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Autore: Hyaster    09/06/2012    1 recensioni
[ ... ] « non sei un po' piccola per fare la stalker? » non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso prima di sentirsi rivolgere quelle parole. Spalancò gli occhi, trovandosi a boccheggiare al suono di quella voce ruvida che le si era rivolta, voltando il capo nel trovare gli occhi chiari del ragazzo che aveva osservato nei giorni passati lì davanti a sé.
Trattenne il fiato. Non aveva mai sentito così caldo.
Si alzò in piedi, di fretta, prendendo lo zainetto per una bretella e scappando via, lasciando dietro di sé una sagoma alta e allampanata con un'espressione divertita sul viso, una panchina vuota e una raccolta di racconti sporca di terriccio.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'estate non le piaceva.
La scuola era capace di tenerla occupata, tra lezioni, mensa, doposcuola, compiti ed esercizi e studio e libri e ricerche.
L'estate era vuota, fatta di amici fuori città per le vacanze, di repliche alla televisione e di un'afa che rendeva pigri persino i pensieri; ed era tale soprattutto quell'estate a cavallo tra la fine delle medie e l'inizio delle scuole superiori, che era cominciata nel modo peggiore possibile.
« avevi detto che avremmo scelto la stessa scuola! »
Ma non aveva scelto lei. Non ricordava quanto a lungo fosse stata appesa alla giacca di sua madre, parte di un tailleur su misura, elegante e da perfetta donna in carriera, con le guance rigate di lacrime e la sola richiesta di poter seguire le persone a cui voleva bene.
« ti comprerò quel telefono che  ti piaceva. »
Non sapeva quantificare le volte in cui aveva sentito parole di quel genere: si ripetevano ogni volta che chiedeva qualcosa che non poteva esserle concesso. Non c'erano spiegazioni, non c'erano rassicurazioni, ma un rimpiazzo materiale che non riempiva nessun vuoto.
Non ci fai niente con un cellulare nuovo, se non hai nessuno con cui usarlo.

C'era caldo in casa e fuori, ma quella mattina aveva deciso di non accendere il condizionatore; in compenso aveva spalancato la porta finestra del salotto e si era sdraiata sul pavimento, lasciandosi sfiorare da una brezza lievissima, quasi immobile, rimanendo a guardare il soffitto fino a quando l'afa e i rumori del centro città fuori dall'appartamento non l'avevano fatta addormentare.
Al risveglio, nel pomeriggio, aveva deciso di uscire.
Durante i pomeriggi d'estate la città dormiva, colpevole di non essere abbastanza divertente, abbastanza fresca, abbastanza interessante per non far fuggire la gente a cercare svago e ristoro altrove. Passeggiando per le vie, da sola, ogni tanto riusciva a sentirsi importante immaginandosi d'essere una bella modella nel mezzo di una passerella di qualche settimana della moda, o un qualche temuto e rispettato eroe dei film, che tutti osservano con deferenza dalle imposte socchiuse delle finestre. La verità, però, era che non importava a nessuno, che lei era solo una bambina in una città semi-deserta, con un'estate di caldo, nulla e messaggi non risposti davanti a sé.

La mattina dopo si svegliò presto, scalpicciando per casa per un'ora buona, lasciando piccole impronte sul pavimento di tutto l'appartamento, prima di decidere di uscire. La scelta per la colazione verteva tra cornetto alla crema, plum cake, muffins stipati nella credenza, ordinati nelle scatole ancora chiuse, che decise di non aprire neanche quel giorno.
Mise un brick di succo di frutta nello zainetto e uscì sotto il sole tiepido del mattino.
Gli alberi del parco erano grandi, proiettavano ombre fresche e accoglienti su ampi spazi d'erba e vialetti di ghiaia fine o asfalto, su panchine di legno e di pietra.
Era presto, non c'era quasi nessuno se non qualche corridore mattutino, o padroni di cani grandi e piccoli intenti in passeggiate possibili solo negli orari più freschi.
Stava seduta su una panchina da almeno mezz'ora, o forse più che seduta malamente rannicchiata con il suo zainetto accanto a sé e una raccolta di racconti brevi posata sulle ginocchia, quando si accorse che su un'altra panchina poco distante qualcuno dormiva, sdraiato e con le gambe lunghe piegate per riuscire a stare in quello spazio per lui troppo piccolo.
Non riusciva a vederlo in viso perché aveva un libro aperto posato sulla faccia, forse dimenticato lì prima di appisolarsi; immaginò di avvicinarsi, sollevarlo e sbirciare i tratti del ragazzo della panchina, magari chiedergli perché stesse a dormire in un luogo tanto scomodo... ma non fece niente, restando rannicchiata lì a osservarlo abbastanza a lungo perché la frescura mattutina diventasse afa; quando poi lo vide muoversi un po' si nascose dietro alla sua raccolta, e quando la riabbassò per sbirciarlo di nuovo la panchina era vuota.

Provò a tornare la mattina dopo, con la segreta speranza di rivedere quel ragazzo strano... e lo trovò ancora lì, sempre sdraiato e appisolato, ma col volto scoperto e il libro posato sul petto. Aveva i capelli scuri, corti e liscissimi, almeno a giudicare da quel che poteva osservare a quella distanza; occhiali dalla montatura fine posati su un naso dal profilo appena incurvato e un'espressione serena e un po' infantile, nel sonno, seppure il volto fosse segnato da occhiaie abbastanza marcate.
Non si avvicinò neanche quel giorno, né il giorno seguente in cui studiò i suoi polsi sottili, un po' ossuti, e le mani grandi dalle dita lunghe e nervose, o quello dopo ancora in cui cercò di capire cosa leggesse, ipotizzando si trattasse di un libro di poesie, immaginandolo come un tipo tranquillo e gentile, probabilmente di buone maniere, di certo intelligente.

Il quinto giorno, un sabato mattina, lui non c'era.
Si fermò qualche momento a osservare con delusione la panchina vuota, muovendosi poi verso quella che aveva eletto propria, prendendo posto, tirando fuori il proprio libro e tornando, quasi automaticamente, a guardare il vuoto che occupava lo spazio normalmente riservato al ragazzo dai capelli scuri.
« non sei un po' piccola per fare la stalker? » non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso prima di sentirsi rivolgere quelle parole.
Spalancò gli occhi, trovandosi a boccheggiare al suono di quella voce ruvida che le si era rivolta, voltando il capo nel trovare gli occhi chiari del ragazzo che aveva osservato nei giorni passati lì davanti a sé.
Trattenne il fiato. Non aveva mai sentito così caldo.
Si alzò in piedi, di fretta, prendendo lo zainetto per una bretella e scappando via, lasciando dietro di sé una sagoma alta e allampanata con un'espressione divertita sul viso, una panchina vuota e una raccolta di racconti sporca di terriccio.


• ♦ •


Non scrivo da tantissimo, ma finalmente quest'estate avrò abbastanza tempo libero da potermi permettere un po' di svago in questo senso.
Questo racconto, intenzionato a non essere particolarmente lungo, me lo porto dietro e dentro da qualche anno, e ho deciso alla buon'ora di condividerlo con chiunque abbia voglia di perdere qualche momento e dargli un'occhiata. Se poi avete voglia anche di lasciare una recensione, sob, non piangerò di certo.

  
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