva, si disse che no, la sua vita non poteva cambiare e sua sorella sarebbe sempre rimasta la stessa.

 

 

«Andiii» cinguettò malefico mentre si avvicinava al portatile dell’amico.

Tom, passo silenzioso, si avvicinò al tavolo facendo spaventare il biondo che sobbalzò dalla sedia.

Non capitava spesso che Andreas li andasse a trovare lì, a Los Angeles. I biglietti aerei costavano tanto e lo status d migliore amico di una rockstar non fruttava al tedesco così tanti soldi, forse nemmeno uno.

Ma quell’estate Andreas doveva essere lì, così i gemelli avevano pagato per lui un biglietto di andata e di ritorno.

Los Angeles gli piaceva così tanto che voleva condividere con l’amico quel pezzo di paradiso.

A Los Angeles la sua vita era tornata quasi normale, a Los Angeles poteva passeggiare per le strade senza aver paura di essere assalito da qualcuno in cerca di un autografo. A Los Angeles aveva cominciato ad avere delle amicizie influenti, aveva preso a frequentare la Playboy Maison. A Los Angels aveva una villa dove poteva tranquillamente perdersi e fin troppe ragazze.

La sua vita, in un certo senso, aveva preso la piega che voleva lui.

Tom Kaulitz non aveva bisogno nemmeno di presentazioni, bastava due parole a descriverlo “Schifosamente Famoso”. Non poteva essere classificato in altro modo.

Ventitre anni e il mondo ai piedi, un ego immenso quasi quanto il suo conto in banca.

Non aveva nemmeno più il problema della privacy da quando si era trasferito –con suo fratello- nell’assolata California, nella città degli angeli.

«Hai intenzione di farmi venire un attacco di cuore?!?» esclamò il biondo guardandolo malissimo.

Tom si stampò in faccia un sorrisino serafico che fece sorridere anche il biondo, quel ragazzo sapeva come farlo divertire anche con un semplice sguardo.

«Lo sai che non ti farei mai morire, Andi» disse angelico afferrando una sedia che aveva, precedentemente, posato al suo fianco, e vi si sedette sopra. Con la sua solita grazia avrebbe potuto aggiungere il tedesco.

Andreas tornò a guardare lo schermo, la pagina bianca della Home di Facebook andava a riempire gli occhi d’entrambi. Mille nomi che avrebbero dovuto essere dimenticati scorrevano sotto gli occhi dell’ormai affermato chitarrista. Hans Fremann, il bulletto della scuola che aveva picchiato Bill più di una volta, che scriveva di essere appena tornato dal lavoro e di aver trovato la sua mamma a cucinargli un pranzo che l’aveva fatto vomitare, Karoline Goldman, la sua prima e cornutissima ragazza, che, con disprezzo, parlava del suo nuove ex ragazzo. Tanti nomi, volti, che per Tom non potevano essere dimenticati. C’erano varie persone che aveva voglia di contattare, vecchi amici che aveva perso di vista quando aveva deciso di trasferirsi prima ad Amburgo poi a Los Angeles.

«Che cosa sta facendo Hans Fremann che lo stanca così tanto?» chiese il chitarrista indicando lo stato.

Andreas sorrise sotto i baffi «Niente di che, lavora come manovale in qualche cantiere a Berlino, vive ancora con i suoi e la sua ragazza è incinta, passerà una vita d’inferno».

Tom fece una smorfia. In fondo gli dispiaceva, nessuno meritava una vita di lavoro e sacrifici come aspettava a quel ragazzo.

«E Karoline?»

«Karoline è diventata una gran troia, Tom, l’ultimo poveretto che l’ha avuta è stato Sebastian Wren»

«No!» esclamò Tom spalancando gli occhi «Pensavo che Sebastian avesse molto più buon gusto»

«Tu sei stato con Karoline per due anni, vorrei ricordarti» ci tenne a precisare Andreas con aria divertita.

«Avevo dodici anni cazzo, non capivo» si difese Tom «Seb, invece, lo ricordo diverso»

«Seb è rimasto lo stesso, Tomi, anche se la sua famiglia sta andando allo sfascio, la mamma si prostituisce per la droga –e lo sa tutta la città- e il padre manda loro solo i soldi per gli alimenti» gli fece notare Andreas divertito.

«E la sorellina?»

Tom ricordava spesso l’amico Seb. Era un compagno di sbronze, si tentati rimorchi finiti miseramente male, di racconti di scopate palesemente gonfiate, Seb era l’MC del gruppo, il leader indiscusso delle rime.

Se li ricordava spesso quei pomeriggi passati sul divano dell’appartamento del ragazzo, lui, Evan e Sebastian a guardare video Hip Hop e ad immaginarsi in quelle piscine stracolme di fighe in pantaloncini che sculettavano. L’unico ad aver raggiunto –quasi- quello status, era lui. Seb e Evan non li aveva più sentiti. Inizialmente aveva tentato di tenere i contatti ma, pian piano, le cose erano diventate più grandi di quello che Tom aveva immaginato e non aveva avuto più tempo. Spesso si sentiva in colpa, perché era stato lui a interrompere una così bella amicizia.

Ricordava anche la piccola e dolce sorellina di Seb, Isabel. Le trecce more, i grandi occhioni verdi, la pelle rosea, il sorriso splendete.

L’ultima volta che l’aveva vista aveva dieci anni e una spaventosa cotta per lui. La ricordava sorridendo perché, in fondo, aveva sempre pensato che, da grande, sarebbe diventata una gran figa.

«Isabel è cresciuta» fu il commento di Andreas, condito da un bel sorriso malizioso.

«Credo di aver letto nelle tue parole “Isabel è diventata una figa da paura”» lo rimbeccò divertito.

«La più grande troia della storia» annuì Andreas «E la cosa paurosa è che lei non se ne vergogna, ne è consapevole»

Tom alzò un sopracciglio «Cioè?»

«Beh, è stata con mezza Magdeburg, Tom, me compreso» inclinò la testa «Le ragazze la odiano perché attira inevitabilmente l’attenzione quando passa»

Mise le mani sulla tastiera e cominciò a digitare il nome del ragazzo. La foto di un Sebastian sorridente in cucina lo fece sorridere. Le sue origini italiane lo avevano condannato al ruolo di cuoco.

Il cappellino celeste colpiva all’occhio, come lui, in fondo.

Obbiettivamente era un bel ragazzo, assomigliava molto alla sorella, in fondo.

«Oh» esclamò Andreas «Ha pubblicato un nuovo brano»

«Cosa?» chiese Tom.

«Scrive canzoni, anche carine… ti faccio sentire»

Con un click veloce del mouse avviò il video che si caricò dopo qualche secondo. Una pesante musica Hip Hop colpì le sue orecchie seguita dalla voce sensuale di Seb.

La canzone parlava, indiscutibilmente, di una ragazza. Rime graffianti e al vetriolo che lo fecero sorridere. Era ancora più bravo.

Ascoltò quelle parole con attenzione scorrere nelle sue orecchie, colpiva come fosse un martello. Guardò Andreas muovere la testa a tempo della canzone. Le rime rabbiose riempirono il silenzio di una villa fin troppo grande per due persone e quattro cani.

 

Solita domandina: amore, mi ami ancora?

Io: no, non ti amo più e non amerò mai più una troia

 

Sorrise, Seb dava vita alle frasi.

 

E di te poco importa,

ora che quando mio padre mi chiede di te,
io gli rispondo: per me è morta.

Porca troia ! sei una troia porca !
E quello che ti da gioia è che te ne sei accorta, stronza !

 

 

Rise.

«Ok, io amo ufficialmente questo ragazzo» disse girandosi verso Andreas «Ha un testo troppo forte»

«Continua a sentire»

 

Tutte uguali: Mara Sara Chiara Patty Vale.
Cambia un cazzo !
non ti trovi bene ? Cambia cazzo.

 

E le parole continuarono a fendere l’aria di rabbia e ironia, di una potenza quasi mistica.

 

Decido la donna che fa per me,
Invidio chi può averla,
perché cupido ha una mi merda !
Si ficcasse l' arco in culo e diventasse frocio,
avrei meno problemi e più oro sul mio orologio.*

 

La canzone terminò qualche secondo dopo portando con sé il sorriso di Tom.

Come poteva un ragazzo con un tale talento essere rinchiuso in una situazione di merda come quella che stava vivendo. Seb doveva essere famoso almeno la metà di quello che era lui. Seb non doveva faticare per mantenere una famiglia sfasciata, Seb doveva risplendere come una stella.

Guardò il biondino cliccare il “Mi Piace” sotto la canzone e girarsi verso di lui «Allora?»

«Perché nessuno gli ha da un contratto?»

«Non ha culo come te, Tom» rispose spicciolo Andreas «Quale produttore prenderebbe un poveraccio come lui»

E Tom si portò una mano sotto il mento.

Certo, nessuno avrebbe mai cercato su internet il nuovo Eminem, erano tutti ciechi e per di più rivolti alla scena musicale hip hop americana. Sebastian era geograficamente svantaggiato.

In più, c’era da dirlo, raramente qualcuno di importante andava a Magdeburg senza essere chiamato. E ad un posto in culo alla luna, mica Berlino. Seb non conosceva alcun rapper tedesco famoso che poteva prenderlo sotto la sua ala. Lui sì, ma il mito di Bushido gli si era smontato nello stesso istante in cui ci aveva provato, spudoratamente, con il fratello, e Samy non lo vedeva da quando si era trasferito nella città degli angeli. Kay One, nemmeno per sogno. A parte che non era nemmeno così tanto famoso, ma gli stava altamente sulle palle.

Si illuminò quando, con la coda dell’occhio, vide il suo cellulare. Alzò lo sguardo e guardò l’amico che, come prevedeva, lo guardava confuso e anche un po’ spaventato.

«Cosa vuoi fare Tom?» domandò Andreas.

«Shhh» sorrise alzandosi dalla sedia «Lascia fare tutto quanto a me, sono o non sono Tom Kaulitz dei Tokio Hotel?»

E Andreas lo sapeva, quando Tom cacciava i Tokio Hotel nelle questioni di vita quotidiana, potevano esserci due finali:

un lieto fine alla Cenerentola o un madornale disastro.

 

 

Seb aprì la porta di casa con un calcio.

Il tonfo sordo rimbombò per il piccolo appartamentino sparendo nel buio che lo riempiva.

Sospirò e afferrò per le spalle la sorella trascinandola dentro.

«Mi gira la testa» si lamentò la castana entrando. Le gambe la reggevano appena mentre la stanza girava intorno a lei come una trottola. Si portò una mano sulla bocca mentre sentiva la fastidiosa sensazione di vomito su per l’esofaco. Seb si girò a guardarla prima di scuotere la testa. Perché si riduceva in quel mondo?

«Ci credo» rispose semplicemente lui «Non immagino cosa tu abbia bevuto e preso». Asserì andando a chiudere la porta. La casa era immersa in un denso silenzio che lo fece quasi rabbrividire. Sua madre non aveva portato il “lavoro” a casa, non vi era nessun padre a rimproverarli per l’ora, non vi era nemmeno il guaito felice di Gabi, la loro piccola bastardina, morta qualche settimana prima.

Un senso di tristezza lo avvolse completamente nel notare quanto insulsa fosse, in realtà, la sua vita e quanto desiderasse piangere come un bambino. Isabel, intanto, con passo malfermo, si avvicinò al divano e vi si buttò sopra, esausta.

La testa le faceva un male cane e ogni passo che faceva le sembrava di percorrere un chilometro.

Stava male, forse un po’ troppo.

Perché beveva tanto? Perché si comportava così?

Perché indossava quella maschera di menefreghismo nonostante soffrisse dentro?

Entrambi i fratelli erano bravi a mascherare, a dissimulare, a non piangere su quello che la loro vita stava riservando per loro. Perché nonostante la stima, il timore, la repulsione che la gente provava per loro, nessuno sapeva cosa provassero davvero.

Isabel tossicchiò appena prima di spingersi in avanti e , vinta da un conato di vomito, rigettò sulle sue scarpe senza ritegno.

Seb amndò una bestemmia e si avvicinò a lei.

Le resse i capelli mentre si liberava di tutto quell’alcool che aveva ingerito sentendosi oltremodo patetica. Tossicchiò per nascondere le lacrime che il un assordante silenzio premevano per uscire, quasi senza ritegno.

Isabel non voleva piangere, non lo avrebbe mai permesso.

Seb bofonchiò qualcosa che lei non capì mentre, con un gesto delicato, l’alzava da terra e la prendeva in braccio come una sposa e la portava, con cura, verso il suo letto.

Strinse il collo forte del fratello e, come se nulla fosse, iniziò a piangere.

«Shhh» le sussurrò ad un orecchiò lui «Non piangere»

«Non ci riesco Sebby, non ci riesco» balbettò lei mentre, la testa posata contro la spalla di lui, piangeva. Le lacrime andarono a posarsi e a mischiarsi con la stoffa della camicia del ragazzo. Sebastian sospirò e aprì la porta della camera da letto della sorella.

«Sì che ci riesci, nonostante tutto, sei la ragazza più forte che io conosca» la rassicurò mentre, con delicatezza, l’adagiava sul materasso sfatto.

Loro non avevano certo una mamma che rifaceva i letti e puliva la casa.

Isabel si adagiò con estrema lentezza sul cuscino e si rannicchiò su se stessa, fagile come nessuno –apparte Seb- avrebbe dovuto vederla. Assunse una posizione fetale che sembrava proteggerla dall’esterno, dalle grinfie di una vita che non era mai come si desiderava. Seb le rimboccò le corperte e si sedette al suo fianco.

Non voleva lasciarla sola con i suoi fantasmi, si disse, avrebbe aspettato che si fosse addormentata.

Guardò il profilo delicato della sorella e le sue palpebre umide chiudersi e aprirsi diverse volte. Lo faceva sempre quando tornava con la sorella ubriaca o fatta, aspettava che si addormentasse, rimaneva seduto, lì, nel buio della stanza, sommerso dalle cose della sorella aspettando che gli incubi l’abbandonassero.

Isabel non era forte, era fragile come un fiore appena sbocciato, non era una serpe, una stronza, una strega, era una bambina spaurita a cui il mondo aveva dato fin troppe botte.

Seb aveva un legame speciale con lei, l’aveva sempre protetta da ciò che avrebbe potuto farle male, aveva sempre cercato di vegliare sulla sua solitudine che, traditrice, la prendeva alle spalle da sempre. Aveva sempre pensato di poterle donare una vita diversa da quella che aveva, di poter essere per lei un angelo custode pronto a scacciare i cattivi pensieri.

Sapeva di aver, in parte, fallito.

Si era rassegnato alle scelte della sorella invece di combattere, non aveva insistito, non l’aveva minimamente protetta. Ricordava perfettamente la prima volta che l’aveva beccata con uno spinello tra le labbra. All’epoca lei aveva dodici anni lui diciasette e, se era possibile, si faceva più di lei. Ricordava di aver provato un certo fastidio ma di essersi, poi, seduto al suo fianco e averle detto, candidamente “Lasciami qualche tiro, Bels”. Non avrebbe dovuto farlo, avrebbe dovuto incazzarsi e riportarla  a casa immediatamente. Ma sarebbe stato un ipocrita. Aveva smesso qualche anno dopo, Sebastian, stanco di sentirsi dipendente da qualcosa. Lo diceva sempre, lui non era schiavo di nessuno, nemmeno dell’erba.

Ma non aveva avuto successo con Isabel. Lei aveva continuato, aveva continuato e aveva preso a prendere anche qualcosa di più pesante, ad andare a letto con i suoi amici, a ubriacarsi fino a vomitare l’anima, a passare interi giorni fuori senza mai rientrare.

Sospirò quando si accorse che Isabel aveva preso a dormire profondamente.

Con il morale sotto i piedi si alzò da quel letto e, lentamente e attento a non fare alcun rumore, uscì dalla stanza. Chiuse la porta con accortezza e poi, sospirando ancora, si avviò verso la cucina. Dopo essersi preso un bicchiere d’acqua, prese il suo scassato portatile e lo accese. Si sedette su una sedia e attese che si accendesse. Quando il computer fu in funzione accese la connessione ad internet ed entrò su Face.

Aveva più di venti notifiche. Sospirò e decise che le avrebbe controllate velocemente.

Le fece scorrere velocemente finchè una di questa attirò la sua attenzione, stupendolo non poco.

 

 




A Andreas Guhnner piace il tuo link




Andreas Guhnner lo ricordava benissimo.

Il migliore amico dei famosi gemelli Kaulitz non si dimenticava facilmente, come non ci si dimenticava di un amico come Tom.

Un piccolo sorriso gli nacque sul viso mentre pensava al suo ex migliore amico che, a differenza sua, nella vita aveva avuto strada. Sì, lui aveva davvero preso in mano la sua vita e ci aveva fatto ciò che voleva.

Quel piccolo (perché all’epoca era alto un metroe  un puffo) era cresciuto ed era diventato il grande Tom Kaulitz chitarrista dei Tokio Hotel. Bastavano quelle due semplici parole per identificare una persona come lui. Erano passati otto anni dall’ultima volta che si erano sentiti, l’ultimo messaggio che erano riusciti a mandarsi era stato un misero buona fortuna in vista degli Echo che Tom aveva poi vinto –più di una volta-.

Si alzò dalla sedia colmo di ricordi divertenti e, afferrando una sedia, andò ad aprire la vecchia credenza. Posizionò la sedia sotto di esso e vi salì sopra. Sapeva dove andar a cercare, lo faceva sempre quando l’umore arrivava ai piedi. Spostò alcune scartoffie innerente il divorzio dei genitori e afferrò una scatola blu che aveva ben nascosto dagli occhi degli altri.

La prese con cautela e la posò ul tavolo, chiuse la credenza e rimise a posto la sedia. Riafferrò quella scatola e si andò a sedere sul divano.

Era come aprire uno scrinio del tesoro, dentro di esso Seb poteva leggerci il suo passato. Il cuore aumentò di qualche battito mentre scoperchiava la scatola e posava il coperchio sul divano. Guardò al suo interno e sorrise a quella foto che lui stesso aveva posto all’inizio. La prese con delicatezza e se la portò davanti agli occhi.

Era una foto che risaliva agli inizi del 2005 quando Tom non era ancora nessuno e loro erano solo dei ragazzini pieni di sogni infilati in tanti cassatti. All’epoca i Tokio Hotel stavano registrando il loro cd di debutto e tutte le speranze che poi si erano concretizzate erano solo un’utopia dettate dalla giovane età. All’epoca i suoi genitori non era divorziati, quelli di Evan non erano in crisi e quelli di Tom lo erano da nove anni, all’epoca frequentavano il liceo e se ne fotteva nel mondo, all’epoca erano più spensierati. All’epoca Isabel non era un problema e aveva una mega cotta per l’amico.

Erano in discoteca, come ogni Sabato, a Tom non piacevano le discoteche ma piacevano le ragazze e quello bastava a convincerlo a venire con loro. Eccoli lì, la foto scattata dal basso, lui, Evan e Tom, l’Asse del Male, i Tre dell’Apocalisse. Seb era al centro, la canotta rossa spiccava sotto la felpa nera e la chefia arrotalata intorno al collo, i cappello nero girato verso sinistra, reggeva la fotocamera e sorrideva appena. Tom era alla sua sinistra, palesemente ubriaco, i rasta biondi che cadevano lungo le spalle, la fascia nera sulla fronte a coprire le orecchie che lui detestava, il cappello della NY nero che gli copriva in parti gli occhi dall’espressione ebbra. Reggeva nella mano sinistra un bicchiere contentente un Cuba Libre quasi vuoto, l’altra mano l’aveva posata sulle spalle dell’amico. Evan chiuseva il cerchio alla sua destra, il viso contorto nella solita espressione da duro che faceva ridere Tom, la larga maglietta dei Lakers viola a rompre l’obbiettivo. Era bello ricordarsi così, stretti, uniti, amici per la pelle.

Quante cazzate, quante litigate, quante strette di mano. Cos’era successo poi?

Il singolo dei Tokio Hotel era uscito il 15 agosto. Ricodava quella data perché qualcosa dentro di lui si era rotto: sapeva che presto l’amico se ne sarebbe andanto.

Durch den Monsun aveva superato persino le aspettative megalomani di Tom, era schizzato alle prime posizioni delle classifiche, i fans erano aumentati, la casa dei gemelli presto assediata dai giornalisti, la scuola invasa di invasate in cerca dei loro baby idoli. Il 6 settembre, quando uscì Schrei, il Cd, Seb seppe di aver perso Tom. I gemelli si ritirarono da scuola e vedere Tom –almeno come prima- era impossibile. Poi il tour, i continui Sold out e la rivelazione.

Magdeburg era piccola per i Tokio Hotel, se ne sarebbero andati. Tom aveva promesso loro di farsi sentire, di tornare ma… i Tokio Hotel erano cresciuti fino a conquistare il mondo e gli impegni avevano sommerso Tom.

Non gli faceva più una colpa se non si era fatto sentire, ma inizialmente ce l’aveva avuta con lui per un sacco di cose.

Ripose la fotografia e sospirò.

L’invidia fa male solo agli invidiosi, lui lo diceva sempre, e aveva, per un po’ di tempo, intaccato il ricordo dell’amico. Tom ce l’aveva fatta perché doveva perdere tempo con lui?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’Autrice: Bene Bene, eccomi con un nuovo esperimento che spero vi piaccia.

La prima nota che vi do e che dovete tenere presente per tutta la storia è che le canzoni di Seb sono quelle del rapper italiano Emis Killa (quella di questo capitolo è Broken Dolls), perché, magari so formulare una frase in un contesto come questo, ma sono una frana con le rime.

Questa storia che inizialmente avevo intitolato Bad Girl Goes Good, è nata da una mia vecchia fantasia, di fatti questa è la totale revisione di una mia vecchia FF, scritta nel 2007 intitolata Under our skin che non ho mai postato. Di fatto sono cambiati personaggi e scenari e l’ho resa più cruda, in fondo, nel 2007 avevo 13 anni, adesso ne ho 18, le cose sono un po’ cambiate da quel periodo, sono cambiata io. La storia è comunque in fase di scrittura quindi non assicuro un postaggio regolare, nonostante ora non ci sia più la scuola a rompere. Per il testo spero che come inizio vi piaccia.


   
 
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