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Autore: LivingTheDream    10/06/2012    9 recensioni
“«Mi sposo. Di nuovo».
I coniugi Lestrade si guardarono, in silenzio, per qualche secondo, ma in quel momento la telepatia non funzionò e ognuno dei due capì quello che voleva capire, così quando Jeremy sorrise al figlio, congratulandosi e chiedendo “chi è la fortunata?”, Helen non rimase sorpresa quando Greg, dopo averci pensato su qualche secondo, rispose:
«... Io».”
Sequel di "Greg, we're going to Amsterdam".
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade , Mycroft Holmes , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: LivingTheDream
Titolo: Greg, welcome to Amsterdam; Ovvero: come non organizzare un matrimonio in due giorni e mezzo
Personaggi/Pairing: Greg Lestrade/Mycroft Holmes principale, John Watson/Sherlock Holmes, tutto il resto della banda al completo tranne Jim, che in realtà ha spiato tutto da dietro un cespuglio
Wordcount: 7380 *sul serio non ci crede* (fiumidiparole)
Rating: PG-13
Warnings: Slash, Wedding, Isteria dal succitato Wedding, pucciosità e tenerezze varie, pericolo di OOC latente (nel caso avvertitemi)
Riassunto (della puntata precedente): ATTENZIONE! Questa storia è il sequel di Greg, we're going to Amsterdam. Se volete leggerla – non è molto lunga – allora cliccate sul collegamento che avete appena visto, sennò, qui c'è un riassunto:

(SE HAI INTENZIONE DI LEGGERE LA STORIA ORIGINALE FERMATI QUI)

No? Ok. Riassunto per i culopesi: prima che i nostri eroi partissero per il caso del mastino dei Baskerville, Lestrade vince un viaggio premio per i Caraibi. Vi si reca, trovandoci Mycroft, con il quale ha una relazione stabile da qualche anno ormai. Durante la vacanza, Mycroft propone a Greg di sposarlo, (ovviamente Lestrade accetta perché non è scemo fino a questo punto) e, dopo la soluzione del caso Baskerville, la coppia di futuri sposi si presenta al 221b Baker Street per mettere a parte Sherlock e John del loro ruolo di testimoni. Tutto questo con inserzioni Johnlock qui e lì e tanto aMMoreH Mystradiano.

Uh, pensavo sarebbe stato più difficile riassumere.
Riassunto (quello vero): “«Mi sposo. Di nuovo».
I coniugi Lestrade si guardarono, in silenzio, per qualche secondo, ma in quel momento la telepatia non funzionò e ognuno dei due capì quello che voleva capire, così quando Jeremy sorrise al figlio, congratulandosi e chiedendo “chi è la fortunata?”, Helen non rimase sorpresa quando Greg, dopo averci pensato su qualche secondo, rispose:
«... Io».”
Note: Tutto. Ciò. Mi. Ha. Succhiato. Il. Sangue. No, sul serio, mi sembrava proprio di essere nella storia, sono inquietata da tutto ciò. Questo partecipa al turno di recupero della Sherlothon di sherlockfest_it, con il prompt “Mystrade” (MA VA!) del primo turno, per il team fanon <3.
Un grazie ma proprio di quelli enormi enormi enormi va alla mia Valeriana, la vrenzolella della mia vita che ha seguito tutto ciò passo passo e che sembrava io stessi sposando, tra un po'. Un bacio enorme, donna. Sei la migliore.
E ora su, se avete il coraggio di leggerla tutta, per favore, lasciate un commento. Mi ridarete un po' di sangue, almeno.
Infine, Alec e Lila sono personaggi sempre della suddetta faust_lee_gahan, io ho solo trasportato la loro pucciosità qui. Mi sono presa la liberà di reinventare le famiglie, ma non ho aggiunto descrizioni fisiche perché ognuno ha il suo headcanon e quindi amen (ma Alec ha i ricci mori).
Musica: Bad Influence, di P!nk – fortunatamente non per il testo – per tutte le parti deliranti; Roots Before Branches, la cover di Glee, per le parti serie (ebbenesì, ce ne se sono).

 

«No, Mycroft, allora spiegami che diavolo ci faccio con questo smoking addosso, per favore, e fallo adesso se non vuoi vederti infilare l'ombrello dove-»

«Sherlock! Ti prego! Mycroft, ascolta, ignoralo, è stanco ed anche io lo sono. Potresti illustrarci i dettagli, per favore?», intervenne John, diplomatico, dopodiché tolse la mano dalla bocca di Sherlock, trovandola bagnata di saliva proprio come faceva lui stesso con Harry quando erano bambini.

«Dovevi solo provarlo, quello smoking, Sherlock. In verità non stiamo partendo per Amsterdam in questo momento, ragazzi miei: la cerimonia è tra tre giorni, e c'è ancora molto da fare qui a Londra. Il nostro volo non partirà fino all'una esatta di domani».

Greg, che fino a quel momento era rimasto seduto sul divano in silenzio, quasi rilassato, scattò in piedi con gli occhi sbarrati. «Cosa?», urlò, rivolto al futuro marito.

Che cosa strana, da dire: – pensò John – un Holmes che si sposa.

«Fammi capire, Mycroft, mancano tre giorni alla cerimonia e uno e mezzo alla partenza... e cosa c'è ancora da fare?»

L'interpellato si prese un secondo per riflettere, poi estrasse il cellulare e premette qualche tasto nel più assoluto silenzio, dopodiché elencò: «Scegliere i fiori, i vestiti, controllare il posto, il buffet, trovare qualcuno che non lasci un matrimonio nel silenzio più assoluto, contattare un fotografo e, infine, invitare qualcuno, per quanto la cosa potrebbe essere a mio parere evitabile».

La stanza calò nel silenzio più assoluto: Greg fissava Mycroft quasi senza battere le palpebre e l'altro ricambiava con paciosa dolcezza, John fissava entrambi e Sherlock, con un ghigno malcelato, prendeva il suo iPhone ed avviava una veloce ricerca su Google.

Tossì, poi parlò: «Qui dice che un matrimonio va organizzato almeno sei mesi prima e che, per esempio, tra il quarto e quinto mese la checklist dovrebbe essere all'incirca una cosa del genere: scegliere e ordinare le partecipazioni, scegliere i fiori e il tema per le decorazioni, preparare la lista nozze – ma comunque da me il regalo ve lo scordate –, scegliere parrucchiere e organizzare le prove, preparare i documenti e le autorizzazioni necessarie per le nozze, recarsi presso il Comune per i permessi», e qui gli uscì uno sbuffo divertito, «scegliere e ordinare le bomboniere e, ah!, definire il look sposa! Greg, non vorrai mica presentarti con quei capelli al giorno più tragico della tua vita? Peggioreresti le cose! Mentre dai tre mesi in poi consigliano di occuparsi di spedire le partecipazioni, scegliere e ordinare la torta nuziale – anche se penso mio fratello già abbia qualche idea – scegliere qualcosa di: vecchio, nuovo, prestato e blu – che superstizioni stupide – e scegliere le fe-», si interruppe, ma solo grazie dal tonfo della testa di Gregory che batteva, priva di sensi, contro il pavimento del salotto del 221b di Baker Street.

~

Appena riuscì a riprendere conoscenza, Lestrade trasalì rumorosamente, spalancando gli occhi per poi strofinarseli con forza. Si trovava ancora sul pavimento, ed appena vide Sherlock sorrise, tornando a respirare.

«Ah, Sherlock, ciao, cos'è successo? Sai mica se-», si fermò, fissandosi l'anello al dito e volgendo poi lo sguardo a Mycroft, che lo osservava preoccupato dalla poltrona.

«... Ti prego, Mycroft, dimmi che non è vero e che mi stavi solo prendendo in giro».

«Mio caro ispettore, dovresti sapere che il gesto del matrimonio è già una piccola, grande presa in giro per una mentalità come la mia, ma dovresti sapere anche che non mi permetterei mai di giocare qualche brutto tiro alla persona che amo» (e qui Sherlock tornò a cliccare sul suo iPhone, fingendo di ignorare l'occhiata offesa che John gli rivolse).

«Allora dimmi: come facciamo adesso? Ci sarà da decidere tutto in pochissime ore, e poi dove lo troviamo un fotografo che venga con noi ad Amsterdam o comunque dove ne troviamo uno che venga con così poco anticipo, e poi i fiori, i vestiti, e Sherlock ha ragione, ho dei capelli assurdi, e la torta, e gli invitati! Oh cielo, gli invitati! Come lo dico a mia sorella... come lo dico a mio padre!?», esclamò, passandosi le mani sulla faccia e tornando a poggiare anche la schiena per terra, confidando nell'amore per la pulizia della signora Hudson.

«Su, su, non fare così, Greg, si trova una soluzione a tutto...», gli sorrise John, accovacciandosi al suo livello e prendendo a raccontargli dell'assurdo matrimonio di Harry nel tentativo di tirarlo su di morale.

Intanto, Sherlock si avvicinò silenziosamente al fratello, picchiettandogli sulla spalla e mostrandogli una schermata.

«Da quanto leggo, Mycroft, quei quattro biglietti sono per il volo che c'è tra un'ora, non per quello di domani».

«Sherlock, Sherlock, Sherlock. Quando imparerete a fidarvi del vostro Governo? Ovviamente i nostri quattro biglietti sono prenotati per vie che tu neanche immagini: quelli, semplicemente, non sono per noi».

«E per chi, allora?»

«Oh, dovrebbero essere qui in due minuti, così ve-», si interruppe, tendendo l'orecchio, poi riprese: «mi correggo, eccole».

John si voltò. «Eccole? Chi-»

«Ehilà, ragazzi?, sono arrivate, sto salendo a salutarvi!», la voce della signora Hudson fece voltare tutti verso la porta, che si spalancò rivelando prima la padrona di casa e poi Anthea, vestita di tutto punto in tenuta da trasferta; dietro di loro stava una donna giovane e sorridente il cui viso si illuminò appena vide Greg, e, impegnata a farsi spazio per guadagnare la porta, una donna dai capelli quasi completamente bianchi che...

«Mamma! Che diavolo ci fai qui?»

«Sherlock, non usare certe espressioni! Vieni qui, è una vita che non ti vedo, fatti abbracciare!», cinguettò la donna, per poi dirigersi verso il minore degli Holmes per stringerlo in un abbraccio mozzafiato e spaccaossa.

«Lila!», chiamò intanto Greg, rivolto alla donna che tutti sapevano essere sua sorella, «e tu che ci fai in questo manicomio?», chiese, e la sua non era una battuta.

«Mi ha contattato Mycroft, vado con loro!»

«Ma vai con loro dove?»

«Ma come “dove”! Ad Amsterdam, mi pare ovvio!»

«Ad Amster- cosa? E Alec, Alec dov'è?»

«Qui, zio!», si sentì, per tutta risposta, la voce di un bambino, ed una massa di ricci neri sbucò da dietro la figura di Lila, correndo prima dall'Ispettore e poi da Mycroft, impegnato al momento a scambiarsi battute nemmeno troppo sottili con il fratello.

«Mycroft, verrà anche lei?»

«Mi sembra ovvio, Sherlock, è mia madre – è nostra madre».

«... Mica papà-»

«Non esageriamo, Sherlock, già è tanto che non mi abbia diseredato, quell'uomo».

«Mycroft, Sherlock, non parlate così di vostro padre!», continuavano a discutere gli Holmes, ed Anthea aveva estratto il cellulare per controllare gli orari dei voli ancora una volta.

Quando a tutte le voci si aggiunse anche quella della signora Hudson che iniziava a conversare con John su eventuali precauzioni mediche per il viaggio, Gregory si alzò in piedi nel più assoluto silenzio, per poi chiudere gli occhi, prendere un respiro profondo, e:

«SILENZIO!», urlò.

Si voltarono tutti verso di lui, anche Alec che tentava di arrampicarsi lungo le gambe di “zio Myc”.

«Qualcuno può spiegarmi che cosa sta esattamente succedendo qui?»

Dopo qualche istante di silenzio, Mycroft prese la parola.

«Mi sembra ovvio, Greg. La gentilissima signora Hudson, Anthea, tua sorella Lila e la nostra cara madre, la qui presente Violet Holmes che più volte hai incontrato, ci precederanno ad Amsterdam per occuparsi, rispettivamente, dei nostri vestiti, del luogo della cerimonia, dei fiori e del catering. E non guardarmi con quell'espressione da... da cosa?, Sherlock, suggerisci, per gentilezza!»

«Anderson. Decisamente da Anderson».

«Ecco! Non guadarmi con quell'espressione da Anderson, secondo te avrei davvero lasciato a noi due tutto il lavoro da svolgere in un giorno, due al massimo?»

«Ma allora... Mycroft! Perché non me lo hai detto subito?»

«Mio caro Ispettore... puoi chiedermi tutto, ma non di non assomigliare nemmeno un po' a mio fratello», rise Mycroft, volgendo lo sguardo a Sherlock, che scuoteva la testa ghignando divertito.

Quando tornò a guardare Gregory, questo gli stava puntando il dito contro, a bocca aperta: «Tu... tu... tu mi hai-».

«Ah, smettila, fratello, e chiudi la bocca che ci entrano le mosche», intervenne Lila, chiudendo la mascella di Lestrade e lasciandogli un bacio sulla guancia.

«Signore, se non ci sbrighiamo rischiamo di perdere il volo!», ricordò Anthea con un sorriso. «Andiamo?»

Le altre tre si guardarono, e mentre Lila si accovacciava per farsi dare un bacio da suo figlio, Violet, Anthea e la signora Hudson sollevarono i propri bagagli, felici come se fosse il loro compleanno, ed uscirono ridendo di chissà qualche battuta.

«Ciao ciao, ragazzi!», si degnò solo la padrona di casa mentre tutte imboccavano le scale, e i quattro si sentirono come ignorati, tutto ad un tratto.

Quando Lila scese, però, Greg la chiamò: «Lila! Che fai, dimentichi Alec?»

«Ma no, zio, non essere sciocco!», rise il bambino, «Mamma non si è dimenticata di me; è di dirti che parto con voi, che si è dimenticata!»

«Greg!», la voce della suddetta madre arrivò, seppur in ritardo, dall'ingresso, «tieni Alec con te, capito? Non dargli troppa cioccolata e fagli telefonare al padre due volte al giorno, se c'è qualche problema chiamami, ti voglio bene, ci vediamo al tuo matrimonio!», lo sbrigò, sparendo poi dietro la porta del 221b che sbatteva.

Il silenzio si impossessò di nuovo della stanza, mentre Mycroft si decideva finalmente a metter fine agli sforzi del bambino ed a prenderlo in braccio.

Le quattro donne erano arrivate e sparite in un batter d'occhio, eppure sembrava passato un uragano. Ora Mycroft carezzava il piccolo Alec, Sherlock iniziava a spogliarsi dallo smoking incurante di essere in pubblico, John stava immobile a torturarsi le labbra e Gregory, semplicemente, passeggiava avanti e indietro lungo il tappeto.

L'ispettore quindi si passò le mani tra i capelli, ai lati della testa, chiudendo gli occhi e alzando il mento, i polmoni tesi per un lungo respiro. Dopo che questo divenne un sospiro, si decise a parlare.

«Sherlock, John, mi affido a voi, ragazzi, per le foto e la musica. Per favore. Mycroft, io e te andiamo prima dal parrucchiere e poi dai miei, non posso andare da loro da solo, penso preferirei scavarmi una fossa e buttarmici dentro fino a morire di fame. Qualcuno mi passa un foglio e una penna, per favore?», chiese, e John gli allungò un blocco per gli appunti di Sherlock.

«Allora», continuò, prendendo tutto ad un tratto la situazione in mano sotto lo sguardo ammirato di John, curioso di Sherlock ma soprattutto soddisfatto di Mycroft, che lo osservava appoggiato con il mento sul suo ombrello, «vediamo chi abbiamo qui: oltre a noi due sposi, ci sono Sherlock e John, che sono i testimoni, Violet Holmes, Sieger Hol-»

«Mio padre non verrà».

«... Oh», rispose Greg, ma gli bastò un'occhiata all'espressione del suo compagno per capire, e lasciò cadere l'argomento. «Dicevo: Violet Holmes, Lila con suo marito Josh e Alec, la signora Hudson, Anthea, Molly – a lei pensaci tu, Sherlock, per cortesia – e i miei genitori. La nota dolente. Penso che invitare altri ti darebbe solo fastidio, Myc, o sbaglio?»

«Mi conosci fin troppo bene», gli sorrise l'altro rimettendo a terra il bambino, per poi alzarsi ed andare a carezzare i capelli chiari di Lestrade. «Quindi, se le cose stanno così, penso sia ora di iniziare. Sherlock, John, fate come vi ha detto Greg, grazie. Alec, Greg, andiamo?»

John, ancora stupito dalla mancanza di alcuna reazione da parte di Sherlock, intervenne comunque consigliando a Gregory il parrucchiere sull'altro marciapiede di Baker Street, dopodiché si salutarono e i due futuri sposi, insieme con Alec, sparirono lungo le scale.

Appena anche il suono della vocina di Alec che continuava a squittire “mi prendi in braccio, zio Myc? Per favore? Eh?” fu svanito, Sherlock si voltò verso John, il quale poté constatare la quasi totale nudità del suo ragazzo.

«Quindi ci tocca, eh? E dimmi, John, vogliamo uscire subito o...», lasciò cadere la frase, allargando di poco le braccia.

John rise. «Sherlock Holmes, non ci pensare neanche: abbiamo un matrimonio da organizzare, rimettiti subito i pantaloni».

~

«Il punto è che io sono un uomo coraggioso – per Dio, Mycroft, mi conosci!»

«Non lo metto in dubbio, Greg, dopotutto per sopportare Sherlock ci vuole una non indifferente dose di incoscienza».

Lestrade rimase un secondo interdetto. «Per sopportare Sherlock, eh?», rise, «E comunque io parlavo di coraggio, non di incoscienza».

«C'è una linea sottile, tra i due, e penso che tu l'abbia già oltrepassata da tempo», scherzò Mycroft Holmes, alzando la testa verso lo specchio davanti a lui e incontrando lo sguardo riflesso di Greg, seduto sulla poltrona girevole del parrucchiere mente questo provvedeva a renderlo più bello di quanto già non fosse di solito ai suoi occhi.

Alec, ancora stabilito sulle cosce dello zio acquisito, ci si era letteralmente sdraiato sopra, e, con gli occhi puntati sull'enorme lampadario a gocce, le contava una ad una, fermandosi ogni volta a sette e ripartendo da capo con l'uno.

«E comunque ho paura, capisci? Mio padre ha sempre pensato che io fossi troppo deciso, troppo sicuro, nella vita, e quando tre anni fa mi decisi a raccontare ai miei di noi due... Non posso pensarci, una rabbia! Io ero entusiasta e felice come una pasqua, e avevo così tanti progetti ambiziosi per noi due, ma lui iniziò a sorridermi come si sorride agli idioti, “sono contento, ragazzo mio, solo, non correre troppo, magari è una fase, magari tra tre mesi nemmeno vi parlate più”. Non mi scese proprio giù, sai?, sul serio, mi sgonfiò come Sherlock fa con le teorie dei miei Yarder: puf, e tutto l'entusiasmo andò a fari fotte-»

«Ti ricordo Alec».

«... andò a quel paese!», concluse, sbuffando.

Non disse altro fino a quando Robert, il parrucchiere, sfilò finalmente l'asciugamano dalle spalle di Greg e scosse via gli ultimi residui di capelli bianchi, voltandolo poi verso il compagno.

Mycroft sorrise, ed uscirono da lì che Alec sapeva finalmente contare fino a quindici.

 

«Greg! Alec! Ma che sorpresa!»

«Nonna Helen!», salutò il bambino, lasciando la mano di Lestrade e lanciandosi ad abbracciare la nonna, che lo prese in braccio e gli lasciò un umido bacio sulla guancia. Anche Gregory si avvicinò e lasciò che la madre lo carezzasse piano, sorridendogli.

Si voltò verso Mycroft che, educatamente, attendeva il proprio turno per entrare, e gli rivolse uno sguardo spaventato. Sentiva un nodo nello stomaco, come quando sai che devi confessare qualcosa ma semplicemente non vuoi, perché hai troppa paura; fortunatamente Mycroft gli sorrise e le cose migliorarono improvvisamente, ed ancora una volta si appuntò mentalmente di ripetergli quanto lo amasse.

«Ciao mamma, come stai?», le chiese, togliendosi la giacca ed appendendola.

«Non c'è male, grazie. Certo, se chiamassi più spesso lo sapresti, no?»

«Sai com'è, il lavoro...»

«Sì, sì, come no!», rise la madre, rimettendo Alec a terra e voltandosi verso la porta. «Mycroft, ragazzo mio, hai intenzione di rimanere lì per molto?», gli sorrise, e per un istante Greg pensò che forse non sarebbero andate così male, le cose.

«Ad ogni modo, tutto bene, Greg? Ti vedo pensieroso, c'è qualche problema? Vieni, accomodatevi in salotto, tuo padre è nello studio, ora vado a chiamarlo-»

«No! Aspetta, ferma. Vorrei... vorremmo parlare prima con te», disse Lestrade, bloccando delicatamente Helen per il braccio. La madre lo guardò negli occhi per qualche secondo, tentando di leggergli nella mente come faceva quando era un ragazzino, ma ci trovò solo tanta decisa confusione.

«Oh, va- va bene, non c'è problema. Alec, tesoro, vai da nonno Jeremy e stai con lui per un po', va bene? Io e zio dobbiamo parlare», disse, e il bambino annuì sorridendo e corse via, sparendo in corridoio.

Greg sprofondò nel divanetto di fronte alla poltrona di sua madre, e si passò una mano tra i capelli mentre Mycroft prendeva posto accanto a lui sussurrando un con permesso che fece sorridere Helen.

Sorprendentemente, fu lo stesso Mycroft a parlare per primo: «Signora Lestrade, vorrei ringraziarla ancora una volta per quello che ha fatto per noi in tutti questi anni: andare avanti senza il consenso di mio padre è sempre stato duro, per me, e sono contento di sapere che anche Gregory abbia qualcuno della famiglia su cui appoggiarsi, a parte Lila, ovviamente».

«Ma», continuò l'altro, «è arrivato il momento in cui voglio cavarmela da sola, e sono qui... siamo qui per dirti- cioè per invitarti- insomma, per chiederti se-»

«Ma come, mio figlio viene a trovarmi», la voce di Jeremy Lestrade tuonò dal corridoio, avvisando del suo arrivo ancor prima che entrasse nella stanza, «e nessuno si degna di avvertirmi?»

Alec si avvicinò a suo zio Greg con un piccolo broncio. «Scusa, zio, mi sono fatto scappare che c'eri anche tu...»

«Tranquillo, Alec, non fa niente, sei stato bravo», disse, carezzandogli distrattamente i capelli ed alzando lo sguardo verso suo padre.

Jeremy Lestrade stava sulla porta, immobile, e con sguardo indecifrabile scrutava l'uomo che, seduto nel divano di casa sua, gli sorrideva educatamente reggendo un ombrello. Sembrava aver perso tutto l'entusiasmo di pochi secondi prima quando parlò ancora: «Signor Holmes, a cosa dobbiamo l'onore

«Caro, ascolta, Mycroft e Greg sono venuti qui per dirci una cosa, quindi metti da parte le solita, inutili ostilità e siediti, per carità», gli chiese sua moglie, lanciandogli uno sguardo più che eloquente che lo convinse a prendere il suo posto in poltrona. Gregory aveva sempre ammirato il rapporto speciale che c'era tra i suoi genitori, insieme per tanti anni ed ancora capaci di capirsi con un solo sguardo.

In cuor suo sperò di finire proprio così, con Mycroft.

Greg deglutì, aspettando che anche Alec si fosse sistemato sul tappeto ai piedi della poltrona della nonna per parlare. «Quello che stavo cercando di dire, è che... tra- tra tre giorni ci sarebbe, insomma noi...», tentò, ma quando la mano di Mycroft andò a carezzargli la spalla finalmente si decise; così prese un lungo respiro e:

«Mi sposo. Di nuovo».

I coniugi Lestrade si guardarono, in silenzio, per qualche secondo, ma in quel momento la telepatia non funzionò e ognuno dei due capì quello che voleva capire, così quando Jeremy sorrise al figlio, congratulandosi e chiedendo “chi è la fortunata?”, Helen non rimase sorpresa quando Greg, dopo averci pensato su qualche secondo, rispose:

«... Io».

~

In pochi minuti la situazione era degenerata. Il cervello di Jeremy Lestrade aveva lavorato abbastanza in fretta – o comunque più di quanto il figlio aveva stimato – e l'uomo era scattato in piedi, prima di iniziare a ridacchiare, e tornare a sedersi.

«D'accordo, d'accordo, te lo concedo. Vi sposate? E quanto durerà? Sono sicuro che lascerete stare tutto ancor prima della cerimonia e tornerai strisciando da noi, e poi da un'altra donna, e magari stavolta se vi sbrigaste ad avere dei figli non succederebbe quello che è successo con Amanda. Io lo avevo detto che con lei era meglio evitare di-»

«Smettila», sussurrò Greg.

«... Cosa, figliolo?»

«Smettila! Smettila, ho detto! Sono stanco di sentirti dire sempre le stesse cose: e che ne sai, e in futuro, e cambieranno, e lascerai stare, ma sai cosa ti dico? Io sposerò quest'uomo perché lo amo e tu non puoi permetterti di credere di sapere cosa passa per la mia testa e soprattutto cosa passa per la sua, di testa. Tu puntualmente hai sempre messo in mezzo discorsi riguardo al mio futuro, riguardo a quanto le mie passioni e le mie “fasi” potessero durare, ma non me ne è importato mai niente: se lo facevi per addolcirmi un eventuale delusione era inutile, ci sarei rimasto male comunque, e se lo facevi per... non so qualche assurdo motivo ti dicesse la testa, allora sono fatti tuoi! Con Amanda non hai mai detto nulla, per te saremmo rimasti per sempre insieme ed invece guardami. Guardaci».

Nessuno parlò più, e il respiro di Greg, leggermente più appesantito degli altri, divenne l'unico rumore nella stanza. Jeremy aveva spostato lo sguardo sul viso di Mycroft, che reggeva il contatto visivo senza accennare ad un minimo di debolezza. Helen aveva chinato la testa e sembrava immersa nei propri pensieri, mentre Alec si era alzato in silenzio, stupito dal vedere suo zio, normalmente così tranquillo e paziente all'inverosimile, alzare la voce in quel modo. Il bambino si era avvicinato poi ai due, abbracciando la gamba di Gregory e attaccando la manina ai pantaloni di Mycroft; si voltò poi verso il nonno.

«Perché non vuoi che zio Greg sposi zio Mycroft se si guardano come te e la nonna?»

Quando Jeremy aprì di nuovo la bocca per aggiungere chissà quale altra assurdità, Mycroft comprese le sue intenzioni e si alzò con un'agilità che Greg non gli avrebbe mai dato, facendo leva sull'ombrello ed estraendo due biglietti aereo dal taschino interno del gilet.

«Signore, signora Lestrade, qui ci sono i biglietti per Amsterdam a vostro nome. Tutti i dettagli sono segnati sul retro e per qualsiasi informazione qui c'è anche il numero della mia assistente, lei vi spiegherà tutto. Non voglio sapere se avrete l'intelligenza di partecipare o no a quello che ho intenzione di rendere il giorno più bello della vita di vostro figlio, e francamente non mi interesserebbe nemmeno se da questo non dipendesse la sua serenità. Per quanto mi riguarda ho comunque intenzione di non lasciar andare molto presto vostro figlio. Andiamo, Gregory! Alec?»

«Zio Myc, mi prendi in braccio?», chiese candidamente il bambino, tendendo le mani, e Gregory lo sollevò dal pavimento per poggiarlo tra le braccia del suo compagno.

Una volta nell'ingresso, Greg si voltò ancora una volta verso suo padre. «Probabilmente Alec non ha preso il buonsenso da questo ramo della famiglia».

Si ritrovarono fuori dalla porta, e tutto andò meglio.

~

«Ma io non ho capito...», esclamò Alec nel bel mezzo del silenzio dell'ascensore, ancora giocherellando con il fermacravatta a forma di ombrello dello zio, «perché nonno Jeremy odia zio Mycroft?»

«Il nonno non odia zio Mycroft, Alec, non dire così».

«E allora perché non vuole farvi sposare? Due persone non si sposano quando si vogliono tanto, tanto bene?»

«Certo, Alec, solo... capirai che a volte le persone non accettano che qualcosa sia diverso da quello che sono normalmente abituati a vedere».

«Come due maschi che si sposano? Io lo accetto, ma comunque a loro che male fa?».

«È che tu sei un bambino intelligente, Alec», intervenne Mycroft, sorridendo, «E, Greg, io ti avrei sposato anche con tutto il mondo contrario», confessò con decisione, al che anche l'altro si sciolse in un sorriso e gli si avvicinò per poggiargli le labbra sulle sue, solo per qualche secondo, solo perché gli mancava tanto.

«Bleah! Se mai mi fidanzerò, non farò mai cose del genere!»

«Certo, Alec, ne riparliamo tra una decina di anni, d'accordo?»

~

«Ultima chiamata per il volo Londra-Amsterdam delle 13:00 – attenzione, ultima chiamata per i passeggeri del volo Londra-Amsterdam delle 13:00».

«Oooooh, datevi una mo-o-ssa!», accelerò John, urlandolo agli altri alle sue spalle mentre tentava di non cappottare a terra insieme al suo borsone e quelle poche briciole di dignità che ancora gli rimanevano.

Greg lo tallonava stringendo il suo bagaglio al petto, i biglietti chiusi tra le labbra; vide John curvare all'improvviso e cambiò direzione così velocemente che scivolò sul pavimento per almeno mezzo metro prima di imboccare la direzione giusta.

I due si facevano largo tra la folla stranamente meno abbondante del solito a suon di permesso!, grazie e di mugugni indefiniti dovuti alla bocca serrata intorno alla carta, ma nel momento in cui John frenò di colpo per evitare di rovinare addosso ad un passeggino ed al relativo neonato, la madre riuscì a scansare sé e suo figlio appena in tempo per lasciare che il naso del povero dottore si scontrasse con il pavimento freddo dell'aeroporto più che con il pancino di un bambino.

«Attenzione, il volo Londra-Amsterdam delle 13:00 è stato sospeso fino a nuovo avviso; si pregano i signori viaggiatori di attendere nuovi aggiornamenti: il volo non è stato cancellato, grazie».

«Cristo, John, stai bene?», chiese l'ispettore inginocchiandosi e tentando di tirarlo su dalla spalla buona.

«Sì- sì, credo di stare... di stare bene... Dio, ma il naso ce l'ho ancora o cosa?», chiese sarcastico, sedendosi e massaggiandosi il viso mentre l'altro si guardava intorno.

«Ma Mycroft e Sherlock? Non dirmi che li abbiamo persi perché sennò giuro che è la buona volta che si ritrovano un naso ancora più storto del naturale».

«Siamo qui, Lestrade, tranquillo», sentì la voce di Sherlock, e subito si trovò davanti due paia di ginocchia appartenenti ai fratelli Holmes, più il bonus del sorrisetto divertito di suo nipote Alec.

«Non capisco tutta questa fretta, ragazzi miei», domandò Mycroft mentre John si tirava su con l'aiuto di Greg.

«Ma come, non lo avete sentito? L'aereo, l'hanno anche sospeso, ora come facciamo?»

«Cielo, e se non arriviamo in tempo per prenotare il posto? E se Lila ha qualche problema? E se tua madre inizia a cercarci? Sai che tua madre mi mette soggezione, Mycroft, non puoi chiedermi di rispondere al telefono ad una donna del genere!»

«Sì, scusi un secondo, eh – Lestrade, ma qual è il tuo problema? Ti rilassi, per favore?», intervenne Sherlock, coprendo con una mano il microfono del cellulare che nessuno gli aveva visto estrarre dalla tasca, «Sia tu sia John avete la tendenza a dimenticare chi realmente sia mio fratello. Capitano? Stiamo arrivando», concluse poi, tornando a parlare al telefono per poi attaccare.

«... Capitano?», chiese John, facendo scattare il collo.

«Quello dell'aereo, sì. Aspettano noi, per partire, ora andiamo prima che si trovino costretti a narcotizzare i passeggeri».

John e Greg si guardarono, Greg si rimise i biglietti fra le labbra e, facendo spallucce, seguirono gli Holmes – e Alec – verso il bancone del check-in.

~

«No, no!, NO! Ma insomma, è così difficile da comprendere? Guanti bianchi, non grigi, non blu chiaro, non rosa, bianchi!»

«Buongiorno, Anthea!»

«Signor Holmes! Finalmente! Spero sia andato bene il viaggio! Qui mi sembra di essere tornata a Scotland Yard, con questi camerieri: non riescono a capire che questo è un matrimonio omosessuale, non un Gay Pride a tema carnevalesco!»

Greg, rimasto col naso in aria fino a quel momento, si voltò di scatto verso la donna: «Ma si può sapere che problema avete tutti con gli Yarder?»

Mycroft e Anthea risero, scuotendo la testa, dopodiché la donna si allontanò velocemente nonostante la gonna stretta ed elegante, lamentandosi ad alta voce con un altro poveruomo in divisa, probabilmente il capocameriere.

I due futuri sposi si guardarono intorno, uno con un sorriso soddisfatto e l'altro con gli occhi brillanti, respirando a pieni polmoni l'aria del Vondelpark di Amsterdam: Anthea aveva scelto un luogo perfetto. Distese e distese di prati verdi e laghetti luminosi, incorniciati da alberi altissimi e fresche zone in ombra; continuarono a passeggiare l'uno accanto all'altro, lasciandosi alle spalle Anthea e il gazebo sotto il quale avrebbero cenato, e si diressero verso l'enorme spazio che avrebbe ospitato la loro cerimonia.

Più si guardavano intorno e più si sentivano a casa: quel giardino, totalmente nello stile inglese, sarebbe stata una cornice stupenda per quel giorno. Greg ridacchiò alla vista di un'anatra che sgambettava verso uno degli specchi d'acqua, Mycroft alzò il mento trovando con lo sguardo un parrocchetto che ridacchiava da un ramo. Qualcuno li vide e Greg si voltò verso l'altro, prendendogli la mano e camminando senza alcun timore. Qualcuno sorrise loro, qualcuno li indicò al vicino di asciugamano: non capitava tutti i giorni di vedere una coppia esteticamente così inusuale, e il portamento un po' goffo di Lestrade certamente stonava con quello regale di Mycroft, ma a nessuno dei due importava realmente.

«Senti, Myc», iniziò Greg, avvicinandosi, «per la prima notte di nozze, che facciamo?»

L'altro si fermò all'improvviso, tornando a guardarlo con un sorriso perplesso. «Greg caro, di certo non credo tu sia nuovo a certe pratiche di-»

«Oh no! Nononono! Non intendevo quello!», si corresse l'ispettore, «Intendo gli altri, gli invitati, dove li sistemiamo?»

«Oh! Certo! Anthea ha già prenotato un numero sufficiente di stanze in un albergo non lontano da qui. Anche se per noi due ho altri programmi...»

Greg iniziò a ridacchiare, e Mycroft lo tirò piano a sé, lasciando che gli appoggiasse la fronte sulla spalla.

«E sai che», sussurrò a Lestrade, poggiandogli le labbra sull'orecchio, «nel parco sono permessi rapporti sessuali ed omosessuali, di notte? Potremmo sempre uscire per una passeggiata, e poi...»

Greg spalancò gli occhi. «Sì!», esclamò a voce troppo alta, raddrizzando il collo.

«Ma sì cosa?», rise Mycroft.

«Sì. Semplicemente sì».

Il tempo di un bacio a fior di labbra, e la voce di Lila li raggiunse: la trovarono seduta nell'erba accanto a quello che sarebbe stato l'arco sotto il quale si sarebbero sposati, intenta a dare indicazioni a tre uomini carichi di cesti di fiori e foglie da disporre.

«Allora, come procedono i preparativi?», chiese Greg, ma, anziché ricevere una risposta, la sorella si guardò intorno e, con gli occhi leggermente sgranati, chiese piano: «Greg. Dov'è Alec?»

«È con Sherlock e John, tranquilla».

«Ah. E posso chiedere perché è con loro due?»

«Sherlock voleva fermarsi in un bar fuori al parco e Alec doveva fare pipì, quindi John ci ha assicurato che ci avrebbe pensato lui».

Lila sembrò tornare a respirare. «Bene. Speriamo si sbrighino. Alec si è comportato bene? È stato felice di vedere i nonni?»

«Lila», le ripose Mycroft, «quel bambino è una delle persone più intelligenti che conosco, sai?, e penso di aver detto tutto. Mi complimento davvero con te per la sua educazione».

Greg non ci avrebbe giurato, eppure gli sembrò di vedere sua sorella arrossire leggermente mentre scuoteva la testa, sorridendo.

«Allora, sorella, questi fiori?»

«Allora», spiegò, scattando in piedi, «mi sono permessa di spulciare tra i significati di fiori e piante, e ho scelto l'edera con cui ricoprire l'arco, più, da mettervi all'occhiello, una composizione di gardenia e foglie di tiglio».

Greg rimase fermo a fissare la sorella, in attesa delle per lui ovvie spiegazioni, mentre Mycroft le sorrideva, complimentandosi con la scelta dei significati.

«Da quanto sei diventato un fioraio, Myc?»

«Fratello, non essere così acido! Ti spiego: la gardenia rappresenta l'amore segreto, e l'ho unita al tiglio perché rappresenta l'amore coniugale. Dopotutto, è un peccato che abbiate dovuto spostarvi per un matrimonio come si deve».

«E l'edera?»

«L'edera, mio caro ispettore», rispose Mycroft, «rappresenta la fedeltà perenne, l'amore esclusivo», gli sorrise, e fu il turno di Greg di scuotere la testa per mascherare un lieve imbarazzo.

Lui era sempre stato un uomo spiccio, poco portato ai sentimentalismi – insomma, il suo primo matrimonio non era assolutamente stato così romantico –, e trovarsi davanti ad una persona che lo ricopriva di così tante attenzioni lo faceva stare bene. Oltretutto, si rese anche conto di commettere un grave errore nel considerare Sherlock e Mycroft uguali: il maggiore degli Holmes, essendo se possibile anche più intelligente di suo fratello, sembrava non aver paura di gestire i suoi sentimenti – anche se all'inizio aveva avuto i suoi problemi – e riusciva a controllarli in modo che non nuocessero al suo lavoro. Così, mentre Sherlock teneva le manifestazioni d'affetto tra sé stesso e John – Lestrade poteva solo vagamente immaginare cosa succedesse, a porta chiusa, al 221b –, non era raro vedere Mycroft andare a cene eleganti a braccetto con il detective ispettore di Scotland Yard, anche in modo abbastanza fiero. Lestrade sapeva di non poter chiedere di meglio, soprattutto per un come lui, abituato a considerare elegante una semplice uscita al ristorante.

«Mi sembra... magnifico. Davvero: magnifico», concluse Greg, sorridendo. Stava per aggiungere altro quando vide lo sguardo di Lila oltrepassare la sua spalla e la sentì urlare Alec!

«Mamma!», rispose il bambino, e si dimenò dalla stretta di John, correndo verso la donna ed abbracciandola. «Mi sono divertito tantissimo con gli zii, mi lasci da loro più spesso?»

Lila si voltò verso suo fratello e poi verso Mycroft, che annuì, alzando le spalle, così la madre guardò il figlio e gli rispose che poteva andare da loro quando voleva, ricevendo in risposta un umido bacio sulla guancia.

John e Sherlock, intanto, erano fermi a qualche metro da loro, ma il primo parlava a voce così alta che non potettero fare a meno di avvicinarsi, incuriositi.

«Ti sembra un comportamento accettabile, davanti ad un bambino ed il giorno prima del matrimonio di tuo fratello, eh? Posso accettare tutto, ma questo assolutamente no!», lo rimproverava, agitandogli davanti agli occhi un sacchetto che gli altri non identificarono subito.

«John, che succede?»

«Oh, Greg, fossimo a casa ti chiederei di chiuderlo a chiave da qualche parte per qualche giorno, giusto per capire se lo fa apposta o se proprio non capisce! Guarda!», esclamò, lasciandogli in mano quella che, a quel punto era ovvio per tutti, era chissà quale strano tipo di droga.

Calò il silenzio, e i rumori del parco presero il sopravvento. Sherlock teneva la testa leggermente china verso il basso, ma nonostante questo fissava un John decisamente arrabbiato negli occhi, ed era quasi inquietante. Lila stava accanto a Mycroft, entrambi sospirarono, e Greg si infilò il sacchetto in tasca lanciando un'occhiata delusa a Sherlock.

«Ah, siete esagerati, tutti quanti!», si giustificò il ragazzo, allontanandosi con le mani in tasca lungo la strada per il gazebo.

I quattro rimasti si guardarono negli occhi per qualche secondo, dopodiché John sospirò rumorosamente e Greg gli diede una pacca sulla spalla. Quando Lila fece per parlare, però, venne interrotta dalla voce lontana qualche metro di Alec, che, appeso al pesante collare di una mucca, urlava verso il gruppetto: «Possiamo tenerla? Sì? Per favore, possiamo? Mamma? Zio Greg?»

Una risata nacque spontanea a tutti, e Greg ebbe la conferma, ancora una volta, che quel bambino sarebbe stato la sua salvezza, in quei giorni.

~

«... ed è per questo che insistevo così tanto sul mais. Poi avevo anche detto di togliere qualsiasi cosa contenga pomodoro, dal menù. A mio figlio non è mai piaciuto, nemmeno quando era piccolo e glielo mascheravo – sa, è troppo intelligente per lasciarsi fregare così, anche da sua madre. Ricordo una volta che-»

«Mamma!», la interruppe Mycroft, facendola voltare, e Greg rise sommessamente allo sguardo sollevato del cameriere, che si allontanava velocemente, alzando gli occhi al cielo e mimando un “grazie” con le labbra.

«Mycroft, Gregory, come va? Avete viaggiato bene? Avevo provato a telefonare a Sherlock ma non rispondeva mai!»

«Tutto benissimo, stai tranquilla. Piuttosto, qui?»

«Oh, una manica di incompetenti, al solito».

«Chissà perché questa scena mi sa di dejà vu», sussurrò Greg al compagno, che allargò appena il sorriso.

«Ce la fai da sola, mamma, oppure ti serve una mano?»

«No, assolutamente, non devi occuparti di niente – o meglio, una cosa c'è, ma dovresti trovare la signora Hudson che- oh, eccola!»

«Parli della signora Hudson e ne spunta la gonna», sentenziò una voce, e tutti si voltarono verso una poltroncina in vimini occupata dalla sottile figura di Sherlock, intento a tirare via grissini e fette di pane da qualsiasi cesta gli passasse ad un metro di distanza.

«Sii gentile con la tua domestica, Sherlock!»

«Sono la sua padrona di casa, non la sua domestica, Violet cara. Ormai è diventato un ritornello, questo!», esclamò ironica la donna, che li aveva raggiunti in un batter d'occhio. «Vieni con me, Mycroft, dobbiamo provarti il vestito», disse, e si allontanò così com'era arrivata, solo stavolta portandosi via il maggiore degli Holmes, tenuto per la cravatta.

«Oh, meno male che c'è lei, a prendersi cura di voi, ragazzi. È davvero una donna stupenda», sorrise Violet Holmes, unendo le mani. Rimase a contemplare l'ambiente per un po', l'espressione congelata in modo leggermente inquietante, prima di voltarsi verso il suo futuro genero. «Allora, Gregory caro: ti va di fare due chiacchiere, così, da madre a figlio

L'ispettore spalancò gli occhi, girandosi e vedendo Mycroft ormai troppo lontano per venire a tirarlo fuori da quella situazione. Ma la signora Hudson non aveva l'anca che le faceva male, per correre così tanto?

«Non... non credo ci siano problemi, signora Holmes, sì...», tentennò, e si avviò con la futura nuora verso un banchetto con alcune bibite.

Sentì chiaramente Sherlock ridere di gusto, in lontananza, addentando l'ennesimo grissino. Si appuntò mentalmente di mollargli un pugno in piena faccia quanto prima.

~

Greg si fermò un secondo ad osservare il suo futuro marito, impegnato a sistemarsi la cravatta davanti allo specchio con un'aria di totale controllo e rilassatezza. Appariva decisamente sereno, senza alcun pensiero per la testa – cosa solo apparente, ovviamente: chissà quanti calcoli, e congetture, ed impegni, e-

«Smettila di pensare. Si sente da qui, è fastidioso, dovresti rilassarti».

«Rilassarmi? Mycroft noi... noi ci stiamo sposando, ti ricordo, non stiamo solo andando a fare una passeggiata! Stiamo per confessare in via ufficiale che abbiamo intenzione di rimanere insieme per sempre – o almeno così dovrebbe essere – davanti ai nostri familiari, ai nostri amici, al mondo intero! Come faccio a rilassarmi?»

Mycroft sospirò, sistemandosi il fermacravatta ed avvicinandosi a Greg. Lo baciò piano, infilando poi la lingua tra le sue labbra e spingendo oltre i denti, lasciando che facesse rumore, che un suono così familiare lo tranquillizzasse; lo baciò con tanta delicatezza e tanto trasporto che Gregory sentì chiaramente la preoccupazione salirgli su per la gola e scendere giù in quella dell'altro, ingoiata da un organismo così avvezzo allo stress e al pericolo da essere immune da cose così piccole.

«Ora va meglio», confessò appena l'altro lo lasciò andare, e si appoggiò al suo petto senza preoccuparsi di spiegazzare la camicia o di rovinarsi i capelli.

«Cielo, Gregory, cosa mi hai fatto?», si lamentò ironicamente Mycroft, guardandolo negli occhi e poggiandogli una mano sullo zigomo, per poi scendere piano lungo la guancia e fermarsi sulle labbra.

Lestrade sorrise, mordendogli piano il dito, passandoci la lingua sopra.

«Ah, no, non fare così! Non è il momento. Tra poche ore, ti prometto che avremo tutto il tempo per queste cose!», lo rimproverò, pulendosi il dito su un fazzoletto.

«Se lo dici tu...», si allontanò Greg, il labbro che gli tagliava la guancia destra in un sorrisetto malizioso.

Bussarono alla porta, e subito la testa di Lila sbucò sulla soglia. «Ragazzi, spero di non interrompere niente, ma dovete uscire».

Greg guardò l'orologio: «Non manca ancora un quarto d'ora? Sono già arrivati tutti?»

«Molly è appena uscita dall'albergo, sarà qui in cinque minuti, ma dovete venire comunque, è arrivato mio marito, Josh, e... dai, Greg, per carità, vieni».

I due uomini si guardarono per qualche secondo, poi Mycroft sistemò il papillon all'altro e uscirono dalla stanza velocemente.
Arrivati nella hall dell'hotel, Josh andò incontro a Lila, e a Mycroft bastò un'occhiata per dedurre che si trattava di un uomo d'affari, tornato dalla Russia giusto due giorni prima ed arrivato lì da un'ora, dall'aeroporto di Londra, però, non da quello Russo. Fece due più due, ma prima che potesse avvertire Greg, questo già fissava ad occhi sgranati le figure di Helen e Jeremy Lestrade, seduti nelle poltrone dell'ingresso, vestiti di tutto punto per un matrimonio, per il matrimonio.

Si sarebbe aspettato domande, si sarebbe aspettato risposte, magari urla e qualche abbraccio, una riconciliazione ad effetto, di quelle che la gente non come lui fa, normalmente, quando è in famiglia e succede qualcosa.

Invece Greg si avvicinò a sua madre e la baciò sulla guancia, rimanendo poi qualche secondo a fissare il padre prima di abbracciarlo. «Greg... non credere, eh, tua madre... io- io credo che... oh, auguri, figliolo. Auguri».

Greg si voltò verso Mycroft, sorridendogli: «Ci siamo tutti», annunciò, «Andiamo a sposarci».

~

«Mycroft Holmes, vuoi tu prendere il qui presente Gregory Lestrade come tuo legittimo sposo, per amarlo ed onorarlo finché morte non vi separi?»

Sherlock si sporse verso John. «Ma si usa così anche nei matrimoni gay?», gli sussurrò.

«Ah, non me lo chiedere, credo che Mycroft sia voluto andare sul classico».

«Non sarei qui in caso contrario», rispose tranquillamente lo sposo, rivolto all'ufficiante ma con gli occhi fermi su Greg. L'anello scivolò lungo il dito senza problemi, e Lestrade ringraziò mentalmente John per il bellissimo regalo.

Il cielo si era annuvolato, ma nessuno degli invitati aveva avuto il cuore di notarlo perché avrebbero dovuto distogliere lo sguardo da quella concreta seppur inverosimile scena.

«Gregory Lestrade, vuoi tu prendere il qui presente Mycroft Holmes come tuo legittimo sposo, per amarlo ed onorarlo finché morte non vi separi?»

Le parole dell'ufficiante erano state accompagnate da qualche goccia di pioggia, leggera, uno schizzare quasi divertito del cielo su tutta quella situazione.

Lestrade fece per parlare, ma si portò una mano sul naso, asciugandosi quel poco di acqua che c'era finita sopra. Ridacchiò, nervoso, e prese a tirare dentro aria senza cacciare fuori alcuna parola.

Allora Mycroft, senza emettere un suono, sollevò il suo ombrello e lo aprì, tirandosi l'altro più vicino e sistemandolo al riparo, come quando si erano incontrati davvero per la prima volta e Greg non faceva altro che tirarsi su i pantaloni inzaccherati e ringraziarlo del passaggio, perché altrimenti davvero la moglie lo avrebbe ucciso se avesse bagnato tutto il tappeto dell'ingresso ancora una volta.

Lestrade si fermò un secondo, soffermandosi con gli occhi prima sul suo anulare e poi su quello di Mycroft, ancora spoglio. Si voltò verso Alec, che reggeva orgoglioso l'altro anello: lo prese e lo infilò all'anulare dell'altro, che ancora reggeva l'ombrello. Lo coprì poi con la sua mano, e si voltò verso l'ufficiante.

«Lo voglio. Lo voglio davvero tanto», sentenziò con decisione.

«Gli sposi possono baciarsi, anche se non credo serva il mio permesso», rise l'ufficiante, lasciando che Greg si sporgesse verso l'altro. Abbassarono leggermente l'ombrello scuro e si baciarono, sorridendo, con il rumore delle gocce che bussavano timide alla porta di quel momento.

~

Era divertente stare seduti da parte, Mycroft in poltrona e Greg sul bracciolo, ed osservare i pochi invitati, umidi di pioggia, essere semplicemente loro stessi.

Alla fine Violet ed Anthea avevano organizzato una comodissima disposizione di tre tavoli, così che tutti potessero spostarsi come volevano, più un buffet in un angolo, frutto della sofferenza di poveri camerieri al servizio di quelle due donne malefiche. Sotto al gazebo erano al riparo da un eventuale ritorno della pioggia, ma il cielo si era immediatamente schiarito e la sera stava arrivando, e qualche stella iniziava ad accendere il cielo, arrampicandosi oltre le luci del parco per mostrarsi splendente anche a chi non si era mai fermato ad osservarla per davvero.

Nello stupore generale, Sherlock era salito – no, il termine giusto è era stato spinto sul palchetto nell'angolo opposto al buffet da John, violino alla mano, ed aveva tossito nel microfono due volte.

«Non dirò che John mi ha costretto a farlo...»

«Sherlock!»

«Cosa vuoi ancora?! Ad ogni modo, questo è il mio modo di augurare agli sposi una vita insieme, felice e magari lontana da me», qualcuno rise, e il tono ironico di Sherlock sembrò ammorbidirsi un po'. «Mycroft, insegnagli a ragionare. Lestrade, per amor del cielo, toglimelo dai piedi una volta per tutte. Questo è per voi».

Quindi, i signori Lestrade, Lila e Josh erano impegnati a ballare sulla bellissima melodia del violino di Sherlock, mentre la signora Hudson e Violet Holmes, in piedi accanto al buffet, chiacchieravano di chissà cosa. Anthea aveva conosciuto Alec, dato che il bambino le si era timidamente avvicinato per chiederle di ballare, e John e Molly stavano appoggiati alla ringhiera del gazebo, i bicchieri colmi tra le dita, ed osservavano Sherlock suonare. Greg si chiese sinceramente cosa potessero star dicendo, ma forse aveva una vaga idea del soggetto della conversazione.

«Questo completo ti sta da dio, Myc, fattelo dire».

«Di certo non rifiuto un complimento, mio caro Ispettore. A John non è piaciuto, invece».

«Ah, no? E come mai?»

«Non ti so dire: mi si è avvicinato, mi ha chiesto di che marca fosse, e quando gli ho detto che era firmato Westwood si è allontanato balbettando, ed è corso verso Sherlock».

«A volte meglio non farsi domande».

«Già».

«Anche se una ne ho: chi ha fatto le foto?»

«Lui», indicò Mycroft, e Lestrade si voltò verso un uomo con la fotocamera che prima, sinceramente, non aveva notato. «A quanto pare è l'ennesimo fidanzato di Molly».

«Quella ragazza è assurda», sorrisero, e l'ispettore si ripromise di andare a fare due chiacchiere con lei quanto prima.

Prese un bel respiro e si lasciò cadere con il fianco contro la spalla di Mycroft, baciandogli la guancia. «Dio, non ci credo. E questa come la spiego al lavoro?», rise, prima di affondare il naso nel collo coperto dalla stoffa dell'altro.

Sherlock aveva smesso di suonare ed avevano lasciato andare lo stereo in sottofondo, ed ora veniva verso di loro, elegantemente.

«Fratellino, mi hai stupito», esordì Mycroft.

«... Disse l'uomo che ha appena sposato il mio occasionale datore di lavoro».

«Va bene, questa te la concedo. Oh, salve John!»

«Sherlock, Mycroft, Lestrade», salutò il dottore. «Devo ammetterlo, uno dei matrimoni più belli che io abbia mai visto. Due giorni sono bastati, alla fine».

«Peccato non avere bomboniere».

«Ah, io non ci giurerei, Lestrade. Nostra madre se n'è uscita con alcune tortine fatte all'uncinetto che... brr, non oso immaginare».

Gli altri tre stavano ancora ridendo quando il cellulare di Lestrade squillò.

«Pronto? Qui Lestrade. Oh, ciao Sally. … Sì. Certo che me lo ricordo, come pot- cosa?! Oh cielo! Ce la fate da soli, o... ? Come no? No, non posso tornare ora, io-»

Sherlock gli strappò il cellulare di mano: «Donovan, chiuda quella boccaccia. Io e John siamo lì entro domani sera, ma senza Lestrade. No, non voglio sapere nulla. Non può, ora taccia e chiuda questa telefonata prima che lo faccia io. Chiaro? Perfetto. Non mi saluti Anderson. Arrivederci», concluse, ridando il cellulare al suo proprietario. «E tu, Mycroft, per l'amor di quel poco che c'è di buono al mondo, siamo al coperto, chiudi quell'ombrello!»

«Assolutamente! È romantico: così ci siamo conosciuti e così ci sposeremo!»

 

Intanto, il mondo scorreva, ma lontano da loro.

   
 
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