Fandom: Sherlock
Rating: Verde, G
Personaggi/Pairing: John Watson, Sorpresa
Tipologia: One-shot
Lunghezza: 1126 parole (secondo fiumi di parole)
Avvertimenti: Nessuno
Spoiler! É ambientato dopo la seconda stagione.
Genere: Generale, Introspettivo
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama
ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di
proprietà del duo Moffat-Gatiss, della BBC e dei molti altri che ne detengono
tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro... Purtroppo!
Credits: É palesemente ispirata alla bellissima Coffee Break di e m m e. Il titolo è preso dall'omonima serie della BBC, spin-off di "Life on Mars"
Beta (suo malgrado): quella santa donna di e m m e che è stata tanto gentile da dedicare del tempo a questa ff, tempo che avrebbe potuto occupare
con occupazioni più interessanti (es. pedicure, nannona, guardare il cielo...)
Note d'Autore: A e m m e (non per piaggeria, ma perché mi fa davvero piacere farlo!)
Introduzione alla Fan's Fiction:«Tu... Tu? Non è possibile!».
La sua voce era a malapena udibile.
«Mi aspettavo un bentornato più caloroso» disse l'altro, portandosi gli occhiali
da sole sul capo.
«Ma...» farfugliò il dottore cercando di riordinare le idee «C'è un certificato di morte col tuo nome sopra!».
Partecipa al turno di recupero dello SHERLOTHON (I
turno, prompt #4 Fumo di tabacco) indetto da Sherlock Fest Italia.
Ashes to Ashes
Dopo il funerale di Sherlock, John si era ripromesso di recarsi il meno
possibile al cimitero dove
il suo migliore amico era sepolto, sia perché c'era qualcosa
che lo inquietava nella natura addomesticata e nel silenzio irreale di quel
luogo, sia perché odiava il modo in cui vedere la lapide del minore dei fratelli
Holmes lo faceva ripiombare nella stessa insopportabile condizione di impotenza
frammista a sbigottimento, rabbia e dolore che aveva provato mesi prima sul
marciapiede di fronte al Barts.
Nonostante ciò, anche se non riusciva mai a
capire come ci fosse arrivato, almeno una volta alla settimana si ritrovava ad
attraversare l'enorme cancello in ferro battuto del camposanto, maledicendo la
capacità attrattiva che quel posto riusciva ad esercitare su di lui.
In quel caso, lo strano fenomeno di magnetismo inconscio, come l'aveva
definito lui stesso dopo una serata particolarmente alcolica in compagnia di
Stamford, si era verificato di martedì pomeriggio quando, diretto al più vicino
supermarket, era invece finito davanti alla tomba del suo coinquilino col The Indipendent in mano.
Non c'era mai molta gente nei giorni feriali, solo qualche anziano che non
sapeva in che altro modo occupare il tempo e alcuni turisti del continente più bravi ad usare una
macchina fotografica digitale che a mostrare rispetto per i morti, e questo
permise a John di sentirsi un po' meno stupido nel compiere il rituale di leggere a voce alta di
rapimenti, omicidi ed atti terroristici.
C'erano volte, e questa era una di quelle, in cui riusciva a dimenticare dove
fosse e persino perché fosse lì e ad illudersi che nulla fosse successo, che
nulla fosse cambiato: chiudendo gli occhi, gli sembrava quasi di essere seduto
in poltrona nel salotto di casa loro con
Sherlock che gli volteggiava attorno, borioso ed irritante come suo solito,
definendo noiosa ogni parola che usciva dalla sua bocca. Poteva addirittura
respirare il puzzo del tabacco, la grande debolezza del giovane Holmes, gentilmente offerto
da qualcuno che era lì vicino.
Molto vicino.
Troppo gli suggerì il suo istinto di soldato.
John abbassò il giornale e si voltò: chi si trovò davanti indossava un lungo cappotto nero, dal cui
bavero rialzato usciva del fumo di tabacco. Il dottore fece per girarsi e tornare
alle sue occupazioni, ma rimase come pietrificato.
«Tu... Tu? Non è possibile!».
La sua voce era a malapena udibile.
«Mi aspettavo un bentornato più caloroso» rispose l'apparizione, portandosi gli occhiali
da sole sul capo.
«Ma...» farfugliò il dottore cercando di riordinare le idee «C'è un certificato di morte col tuo nome sopra!».
«Veramente ce ne sono due» puntualizzò Irene divertita «E comunque dovresti
essere abituato a vedermi tornare dall'Aldilà».
John non l'aveva riconosciuta subito, non solo per via degli occhiali scuri
e del bavero che le nascondevano il volto, ma anche perché i suoi lunghi capelli
neri di solito mossi e vaporosi erano stati perfettamente stirati e raccolti in
un'austera coda alta che le donava un aspetto più rigido e serioso.
«Come puoi essere qui?» le chiese ancora stupefatto.
La
donna sorrise e si avvicinò a sfiorare la tomba con quella sua inconfondibile
camminata sinuosa.
«Mister Cappello Buffo mi deve ancora una cena. Sono venuta a ricordarglielo» spiegò, riportandosi la sigaretta alla bocca.
John non
capì a cosa si stesse riferendo ma non gli sfuggì la nota amara nel tono della
sua voce.
«Intendevo dire "Come puoi essere viva questa volta?"» insistette. «Mycroft mi aveva detto che ti avevano decapitata in Karachi».
«Sherlock mi ha salvata».
«Ovviamente».
E John non avrebbe saputo dire se trovava più ovvio che l'unico in grado di ingannare
Mycroft Holmes fosse Sherlock o che quest'ultimo l'avesse, come sempre, tenuto
all'oscuro dei suoi piani. Forse la cosa davvero ovvia era che Sherlock si era
preoccupato di salvare tutti ma non se stesso.
«Gli leggi la cronaca nera» notò Irene, spostandosi di lato in modo da non far cadere la cenere sulla sepoltura «É molto carino da parte tua, dottor Watson».
John arrossì.
«Non potevo mica portargli fiori o mettermi a pregare» si difese «Stiamo parlando di Sherlock».
Il
volto di Irene si illuminò di un sorriso sincero, quasi materno (per quanto
materna potesse apparire una donna che aveva fatto del sadomaso la sua
professione), che mise l'uomo a disagio facendolo sentire infantile e ridicolo;
ridicolo era, infatti, parlare di un morto come se fosse vivo ad una viva che si
faceva passare per morta.
«Non sapevo fumassi» disse con aria fintamente annoiata cercando di cambiare discorso.
«Infatti non fumo».
Le labbra di colei che si faceva chiamare semplicemente La Donna presero quella
piega sensuale per cui molti sarebbero stati disposti a pagare diverse migliaia di sterline.
«Ma so che a lui piace».
Questa volta fu John a sorridere.
«Non sei cambiata affatto...».
«Certo che no! Ti pregherei, però, di essere discreto sul mio ritorno» aggiunse Irene, gettando lontano il mozzicone «Sai, essere morti risolve parecchi problemi».
«Non quelli dei vivi, però!» ribatté il dottore in modo più brusco di quanto avrebbe voluto, ma gli era difficile nascondere quanto fosse furioso per il gesto
compiuto dall'uomo lì sepolto.
«Mi dispiace, John».
John
rise: una risata sprezzante, cattiva, piena di scherno.
Come poteva quella donna che non aveva trascorso più di poche ore in loro
compagnia
pretendere di sapere cosa stesse passando? Come osava quella prostituta
dispiacersi per lui? Cosa ne sapeva la Donna di quel che provava il Dottore?
Accartocciò
il giornale che teneva ancora tra le mani e si voltò verso di lei, pronto a
rovesciarle addosso tutta la rabbia e la frustrazione che l'avevano divorata
durante quei mesi, ma, quando i
loro occhi si incontrarono, si bloccò: non c'era pietà nello sguardo di lei, né
compassione e nemmeno l'arroganza di chi è convinto di poter leggere nell'animo
degli altri, solo comprensione e dolore, un dolore sincero che gli ricordava
tanto il suo, anche se non era altrettanto intenso.
Lei capiva, non cercava o
fingeva di farlo, lei capiva davvero e la furia che animava John si
spense di colpo lasciando emergere un'insostenibile amarezza.
«Devo andare».
Una bugia
patetica, pronunciata più per educazione che per ingannare, ma
Irene non disse nulla, non tentò nemmeno di fermarlo e di questo le fu grato.
Un passo avanti all'altro, ostentando calma e sicurezza per dissimulare quella che era, a tutti gli effetti, una vera e propria fuga,
John percorse il sentiero che portava fuori da quel maledetto cimitero con
la sensazione di essere stato violato nella parte più intima e privata del suo
animo.
Se non fosse stato tanto impegnato ad odiare quel luogo che non faceva altro che ferirlo e
ad imprecare sottovoce contro Irene, si sarebbe accorto che, nelle zone più
recondite del suo cervello, la mai scomparsa speranza si stava ravvivando e
ritornava a rendere plausibili ipotesi che ormai credeva di aver definitivamente scartato.
Se non fosse stato tanto concentrato sul nascondere le proprie emozioni, si
sarebbe accorto che gli occhi della Donna non erano gli unici a seguirlo e che,
in quel cimitero, c'era qualcun altro che espirava fumo di tabacco.
Altri punti per il valoroso TEAM CANON!!