1.
TEARS IN THE WIND – LACRIME NEL VENTO
Versò
nell’ampia tazza i cereali e li innaffiò col latte
candido e fresco. Si passò
una mano sulla fronte per asciugare il sudore. Faceva davvero caldo da
qualche
giorno a quella parte, anche se l’estate era ancora lontana.
Si lasciò cadere
sulla poltrona nello studio di suo padre e iniziò lentamente
a mangiare. Il suo
sguardo cadde sulla distesa di palazzi che si estendeva fuori
dall’ampia
finestra. Un pallido sole primaverile faceva capolino
all’orizzonte, lanciando
ombre di luce su una Tokyo ancora addormentata. Non era la prima volta
che
riusciva ad alzarsi abbastanza presto da riuscire ad ammirare
l’alba. Ma quella
era la prima volta che lo faceva senza Shinichi. Le affiorò
alla mente il
ricordo di loro in un passato che sembrava lontanissimo: erano appena
alle
elementari quando, ogni mattina a quella parte, Shinichi si presentava
sotto la
sua finestra, si arrampicava fino al balcone e la svegliava
delicatamente, per
guardare insieme il sole che sorgeva. Finché non se
n’era andato. Aveva
conservato quei ricordi come gioielli preziosi e, se chiudeva gli
occhi,
riusciva a vedere il sorriso spavaldo sul volto di Shinichi mentre si
arrampicava
fino a camera sua, il suo sguardo entusiasta mentre le raccontava
dell’ultimo
prodigioso goal che aveva segnato, i suoi splendidi occhi azzurri che
brillavano quando parlava di suo padre o la strana tonalità
di rosso che colorava
le sue guance quando veniva sorpreso a fissarla con aria trasognata.
Solo a
questo poteva affidarsi: a immagini impresse nella sua memoria, che,
per quanto
vivide, non riuscivano a tirarle su il morale. Shinichi se
n’era andato chissà
dove, e adesso, a consolarla c’era solo quel tenero bambino
dai grandi
occhiali, che tanto le ricordava lo Shinichi dei suoi ricordi.
I
singhiozzi si erano trasformati, lacrima dopo lacrima, in un pianto
silenzioso.
Mai come in quel momento era stato così tentato di alzarsi
da quello stupido
divano e urlare, finché non si fosse liberato di ogni
traccia di quell’opprimente
senso di colpa, per poi dirle la verità, tutta la
verità.
Sgusciò
fuori dalla stanza senza farsi notare, infilò le scarpe con
un gesto meccanico
e corse fuori, inforcando la sua bici, parcheggiata lì
fuori. Iniziò a
pedalare, prima piano poi con impeto crescente. Attraversò
il quartiere di
Beika, iniziando a rallentare solo in prossimità di un
fiumiciattolo che
scorreva lì nei paraggi. Il rumore dell’acqua lo
calmò. Lasciò andare il
manubrio – che fino a quel momento aveva stretto
vigorosamente, tanto da far
sbiancare le nocche – e lasciò cadere le braccia
lungo i fianchi, esausto.
Imboccò un vicolo stretto e spopolato. Si
concentrò sul suo respiro per tentare
di calmarsi e frenare le lacrime che lottavano per uscire. Invano.
Piccole
gocce salate gli solcarono il viso, macchiando la maglietta chiara su
cui cadevano.
Sentiva il vento che gli scompigliava i capelli color cioccolato e gli
gonfiava
i vestiti umidi.
Il
sole appena sorto venne presto coperto da un banco di nubi scure e
inquietanti,
sorprendendo il piccolo Conan con una pioggia leggera. Non si
fermò, continuò a
pedalare finché la sua rabbia non sbollì. Poi,
con un malinconico sorriso, girò
la bici e pedalò piano verso l’agenzia
investigativa.
Sbam. Si
voltò di scatto allo
sbattere della porta d’ingresso. Passi leggeri volarono sulle
scale e il
piccolo fece il suo ingresso nella stanza, bagnato e infreddolito. Ma
quello
che più la colpì fu la sua espressione. Era
terribilmente triste, afflitto da
un dolore che sembrava troppo grande per quel gracile corpicino. I suoi
occhi
erano una maschera di tristezza.
Ran
uscì dallo studio a grandi passi, per rientrarvi con in mano
un morbido
asciugamano. S’inginocchio per guardarlo meglio negli occhi e
asciugargli i
capelli fradici.
«Conan? Cos’è
successo?» chiese, preoccupata.
«Basta,» mormorò
lui, tanto debolmente che Ran non era del tutto sicura di aver capito
bene.
«Non voglio più sentire quel nome.»
«Che stai
dicendo?» chiese confusa.
«Cos’è questa storia?»
Il
piccolo abbassò lo sguardo per qualche secondo. Quando
alzò di nuovo la testa
la sua espressione era cambiata: nei suoi occhi si alternavano
risolutezza e
paura. Sembrava così adulto in quel momento…
«Devo
confessarti una cosa,» disse infine, puntando le iridi
azzurre in quelle di
lei. «E non so se è la cosa giusta da
fare.»
E
così inizia questo nuovo
progetto. Almeno adesso ho qualcosa da fare durante le vacanze estive!
Tornando
a noi, vi è piaciuto il capitolo? Spero vivamente di
sì, ma il mio è un parere
di parte. Fatemi sapere cosa ne pensate, okay? Al prossimo capitolo!