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Autore: PhoenixLupin    27/12/2006    0 recensioni
Mentre Roberto incartava il piccolo pacco, Filippo ripensò a quella notte di Natale magica e a quanto l’Angelo Bianco avesse avuto ragione. Era stata la sua ultima possibilità per vivere felice. E lui non se l’era lasciata scappare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Mi devi una spiegazione – gli aveva detto con tono duro

Questa piccola storiella è ispirata al classico “Christmas Carol”, ovviamente con qualche piccola modifica personalizzata. Spero che vi piaccia. E’ una storia senza alcune pretese, scritta solo per passare il tempo e per cercare di fare qualcosa di originale. Se il Natale, anche se passato, vi fa sentire più buoni, lasciate un commentino! ^_-

Enjoy!

 

 

L’ultima possibilità per vivere felice

 

 

La neve aveva cominciato a cader giù leggiadra, come se stesse danzando nel cielo per poi posarsi elegantemente sul manto bianco che aveva ricoperto le strade e le macchine.

Filippo si voltò su un lato e si strinse nelle coperte, poggiando la testa sul braccio muscoloso. Osservò la neve scendere aggraziata oltre i vetri della finestra, i candidi fiocchi sembravano illuminare la buia stanza. Da che ricordava quella stanza era sempre stata buia.

I raggi del sole penetravano solitamente quando la mattina, la cameriera, decideva di aprire la finestra per far entrare un po’ d’aria fresca, ma solo quando Filippo non c’era, ovvero tutte le mattine.

Appena rientrava doveva trovare la finestra chiusa e la tapparella abbassata, la camera completamente immersa nella sua oscurità. Non voleva che la luce del sole gli facesse rendere conto delle grandi dimensioni della stanza da letto. Avrebbe solo evidenziato la solitudine alla quale lui era stato condannato. O forse era meglio dire alla quale di si era autocondannato… da solo.

Quella sera aveva deciso di alzare la tapparella per godere lo spettacolo della strada innevata. Fin da piccolo aveva sempre amato il Natale con la neve, gli donava quella sensazione di magia, caratteristica del Natale.

Era la notte tra il 24 e 25 dicembre e Filippo era steso nel suo letto, con le calde coperte che gli riscaldavano il corpo, nella sua enorme casa regnava il silenzio. Da un po’ stava osservando la casa di fronte, o meglio, ciò che succedeva al di là della finestra, con un nodo allo stomaco, mentre il bambino accanto all’albero rideva e abbracciava di slancio il padre, che gli accarezzava i capelli. Era invidia quella che sentiva dentro, quella che gli mordeva lo stomaco come una belva affamata. Invidia per quel bambino che aveva ricevuto per Natale ciò che più desiderava, invidia per l’amoroso e semplice gesto del padre, quello di accarezzargli i capelli. Invidia per il sorriso della madre del bambino che dominava il suo volto luminoso, e quello sguardo che guardava il figlio con orgoglio. Invidia per quella piccola famiglia riunita intorno all’albero di Natale e che scartava i regali, sempre con il sorriso sui volti. Invidia per quello che lui e i suoi genitori avrebbero potuto essere, ma che invece non erano stati.

I suoi Natali era stati ben diversi da quelli del bambino della finestra di fronte. Il primo Natale che ricordava nitidamente era quello a 8 anni. Era chiuso in camera sua, seduto alla scrivania, e scarabocchiava su un foglio il volto di Babbo Natale, mentre canticchiava una canzoncina natalizia che stava trasmettendo la radio. I suoi genitori non c’erano, erano andati a trascorrere il Natale insieme a degli amici, come ogni anno, e avevano lasciato Filippo con la nonna, come ogni anno. Nella testa del bambino risuonavano ancora le parole “Babbo Natale non esiste! Come fai ad essere così scemo da crederci ancora?”, dette da un suo amico il giorno prima. Filippo non voleva crederci. Ma non fraintendiamo. Lui non vedeva Babbo Natale come un anziano signore buono che portava tanti doni ai bambini, per lui era un vecchio egoista e ingiusto che portava tanti doni agli altri bambini, ma a lui no. Ogni Natale riceveva sempre lo stesso giocattolo: un piccolo robot smontabile. Lui odiava Babbo Natale. Ciò che riceveva non era mai la stessa cosa che chiedeva nella letterina, nonostante si sforzasse di chiedergliela in modo gentile. Per l’intero anno cercava di comportarsi come un bravo bambino per ricevere i regali da Babbo Natale, ma alla fine si ritrovava sempre con lo stesso robot in mano.

Non voleva credere che Babbo Natale non esistesse perché ciò avrebbe significato che non era Babbo Natale il vecchio egoista e ingiusto, bensì i suoi genitori. Non che lui amasse i suoi genitori. Ma viveva nella speranza che un giorno si potessero accorgere di lui, della sua esistenza.

Aveva preso il foglio e, strappatolo con violenza, l’aveva gettato per terra. Poi era corso in cucina per chiedere alla nonna se Babbo Natale esistesse veramente e lei, guardandolo come se avesse parlato una lingua diversa, gli rispose “Ma che scemenze dici? Non esiste nessun Babbo Natale! Chi te le mette in testa certe idiozie? Ora, per favore, va’ in camera tua e mettiti a dormire, già mi secca venire qui ogni Natale per badare a te”. Filippo era rimasto in silenzio e si era allontanato. Si era avvicinato all’albero e aveva preso il pacchetto con su scritto il suo nome. Lo aveva aperto e ci aveva trovato l’immancabile robot, che aveva lanciato con uno scatto di rabbia tra le fiamme nel camino.

Quella notte, mentre i genitori di Filippo tornavano a casa, probabilmente erano ubriachi, fecero un incidente in cui entrambi persero la vita. Per Filippo non cambiò nulla. L’unica differenza era che la colazione, il pranzo e la cena glieli preparava la nonna anziché la mamma.

Nella sua vita non aveva mai avuto un amico. Era sempre stato solo. A scuola era sempre stato un bulletto ammirato da alcuni compagni, ma non aveva mai avuto un vero amico. Aveva un pessimo carattere. Scorbutico, arrogante, freddo. Tutte le persone che avevano provato ad avvicinarsi a lui erano sempre state allontanate malamente.

Ricordava che alle medie c’era una ragazzina, non aveva presente il suo nome, che chiamava “cicciosa brufolosa”. Un giorno scoprì che lei era innamorata di lui, gliel’aveva detto un’amica di “cicciosa brufolosa”, e ricordò che lui approfittava di ogni momento per deriderla, per prenderla in giro, per farla sentire inferiore a lui. Non sapeva il perché, ma voleva farle del male, voleva ferirla. “Come puoi sperare che io possa mettermi con te? Mi vergognerei a farmi vedere in giro con una ragazza così, ammesso che così ti si possa chiamare” le aveva urlato un giorno per strada, mentre tornavano a casa dopo la scuola. Lei era corsa via piangendo, dopo aver visto che tutti i ragazzi presenti erano scoppiati a ridere. Da quel giorno “cicciosa brufolosa” non lo aveva mai più guardato, non gli aveva mai più rivolto la parola, lo aveva ignorato, facendo finta che non esistesse. Questo suo comportamento ferì profondamente Filippo, poiché era lo stesso comportamento che i genitori avevano avuto con lui.

Quando Filippo aveva 15 anni la nonna morì e lui fu mandato in un orfanotrofio, perché non aveva nessuno che poteva o voleva prendersi cura di lui. Così trascorse tre lunghi anni lì dentro, e il suo carattere divenne ancora più negativo.

A 24 anni si laureò come avvocato e il lavoro cominciò ad assorbire la sua vita. Dopo un po’ non vedeva altro che il lavoro. Ogni settimana aveva una relazione diversa, ma tutte finivano dopo poco tempo perché lui si stancava della ragazza con cui stava e ne cercava sempre un’altra. Non gli importava che così facendo ferisse le ragazze con cui stava, non gli importava nulla dei sentimenti altrui. Vedeva solo se stesso. Non esisteva altri che lui. Gli altri facevano da contorno alla sua vita, servivano solo per renderla meno monotona. Nel campo lavorativo eccelleva, nel campo sentimentale scadeva. L’ultima relazione risaliva all’anno precedente.

-   Mi devi una spiegazione – gli aveva detto con tono duro dopo che lui le avesse comunicato che tra di loro era finita.

 -   E invece no. Sono padrone di fare quello che voglio, con chi voglio – le aveva risposto lui senza pentirsi dopo aver osservato lo sguardo ferito e la smorfia di dolore comparsi sul volto della ragazza. Dopo un attimo di silenzio, quest’ultima ribattè:

 -   Potrai fare quello che vuoi, ma non puoi disporre della vita degli altri. Siamo stati insieme, e…

 -   Noi non siamo mai stati insieme, lo vuoi capire o no? – la interruppe Filippo alzando il tono della voce – Sei stata solo un’avventura, una delle tante, non ho mai provato niente per te. Per cui evita ogni tipo di paternale e lagne varie.

Erika era rimasta immobile e gli occhi avevano cominciato a riempirsi di lacrime, ma non voleva cedere. Lui non doveva vederla in quello stato… e per chi poi? Per un uomo che non aveva un minimo di rispetto per lei? Così replicò impassibile stringendo i pungi:

 -   Sei solo un bastardo. Un fallito. Un vigliacco. Ti è piaciuto corteggiarmi, venire al letto con me, vero? Bè, allora, sai che ti dico? Ricorda tutti i momenti che abbiamo trascorso insieme, perché ora che hai perso anche me, resterai completamente solo. Ora capisco perché non hai amici e non hai mai avuto un rapporto fisso con una ragazza. Sei una bestia. E sei condannato a rimanere solo per tutta la vita.

Con la rabbia che le ardeva in corpo si voltò, asciugando bruscamente la lacrima che le aveva solcato la guancia, decisa a non piangere per un tale imbecille.

 -   Io non sono solo! – le aveva urlato Filippo mentre lei diventava sempre più piccola man mano che la distanza tra di loro aumentava.

 -   Non sono solo – aveva mormorato infine.

Quanto avrebbe voluto che fosse così. Per trent’anni aveva vissuto nella convinzione di essere nel giusto. Purtroppo aveva capito troppo tardi che si era comportato male con tutti coloro che avevano tentato si instaurare un rapporto con lui. Chiuso nel suo piccolo mondo, in cui esisteva solo lui e nessun altro, aveva lasciato che la vita intorno a lui girasse senza che si accorgesse della sua esistenza. Aveva continuamente odiato il comportamento dei genitori che lo avevano sempre ignorato, ma alla fine lui aveva fatto in modo che il mondo lo ignorasse. E la cosa che faceva più male era che nessuno sentiva il bisogno della sua presenza per vivere meglio, oppure solo per avere un’altra persona con cui parlare, o semplicemente solo per dedicare un sorriso ad una  persona in più. Camminava per la strada sentendosi solo, anche se magari intorno a lui ci fossero mille persone. Nessuno sembrava che fosse catturato dal suo sguardo, o dalla sua presenza, si sentiva invisibile e silenzioso. Inizialmente non gli importava nulla, ma col passare del tempo sentiva il peso della solitudine appesantirsi sulle spalle e avrebbe tanto voluto dividere quel fardello con qualcuno. Ma ormai era troppo tardi. Troppo tardi per ricucire dei rapporti con tutte le persone di passaggio nella sua vita, prima solo comparse, ora fondamentali perché lui potesse vivere in pace con se stesso e col mondo. Troppo tardi per chiedere perdono per il suo comportamento insensibile e distaccato. Chiedere perdono per tutto il male che aveva fatto alle persona, spesso inconsapevolmente, ma altrettanto spesso di proposito. Ricordava quanto godeva quando vedeva la gente soffrire, piangere, disperarsi, urlare… forse perché così si sentiva in compagnia, non era l’unico ad avere motivi per cui soffrire. Adesso veniva divorato dai rimorsi per essere stato così cattivo. Gli dispiaceva solo di non averlo capito prima, di aver avuto bisogno di restare nella più totale solitudine per comprendere quanto male aveva fatto e quanto aveva sbagliato.

Prese dal comodino un biglietto rosso, con l’immagine di Babbo Natale che sbuca dalla ghirlanda con il suo faccione paffuto sorridente e il naso paonazzo. “Un Natale speciale insieme a tutti i vecchi compagni delle medie per ricordare i vecchi tempi! Ci vediamo il 25, mi raccomando, non mancare!”, c’era scritto sotto la ghirlanda. Un suo vecchio compagno delle medie, Enrico, aveva organizzato a casa sua una festa di Natale in cui aveva invitato tutti i vecchi amici di classe. Ma Filippo sapeva che lui non era il benvenuto. Qualche giorno prima aveva incontrato Enrico al supermercato e lui gli aveva dato l’invito dicendogli “Non sei obbligato a venire. Anzi…” lasciando la frase in sospesa facendo intendere “Se non vieni è meglio. Ci divertiamo di più” e si era diretto alla cassa per pagare tutto il necessario per organizzare la festa e per poter cucinare il cenone.

In realtà Filippo non aveva alcuna voglia di andarci. Non avrebbe sopportato di sentirsi ignorato anche lì, era già abbastanza ciò che doveva sopportare ogni giorno. E poi con che coraggio avrebbe guardato di nuovo in faccia “cicciosa brufolosa”? No, doveva smetterla di chiamarla così. Aveva un nome… ma quale?

Una vocina dentro di sé gli consigliava di andarci, sarebbe stata l’occasione migliore per poter chiedere scusa a tutti quanti e magari per poter instaurare dei rapporti d’amicizia. Un’altra vocina gli diceva che era meglio di no, perché nessuno avrebbe accettato le sue scuse, magari lo avrebbero anche deriso, come lui aveva fatto con loro tempo prima, e per tutta la serata lo avrebbero ignorato. E lui sarebbe stato appartato in un angolo, ad osservare la gente che rideva e si divertiva, ricordando i vecchi tempi, gli scherzi, le interrogazioni in cui ci si suggeriva a vicenda… no, non ci sarebbe andato.

Poggiò il bigliettino sul comodino, quando all’improvviso la finestra si spalancò. Filippo si mise a sedere di scatto, osservando stupito un vortice di vento e fiocchi di neve che entravano dalla finestra e volteggiavano al centro della sua stanza, emanando una luce bianca soffusa che gli illuminava il volto. Piano piano questo vortice assunse le sembianze di una donna. Una splendida donna che gli sorrideva. Aveva un lungo vestito bianco con uno strascico che poggiava candidamente sul pavimento della stanza, e dei boccoli biondi che le incorniciavano il viso con dolcezza, accentuando i lineamenti semplici ma allo stesso tempo affascinanti del suo viso roseo. Il vestito le lasciava le braccia scoperte, mostrando una pelle liscia e morbida, mentre un alone bianco circondava la sua figura.

 -   Filippo… - mormorò con voce chiara e soffice. L’uomo la guardava con espressione stupefatta ma al contempo incantato da tale bellezza.

 -   C-Come fai a conoscere il mio nome? Chi sei? – le chiese dopo un attimo di smarrimento al quale lo aveva costretto il sentire la sua voce delicata.

 -   Vieni con me – gli rispose la donna sempre con lo stesso sorriso che le illuminava il volto.

 -   Dove?

 -   A far visita ai tuoi Natali.

Filippo aggrottò la fronte e chiese curioso - Perché?

 -  Voglio che tu capisca una cosa – disse avvicinandosi al suo letto e porgendogli la mano. Lui osservò diffidente le lunghe dita affusolate, e notò intorno all’anulare un sottile anello di oro con un diamante bianco incastonato. Osservò quell’oggetto ammaliato e la sua mente si mise alla ricerca del motivo per il quale quell’anello gli sembrasse così familiare. Provava una cosa strana. Sapeva quell’anello era legato alla sua vita, ma non capiva se fosse legato al suo passato o al suo futuro. Non aveva mai provato una sensazione del genere. Ma fu come se quell’oggetto gli trasmettesse fiducia e capì che doveva fare come gli era stato chiesto, così prese la mano della donna e si alzò. Nel toccare quella mano avvertì un certo calore riscaldargli il petto e inspirò profondamente, come se fosse tornato a respirare dopo una vita senza ossigeno.

In quel momento la sua stanza cominciò a scomparire, come se fosse lentamente inghiottita dall’oscurità. Per qualche istante lo circondò il buio, ma sentiva la mano della donna accanto a lui stretta nella sua e questo lo confortava. Al suo fianco si sentiva sicuro e tranquillo. Sensazione che non provava ormai da troppo tempo. In quel momento cominciò ad apparire davanti ai suoi occhi nuovamente la sua stanza, ma c’era qualcosa di strano. Erano di fronte al suo letto, ma le coperte non erano sfatte  e una luce giallognola proveniva dalle sue spalle.

 -   Non lasciare mai la mia mano – gli sussurrò la donna e Filippo annuì contento. Era l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto fare. Si voltò insieme a quell’“angelo bianco” che lo affiancava e si ritrovò ad osservare se stesso seduto alla scrivania, immerso nelle carte, con il lume acceso che illuminava solo la superficie del tavolo. Quella scena gli riportò alla mente il Natale dell’anno precedente. Aveva trascorso tutto il giorno seduto a quella scrivania, dedicandosi ininterrottamente alle carte che riguardavano un caso di cui si stava curando in quel periodo.

 -   Perché siamo qui? – chiese Filippo voltandosi verso la donna corrugando la fronte con fare interrogativo.

 -   Voglio mostrarti quanto il tuo comportamento ha avuto, ha ed avrà importanza nel condizionare la tua vita.

 -   Mi stai dicendo che…

 -  Questo è il tuo Natale dell’anno passato – gli disse guardandolo con sguardo penetrante, ma Filippo non vi trovò nessuna traccia di accusa o di rimprovero. Tornò a guardare se stesso che scriveva freneticamente qualcosa, ma ad un certo punto si fermò e fece cadere la testa con un tonfo sulla scrivania. Filippo ricordò che in quel momento stava ripensando alle parole di Erika che gli aveva detto quel giorno stesso.

 -   Io sono solo – mormorò il Filippo-passato e lentamente, come era accaduto prima, la luce della stanza si affievolì, fino a che non rimasero entrambi, di nuovo, immersi nell’oscurità. Trascorsero pochi secondi, poi di nuovo la stanza di Filippo venne illuminata e loro si trovarono sempre davanti al suo letto. Il ragazzo era seduto davanti alla finestra e osservava ciò che stava accadendo nella casa di fronte, la casa del bambino felice. In mano aveva l’invito di Enrico.

 -   Questo è ciò che farò domani… il mio Natale presente – disse il ragazzo voltandosi verso la donna che annuì - E’ ciò che succederà se rimarrai della decisione che non vuoi festeggiare il Natale insieme ai tuoi vecchi amici – gli rispose.

 -   Non sono miei amici – ribattè Filippo – Non lo sono mai stati a sarei di peso se andassi da loro.

 -  Questo lo pensi tu.

Filippo rimase in silenzio ad osservare se stesso che guardava il bigliettino – Chissà come si stanno divertendo – mormorò il Filippo-presente e, dopo aver accennato ad un sorriso, forse immaginando i vecchi compagni che si divertivano, strappò il bigliettino lentamente e lanciò i pezzi tra le fiamme nel camino, mormorando – Non fa per me.

La stanza cominciò a rabbuiarsi e poco dopo riapparve. Questa volta Filippo era seduto sulla poltrona di fronte al camino e guardava con sguardo vuoto le fiamme che bruciavano la legna. In mano aveva un bicchiere di vino mezzo vuoto che ogni tanto si portava alle labbra per bere un goccio. Filippo notò dai suoi lineamenti e dai suoi capelli che doveva avere intorno alla cinquantina d’anni. Aveva qualche ciocca di capelli brizzolata e sul viso si potevano notare delle rughe, la pelle meno liscia, aveva delle grosse borse sotto gli occhi che accentuavano un’aria stanca e malinconica. Ma nonostante tutto aveva mantenuto il fascino da uomo maturo grazie al quale aveva conquistato molte ragazze di cui però si era disfatto facilmente, senza nessun riguardo verso i loro sentimenti. La stanza era come sempre buia, illuminata fiocamente dalla luce che emanavano le fiamme.

 -   Ti piace quello che vedi? – chiese la donna a Filippo guardandolo seriamente. L’uomo la guardò per un momento senza sapere cosa rispondere. O meglio, sapeva cosa rispondere, ma non sapeva se era quello che voleva dire.

 -   No – ammise infine – Ma non posso fare niente. Ormai sono solo. E solo rimarrò.

 -   Ti sbagli – ribattè la donna – Non resterai solo se non vorrai farlo. Dipende solo da te.

 -   E allora cosa dovrei fare? Non posso mica costringere la gente ad essermi amica, se non vuole!
      E ti assicuro che nessuno lo vuole. Non sapendo come mi sono comportato in passato e chi
      sono.

 -   Tu adesso sei cambiato. Non sei più quello di prima, e la gente lo capisce.

 -    Sarò anche cambiato, ma non sono abituato ad avere rapporti con la gente. All’inizio forse sarò
      diverso, ma piano piano tornerò ad essere la persona scorbutica e fredda che sono stato.

 -   Te l’ho già detto. Dipende tutto da te. Se tu vorrai essere gentile con le persone, lo sarai. Tu solo
      puoi gestire la tua vita e il tuo carattere. Ora dimmi: vuoi passare il resto della tua vita seduto ad
      una poltrona a bere vino a rimpiangerti addosso? Oppure vuoi una vita normale, vuoi degli
      amici, una ragazza, una moglie, una famiglia? Vuoi continuare ad essere ignorato oppure vuoi
      contare qualcosa per qualcuno? Vuoi che il telefono squilli perché un amico ha bisogno dei tuoi
      consigli? Vuoi andare in giro per negozi a cercare un regalo che tua moglie desidera tanto? Vuoi
      essere il padre che il tuo non ha saputo essere?

Gli chiese la donna con tono calmo. Filippo la guardò a lungo ripensando a ciò che aveva detto. Non aveva mai visto la sua vita sotto quel punto di vista. Non aveva mai voluto vederla sotto quel punto di vista. Ma adesso che gli era stata sbattuta in faccia non poteva non pensarci. No, non voleva passare il resto della sua vita solo come un cane, nella sua buia stanza, con un bicchiere di vino in mano, o seduto alla scrivania tutto il giorno, anche nei giorni festivi, a lavorare.

 -   Domani vai a quella festa – continuò la donna con un tono talmente dolce che quasi sembrava una supplica – Sarà la tua ultima possibilità per vivere felice.

Filippo la guardò senza dire niente, quando lei cominciò a perdere consistenza, come se si stesse dissolvendo, e insieme alla donna stava scomparendo la sua stanza. L’uomo fu colto da un attacco di panico sentendo la mano della donna scomparire sotto la sua e per un attimo rimase solo nella più totale oscurità. Questo momento durò più degli altri e Filippo cominciò a camminare prima lentamente, poi più velocemente, mettendo le mai davanti per paura di sbattere contro qualcosa, ma non c’era niente intorno a lui. Si voltò di scatto col panico che gli cresceva dentro e continuò a camminare in diverse direzioni, alla ricerca di una via d’uscita, quando urtò contro qualcosa e la luce cominciò ad illuminare la sua stanza. Filippo si rese conto di trovarsi di nuovo nella sua camera da letto, le coperte sfatte, il lume sul comodino acceso e l’invito alla festa accanto alla sveglia. Era tornato nella sua stanza, quella che aveva abbandonato prima di viaggiare nel tempo. Si sedette sul materasso massaggiandosi lo stinco che aveva urtato all’asse del letto e si stese sotto le coperte. Si sentiva solo più che mai. Quella donna lo aveva abbandonato lasciando in lui enorme vuoto. Si guardò intorno e si accorse di temere l’oscurità, dopo quegli attimi trascorsi nel buio. Si alzò e accese tutti lumi presenti nella camera, fino a che non venne illuminata tutta… accidenti, era proprio grande! Non ricordava di avere due divanetti in un angolo separati da un piccolo tavolino tondo, o delle grandi mensole su cui era poggiata una miriade di libri che non ricordava di aver mai comprato. C’erano molte cose che non ricordava di quella stanza. Tornò nel suo letto e in quel momento prese la sua decisione. L’indomani sera sarebbe andato a quella festa. E con un leggero sorriso si addormentò.

 

Si passò una mano tra i capelli per pettinarli un po’, ma quel ciuffo corvino continuava a nasconderli un occhio. Dopo vari tentativi decise di abbandonare quell’ardua impresa e uscì dalla stanza, precipitandosi giù per le scale. Era già in ritardo. Prese al volo la bottiglia di spumante incartata che aveva poggiato sul tavolino davanti al divano nell’ingresso per ricordarsi di portarla e uscì di corsa di casa, infilandosi nella costosissima macchina e partendo verso casa di Enrico.

Si fermò davanti ad un piccolo appartamento e spense il motore. Rimase seduto a guardare la palazzina grigia, chiedendosi se doveva entrare o tornare indietro. Ma nella mente si formò l’immagine nitida della donna che lo aveva aiutato il giorno prima a prendere la sua decisione. Non poteva deluderla. Prese il pacco e uscì dalla macchina, poi si avvicinò al citofono e rispose alla voce maschile, che gli aveva chiesto chi fosse, “Filippo!”. Aspettò che il portone si aprisse, cosa che avvenne un po’ dopo di quanto si aspettasse, e si precipitò su per le scale.

Quando raggiunse il secondo piano trovò Enrico sulla porta che lo guardava con un misto di stupore e seccatura. L’uomo decise di non farci caso e gli sorrise.

 -   Ehm… ciao – lo salutò – Buon Natale – aggiunse porgendogli il pacco che conteneva lo spumante. Enrico lo guardò con maggiore stupore, poi sorrise a sua volta e, prendendo lo spumante, gli rispose – Buon Natale anche a te.

Lo fece entrare e gli disse:

 -   Non mi aspettavo che venissi.

 -   Neanche io – ribattè Filippo con un sorriso – Mettilo in frigo – aggiunse riferendosi al pacco che Enrico aveva in mano e quest’ultimo scomparve in cucina.

Filippo rimase nell’ingresso senza sapere cosa e fare e infilò le mani in tasca. Sentì delle voci che provenivano dal salone più avanti e delle risate, ma non sapeva se entrare o aspettare che Enrico lo invitasse.

 -   Che ci fai lì impalato? – gli chiese il ragazzo biondo guardandolo con la fronte aggrottata – La festa è da questa parte.

Filippo lo seguì ed entrò in una grande stanza al centro della quale c’era una lunga tavola apparecchiata. Le persone erano sparse qua e là, a chiacchierare allegramente, quando Enrico si schiarì la gola per attirare l’attenzione e in un attimo tutti gli sguardi erano proiettati prima su Enrico, ma subito dopo su Filippo e il chiacchiericcio si spense.

 -   E’ arrivato anche Filippo.

Tutti lo guardarono stupiti, chiedendosi cosa fosse venuto a fare e l’uomo sorrise imbarazzato, tendendo sempre le mani in tasca.

 -   Ehm… ciao… Buon Natale a tutti.

Dopo un attimo di silenzio ci fu qualcuno che rispose allegramente al suo saluto e un ragazzo alto e corpulento si avvicinò a lui con un largo sorriso sulle labbra e gli diede una forte pacca sulla spalla che lo fece sbilanciare.

 -   Ciao, Filì, da quanto tempo! E chi l’avrebbe detto che ti avremmo incontrato stasera!

Filippo lo guardò chiedendosi chi fosse, poi gli venne in mente quel ragazzino robusto un po’ pazzo, estroverso con tutti.

 -   Ehi, Roberto! Come stai? – gli chiese, più per circostanza che per interesse. Non sapeva cosa dire o fare, non si era trovato molto spesso in quelle situazioni così amichevoli.

In un attimo le persone ricominciarono a chiacchierare come se niente fosse e Roberto tornò alla sua compagnia, dopo avere scambiato qualche parola con Filippo. Enrico si allontanò con il cappotto nero di Filippo e questo restò accanto alla porta che divideva il salotto dal corridoio osservando le persone che parlavano e ridevano. Proprio come si aspettava. Lo stavano ignorando. Ma, d’altra parte, cosa poteva pretendere? Guardò l’enorme albero di Natale che torreggiava in un angolo della stanza e si avvicinò per poterlo osservare da vicino. Aveva sempre amato gli alberi di Natale.

 -   Ops… scusami – disse dopo aver urtato ad una ragazza dai boccoli biondi che gli volgeva le spalle. Questa si girò di scatto verso di lui e Filippo quasi urlò dalla sorpresa. Non poteva essere! Come faceva ad essere lì, quella sera… lei?

 -   Ciao – lo salutò la donna con un ghigno. Aveva notato la sorpresa nello sguardo dell’uomo.

 -   C-Ciao… tu sei… - cominciò Filippo cercando le parole per dire che era lei la donna che la notte precedente era entrata nella sua stanza e gli aveva mostrato il Natale passato, presente e futuro.

 -   Alessandra – rispose la ragazza tendendogli la mano. Lui la strinse con lentezza, corrugando la fonte. Quindi la ragazza della sera precedente si chiamava Alessandra. Ma come aveva fatto ad entrare in camera sua… a mostrargli quelle cose… aveva creduto che non fosse reale… che fosse un angelo o qualcosa del genere. Non poteva essere una sua vecchia compagna di classe! Forse aveva assunto le sembianze di quella ragazza… sì, sicuramente, non poteva esistere nella vita reale quella donna. Alessandra, la mano ancora stretta in quella di Filippo, credeva che lui si stesse sforzando di ricordare chi fosse, così continuò con tono pungente – “Cicciosa brufolosa”. Ti ricordi di me?

Filippo sgranò gli occhi. Che stava succedendo? Troppe sorprese in una volta. Quindi lei era la ragazzina grassottella che aveva sempre preso in giro… ed era la donna che era entrata in camera sua… accidenti, non ci stava capendo più nulla.

 -   “Cicciosa brufolosa”?... cioè… tu… - cominciò Filippo stringendo ancora la mano della giovane e lei lo interruppe nuovamente:

 -   Sì, io. Non te l’aspettavi, eh? – chiese, poi ritirò la mano dalla stretta dell’uomo e, dopo avergli tirato un pizzicotto alla guancia, si allontanò. Filippo la seguì con lo sguardo, ancora stupito dalla doppia scoperta. Si guardò la mano che poco prima aveva stretto quella di Alessandra e gli ritornò in mente la sensazione che aveva provato stringendo la mano dell’ “angelo bianco”… era la stessa che aveva provato con Alessandra. Si voltò di nuovo verso di lei, che stava ridendo con un’altra ragazza e per un attimo spostò lo guardo verso di lui, ma appena si accorse le lui la stesse fissando, lo distolse immediatamente.

L’uomo pensò che forse quello era il momento di chiederle scusa per come si era comportato con lei in passato… sì, doveva farlo. Rimase immobile per qualche istante, giusto il tempo di pensare a come avrebbe potuto cominciare il discorso e di raccogliere il coraggio. Accidenti, era davvero così difficile chiedere perdono a qualcuno? Si avvicinò lentamente alla donna e, una volta dietro di lei, le chiese:

 -   Alessandra, scusa, potrei parlarti un attimo?

La donna si voltò verso di lui e dopo un momento di smarrimento per averlo trovato così vicino a lei, annuì e si allontanarono dal gruppo di amici.

 -   Senti…

 -   Se stai per dirmi qualcosa  per offendermi, ti risparmio la fatica. Non ce n’è bisogno, grazie – lo interruppe guardandolo con freddezza. Filippo la guardò senza comprendere, poi capì che si riferiva appunto a ciò che lui le aveva detto anni prima per offenderla e cercò di difendersi:

 -  No… io… no, non voglio prenderti in giro o offenderti – Alessandra incrociò le braccia severamente e Filippo continuò – Voglio solo chiederti scusa – lei lo guardò con stupore, non aspettandosi una frase del genere – Mi sono reso conto troppo tardi di essere stato un bastardo con te. Non sto qui a spiegarti il motivo per cui l’ho fatto, ma… bè, vorrei solo essere perdonato.

Alessandra lo guardò con diffidenza, poi sorrise debolmente:

 -  Vedremo – e si allontanò. Filippo rimase nuovamente a guardarla. Proprio non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Poi decise che doveva chiederle se era lei la donna che era entrata in camera sua la notte precedente, così la raggiunse e le prese la mano, provando quella sensazione di calore, la stessa della sera prima.

 -   Posso farti una domanda? – le chiese dopo che Alessandra si fosse voltata verso di lui, poi continuò senza attendere una risposta – Dopo la fine della scuola, ci siamo più incontrati?

Lei sembrò pensarci un attimo, poi gli rispose:

 -   No… non mi sembra. Perché?

 -   Ehm… mi sembrava di averti già vista recentemente.

 -   No, non credo.

Filippo pensò a cosa potesse chiederle per verificare ulteriormente che non fosse lei l’ “angelo bianco”, quando gli venne in mente l’anello che lei aveva al dito e che lo aveva convinto a seguirla. Sollevò la mano che aveva stretta nella sua per vedere se ce l’avesse al dito, ma oltre ad un anello al pollice, non aveva nient’altro.

 -   L’anello, non ce l’hai? – le chiese credendo che forse l’avesse dimenticato. Alessandra lo guardò interrogativa chiedendosi cosa gli fosse preso:

 -   Sì, non lo vedi? – rispose indicando il pollice.

 -   No, all’anulare.

 -   Mai portato.

 -  Ragazzi, tutti a tavola! Si mangia! – disse Enrico rivolgendosi a tutti, che cominciarono a prendere posto. Casualmente Filippo si trovò seduto accanto ad Alessandra… cioè, per Alessandra era un caso, per Filippo no, poiché aveva fatto in modo di trovarsi seduto accanto a lei.

Tutti quanti cominciarono a mangiare e chiacchierare su qualsiasi argomento, anche il più stupido, e ogni tanto chiedevano anche l’opinione di Filippo che, al contrario di ciò che si era aspettato, non si sentiva per niente escluso. Si sentiva parte di quel gruppo di amici, era una sensazione che non aveva mai provato. Non poteva fare a meno di sorridere ogni cinque secondi, troppa era la felicità che provava per non essere ignorato da nessuno, per essere considerato una persona. Niente di più o niente di meno. Piano piano lui e Alessandra cominciarono a conversare di qualsiasi cosa, conoscendosi in modo più approfondito e più il tempo passava e più la ragazza si accorgeva di quanto Filippo fosse cambiato. Non credeva possibile che una persona così fredda e negativa potesse subire un cambiamento così evidente. E Filippo, dal suo canto, più passava il tempo e più si accorgeva di essere attratto da quella ragazza. Se quando era un ragazzino gli avessero detto che un giorno si sarebbe innamorato di “cicciosa brufolosa”, lui gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia.

 -  Ok, credo di aver parlato abbastanza di me. Che mi dici di te? – gli chiese Alessandra sorridendo.

 -   Ehm… non è che ami molto parlare di me. Non saprei cosa dire.

 -  Mmm, che ne so… cosa hai fatto negli ultimi anni, come va il lavoro, se hai mai avuto una
      relazione importante con qualcuno… cose di questo tipo.

 -   Non è che la mia vita ultimamente sia stata così meritevole di essere vissuta. Non c’è stato alcun
     avvenimento di particolare importanza.

 -   Dai, non è possibile… ok, allora ti faccio io delle domande. Sei fidanzato?

L’uomo sorrise debolmente e fece segno di no con la testa.

 -   Non lo sono mai stato. Non ero visto di buon occhio dal gentil sesso – Alessandra sollevò la testa ed accennò ad un sorriso, intuendo il motivo per il quale le donne lo rifiutassero – Cioè, ero io che mi comportavo in un modo che mi facesse risultare antipatico…

In un attimo si ritrovò a confessare ad Alessandra gli avvenimenti passati, il motivo per cui era diventato così scontroso, si ritrovò a svelare il rapporto che aveva avuto, o meglio, che non aveva avuto con i suoi genitori, i tre anni passati all’orfanotrofio, come il lavoro aveva assorbito la sua vita e quanto era stato ingiusto con tutte le ragazze con cui aveva avuto una relazione. Era così facile parlare con lei. Lo ascoltava senza dire nulla, nessuno sguardo accusatore, nessuna parola pungente. Ogni tanto cambiava espressione, quando ascoltava in che modo era stato trattato dai suoi genitori e dalla nonna, quanto era stato difficile per lui andare avanti da solo e come si era reso conto che tutto ciò che aveva fatto nella vita l’aveva fatto in modo sbagliato.

-  Ehi, voi laggiù! – li chiamò Enrico dopo aver notato con quanto affiatamento stessero chiacchierando. Per Filippo fu come se si fosse risvegliato improvvisamente e si fosse reso conto di essere circondato da altre persone. Si guardò intorno spaesato, cercando da chi fosse provenuta quella voce, quando si accorse che Enrico li guardava con un sorrisetto del tutto fraintendibile.

 -   Vi siete dimenticati che ci siamo anche noi? – continuò mentre il sorriso si diffondeva anche sui volti degli altri. Alessandra arrossì leggermente e si infilò un pezzettino di panettone in bocca, per evitare di rispondere a qualche domanda imbarazzante che, era certa, sarebbe arrivata poco dopo. Erano passati tanti anni, ma non erano cambiato molto quando si presentava un’occasione di quel tipo.

 -   State progettando le vostre nozze? – chiese, appunto, Roberto mentre gli altri ridevano. Filippo sorrise e decise di stare al gioco… forse sarebbe scomparso l’enorme imbarazzo che stava provando in quel momento e che, come aveva notato, stava provando anche Alessandra.

 -   Eh sì. Siete tutti invitati. Enrico, tu mi farai da testimone.

 -   Io voglio essere la madrina della bambina! – intervenne Giuliana alzando un braccio e Giuseppe le rispose:

 -   Guarda che sarà un maschio.

 -   No, invece. Sarà una femminuccia – ribattè Giuliana.

 -   Perché non metà e metà? Così magari finite di litigare – si intromise Sandro sorridendo.

I cinque minuti seguenti trascorsero litigando sul sesso del bambino. Alessandra si schiarì sonoramente la gola e il vociare si affievolì, fino a scomparire, così si ricominciò a chiacchierare degli argomenti lasciati a metà prima che Enrico li interrompesse.

 

Filippo si infilò il cappotto mentre parlava con Roberto. Guardò l’orologio. Le 3 di notte. Era davvero tardi! Il tempo era volato, era stato veramente bene quella sera, in compagnia dei vecchi compagni, in compagnia di Alessandra, ma soprattutto in compagnia.

Si trovavano tutti nell’ingresso, con i cappotti addosso, pronti ad andarsene, e scambiavano qualche ultima parola. Alessandra si avvicinò a Filippo per salutarlo e i due si sorrisero. L’uomo si incantò per un attimo ad ammirare i suoi lineamenti, perdendosi nei suoi bellissimi occhi blu, e sentì dentro di lui il desiderio di rivederla il più presto possibile.

 -   Grazie per la compagnia – le disse mentre entrambi si avvicinavano per scambiarsi i due baci sulla guancia. Dei brividi gli attraversarono la schiena quando le loro guance si sfiorarono e quando sentì l’inebriante profumo della ragazza. Si allontanò lentamente, ma si fermò a qualche centimetro dal suo viso.

 -   Quando ci rivediamo? – le chiese speranzoso e Alessandra sorrise.

 -   Presto – gli rispose.

 -   Sei impegnata domani?

 -   Domani sì. Ma possiamo vederci il 27.

Si sorrisero e lei gli fece l’occhiolino mentre si allontanava. Dopo aver salutato Enrico si avvicinò nuovamente a Filippo, che non le aveva staccato gli occhi di dosso per un attimo, e gli disse in un sussurro:

 -   Sei perdonato.

 

 

Filippo stava camminando per strada mentre la neve si poggiava sui suoi capelli corvini e sulle sue spalle larghe coperte dal cappotto nero. Si strinse nella sciarpa bianca e affrettò il passo, sperando che facesse in tempo a raggiungere la gioielleria prima che chiudesse. La strada era affollata da persone che, come al solito, correvano da un negozio all’altro per comprare gli ultimi regali di Natale.

Erano passati due anni dal Natale che aveva determinato il suo cambiamento e Filippo aveva bene in mente il regalo per Alessandra: le avrebbe chiesto di sposarlo.

Entrò nella gioielleria dove lavorava Roberto, dopo aver suonato il campanello che trasmetteva la canzoncina “Jingle Bell”, tipico di Roberto, e si avvicinò al bancone.

 -   Ciao, Roby – lo salutò l’uomo.

 -   Welà, Filì! Tutto a posto?

 -   Sì. Non potrebbe andare meglio.

 -   Cosa ci fai in una gioielleria?

 -  Non lo immagini, tu che riesci a prevedere il futuro? – gli chiese sorridendo e in un attimo a Roberto si accese la lampadina.

 -  Ti faccio subito vedere gli anelli più belli che ho – gli disse piegandosi e prendendo un vassoietto in velluto nero sul quale era poggiato un cuscinetto in camoscio bianco in cui erano incastonati vari tipi di anelli, tutti bellissimi, ma tutti altrettanto costosi. L’uomo rimase per un attimo ad ammirarli uno per uno, quando il suo sguardo venne catturato da un anello molto semplice, ma bellissimo. Filippo trattenne il respiro. Era l’anello con il diamante che aveva visto al dito dell’Angelo Bianco. Senza pensarci due volte decise di predere quello e lo fece incartare. Mentre Roberto incartava il piccolo pacco, Filippo ripensò a quella notte di Natale magica e a quanto l’Angelo Bianco avesse avuto ragione. Era stata la sua ultima possibilità per vivere felice. E lui non se l’era lasciata scappare.

  
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