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Autore: merediana    10/06/2012    2 recensioni
«Tu... Tu? Non è possibile!».
La sua voce era a malapena udibile.
«Mi aspettavo un bentornato più caloroso» disse l'altro, portandosi gli occhiali
da sole sul capo.
«Ma...» farfugliò il dottore cercando di riordinare le idee «C'è un certificato di morte col tuo nome sopra!».

Partecipa allo Sherlothon indetto da Sherlock Fest Italia.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Fandom: Sherlock
Rating: Verde, G
Personaggi/Pairing: John Watson, Sorpresa
Tipologia: One-shot
Lunghezza: 1126 parole (secondo fiumi di parole)
Avvertimenti: Nessuno
Spoiler! É ambientato dopo la seconda stagione.
Genere: Generale, Introspettivo
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà del duo Moffat-Gatiss, della BBC e dei molti altri che ne detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro... Purtroppo!
Credits: É palesemente ispirata alla bellissima Coffee Break di e m m e. Il titolo è preso dall'omonima serie della BBC, spin-off di "Life on Mars"
Beta (suo malgrado): quella santa donna di e m m e che è stata tanto gentile da dedicare del tempo a questa ff, tempo che avrebbe potuto occupare con occupazioni più interessanti (es. pedicure, nannona, guardare il cielo...)
Note d'Autore: A e m m e (non per piaggeria, ma perché mi fa davvero piacere farlo!)
Introduzione alla Fan's Fiction:«Tu... Tu? Non è possibile!».
La sua voce era a malapena udibile.
«Mi aspettavo un bentornato più caloroso» disse l'altro, portandosi gli occhiali da sole sul capo.
«Ma...» farfugliò il dottore cercando di riordinare le idee «C'è un certificato di morte col tuo nome sopra!».


Partecipa al turno di recupero dello
SHERLOTHON (I turno, prompt #4 Fumo di tabacco) indetto da Sherlock Fest Italia.



Ashes to Ashes




Dopo il funerale di Sherlock, John si era ripromesso di recarsi il meno possibile al cimitero dove il suo migliore amico era sepolto, sia perché c'era qualcosa che lo inquietava nella natura addomesticata e nel silenzio irreale di quel luogo, sia perché odiava il modo in cui vedere la lapide del minore dei fratelli Holmes lo faceva ripiombare nella stessa insopportabile condizione di impotenza frammista a sbigottimento, rabbia e dolore che aveva provato mesi prima sul marciapiede di fronte al Barts.
Nonostante ciò, anche se non riusciva mai a capire come ci fosse arrivato, almeno una volta alla settimana si ritrovava ad attraversare l'enorme cancello in ferro battuto del camposanto, maledicendo la capacità attrattiva che quel posto riusciva ad esercitare su di lui.
In quel caso, lo strano fenomeno di magnetismo inconscio, come l'aveva definito lui stesso dopo una serata particolarmente alcolica in compagnia di Stamford, si era verificato di martedì pomeriggio quando, diretto al più vicino supermarket, era invece finito davanti alla tomba del suo coinquilino col The Indipendent in mano. Non c'era mai molta gente nei giorni feriali, solo qualche anziano che non sapeva in che altro modo occupare il tempo e alcuni turisti del continente più bravi ad usare una macchina fotografica digitale che a mostrare rispetto per i morti, e questo permise a John di sentirsi un po' meno stupido nel compiere il rituale di leggere a voce alta di rapimenti, omicidi ed atti terroristici.
C'erano volte, e questa era una di quelle, in cui riusciva a dimenticare dove fosse e persino perché fosse lì e ad illudersi che nulla fosse successo, che nulla fosse cambiato: chiudendo gli occhi, gli sembrava quasi di essere seduto in poltrona nel salotto di casa loro con Sherlock che gli volteggiava attorno, borioso ed irritante come suo solito, definendo noiosa ogni parola che usciva dalla sua bocca. Poteva addirittura respirare il puzzo del tabacco, la grande debolezza del giovane Holmes, gentilmente offerto da qualcuno che era lì vicino.
Molto vicino.
Troppo gli suggerì il suo istinto di soldato.
John abbassò il giornale e si voltò: chi si trovò davanti indossava un lungo cappotto nero, dal cui bavero rialzato usciva del fumo di tabacco. Il dottore fece per girarsi e tornare alle sue occupazioni, ma rimase come pietrificato.
«Tu... Tu? Non è possibile!».
La sua voce era a malapena udibile.
«Mi aspettavo un bentornato più caloroso» rispose l'apparizione, portandosi gli occhiali da sole sul capo.
«Ma...» farfugliò il dottore cercando di riordinare le idee «C'è un certificato di morte col tuo nome sopra!».
«Veramente ce ne sono due» puntualizzò Irene divertita «E comunque dovresti essere abituato a vedermi tornare dall'Aldilà».
John non l'aveva riconosciuta subito, non solo per via degli occhiali scuri e del bavero che le nascondevano il volto, ma anche perché i suoi lunghi capelli neri di solito mossi e vaporosi erano stati perfettamente stirati e raccolti in un'austera coda alta che le donava un aspetto più rigido e serioso.
«Come puoi essere qui?» le chiese ancora stupefatto.
La donna sorrise e si avvicinò a sfiorare la tomba con quella sua inconfondibile camminata sinuosa.
«Mister Cappello Buffo mi deve ancora una cena. Sono venuta a ricordarglielo» spiegò, riportandosi la sigaretta alla bocca.
John non capì a cosa si stesse riferendo ma non gli sfuggì la nota amara nel tono della sua voce.
«Intendevo dire "Come puoi essere viva questa volta?"» insistette. «Mycroft mi aveva detto che ti avevano decapitata in Karachi».
«Sherlock mi ha salvata».
«Ovviamente».
E John non avrebbe saputo dire se trovava più ovvio che l'unico in grado di ingannare Mycroft Holmes fosse Sherlock o che quest'ultimo l'avesse, come sempre, tenuto all'oscuro dei suoi piani. Forse la cosa davvero ovvia era che Sherlock si era preoccupato di salvare tutti ma non se stesso.
«Gli leggi la cronaca nera» notò Irene, spostandosi di lato in modo da non far cadere la cenere sulla sepoltura «É molto carino da parte tua, dottor Watson».
John arrossì.
«Non potevo mica portargli fiori o mettermi a pregare» si difese «Stiamo parlando di Sherlock».
Il volto di Irene si illuminò di un sorriso sincero, quasi materno (per quanto materna potesse apparire una donna che aveva fatto del sadomaso la sua professione), che mise l'uomo a disagio facendolo sentire infantile e ridicolo; ridicolo era, infatti, parlare di un morto come se fosse vivo ad una viva che si faceva passare per morta.
«Non sapevo fumassi» disse con aria fintamente annoiata cercando di cambiare discorso.
«Infatti non fumo».
Le labbra di colei che si faceva chiamare semplicemente La Donna presero quella piega sensuale per cui molti sarebbero stati disposti a pagare diverse migliaia di sterline.
«Ma so che a lui piace».
Questa volta fu John a sorridere.
«Non sei cambiata affatto...».
«Certo che no! Ti pregherei, però, di essere discreto sul mio ritorno» aggiunse Irene, gettando lontano il mozzicone «Sai, essere morti risolve parecchi problemi».
«Non quelli dei vivi, però!» ribatté il dottore in modo più brusco di quanto avrebbe voluto, ma gli era difficile nascondere quanto fosse furioso per il gesto compiuto dall'uomo lì sepolto.
«Mi dispiace, John».
John rise: una risata sprezzante, cattiva, piena di scherno.
Come poteva quella donna che non aveva trascorso più di poche ore in loro compagnia pretendere di sapere cosa stesse passando? Come osava quella prostituta dispiacersi per lui? Cosa ne sapeva la Donna di quel che provava il Dottore?
Accartocciò il giornale che teneva ancora tra le mani e si voltò verso di lei, pronto a rovesciarle addosso tutta la rabbia e la frustrazione che l'avevano divorata durante quei mesi, ma, quando i loro occhi si incontrarono, si bloccò: non c'era pietà nello sguardo di lei, né compassione e nemmeno l'arroganza di chi è convinto di poter leggere nell'animo degli altri, solo comprensione e dolore, un dolore sincero che gli ricordava tanto il suo, anche se non era altrettanto intenso.
Lei capiva, non cercava o fingeva di farlo, lei capiva davvero e la furia che animava John si spense di colpo lasciando emergere un'insostenibile amarezza.
«Devo andare».
Una bugia patetica, pronunciata più per educazione che per ingannare, ma Irene non disse nulla, non tentò nemmeno di fermarlo e di questo le fu grato.
Un passo avanti all'altro, ostentando calma e sicurezza per dissimulare quella che era, a tutti gli effetti, una vera e propria fuga, John percorse il sentiero che portava fuori da quel maledetto cimitero con la sensazione di essere stato violato nella parte più intima e privata del suo animo.
Se non fosse stato tanto impegnato ad odiare quel luogo che non faceva altro che ferirlo e ad imprecare sottovoce contro Irene, si sarebbe accorto che, nelle zone più recondite del suo cervello, la mai scomparsa speranza si stava ravvivando e ritornava a rendere plausibili ipotesi che ormai credeva di aver definitivamente scartato.
Se non fosse stato tanto concentrato sul nascondere le proprie emozioni, si sarebbe accorto che gli occhi della Donna non erano gli unici a seguirlo e che, in quel cimitero, c'era qualcun altro che espirava fumo di tabacco.




Altri punti per il valoroso TEAM CANON!!

   
 
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